Intervento introduttivo di Francesco Cananzi all’assemblea generale 3-4 luglio

In questa due giorni concludiamo un percorso molto intenso, che ha visto coinvolti tanti colleghi e vede anche molti colleghi in attesa di vedere ciò che è diventata Unità per la Costituzione. Oserei fare subito un invito: Unità per la Costituzione diventa ciò che sei!

Io credo che Unità per la Costituzione solo dalle radici può trovare le energie per aprire le ali e spiccare il volo e il nuovo statuto con il suo preambolo e le sue regole, che oggi sono le regole del gruppo, le regole di tutti noi, sono certamente un forte aiuto per sostenere il volo, gestire le correnti, questa volta atmosferiche e non della magistratura, le alte e le basse pressioni, con quello sforzo e quella abilità che solo il giovane gabbiano Jonathan sperimentò, raccogliendo la sfida per migliorarsi. Se ricordo bene, però,  Jonathan volava spesso in solitudine. 

Invece ciò che conterà più di tutto per Unità per la Costituzione sarà la capacità di volare insieme,  fare squadra, anzi di essere squadra. Sentiremo oggi le proposte di disponibilità provenienti dai distretti quanto alla direzione del Gruppo, auspico fortemente e sono certo che la novità di Unità per la Costituzione sarà quella ontologica di essere squadra, nella direzione nazionale, nel comitato di coordinamento, nel comitato segretari, nel centro studi, fra la dirigenza nazionale e le dirigenze distrettuali, in un vero, autentico spirito nazionale, con una forte solidarietà nazionale.

Dobbiamo convincerci che deve vigere il principio dei vasi comunicanti fra le varie realtà distrettuali del nostro gruppo e fra la realtà nazionale quelle distrettuali: se un distretto cresce di ciò deve avvantaggiarsi il gruppo nel suo insieme, si innalza  il livello complessivo in ogni distretto perché le buone prassi, il lavoro svolto in un distretto può e deve essere di esempio in altri distretti. Se invece non vi è condivisione, comunicazione, ciascun gruppo resta isolato dagli altri e all’innalzamento dell’uno non corrisponde l’innalzamento dell’altro.

La pandemia ci ha impedito di girare, di incontrare i colleghi anche nei distretti in maggiore crisi, dopo lo tsunami del maggio ’19 e la pubblicazione delle chat.  A questi distretti va il mio pensiero,  a loro dovranno andare le attenzioni della nuova dirigenza nazionale ora che possono farsi incontri in presenza, dovranno anche immaginarsi dei gemellaggi fra distretti, gemellaggi non elettorali ma di sostegno, per ripartire, degli affiancamenti che consentano alle neonate dirigenze locali di riprendere un percorso nuovo. Sarà un lavoro difficile  per il presidente, i segretari, la direzione, ma esaltante se fatto con spirito di servizio e in una prospettiva nazionale.

Non è tempo di divisioni, allora,  è tempo di con-divisioni profonde, di aiuto reciproco, come abbiamo fatto per le elezioni della GES Anm in Cassazione e per le altre Ges distrettuali. Ottimi risultati grazie all’impegno di tutti, tutte le segreterie sollecitate per un buon risultato per la giurisdizione nazionale.  Non vedo altre strade percorribili per il rilancio del nostro Gruppo se non uno spirito di forte solidarietà nazionale.

Non ripeterò quello che ci siamo già detti più volte, sui concetti di non collateralismo, che sempre più vorrei declinare in positivo come Indipendenza nella giurisdizione  e indipendenza nell’associazionismo, indipendenza dall’interesse esclusivamente personale, dalla strumentalizzazione del gruppo associativo per fini egoistici, indipendenza dalle lobby mediatiche, politiche, economiche, culturali, promozione di una visione che abbia a cuore di destini collettivi. 

La linea politica che il gruppo dovrà avere ha le sue fondamenta nel Preambolo, ma si nutre di declinazioni quotidiane di quei principi, di capacità di progetti a breve ma soprattutto a medio e lungo termine, questa di elaborare progetti durevoli è la vera sfida per ogni impegno politico in un tempo davvero tumultuoso, radicalmente incerto, come quello che viviamo.

