Intervista del giornalista Fabrizio De Jorio

RAI Televideo – al componente del Consiglio Superiore della Magistratura e giudice della Sezione disciplinare Paolo Auriemma

Auriemma (CSM-UNICOST): “Nessuna indulgenza corporativa”

RAI Televideo pubblica un’intervista, a cura del giornalista Fabrizio De Jorio, al componente del Consiglio superiore e giudice della sezione disciplinare Paolo Auriemma, che fa capo a UNICOST.

Riproponiamo il testo integrale dell’intervista, consultabile anche nel sito web di RAI Televideo

Consigliere, per evitare il rischio all’indulgenza corporativa, si è parlato  dubitato spesso della opportunità o meno che la competenza disciplinare dei magistrati venga esercitata dallo stesso organo o comunque dagli stessi componenti del Csm ai quali sono affidate anche le competenze amministrative di autogoverno della magistratura. Cosa ne pensa?

La sua domanda presuppone che questo sia quasi un vizio dell’impianto costituzionale. Io non credo che sia in qualsiasi modo ravvisabile una tale debolezza ordinamentale, anzi ravviso nel sistema istituzionale una intrinseca coerenza e razionalità.
Non è un caso che il Costituente nel 1948 abbia inserito la sezione disciplinare del Csm all’interno del Consiglio Superiore stesso e la abbia composta anche, ma non solo, con magistrati eletti al Csm. Peraltro, giova ricordare che la stessa è presieduta dal vice presidente del Csm, ed in passato, non sono mancati casi in cui lo stesso Presidente della Repubblica abbia svolto la funzione presidenziale. La ragione di questa scelta va ritrovata nell’esigenza, giustamente avvertita dal Costituente, che il giudice disciplinare sia davvero, e non solo formalmente, calato la realtà giuridica e sostanziale che è chiamato a vagliare, conosca profondamente la vita degli uffici giudiziari, sia consapevole dei disagi e dei problemi dei magistrati impegnati negli stessi.
Il giudice disciplinare, per ben giudicare, deve conoscere, capire e comprendere anche la capacità dei dirigenti degli uffici giudiziari. Ovviamente, il Parlamento è sovrano ed è pienamente legittimato a cambiare la Costituzione ed a scorporare dal Csm la sezione disciplinare: ma, penso che sia opportuno aprire uno spazio di dibattito anche nel Paese, al fine di comprendere, al di là di stereotipate logiche di schieramento e nel vero interesse ad una giustizia giusta, perché l’assemblea Costituente nel 1948 volle questo sistema: avere un giudice consapevole e cosciente della situazione che andava ad esaminare e dell’ambiente nel quale operava il giudice incolpato di illecito disciplinare.
Peraltro la severità dell’attuale regime si riscontra anche dall’assenza, un unicum rispetto agli altri dipendenti pubblici, dell’istituto della riabilitazione, di modo che anche condanne disciplinari risalenti nel tempo continuano ad avere valenza nella vita professionale del magistrato.

Mi sembra di capire che lei è contrario ad una sezione disciplinare esterna al Csm.
Normalmente la risposta segue ad una domanda; e nel caso di specie la prima domanda è: perché vogliamo una sezione disciplinare esterna al Csm?

In seconda battuta occorre interrogarsi sul se l’attuale sezione disciplinare in seno al Csm funzioni male o sul se una sezione esterna di certo funzionerebbe meglio. Ebbene la risposta non può non partire dalla constatazione per cui, allo stato dei fatti, l’attuale sezione amministra la giustizia disciplinare in modo tutt’altro che corporativo : tanto è vero che i numeri dell’esercizio dell’azione disciplinare e di condanne nei confronti dei singoli magistrati in Italia sono di gran lunga più alti rispetto a quelli degli altri paesi europei inseriti nell’organismo che si chiama Rete dei consigli superiori di giustizia d’Europa.

Quindi lei esclude l’autoindulgenza corporativa che potrebbe condizionare il giudizio di un magistrato chiamato a giudicare un suo collega?

