Intervento di Francesco Cananzi alla Assemblea Generale di Unità per la Costituzione

1.    Tempo di crisi è tempo di occasioni.

Sono stati mesi difficili, sono stati tempi di crisi, ma tempo di crisi è anche tempo  di occasioni.

La Nuova Unità per la Costituzione, la magistratura associata deve avere sempre la capacità di guardare al tempo che viviamo, al di fuori dei nostri uffici, ai mutamenti in corso, alle ragioni di crisi  che solcano la vita sociale e politica, perché solo questo sguardo consente di ridirsi quale debba essere il  ruolo della giurisdizione nel tempo proprio, di comprendere quali siano le sfide, di saper riconoscere i bisogni dei cittadini, ai quali dobbiamo rendere il nostro servizio di amministrare giustizia.  E quando ascoltavo stamattina il professor Mancuso che richiamava a proposito della Giustizia il dare a ciascuno il suo, pensavo che dei magistrati attenti, come devono essere i magistrati di Unità per la Costituzione,  non possono non cogliere cosa e come sta cambiando. Questo sguardo serve a giudicare meglio e a riconoscere i diritti e i doveri con maggiore consapevolezza nell’esercizio delle nostre funzioni.

La pandemia ha portato con sé morte, ha per certi versi esasperato le persone e per altri versi accresciuto l’individualismo, le diseguaglianze, ci ha resi più soli. 

Tempo di crisi e di occasioni: la pandemia anche ha inciso sulle dinamiche democratiche e lavorative in parte positivamente, perché ci ha fornito nuovi strumenti, per altra negativamente, quanti hanno perso il lavoro. Abbiamo sperimentato l’impossibilità di tenere assemblee e riunioni in presenza, come la rifondazione di Unità per la Costituzione avrebbe richiesto.

Potremmo dire, citando Italo Mancini, tornino i volti,   si riscopra il valore  del riunirsi e del vis-à-vis reale, che favorisce l’amicizia civica, il dialogo franco e proficuo, la dialettica anche forte che si conclude con la sintesi che è contenuta in una stretta di mano o in un  abbraccio, questa dialettica ci  è mancata molto. Per me questo è fare associazione: discutere, confrontarsi, confliggere, ma poi stringersi la mano per continuare un percorso insieme. 

La pandemia ha costretto  il paese  a migliorare,  ha avviato processi, con collaborazioni straordinarie nell’ambito della ricerca scientifica, ha accresciuto per altri versi la solidarietà e lo sviluppo digitale, facendoci riscoprire il valore della sanità pubblica e palesando ancora di più come un regionalismo non responsabile renda i cittadini – in questo caso non solo con le storiche diseguaglianze nazionali  fra nord e sud, ma anche con ritardi a macchia di leopardo  –  diseguali nello stesso paese. 

La pandemia ha anche modificato ciò che sembrava immodificabile, dando impulso positivo alle istituzioni europee. E’ certamente un passo avanti significativo nella storia delle istituzioni politiche il  programma Next Generation EU con il passaggio dal meccanismo del debito a quello del  trasferimento, con l’istituzione europea che si scopre Unione sociale di diritto, dove alla mera logica del libero mercato si affianca il modello della nostra Carta costituzionale, anche ispirata dal principio solidaristico  che nasce dalla consapevolezza della connessione fra le economie degli Stati membri. Un piccolo virus con effetti tanto dirompenti ha accelerato un processo di condivisione che De Gasperi, Schumann e Adenhauer avevano sperato e che la storia aveva di fatto bloccato.

Sembra preistoria il dibattito sui vincoli posti dall’UE alla sovranità nazionale.

La pandemia ha rimesso in campo e rimette in campo  anche per noi, come cittadini, le ragioni dello stare insieme, ha obbligato alle scelte di priorità, ci ha fatto scegliere i più anziani, per fortuna, anche se meno produttivi, per dare inizio alla campagna vaccinale, scelta forse non per tutti scontata. Ci ha fatto confrontare con il forte disagio dei bambini e degli adolescenti, con la sospensione di vita in anni fondamentali. Ha ridetto della dignità delle persone, anziani, adulti, giovani, bambini,  dei loro congiunti, di chi soffre, negli ospedali come nelle abitazioni.