Ma la linea politica del gruppo, mi permetto di sottolineare, dovrà avere alcune attenzioni, oltre quella della solidarietà verso i distretti in difficoltà.

Molte di queste attenzioni sono state interpretate al meglio dal gruppo di Unità per la Costituzione in CDC e di questo sono gratissimo ai colleghi. Alessandra, Italo, Giacomo, Tony, Roberta, Emma, Pierpaolo, un gruppo solido, devo dire molto in gamba, serio interprete dei nostri valori a quali sempre va il mio ringraziamento, per l’impegno per la casa comune che è l’ANM, la fermezza pur nella disponibilità al dialogo, lo stile e i modi appropriati al miglior associazionismo dei magistrati.

Vorrei solo sottolineare alcuni tratti che mi sembrano essenziali per l’azione politico associativa propria del nostro Gruppo nel prossimo futuro, ben consapevole che molto altro avremmo potuto fare in questo tratto di strada che abbiamo e ho percorso, ma che le condizioni ambientali non sempre lo hanno consentito, oltre agli ovvi e sovrabbondanti limiti personali. Guardando al futuro mi sembra urgente garantire: 

  • Il rispetto delle istituzioni ed in particolare delle scelte della politica.

 Reciprocità del rispetto, se chiediamo rispetto dobbiamo anche riconoscerlo alla politica, alle prerogative del Governo e del Parlamento,  fermo restando il diritto-dovere dell’Anm e del Csm di interloquire in tema di giustizia e di valori costituzionali, quelli che si leggono nel Preambolo e nello Statuto, quando incidono direttamente o indirettamente in tema di giustizia: solidarietà, persona, doveri oltre che diritti, tutti però calati in un ambito specifico che è quello della Giustizia. Allorchè ci troviamo a discutere degli effetti delle riforme legislative il ruolo dell’Anm e di Unicost, che ha senso solo se è uno strumento per l’Anm, deve saper cogliere gli effetti e criticare come accogliere di buon grado le riforme –  a volte si può anche essere d’accordo, come per gli investimenti del recovery fund, non senza denunciare le implicazioni che un dissennato produttivismo produrrà sulla qualità delle decisioni. Occorre che vi sia una reciproca legittimazione fra politica e magistratura. Il bene della fiducia nelle istituzioni non è infinito. Se una Istituzione delegittima l’altra assistiamo alla evaporazione complessiva della fiducia in tutte le istituzioni, non alla crescita della fiducia nell’una in danno dell’altra.  E poiché a noi magistrati deve interessare la fiducia dei cittadini e non il consenso,   questo della reciproca delegittimazione e dei modi appropriati  è un tema centrale.

