Intervento P. Fimiani 18.12.2017 su Memorandum giurisdizioni

LA COOPERAZIONE TRA LE GIURISDIZIONI SUPERIORI

NELL’INTERESSE DEI CITTADINI E DELLA GIUSTIZIA

Roma – 18 dicembre 2017

Camera dei deputati, Sala della Regina

Intervento del Presidente della Sezione dell’Associazione Nazionale magistrati della Cassazione

1. I magistrati della Corte di cassazione e della Procura generale hanno discusso del Memorandum nell’assemblea associativa del 27 giugno scorso diffondendo, all’esito, un ampio comunicato i cui contenuti sono stati ribaditi in un articolo pubblicato sul Corriere della Sera del 4 agosto dalla nuova Giunta insediatasi a luglio. La discussione sui temi trattati dai nove punti del documento è stata ampia e partecipata ed è proseguita anche nei mesi successivi. 

2. Sono apprezzabili i vari passaggi che rappresentano l’esigenza di favorire virtuosi procedimenti di osmosi fra diverse esperienze, culture e sensibilità sollecitando l’adozione di accorgimenti organizzativi che facilitino una migliore comunicazione, tra le diverse giurisdizioni, delle rispettive prassi e modalità operative, ad esempio tramite attività di formazione comune o la collaborazione tra i rispettivi uffici studi. Trattasi, peraltro, di esperienze in parte già utilmente sperimentate: basti pensare ai corsi congiunti con le magistrature speciali che C.S.M., S.S.M. e formazione decentrata della Cassazione hanno realizzato da quindici anni a questa parte, ovvero al Protocollo d’intesa con la Corte Edu siglato dalla Cassazione sotto la direzione del compianto Presidente Santacroce, che ha costituito una iniziativa “pilota” seguita, nel corso dell’anno 2017, dalla firma di altrettanti protocolli “fotocopia“‘ da parte della Corte dei conti (a Varenna in Agosto) e del Consiglio di Stato (a Palazzo Spada il 16 novembre scorso). 

3. Va, invece, manifestata netta contrarietà al punto 4, l’unico che prefigura modifiche ordinamentali, contenendo l’impegno reciproco di “valutare, previeopportune consultazioni al proprio interno e con i competenti organi di autogoverno, la possibilità di promuovere l’introduzione di norme, a Costituzione invariata, che consentano forme di integrazione degli organi collegiali di vertice con funzioni specificamente nomofilattiche delle tre giurisdizioni (Sezioni Unite civili della Corte di cassazione, Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, Sezioni Riunite della Corte dei conti) con magistrati di altre giurisdizioni, quando si trattino questioni di alto e comune rilievo nomofilattico, ivi comprese, per le Sezioni Unite civili della Corte di cassazione, quelle attinenti alla giurisdizione”

In primo luogo va osservato che: 

a) ben difficilmente potrebbe sostenersi che la menzionata innovazione possa essere introdotta a Costituzione invariata (v. artt. 106 e 111 Cost.); 

b) soltanto la Corte di cassazione è configurata nel nostro ordinamento non come giudice di merito ma come giudice di pura legittimità, che opera con l’apporto della Procura Generale quale organo che conclude nell’interesse della legge; 

c) la funzione di tale inserimento non risulta chiara, non potendo configurarsi una anomala forma di “rappresentanza” delle giurisdizioni di provenienza, inconcepibile in un collegio giurisdizionale, e comunque esso comporterebbe solo un generico ed occasionale interscambio tra i componenti degli organi giudicanti di vertice senza alcun reale beneficio per l’esercizio della funzione nomofilattica. 

Sembrano poi precludere forme di integrazione ordinamentale: 

a) la specificità dello statuto di indipendenza dei magistrati ordinari, che gode di copertura costituzionale, e che fa dell’ordinamento della Magistratura ordinaria un unicum nel sistema, come confermato dal rilievo costituzionale della Corte di cassazione, tale da rendere i magistrati di cassazione l’unica categoria funzionale costituzionalmente prevista di magistrati (v. Corte cost., sentt. n. 86 e n. 87 del 1982); 

b) la diversità del regime disciplinare e di quello relativo allo svolgimento degli incarichi extragiudiziari tra i giudici ordinari e quelli speciali, anche di recente evidenziata da fatti di cronaca all’attenzione della pubblica opinione. 

4. Diffuse sono poi state, nel dibattito anche precedente e successivo all’assemblea del 27 giugno, le critiche all’abnorme espansione della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo voluta dal Legislatore alla fine degli anni ’90 ed all’effetto, da essa prodotto, di sostanziale modifica dell’impianto complessivo del sistema delle tutele giurisdizionali delineato dai Costituenti, che attribuisce la cognizione generale sui diritti soggettivi al giudice ordinario (ed in ultima istanza alla Corte di cassazione quale unico giudice di pura legittimità) mentre assegna alla cognizione sui diritti del giudice amministrativo un carattere solo eccezionale e limitato. 

Una espansione che ha finito per incidere negativamente sulle esigenze di armonizzazione dell’esercizio della funzione nomofilattica, allontanando il sistema dalla prospettiva della tendenziale unità della giurisdizione e che, nonostante i correttivi apportati dalle sentenze della Corte costituzionale nn. 204/2004 e 191/2006, continua a presentare profili di disarmonia rispetto all’impianto complessivo del sistema delle tutele giurisdizionali disegnato dalla Costituzione. 