Non di meno verifichiamo con l’accrescersi delle diseguaglianze, dovuto al blocco delle attività economiche, le crisi da indebitamento, la tensione sociale e familiare, l’impennata percepibile dei reati da codice rosso e dei prestiti a usura, la ricerca di fonti di finanziamento illegali, come attesta l’inserimento di lavoratori divenuti inoccupati nelle illecite attività, come il  narcotraffico: tutto ciò sta determinando e determinerà  sempre più che la pandemia si trasformerà in processi penali e civili, dunque alla giurisdizione viene rimessa la soluzione delle diseguaglianze  e dei conflitti che la politica non è riuscita a prevenire. Spetta ai magistrati avere attenzione a questa dinamica delle aspettative sociali che si trasformano in domanda di giustizia.

In questo contesto nasce il Piano Nazionale di  Ripresa e Resilienza  e la necessità della riforma della Giustizia, che non può e non deve essere vista come mero contraccambio verso l’UE per le risorse ottenute, ma invece come una occasione da non perdere.

Dall’ANM e dal CSM va sollecitata però una visione di insieme, un progetto in tema di giustizia, vanno accolte di buon grado  e con speranza nuove proposte e nuove risorse, ma le riforme vanno rilanciate in modo costruttivo, verso  una direzione che sintetizzerei nello slogan non solo quantità: il fattore tempo è decisivo, la durata dei processi è eccessiva, ma la risposta non è solo nella necessità di far lavorare di più i magistrati, molti dei quali nell’ultimo decennio hanno lavorato con intensità tali da ridurre il contenzioso civile in modo evidente. I diritti non sono solo numeri ma sono persone, che hanno diritto alla qualità della giurisdizione.

Sappiamo bene  che l’efficienza può diventare efficientismo sganciata dalla qualità,  che l’ufficio del processo implementato può aiutare ma non risolve, che la mediazione civile non ha dato buona prova e che è insufficiente e andrebbe invece estesa la proposta conciliativa obbligatoria, che deve decidersi di investire in una seria mediazione penale, ponendo al centro la vittima del reato con la giustizia riparativa,  che va eliminato il divieto di reformatio in peius  in appello.

Occorre una seria depenalizzazione  – accompagnata da un sistema sanzionatorio amministrativo efficiente – per salvaguardare l’obbligatorietà dell’azione penale, bene irrinunciabile per l’eguaglianza sostanziale, pilastro della democrazia e del controllo di legalità.  

Senza contare che con il PCT e il PPT occorre certamente una infrastruttura di rete all’altezza, ma anche l’imposizione della sinteticità degli atti e la omogeneizzazione, la reductio ad unum e la semplificazione degli applicativi: un nuovo applicativo unico per il penale, per ogni funzione, è indispensabile, per semplificare il rapporto del giudice e delle cancellerie con il processo penale digitale. Una strategia digitale è indispensabile e va fatta con un confronto previo rispetto alla progettazione da parte del Ministero,  con il CSM e con l’ANM, con l’Avvocatura, con i dirigenti degli uffici. Occorrono gli Stati Generali della Giustizia Digitale  perché prima di ogni progettazione bisogna ascoltare gli uffici. Altrimenti avremo il problema che già c’è stato con il PCT: la distanza fra le norme del c.p.c e le scansioni logiche e cronologiche dello strumento digitale. Una distanza che si scarica poi sul magistrato, al quale viene attribuita la “colpa” dei ritardi e dell’inefficienza, mentre la risorsa digitale diviene fattore di rallentamento e non facilitante una giustizia di qualità e tempestiva.

Non è questa la sede, ma certamente dobbiamo dire con chiarezza che gli investimenti devono accompagnarsi a riforme non solo del processo, ma del  diritto sostanziale, che  l’organizzazione centralizzata del Ministero della Giustizia deve cambiare, realizzando le direzioni regionali previste e mai realizzate, che sarebbero state di grande sostegno ai capi degli uffici nel corso della pandemia, come pure occorre un piano per l’edilizia giudiziaria e la sicurezza sul lavoro dei magistrati, degli avvocati, dei cancellieri e dei cittadini, nonché una messa a disposizione di stabili budget in sede circondariale e distrettuale, per le necessità organizzative, salve le necessarie forme di rendicontazione, ovviamente. La responsabilità attribuita ai capi degli uffici in assenza di potere di spesa è del tutto irrazionale.