  • Quindi non ingerirsi nei modi e nei tempi della politica: non discutere dell’an e del quomodo dell’iniziativa politica, della giustezza o meno di un referendum come strumento di opposizione rispetto alla azione di governo, questo significa rispettare e questo giustifica e consente di pretendere rispetto. Ciò che ci spetta oggi è riservarci una valutazione sulla complessità delle questioni referendarie rispetto all’aut aut intrinseco nella dinamica dello strumento di democrazia diretta: la logica binaria può andar bene dove in gioco vi sono visioni e beni di immediata percezione, come il referendum sul divorzio, sull’aborto, sull’acqua pubblica; e però quale immediata comprensione per i cittadini sulla separazione delle carriere (il testo legislativo da abrogare è lunghissimo), sulla responsabilità civile diretta della magistratura, sulla custodia cautelare che escluderebbe la recidiva specifica, il voto per gli avvocati e professori  nei CG, l’abolizione della legge Severino che impedisce le candidature in politica a chi è stato condannato, l’abolizione delle firme per presentare la candidatura al CSM? Sono referendum che mettono insieme spinte e visioni politiche molto diverse, accomunate esclusivamente dal minimo comune denominatore di essere referendum propagandati di fatto come azioni contro la magistratura. Delegittimare per annichilire, modificare, ridurre l’indipendenza.  E allora cosa spetta a Unicost e all’ANM? Spiegare, con pazienza e determinazione, con esempi concreti, ai cittadini cosa significherà votare per l’abrogazione di queste norme, in termini di perdita di controllo di legalità, di sicurezza sociale, di indipendenza e terzietà.
  • La questione morale non è la questione dei probiviri e delle sanzioni. La questione morale attiene a una previa formazione della coscienza etica del magistrato, una formazione alla consapevolezza del ruolo, dell’essere giudice e pm. Se c’è una pecca negli ultimi anni dell’ANM è il non aver puntato sulla formazione delle coscienze dei magistrati utilizzando non le norme punitive del codice etico ma quelle di indicazione dei comportamenti virtuosi. Questo è un compito che spetta all’ANM. Io ho spesso regalato ai MOT il codice etico dell’ANM, invitandoli a leggerlo prima di iniziare l’attività giurisdizionale in autonomia. E’ la distinzione fra il rispettare per paura e il rispettare per coscienza, io punto sulla seconda. Punto sul  tempo dei doveri più che dei diritti e sulla necessità che la questione morale sia tesa a sollecitare le norme interiori che possano sopravanzare quelle positive.  La costituzione esteriore e la costituzione interiore: ci ha detto il prof. Vito Mancuso alla nostra precedente Assemblea in occasione della approvazione del nuovo statuto.  Scriveva Livatino, ricordando il collega Cucchiara, in un terzo suo scritto, che <in un epoca in cui il cittadino si interroga perplesso per sapere sotto quale luce debba scorgere gli uomini che si attribuiscono il potere di giudicarlo… avvocati testi o anche imputati ritrovavano in lui .. il senso dell’imparzialità, dell’equidistanza, della correttezza più profonda, dell’impegno assoluto, del rapporto con la norma scevro da quelle estranee influenze che così spesso oggi ne alterano l’applicazione disorientando quel cittadino..  un grande esempio di umiltà… >; attribuiva Livatino a Cucchiara la forma per affrontare il lavoro del magistrato non come quella < distaccata e fredda di chi vede nelle tavole processuali solo l’informe mucchio di carte che bisogna semplicemente ordinare secondo certe regole>..quello che noi oggi definizamo il magistrato burocrate, bensì < quella di chi scorge in esse invece i drammi umani che vi si celano e che è consapevole di quanto una decisione potrà lenirli o esasperarli>. C’è molto del modello di magistrato di Unità per la Costituzione nelle parole di Livatino e molto da queste dovremmo raccogliere per tradurle in esperienza di vita per i magistrati. Questa è la strada per il recupero della fiducia nella giurisdizione e nell’impegno associativo. 
  • Ma c’è un altro profilo della questione morale che attiene alla necessità della partecipazione e al ruolo delle istituzioni e dell’associazionismo. Scrive Roberta De Monticelli che il nostro crescere in una società aperta al rinnovamento morale – quale è quella attuale, non più tradizionale, teocratica totalitaria o autoritaria – bensì democratica offre una opzione di ampio rinnovamento morale personale, per tutti, che non è mai però garantita indipendentemente, a prescindere  dalla volontà dei cittadini. Occorre la volontà collettiva dei cittadini di rinnovarsi moralmente, ancor più a fronte di un contesto, come quello attuale, nel quale le basi della convivenza sociale e civile non risultano più stabili, sono messe in discussione in modo sempre più profondo. Mentre in precedenza, in un contesto di tenuta complessiva delle istituzioni, la moralità collettiva si poteva nutrire anche di singoli eroismi morali, oggi occorre che le Istituzioni si facciano carico di ridire le ragioni dello stare insieme dalle fondamenta democratiche, non dando nulla per scontato perché nulla è più tanto scontato.  