A questo si potrebbe aggiungere l’influenza delle correnti non solo all’interno dell’Anm ma che si rispecchiano anche nel Csm, anche questo un eventuale fattore a rischio per un giudizio sereno ed imparziale.
Come prima ho fatto cenno, la sezione disciplinare è composta da sei giudici, di cui due laici, un magistrato di Cassazione due giudici di merito ed un pubblico ministero. Ed io sono il pubblico ministero titolare nell’attuale sezione disciplinare. Posso testimoniare, se vuole, anche dare la parola sul mio onore che all’interno della sezione disciplinare mai sono spirati spifferi correntizi che possano, anche a livello di mero tentativo, influenzare una decisione.
Ma prima su tale via vorrei chiedere quali sono i procedimenti disciplinari per cui può esser fatta una tale accusa. Qualcuno in buona fede può davvero affermare che vi sia mai stato tale problema? E se si, quando, in quale occasione, a favore o contro quale magistrato appartenente o meno ad un gruppo associativo?
Accuse così gravi. (ed adombrare la parzialità di un giudice e la sua mancanza di indipendenza è la più grave delle accuse) richiedono chiarezza e specificità delle stesse. Altrimenti sono pericolose chiacchiere faziose fatte da soggetti superficiali o che vogliono destrutturare il sistema. Noi siamo magistrati di professione, gli altri due componenti sono professori universitari e avvocati nominati dal Parlamento di altissimo spessore culturale e morale.
Ritengo inverosimile che chi ragioni in buona fede e con piena onestà intellettuale possa realmente credere che dei giudici non vogliano, direi non abbiano interesse, quanto meno per salvaguardare il prestigio della propria categoria a giudicare imparzialmente su un illecito disciplinare. D’altro canto quale sarebbe, poi, l’alternativa a questa composizione? Persone che non conoscono la giurisdizione, le funzioni, la situazione degli uffici, che è quotidianamente mutevole: anche il miglior giurista potrebbe non conoscere, comprendere, intuire la situazione di quel particolare tribunale nel quel il giudice sottoposto a procedimento disciplinare ha lavorato.
Ma su tutto chiediamoci se una diversa composizione dell’organo disciplinare garantirebbe la libertà di giudizio che il magistrato deve a sua volta garantire al cittadino quando giudica sui suoi diritti.
In altre parole, siamo convinti che una diversa sezione disciplinare sarebbe “migliore” di questa e più credibile in altra composizione e posizione ordinamentale rispetto a questa? Io non credo proprio, e mi riconosco nelle regole fissate nella nostra Costituzione, la Carta fondamentale di questo Paese che da tante parti si vuol modificare. E questo mi preoccupa.

La maggior parte degli illeciti riguarda il ritardo nel deposito delle sentenze?

Vede, fino al 2006, prima del decreto legislativo 109/2006, la norma disciplinare era strutturata sulla responsabilità del magistrato che avesse leso un generico prestigio della magistratura: era poi il giudice disciplinare, in prima battuta, e le Sezioni Unite, successivamente, a dire se il prestigio della magistratura fosse stato leso da quella determinata condotta.
Il legislatore, nel 2006, ha quindi inteso tipizzare gli illeciti disciplinari, di modo che, oggi, se il giudice ha tenuto quel comportamento specificamente previsto dalla legge, ne risponde. In particolare, il legislatore ha previsto tre ipotesi di illeciti: quelli commessi nell’esercizio delle funzioni, quelli commessi fuori o illeciti conseguenti ad un reato, salvo poi a tipizzare rigidamente – e mi permetta di dire forse troppo rigidamente – talune fattispecie.
Percentualmente l’illecito che si verifica con più frequenza che trattiamo, è relativo al ritardo nel deposito delle sentenze.
Poi sono previste altre ventisei ipotesi di illecito nelle funzioni.
Poi ci sono gli illeciti commessi al di fuori dell’esercizio delle funzioni: ad esempio caso in cui un magistrato frequenti pregiudicati per reati magari inerenti alla funzione svolta o che potenzialmente possono essere oggetto di indagine dal proprio ufficio o ancora l’assumere incarichi extragiudiziari senza la prescritta autorizzazione del Consiglio superiore della magistratura. Rammento che, anche quando non esercita le sue funzioni, al magistrato è richiesto un comportamento etico ed irreprensibile.
La tipizzazione prevede anche che gli illeciti disciplinari conseguenti al reato e quindi se un magistrato commette un qualsiasi reato è sottoposto a procedimento disciplinare anche se non è stata proposta querela nei suoi confronti dalla parte offesa.

In questo caso però l’iter disciplinare si sospende nelle more del giudizio penale?

Si, perché il giudizio penale è considerato un momento di accertamento più completo e approfondito e vi è l’esigenza di evitare ogni possibile contrasto tra giudicato penale e disciplinare. Per questo è previsto che gli accertamenti in sede penale siano recepiti in sede disciplinare. Ovviamente si sospendono anche tutti i termini che riguardano il procedimento disciplinare che non si estinguerà per il decorso del tempo.

Tornando all’ipotesi, della quale ha anche parlato il vicepresidente del Csm, Michele Vietti, di una sezione disciplinare separata dai membri del Consiglio, così come, dopo l’entrata in vigore del d. l. 138/2011, è per gli ordini professionali come avvocati, giornalisti, ecc., non crede che ciò possa essere utile e avere maggiore indipendenza anche di giudizio per giudicare i magistrati?

Il parallelo non è del tutto condivisibile, anche considerata la composizione dei Consigli distrettuali di disciplina, di cui unicamente fanno parte colleghi dell’incolpato. In ogni caso: non dico che ciò sia sbagliato per i professionisti, ma ribadisco che il nostro Costituente ha voluto un assetto affatto diverso, considerata anche la pesante incidenza che la giustizia disciplinare potenzialmente può avere sull’indipendenza ed autonomia della funzione giurisdizionale.
Per questo, la modifica della giustizia disciplinare richiede una eventuale riscrittura dell’art. 105 della Costituzione. Auspicabilmente previo ampio, ragionato e laico dibattito nella sede parlamentare e nel Paese. Come vede anche all’interno del CSM ci sono idee completamente diverse, sino ad essere confliggenti, sintomo di un fermento culturale fatto di confronto e fondato sulle differenze culturali.