Non solo quantità vuol dire che l’efficacia della giustizia non si misura solo con i numeri dello smaltimento, bensì con la qualità della risposta di giustizia per il cittadino.  Potremmo prendere a prestito  indicatori economici,  non tanto il PIL ma il  FIL, il tasso di felicità interna lorda, un indice teso a costruire indicatori corrispondenti alla nozione di benessere in senso lato, allargando la dimensione delle analisi di solito limitate al solo elemento quantitativo. Il Fil dovrebbe registrare il grado di soddisfazione del cittadino, del magistrato, dell’avvocato non per l’esito, ovviamente, ma per il servizio offerto.

Un magistrato non può non occuparsi di carcere, perché la pena che irroga ha senso solo se parametrata alla funzione dell’art. 27 Cost.,  anche risocializzante: un piano per le carceri e le Rems e per le pene alternative manca del tutto, sarebbe indispensabile per limitare le recidive che significano, quando così massive, tradimento dell’art. 27, fallimento dell’istituzione pubblica, insicurezza per i cittadini, giustizia sempre più ingolfata.  Investire nelle carceri vuol dire ridurre il contenzioso penale di domani e garantire maggiore sicurezza sociale.  E’ una scelta per la coesione e l’efficienza, una scelta di convenienza economica e sociale, una scelta valoriale non ideologica. Eppure nel Piano non mi sembra che vi sia traccia sul punto.

2.    La riforma del CSM e del sistema elettorale.

Nella riforma della giustizia c’è anche la riforma del CSM. Vi dico subito che apprezzo  molto le modifiche proposte dall’Assemblea per il Futuro allo Statuto che tendono a distinguere gli ambiti associativo e consiliare.

Ma si badi che distinguere non vuol dire separare e che chi è al CSM, nella maggioranza dei casi, è lì con lo spirito giusto di servire i colleghi e rappresentare i valori del gruppo di riferimento in cui si riconosce. Se non lo è con questo spirito, lo dico chiaramente, abbiamo sbagliato tutti, il gruppo ma anche gli elettori.

Il Consiglio è esperienza che per sua natura, come ogni istituzione elettiva, rischia di essere autoreferenziale. I consiglieri hanno bisogno di confronto con i colleghi e anche le distorsioni del potere sono contenibili se le relazioni con la base dei colleghi  e con i gruppi di riferimento restano aperte e se si continua a discutere di cosa c’è in gioco in termini valoriali, anche dietro una nomina per un incarico direttivo. Facciamo attenzione. C’è da aver paura di un Consiglio che si chiuda o che venga isolato.  Il Consigliere  bocca della legge non può esistere, non ha cittadinanza nel nostro ordinamento,  perché la discrezionalità è ineliminabile e va esercitata. La vita degli uffici non può essere normata direttamente dal legislatore, ma implica normazione secondaria e discrezionalità, come evidenziava bene la Commissione Paladin.

Isolare i consiglieri e autoisolarsi dai consiglieri non porterà nulla di buono: la trasparenza passa anche dalla comunicazione e dal confronto e il Patto Etico proposto da Assemblea per il Futuro  da sottoscrivere implica  e serve a garantire comunque una indispensabile interlocuzione.

Certamente c’è da cambiare il sistema elettorale del CSM, il collegio unico nazionale non funziona: attribuisce un potere eccessivo alle correnti e riduce la conoscenza diretta fra magistrati e candidato. Pertanto ben vengano collegi più ristretti, anche perché è lì che i colleghi conoscono il candidato, la sua professionalità, l’etica dei  comportamenti, ne hanno letti i provvedimenti, possono esprimersi con consapevolezza: è questo il modo per ricostruire la fiducia verso l’organo di Governo autonomo.