Disarmonia che, secondo una tesi seguita da attenta dottrina e da tempo anche al centro di diffuse riflessioni all’interno della stessa Corte, dovrebbe essere corretta estendendo la ricorribilità per cassazione per violazione e falsa applicazione di norma di diritto ex art. 360, n. 3, cod. proc. civ., alle decisioni del giudice amministrativo in tema di diritti soggettivi, soluzione secondo alcuni praticabile anche per via interpretativa, almeno quanto ai diritti fondamentali riconosciuti dalla CEDU. 

5.  Ma andando oltre tali considerazioni – che non costituiscono una antistorica prova “muscolare“, come sostenuto in un articolo estivo successivo al nostro, bensì il fermorichiamo ai principi costituzionali in tema di giurisdizione – gli altri punti del Memorandum meritano un prosieguo di approfondimento, sia per l’indubbio positivo contributo che lo stesso potrà fornire in chiave nomofilattica generale, sia per il riferimento (punto 5.a) alla necessità di “interventi di contenimento della frequenza di accesso alle corti superiori, nettamente maggiore rispetto a quanto di riscontra in sistemi simili”, laddove, pur sinteticamente, riconosce la situazione emergenziale sotto il profilo quantitativo degli affari trattati in cui da anni versa la Corte di cassazione. 

Situazione rispetto alla quale il preannunciato impatto positivo delle recenti riforme del rito civile e penale di Cassazione è ancora da verificare ed alla quale solo lo spirito di sacrificio di tutti i magistrati della Corte ha consentito di fare fronte. 

6. Il prosieguo del dialogo dovrebbe poi consentire una riflessione congiunta sulle questioni generali in tema di giurisdizione con aspetti di problematicità che chiaramente emergono dalla lettura combinata del Memorandum e dei documenti di accompagnamento. 

Tra queste sembra utile in questa sede fare un cenno a due snodi fondamentali dai quali dipendono le possibili soluzioni per tutti i punti trattati dal documento. 

Il primo riguarda l’espansione dell’interpretazione giudiziale quale effetto del mutato rapporto tra legislazione e giurisdizione, un dato ormai acquisito dagli studiosi ed alla base di vari contributi del gruppo di lavoro. 

Un fenomeno rispetto al quale occorre trovare soluzioni condivise per evitare che l’interpretazione giudiziale finisca per autodelegittimarsi, in quanto frutto meramente autoreferenziale di una elite di sapienti, separata dal contesto storico e sociale nel quale opera. 

Perché sia servizio, l’attività di interpretazione da parte del giudice della nomofilachia deve essere comprensibile dalla collettività e non solo dal mondo degli esperti, scopo che può essere raggiunto immaginando un linguaggio semplificato e condiviso, motivazioni di agevole comprensione e forme di spiegazione istituzionale delle decisioni adottate, rafforzando la prassi da tempo seguita dalla Corte costituzionale e dalla Cassazione per questioni di particolare rilevanza. 

Del resto, in materia di giustizia, si sta progressivamente assistendo all’importazione ed adattamento di parametri propri della scienza dell’amministrazione, tanto che ormai si ragiona diffusamente su concetti quali la responsabilità sociale del sistema giudiziario, la sua rendicontazione e la sua “accountability“, quest’ultima intesa come “capacità della organizzazione giudiziaria di comprendere i rapporti con l’ambiente e sapere individuare le performance di sistema più significative”, ed è indubbio come la “vicinanza” delle ragioni della decisione alla collettività rappresenti un punto fondamentale per incrementare tale positiva caratteristica. 

Il tema della “accountability” dell’organizzazione giudiziaria pone però – ed è questo il secondo tema di valenza generale sul quale una riflessione condivisa sarebbe particolarmente utile – la questione dei soggetti responsabili del suo perseguimento. 

Occorre, infatti, individuare la linea di confine tra la responsabilità sociale dello “Stato giudice” ed il livello di concorso del singolo magistrato alla sua attuazione. 

Varie possono essere le soluzioni organizzative nella prospettiva di un sistema incentrato sulla tendenziale prevedibilità delle decisioni, ma bisogna comunque porre attenzione a non comprimere l’autonomia del giudice, valore fondante un sistema di giurisdizione diffusa quale è il nostro, pena il rischio di progressiva sterilizzazione del c.d. diritto vivente. 

Occorre, quindi, una “prevedibilità sostenibile”, con l’introduzione di meccanismi di “nomofilachia anticipata“, opportunamente prefigurati anche dal punto 3 della seconda parte della Relazione del gruppo di lavoro nella parte in cui propone di generalizzare l’istituto della questione pregiudiziale interpretativa previsto in materia di rito del lavoro dall’art. 420-biscod. proc. civ. 

7. La prospettiva della apertura di un confronto su questioni che riguardano aspetti fondamentali della politica giudiziaria richiede, in conclusione, un cenno al ruolo che in tale contesto può avere l’associazionismo giudiziario. 

Rispetto a modelli in cui le scelte strategiche per l’istituzione giudiziaria sono affidate alla sfera di responsabilità dei soggetti di vertice, quale sembra essere l’idea alla base della sottoscrizione del Memorandum, l’assunzione da parte dei magistrati e dei loro organismi esponenziali di un ruolo partecipativo a rilevanza anche esterna nella elaborazione delle riflessioni e nella individuazione delle possibili soluzioni migliorative, è decisamente da preferirsi, non già per ragioni c.d. “sindacali”, ma perché è la stessa scienza dell’amministrazione ad affermare che il grado di efficacia delle modifiche di una organizzazione complessa aumenta quando i soggetti che la

compongono e che ne devono garantire funzionalità ed efficienza siano stati direttamente coinvolti nella loro progettazione ed attuazione. 

Ed è anche con questi intenti che riteniamo di poter offrire la nostra collaborazione “ragionata” al dialogo tra le giurisdizioni. 

Pasquale Fimiani