Questa è la ragione per cui oggi la politica riguarda (e deve riguardare) chiunque abbia a cuore l’etica, scrive Monticelli. Tutto questopone anche il singolo magistrato di fronte alla crisi che sta vivendo la magistratura, come le altre istituzioni. E pone una duplice questione morale: quello per il magistrato di partecipare alla dimensione democratica nella vita istituzionale (CSM, consiglio giudiziario, commissione flussi, riunioni per i progetti tabellari e di procura,  ma anche formazione con la SSM e formazione decentrata) fin dagli uffici,  lì dove inizia il governo autonomo, nonché nella vita associativa (ANM, gruppi associativi sottosezionali, sezionali e nazionali). Occorre superare lo scetticismo imperante per ogni forma di rappresentanza, rendendo vera la partecipazione. Oggi partecipare della vita istituzionale e associativa, dei momenti di confronto negli uffici, non può essere più solo una facoltà ma è un dovere del magistrato, è etica del magistrato, fa parte della questione morale per tutti,ma specie per chiha a cuore l’etica collettiva e personale. Non vi sono scorciatoie. Il  secondo profilo della questione morale è quello che riguarda il Governo autonomo, la SSM, l’Associazione Magistrati e i gruppi, nel senso che occorre che si creino delle condizioni perché, appunto, la partecipazione del magistrato a questi luoghi abbia sempre più senso  e risulti occasione di crescita democratica e professionale nella prospettiva del bene collettivo, oltre che occasione di crescita e miglioramento dell’organizzazione della giustizia. E’ la questione morale dell’accoglienza del magistrato nei luoghi dell’istituzione, della dignità del magistrato che spesso sperimenta la solitudine della decisione o di un carico di lavoro ingestibile, che non può né deve essere asservito al potente di turno (indipendenza?) ma che deve essere rispettato nella sua dignità: il che non vuol dire riconoscergli sempre e comunque un diritto ad avere ragione, ma certamente il diritto all’ ascolto, al confronto e a un dialogo vero per il bene di tutti.
  • A Unità per la Costituzione spetta anche un terzo profilo della questione morale, dopo la riforma dello Statuto, nel senso che non è possibile solo limitarsi a propagandare una riforma che resta sulla carta, bensì occorre renderla reale nelle relazioni con i colleghi e nelle forme di partecipazione. Un compito che costerà molta fatica alle direzioni locali e a quella nazionale che andiamo a rinnovare. I valori del Preambolo devono diventare esperienza vivente dalle nostre assemblee, riassaporando il gusto del confronto delle esperienze e delle idee. La disintemediazione democratica, l’idea che tutto si risolva con un referendum, con la democrazia diretta senza confronto previo, senza che l’opinione sia frutto di un confronto, non fa che far crescere la solitudine anche del magistrato, come anche una democrazia delle mailing list ha alla fine un respiro corto e autoreferenziale, come i noti profili afferenti i  linguaggi utilizzati dimostrano. La disintermediazione nasce dalla logica mercantile, quella di saltare i passaggi degli intermediari nella distribuzione della merce per abbattere i costi. Ma la democrazia non è una merce, come non lo è il consenso, tanto meno la fiducia nelle istituzioni. Allora spetta a noi tornare alle assemblee, ritornare a discutere, riappassionarci e riappassionare al confronto, libero e senza retropensieri, sapendo, anche alla luce di recenti eventi,  come la democrazia del leader, quella del magistrato mediatico non sempre abbia un buon fine, che alla fiducia mal riposta nel simbolo del momento deve sostituirsi la fiducia nella democrazia associativa, di gruppo, più faticosa, certamente, ma sicuramente più vera perché risponde all’esigenza morale della partecipazione del singolo e della sua possibilità di contribuire nel confronto a una magistratura migliore per i cittadini. Bisogna tornare a credere nella mediazione democratica, abbandonando la burocratizzazione anche della democrazia associativa.  La democrazia implica la pazienza del confronto e la volontà di non restare soli, inseguendo i propri progetti, le proprie idee di riforma, o le proprie ambizioni senza se e senza ma.  Questo approcciarsi in modo solipsista ai momenti democratici ne tradisce il senso e il valore.  Questo metodo democratico autentico va speso nei distretti tutti, a cominciare da quelli in maggiore difficoltà, con occasioni culturali, sempre distinguendo i profili istituzionali da quelli associativi: non bisogna fare confusione.

Concludo riservandomi in sede di replica, al termine del dibattito qualche ulteriore considerazione.

Ringrazio Mariano, Carla, Eugenia, Mariarosaria,  Marco,  Rodolfo, Raffaele,  per il lavoro insieme di questi anni, come ringrazio tutti voi, per quanto ho ricevuto in questi anni,  chiedendo scusa per quanto non sono riuscito a fare (certamente molto) e soprattutto ringraziando quanti non sono scappati, ci hanno messo la faccia e continueranno a mettercela,  augurandovi un buon lavoro per questi due giorni.

Francesco Cananzi 

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