E al tempo stesso, però,  occorre evitare collegi troppo ristretti, che si presterebbero a vincoli di mandato, a una assenza di visione nazionale, a una sommatoria non componibile – se non con scambi non commendevoli e soprattutto non controllabili   – di interessi territoriali: per evitare questo e per garantire il pluralismo oltre che la responsabilità politica – intrinseca in ogni selezione elettorale –  occorre che sia introdotto un correttivo proporzionale, con collegamenti fra candidati dei singoli collegi, e attribuzione di parte dei seggi in sede nazionale con il sistema proporzionale. Il correttivo proporzionale garantirebbe al Csm maggior dialettica, confronto,  dibattito vero e trasparente, ricerca delle migliori sintesi, ma soprattutto reale pluralismo culturale.

Un sistema elettorale a base maggioritaria può portare il  CSM a una eccessiva omogeneità o disomogeneità valoriale della componente togata rispetto alla componente laica. Il tema diviene ancor più delicato  a fronte della intervenuta riduzione del numero dei parlamentari, che potrebbe facilitare in sé il raggiungimento della maggioranza qualificata prescritta dall’art. 104 Cost., specie se si propenderà per un sistema elettorale parlamentare maggioritario o con effetti maggioritariDue sistemi elettorali omogeneiper il Parlamento e per il Csm, potrebbero ridurre l’efficacia del  sistema di pesi e contrappesi assicurato e richiesto dalla nostra Costituzione. 

Contro il sorteggio sono noti gli argomenti. Aggiungo: il sorteggio non garantisce una plurale rappresentanza culturale; inoltre un consigliere sorteggiato, o anche eletto a seguito di sorteggio, è certamente molto più debole, quanto a legittimazione, sul fronte interno dovendo confrontarsi con laici eletti dal Parlamento, con maggioranza qualificata e in seduta comune. Cosicchè si avrebbero consiglieri di serie A, i laici,  e di serie B, i togati scelti con il sorteggio. Conseguentemente sarebbe meno forte anche la legittimazione complessiva del CSM, nei confronti degli altri organi costituzionali, con riduzione della possibilità di salvaguardare l’indipendenza della magistratura.

3.    Unità per la Costituzione, le incompatibilità e le primarie.  

A cosa serve Unità per la Costituzione? C’è scritto nel Preambolo. La vera posta in gioco è l’indipendenza della giurisdizione, a questo serve Unità per la Costituzione.  Mi chiedo sommessamente e vi pongo questo come associato, ormai vecchio associato,  e non come segretario generale, ben sapendo quale è stato l’orientamento di  di Assemblea per il Futuro. Ma davvero è necessario nella scelta dei candidati al CSM, per garantire l’indipendenza della magistratura, andare oltre lo statuto dell’ANM quanto all’incompatibilità?  

Conosco componenti del CDC uscente, di quello ancora precedente, come di quello attuale che hanno lavorato e stanno lavorando benissimo, in contesti associativi complicati, a volte  difficili, con lo stile di Unità per la Costituzione,  dialogico ma fermo, con competenza e con i modi istituzionali; conosco componenti del CDC che hanno poi svolto le funzioni di consigliere del CSM benissimo; conosco anche componenti dei consigli giudiziari e segretari distrettuali con analoghe qualità, che sono stati ottimi Consiglieri; conosco componenti del CDC dell’ANM, segretari locali e consiglieri giudiziari che mai hanno pensato di svolgere quel servizio con l’intenzione di candidarsi al CSM. 

Occorre ragionare, facciamo attenzione a illuderci che il divieto biennale risolva la responsabilità delle scelte che spettano ai magistrati chiamati a votare.

Facciamo attenzione perché oggi il collegio elettorale è unico nazionale, domani con la riforma potrebbe essere locale, e l’incompatibilità per aver svolto l’incarico di  componente del CDC non avrebbe più senso, avrebbe senso una incompatibilità degli organi locali del consiglio giudiziario e della segreteria di Unità per la Costituzione.  Ma possiamo mai rincorrere il legislatore? O forse dobbiamo porci il problema di far crescere la consapevolezza e la partecipazione negli aderenti a Unità per la Costituzione, far crescere il senso critico, la capacità di distinguere, non dobbiamo dare fiducia al nostro elettorato?   So bene che questo nel passato recente non ha funzionato: Unità per la Costituzione era anestetizzata, la democrazia interna era paralizzata. Nella Nuova Unicost, in chi ha vissuto l’esperienza della Assemblea per il Futuro, in questa Assemblea ci sarà la capacità di dire si e no con intelligenza e coscienza, di saper distinguere chi ha strumentalizzato la funzione, chi ha strumentalizzato Unità per la Costituzione o l’Anm per un fine di carriera personale da chi non lo ha fatto, da chi invece può apportare un buon contributo,  avendo servito bene l’Associazione  prima,  per l’Istituzione. 

