La casa de papel….e la resistenza al Covid19

di Federica de Bellis

Sabato 9 marzo 2020. È sera. L’Italia intera è davanti ai teleschermi, incollata con il fiato sospeso ad ascoltare l’annuncio che il Presidente del Consiglio rivolge al Paese. “Sto per firmare un provvedimento che potrei definire così: #iorestoacasa”. Abbiamo avuto tutti la sensazione che, in quel preciso istante, stavamo scrivendo la storia e che, questa volta, non saremmo stati meri spettatori, ma protagonisti principali di una sceneggiatura che pareva scritta e diretta da un regista visionario, da un “Grande Fratello” che, con una punta di sadismo, ci obbligava a restare a casa, a mantenere le distanze, a sconvolgere la nostra quotidianità, per combattere una guerra contro un mostro silente che dilagava senza sosta, colpendo, come il più vile dei nemici, soprattutto i più fragili, gli ultimi, gli indifesi.

 “Quello che non vediamo ci condiziona più di quanto pensiamo. Quello che non vediamo è quello che alla fine più ci ossessiona” proprio come descrive Tokyo, voce narrante e protagonista femminile di una delle serie TV più acclamate dei nostri tempi “La casa di carta”, la nostra guerra la stiamo combattendo all’interno di quattro mura, contro un nemico invisibile e sconosciuto che è diventato la nostra più grande ossessione.

Non abbiamo molte armi a disposizione se non l’intelligenza e la tenacia dei nostri “professori”. Ed il tempo.

Il successo del colpo ideato dal professore trova la sua chiave di volta proprio nella dilatazione temporale, utile per ottenere quel vantaggio che sarà poi decisivo per vincere la sua battaglia. Così come a noi viene chiesto di avere pazienza, di aspettare, di prolungare i tempi della quarantena perché solo in tal modo terremo a bada quel piccolo ed insidioso mostro, mentre il nostro professore (la scienza) pensa alla prossima contromossa, fintanto che prende fiato.

Ed in questo inter-tempo, in cui i giorni sembrano tutti uguali, e le lancette degli orologi segnano ore che paiono giorni, ed i giorni paiono anni, come in una liquefazione temporale ben rappresentata nei quadri di Dalì, non è sempre facile essere ottimisti e mantenere alto il morale (fondamentale, pare, per non indebolire le difese immunitarie, sic!).

Forse proprio dal simbolismo di Dalì, utilizzato anche nella “casa di carta”, dovremmo prendere ispirazione. Quelle maschere con il volto del celebre artista, rappresentano per Alvaro Morte, interprete del professore, “lo spirito di Resistenza che dovremmo avere tutti di fronte ad ogni ingiustizia. Penso che ci siano molte persone che sono state rapite da La Casa di Carta per via di quella sensazione che il piccolo pesce può vincere contro il pesce grosso”. Una interpretazione che potrebbe voler comunicarci quindi un senso di appartenenza, volto a farci sentire parte di un gruppo che lotta per un obiettivo comune. 

Come quando la banda canta sulle note di “Bella Ciao” proprio in alcune delle scene più significative della serie, utilizzando, non a caso, la canzone della Resistenza partigiana, per darsi forza e ricordarsi il vero scopo della rapina: la ribellione, la rivincita.

Siamo, dunque, chiamati a resistere, a non mollare, ad avere coraggio per noi e per chi, al momento, ne ha meno di noi. La nostra è una guerra di nervi, di attese, di rispetto delle regole, che siamo destinati a vincere se ispirata dall’amore per i nostri cari, per i nostri affetti più deboli, per i nostri anziani, per la nostra memoria.

“C’è bisogno di più coraggio per l’amore che per la guerra” ci insegna Helsinki, e se fosse, questa, una guerra d’amore?

Noi siamo la Resistenza e non ci resta che continuare a lottare e tifare per il nostro Paese in questa partita che sembra così difficile vincere, ma è come quando “il Camerùn gioca senza scarpe contro il Brasile” e non puoi fare a meno di fare il tifo per il Camerùn.