La Cassazione civile e il Covid-19: Ex malo bonum?

di Giuseppe Fichera in collaborazione con il Centro Studi “Nino Abbate” di Unità per la Costituzione

Sommario: 1. Introduzione – 2. La normativa dell’emergenza – 3. La nuova udienza pubblica – 3.1. (Segue) L’udienza cartolare – 3.2. (Segue) L’udienza da remoto – 4. La composizione del collegio – 4.1. (Segue) La camera di consiglio da remoto – 5. Il deposito degli atti di parte – 6. I provvedimenti della Cassazione – 6.1. (Segue). Il deposito delle minute.

1. Introduzione. Questo scritto nasce dalla volontà di provare ad approfondire le problematiche legate agli effetti sul processo civile in Cassazione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, con la consapevolezza della estrema provvisorietà di quanto si scrive, essendo purtroppo ancora oggi in corso la “tempesta”, e l’auspicio – evidente dal titolo – che la situazione eccezionale che sta attraversando l’intero Paese, possa costituire da stimolo ad un’improcrastinabile sviluppo tecnologico del processo civile innanzi alla S.C.

Di fronte ad una situazione così inedita nella nostra storia giuridica, almeno a partire dall’unità d’Italia, occorre chiedersi in che misura l’alluvionale normativa primaria e secondaria sopravvenuta in meno di sessanta giorni[1], tesa a contrastare la pandemia che ci affligge, abbia inciso sulla struttura del processo civile che si celebra in Cassazione; e ciò tenendo conto di taluni fattori peculiari che assumono all’attualità una rilevanza assai significativa: i) la presenza di un unico ufficio giudiziario con “giurisdizione” sull’intero territorio nazionale; ii) la composizione pressoché sempre collegiale degli organi giurisdizionali chiamati a pronunciare le decisioni[2]; iii) l’assenza, ad oggi, di un provvedimento ministeriale, ancora imposto dall’attuale disciplina[3], che autorizzi il deposito telematico degli atti processuali di parte e del giudice.

2. La normativa dell’emergenza. Anche per gli operatori del mondo giudiziario molte delle odierne vicissitudini nascono dal combinato disposto dell’art. 1, comma 1, lett. a), e q) del d.p.c.m. 8 marzo 2020 – come esteso all’intero territorio nazionale dall’art. 1, comma 1, del d.p.c.m. 9 marzo 2020 –, che impongono di «evitare ogni spostamento delle persone fisiche in entrata e in uscita dai territori (…), nonché all’interno dei medesimi territori, salvo che per gli spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità ovvero spostamenti per motivi di salute» e di adottare «nello svolgimento di riunioni, modalità di collegamento da remoto (…), comunque garantendo il rispetto della distanza di sicurezza interpersonale di un metro di cui all’allegato 1 lettera d), ed evitando assembramenti», nonché dell’art. 1, comma 2, del ridetto d.p.c.m. 9 marzo 2009, a tenore del quale, «Sull’intero territorio nazionale è vietata ogni forma di assembramento di persone in luoghi pubblici o aperti al pubblico».

Queste inedite disposizioni hanno chiaramente determinato la necessità di dettare una apposita disciplina primaria, di natura squisitamente processuale, per regolare la sorte dei processi e dei relativi termini in tutto il territorio nazionale.

Così il legislatore urgente è intervenuto prima con il d.l. 8 marzo 2020, n. 11 – peraltro sostanzialmente già soppresso, prima della sua ancora possibile conversione in legge, dalla successiva decretazione d’urgenza –, che ha disposto il rinvio d’ufficio di tutte le udienze dei procedimenti civili e penali pendenti presso tutti gli uffici giudiziari, a decorrere dal 9 marzo 2020 e sino al 22 marzo 2020.

 Successivamente, l’art. 83, comma 1, del d.l. 17 marzo 2020, n. 18, anch’esso ancora in corso di conversione, ha disposto che «dal 9 marzo 2020 al 15 aprile 2020 le udienze dei procedimenti civili e penali pendenti presso tutti gli uffici giudiziari sono rinviate d’ufficio a data successiva al 15 aprile 2020».

Le uniche eccezioni per il settore civile, previste sia dall’art. 2, comma 2, lett. g), del d.l. n. 11 del 2020, come anche dall’art. 83, comma 2, lett. a), del d.l. 18 del 2020, almeno per i giudizi che vengono trattati in Cassazione, concernono: i) le cause relative alle dichiarazioni di adottabilità, ai minori stranieri non accompagnati, ai minori allontanati dalla famiglia ed alle situazioni di grave pregiudizio; ii) le cause relative ad obbligazioni alimentari derivanti da rapporti di famiglia, matrimonio, parentela od affinità; iii) i procedimenti in materia di tutela, amministrazione di sostegno, interdizione ed inabilitazione; iv) i procedimenti di convalida dell’espulsione, allontanamento e trattenimento di cittadini di paesi terzi e dell’Unione europea; v) tutti i procedimenti la cui ritardata trattazione potrebbe produrre grave pregiudizio alle parti[4].