Attenzione, le norme bandiera, le norme manifesto, quelle da dare in pasto all’opinione pubblica,  le fa la peggiore politica. Inseguire lo spirito del popolo nella Storia non ha mai fatto fare cose buone, e noi che siamo magistrati lo sappiamo: emettere le sentenze nel nome del popolo italiano non significa decidere come vuole il popolo, inseguendo il consenso, ma conquistarne la fiducia per i valori che si rappresentano con il proprio modo di essere e di lavorare, per la motivazione, per l’equilibrio, per le ragioni sottese a un provvedimento.

Noi siamo Unità per la Costituzione e abbiamo una visione di futuro, non quella del giorno dopo o della prossima elezione. Lo statuto che stiamo scrivendo deve essere “per”  e non “contro”, è per il futuro e non contro il passato né contro il presente, implica fiducia in noi stessi e nella democrazia interna al gruppo, alla luce delle nuove regole  che l’Assemblea per il Futuro ci propone.

Diamo fiducia alle primarie. Più democrazia delle primarie cosa vogliamo? Se non abbiamo fiducia negli elettori, in chi dobbiamo avere fiducia? Gli elettori non sapranno distinguere chi è incompatibile di fatto da chi non lo è? Non sia il tempo di esclusioni preconcette, ma di vigilanza, di assunzione di responsabilità, non di conventicole e combriccole, ma di assemblee nella quali si  parli apertamente.  

Per viaggiare in mare aperto, dopo la traversata nel deserto, abbiamo bisogno di un equipaggio composito, dove tutti sono necessari, il giovane nocchiero con il vecchio marinaio e nessuno è sufficiente a se stesso, nessuno. Io ho fiducia in questa Assemblea e ho fiducia in questo Gruppo: sapremo scegliere al momento opportuno, ma scegliere è sempre meglio di non scegliere, perché la scelta implica responsabilità. Non presenterò alcun emendamento, spero che nel dibattito si raccolgano queste mie preoccupazioni.  

4.    Il mito di Prometeo: potere, carrierismo, senso del limite e responsabilità.

Prometeo ruba il fuoco agli dei per donarlo agli uomini e viene punito da Zeus. E’ la tracotanza che spinge Prometeo a sfidare gli dei senza avere limiti. Il limite viene posto da Zeus. All’ambizione carrieristica non vi è stato freno. Siamo tutti alla ricerca di un Prometeo che ci porti il fuoco? O ciascuno di noi si sente Prometeo?

E’ l’alternativa fra la democrazia del leader, del magistrato unico, a capo di una corrente, quella del principe digitale, dell’influencer del momento, che ormai fa politica giocando sui follower, ma soprattutto con una semplificazione che non è propria della politica,  fra il “lui” da seguire perché mi aiuti a superare i limiti, che possa assicurarmi le mie ambizioni; e l’ “io”,  Prometeo pronto  a rubare il fuoco, a superare ogni limite grazie alla mia astuzia, costi quel che costi, con tracotanza, pur di soddisfare la mia ambizione. E’ la voracità della carrierismo, la voracità delle medagliette, la voracità del curriculum.

Fra il LUI e l’IO c’è il NOI, cioè l’idea che il fuoco non debba essere atteso dall’alto, né va rubato con sotterfugio, ma deve essere scoperto, acceso  e gestito con attenzione: va cercato, alimentato e condiviso insieme. Il limite esiste e deve esistere e una Istituzione sana lo deve sapere, come un gruppo che vuole tornare a essere luogo di crescita culturale e deontologica, come ci siamo detti all’Inizio di questo percorso, lo deve spiegare e inculturare. Non ogni desiderio è un diritto, noi siamo magistrati e se nella società economica, civile e politica  spesso ogni desiderio diventa diritto,  dobbiamo  come magistrati associati porci un limite a questa deriva.  Il limite sta nella vita associativa sana,  che val sempre la pena di essere vissuta, perché ci ricorda che non siamo soli, perché ci rende migliori come magistrati, oltre che come donne e uomini del nostro tempo

Questo è il senso dell’essere parte di un gruppo associativo.  Mi convince moltissimo la sfida che si nasconde dietro la diarchia dei segretari, che affronta la questione di genere come ricchezza necessaria,  il direttivo degli incaricati, che si muovono a mo’ di squadra dei segretari, nonché il ruolo del presidente che garantisce ma al tempo stesso partecipa della linea politica. Mi convince molto il Centro Studi con il Presidente che partecipa del Direttivo.  Centro studi e rivista devono certamente far crescere la professionalità dei magistrati, ma non solo quello, non solo competenza tecnica: l’associazione, la Nuova Unità per la Costituzione  deve far crescere la consapevolezza del ruolo del magistrato, la competenza associativa, l’inclinazione al pensare politicamente, a come la società e i mutamenti legislativi  incidono sulla giurisdizione.

E’ una sfida importante quella delle nuove regole, molto democratica, che muove da una forte idea di  collegialità, in un tempo di leadership isolate: una scelta di una modernità straordinaria. Alla guida del gruppo vi è una triarchia, di fatto: la parola chiave sarà corresponsabilità, nella diversità.

Non ci fa paura né la collegialità né il pluralismo, siamo allenati in Unità per la Costituzione:  il dovere dell’unità spetta e spetterà a tutti, oggi è più facile scappare piuttosto che restare, lo è stato per alcuni. L’unità non per sé ma per la magistratura. Questo impedirà anche  strumentalizzazioni del gruppo a fini personali, consentirà una vigilanza collettiva. Siete chiamati a vigilare, a confrontarvi davvero, accettando il dissenso sul merito delle questioni, con il dovere però dell’unità.

5. Un Kairòs per Unità per la Costituzione, per l’ANM e per la magistratura tutta.

Un gruppo che contava 2500 voti non poteva durare a lungo, anche i fatti del maggio ’19  sono un Kairòs, una occasione,  che hanno accelerato l’inevitabile: non può bastare il collante del potere per tenere insieme le persone,  un gruppo, il potere si consuma, scontenta, non garantisce l’ambizione per tutti. La prossima classe dirigente di questo gruppo dovrà essere una classe dirigente che tiene insieme un gruppo per una forte identità culturale. 

Ciò che occorre è una identità, quella che garantisce coerenza, passione, impegno: l’identità del gruppo è quella del Preambolo,  ma bisogna farla diventare esperienza viva nella storia di ciascun magistrato, occorre che il Gruppo si dedichi alla promozione di Unità per la Costituzione, ne spieghi le ragioni dell’esistenza,  investa nella formazione deontologica dei futuri dirigenti, prepari i colleghi che vogliano impegnarsi nell’istituzione e nell’associazione. Li prepari tecnicamente, a pensare associativamente e politicamente.

La crisi di credibilità della magistratura è un kaipòs, una occasione non ripetibile per farsi muovere da una forte e coraggiosa voglia di futuro. Occorre alzare lo sguardo dalle piccole beghe fra i gruppi per aspirare a una visione alta, lasciare da parte la presunzione di essere l’ombelico del mondo.

Occorre generosità e, come nel nostro lavoro la gratificazione viene dal darsi con passione, anche nella vita associativa bisogna fare altrettanto: crederci con coraggio e generosità e si riceverà tanto, in termini di amicizia civica, di consapevolezza del proprio ruolo, di servizio reso al paese.  

La rifondazione, già da ora, ma ancor di più se sarà ispirata da queste intenzioni e con questa disposizione d’animo, non alimentata da sterili ambizioni personali, renderà Unità per la Costituzione un  esempio anche per gli altri gruppi.

Bisogna ritornare a dialogare in ANM, ma seriamente e veramente, con autenticità, in un quadro di valori condivisi, a fronte del momento delicato che stiamo vivendo e della necessità di recuperare credibilità. Noi non abbiamo mai smesso di cercare il dialogo, e gli attuali componenti al CDC sanno quanto sia faticoso, ma al tempo stesso indispensabile per la magistratura. A loro va il mio ringraziamento per quanto stanno facendo, abbiamo una squadra di grandissimo livello della quale essere orgogliosi.

Quando affermiamo che il bipolarismo in magistratura non funziona non lo diciamo per preservarci uno spazio, ma per amore della magistratura e della democrazia.

In ANM e al CSM non funziona il bipolarismo, i poli non sanno parlarsi, si scatena una logica antagonista dove l’altro è nemico, non avversario,   ognuno resta sulla sua posizione, nella sua “verità” e rigidità, prigioniero di se stesso e dell’immagine che deve rendere all’esterno.

Usare il linguaggio delle curve, delle tifoserie contrapposte è sterile, i tifosi non rendono migliore la partita, i tifosi non scendono in campo per cambiare le sorti della partita. E soprattutto i sostenitori dei due poli non si riconosceranno come parte di un tutto, ma come parti avverse, tradendo l’idea che la rappresentanza debba servire al bene comune. 

La futura dirigenza di questo gruppo  dovrà assumersi la responsabilità di decidere ascoltando la base, ma senza inseguirne le pulsioni estreme, che portano a pensare al  particulare piuttosto che a una visione dell’insieme. Chi guida un gruppo deve assumersi la responsabilità delle scelte: siamo magistrati, anche quando siamo in associazione, siamo istituzione, non dimentichiamolo.

La Nuova Unità per la Costituzione deve diventare ciò che è chiamata a essere: è ben di più di quel che siamo qui.

Il bipolarismo si muove fra spinte giustizialiste e corporativismi, fra usi impropri dell’art. 2 in luogo del disciplinare e sopravvalutazioni strumentali di chat. C’è molta ipocrisia in giro. Si guarda al passato per condizionare il presente, mentre lo sguardo dovrebbe essere guardare agli errori del passato, che sono di tutti e non solo di alcuni,  per costruire tutti  un nuovo futuro.  

Il Nuovo Gruppo dovrà essere corpo intermedio che fa sintesi, fra istanze ideali, territoriali, interessi concreti che meritano attenzione solo quando rappresentano valori.

5.    Essere centrali, non di centro, equilibrati e forti, non moderati. 

Noi siamo un gruppo non di “centro” inteso in senso politico. Deve essere chiaro a tutti: fra noi  ci sono magistrati che votano per la per la sinistra politica, per la destra politica, per il centro politico. Siamo centrali, non di centro. 

Non collaterali non significa non avere idee politiche, ma saper distinguere gli ambiti, quello personale e quello istituzionale, contribuire con la propria diversità alla linea del gruppo. Noi siamo e dobbiamo essere centrali nella vita della magistratura.

Centrali perché baricentro, fattore di equilibrio,  non  moderati, non in attesa,  bensì equilibrati,  istituzionali,  forti nelle proprie convinzioni, propositivi,  pronti a rappresentare il magistrato che sa che l’estremismo dei poli non aiuta la magistratura perché la schiaccia sull’una o sull’altra parte politica.

Il bipolarismo non funziona perché toglie la speranza del dialogo e delle migliori soluzioni, giunge al compromesso, che è cosa diversa dalla mediazione, perché il primo va verso il basso, la seconda è sintesi migliore dei punti di partenza e frutto del vero dialogo.  

Non  sono un illuso, ho speranza, quella  che nasce dal concreto, dall’impegno di tutti voi nei distretti, nella Assemblea per il futuro, nel Comitato segretari e nel Comitato di coordinamento,  che ho visto e sperimentato nel vostro coraggio ed impegno di questi mesi. Dalla disponibilità generosa dei candidati al CDC e al CSM.

Il patto fra generazioni di magistrati va accresciuto.

La passione di Mirella Cervadoro e di Andrea Bigiarini mi sembra l’icona di questo patto fra generazioni che è e deve essere la nostra forza: ascolto, rispetto delle storie, amicizia civica. A questo serve l’associazionismo, a dare il senso di un cammino collettivo, di un destino collettivo.

Vi chiedo di   far  crescere la passione associativa:  possiamo sperare in qualcosa di meglio se sapremo trasformare il Xronos che viviamo in un Kairòs, in una occasione di fiducia e di speranza. Dobbiamo ora muoverci in mare aperto, c’è bisogno del contributo di tutti, abbiamo il dovere dell’unità nel tempo dei frammenti, dell’individualismo e del carrierismo. Con questo percorso di rifondazione stiamo avviando un processo positivo, non sappiamo dove ci porterà: dipenderà dalla nostra capacità di servire con indipendenza e generosità nelle istituzioni come nell’associazionismo, di interpretare il potere non come occupazione di spazi ma come occasione per avviare processi. Dipende dalla nostra passione per i valori del Preambolo e dalla capacità di formulare un proposta culturale, dobbiamo con la nostra scommessa costituire una provocazione per il rinnovamento di tutta la magistratura associata.

Non usiamo le lenti e le categorie del passato per guardare al presente e al futuro. Ci renderebbero incapaci di leggere e ci lascerebbero ai blocchi di partenza. Oggi e domani dialoghiamo, rispettiamo, ascoltiamo, decidiamo.

Ne verrà fuori la Nuova Unicost e i tanti che stanno a guardare decideranno il da farsi. Noi non siamo né saremo mai giustizialisti né pronti al corporativismo. Vogliamo essere indipendenti e  equilibrati,  nell’associazionismo come nella giurisdizione: nessuno di noi ha mai utilizzato un processo per fini politici e chi fa del suo cor l’altrui misura si assume una responsabilità enorme dinanzi alla storia nell’accomunarvi la magistratura italiana. Ma la storia darà ragione ai magistrati italiani, veramente indipendenti e giusti.

Stamattina Mariano Sciacca ha citato il principio speranza di Ernest Bloch. La vera funzione della Nuova Unità per la Costituzione dovrà essere dare ragione di speranza ai magistrati italiani, per tornare a partecipare, a entusiasmarsi della vita associativa e a credere nelle istituzioni.

Sono un po’ stanco di rancore, vorrei che la vita associativa fosse liberata dai rancori, dai rancori per le ambizioni non riconosciute, dai rancori per le contrapposizioni all’interno e all’esterno dell’Anm, ricordandoci che facciamo il mestiere più bello del mondo: se solo avessimo consapevolezza del fatto che siamo dei privilegiati, e torno alla pandemia e a chi ha perso il lavoro, se solo avessimo questa consapevolezza, questo ci consentirebbe di mettere  le cose al loro posto, di dare il giusto peso a tutto. Ho un lavoro che mi dà uno stipendio più che degno, ho un modo per servire il paese, perché questo è quello che la Costituzione ci chiede: servire il paese in piena indipendenza. E’ un bene inestimabile, e noi ci siamo dimenticati della consegna che abbiamo ricevuto dai Costituenti e dai tanti magistrati che ci hanno preceduto, che ce lo hanno affidato. Questo dobbiamo saper dire ai colleghi, a questo serve la Nuova Unità per la Costituzione.

Concludo con un pensiero per Saro Spina, che certamente sta partecipando con noi a questa Assemblea, un magistrato per bene, un amico. A Lui va il mio saluto,  era un grande appassionato di Unità per la Costituzione.

E a proposito di amicizia cito Paul Ricoeur, che  distingue fra l’amicizia, che riguarda il rapporto io-tu, e la giustizia, che riguarda invece la relazione fra me e un terzo che mai conoscerò, mediata dall’istituzione giusta.  Unità per la Costituzione sia un luogo di amicizia civica, l’amicizia deve diventare un motore perché ciascuno di noi possa essere migliore, per amministrare la giustizia per i cittadini e incarnare Istituzioni sempre più giuste. Io penso che a questo serve Unità per la Costituzione e a questo serve l’Associazione Nazionale Magistrati,  serve a rendere migliori quelli che vogliono partecipare, a patto che lo vogliano fare con generosità e disinteresse. Questa è la sfida che dobbiamo raccogliere. Buona Assemblea Generale a tutti!