Ora, dopo la riforma dettata dal d.l. 31 agosto 2016, n. 168, convertito con modificazioni dalla legge 25 ottobre 2016, n. 197, è cosa nota che – escluso il peculiare regime previsto per le Sezioni Unite –, presso le sezioni civili semplici della Cassazione l’udienza pubblica, con la partecipazione dei difensori delle parti e del procuratore generale, ha ormai applicazione del tutto residuale[5]. Per tutti i restanti ricorsi sottoposti all’esame della sesta sezione civile e delle altre sezioni semplici, è previsto che l’udienza pubblica sia sostituita da una “adunanza camerale non partecipata”[6].

Dunque, nonostante il legislatore urgente abbia disposto il rinvio d’ufficio soltanto per le “udienze”, non è seriamente dubitabile che, almeno fino al 15 aprile 2020, qualsiasi “attività decisionale” deve ritenersi soppressa e, quindi, non solo le udienze pubbliche ma anche quelle camerali[7].

Questa infatti è stata la pacifica interpretazione adottata dal Primo presidente della S.C., il quale con apposito decreto ha soppresso sia le udienze pubbliche che le adunanze camerali fissate fino al 10 aprile 2020, rinviandole tutte a nuovo ruolo[8].

Soppresse quindi tutte le udienze ed adunanze delle sezioni civili nel periodo oggetto di sospensione ex lege, mentre si scrivono queste note la Corte di Cassazione si trova ad affrontare – tra le altre – una serie di problematiche di sicura rilevanza ai fini processuali, tenendo in primaria considerazione le due principali finalità del legislatore urgente: «contrastare l’emergenza epidemiologica da COVID-19 e contenerne gli effetti negativi sullo svolgimento dell’attività giudiziaria», nonché «evitare assembramenti all’interno dell’ufficio giudiziario e contatti ravvicinati tra le persone»[9].

3. La nuova udienza pubblica. Il legislatore urgente del 2020, sia nel d.l. n. 11 del 2020 che nel successivo d.l. n. 18 del 2020, ha previsto che i capi degli uffici possano, esclusivamente per il periodo compreso tra il 16 aprile e il 30 giugno 2020, sentiti l’autorità sanitaria regionale, per il tramite del presidente della giunta regionale e il consiglio dell’ordine degli avvocati, adottare una serie di misure organizzative, anche relative alla trattazione degli affari giudiziari.

Ecco allora che, tra le misure più drastiche, il Primo presidente della Cassazione potrà disporre il differimento di tutte le udienze civili – escluse quelle di cui al comma 3 dell’art. 83 – a data successiva al 30 giugno 2020[10].

Con riguardo alle sole udienze pubbliche, il comma 7, lett. e), del citato art. 83, dispone che il Primo presidente ne possa stabilire la celebrazione a porte chiuse, ai sensi dell’art. 128 c.p.c., norma quest’ultima che in effetti fa genericamente riferimento a ragioni di sicurezza, ordine pubblico e buon costume, tra le quali probabilmente possono farsi rientrare a buon diritto anche quelle sanitarie[11].

Certo, considerato che nelle aule delle udienze civili si ritrovano contemporaneamente spesso un numero significativo di avvocati, la celebrazione a porte chiuse potrebbe essere un rimedio efficace per le persone presenti nell’aula; occorre considerare tuttavia che fuori dall’aula, nei pure capienti corridoi del quarto piano del Palazzaccio, i contatti ravvicinati tra le persone difficilmente sarebbero scongiurati e sarebbe così vanificato il programmato “distanziamento sociale”.

3.1. (Segue) L’udienza cartolare. Ecco allora che tra le altre misure organizzative affidate alla scelta del Primo presidente, l’art. 83, comma 7, lett. h), del d.l. n. 18 del 2020, elenca pure le udienze svolte «mediante lo scambio e il deposito in telematico di note scritte contenenti le sole istanze e conclusioni, e la successiva adozione fuori udienza del provvedimento del giudice».

Ora, questa modalità di celebrazione delle udienze pubbliche – già battezzata nei primi commenti come “l’udienza cartolare” – non sembrerebbe a prima vista utilizzabile in Cassazione, per la inapplicabilità nel processo civile innanzi alla S.C. della disciplina sui depositi telematici degli atti processuali, come regolamentata attualmente dal d.m. 21 febbraio 2011, n. 44, come successivamente novellato dal d.m. 15 ottobre 2012, n. 209 e dal d.m. 3 aprile 2013, n. 48.

E però si può ragionevolmente ipotizzare che, per il solo processo innanzi alla Cassazione, il deposito delle conclusioni delle parti nonché del procuratore generale, possa avvenire nelle forme tradizionali, id est mediante deposito dell’atto in forma cartacea nella cancelleria della S.C., solo considerato che così, comunque, viene ad essere salvaguardata la principale finalità della norma, cioè quella di evitare assembramenti di persone nelle aule dell’ufficio giudiziario; in sostanza il riferimento, davvero assai poco tecnico, al c.d. “deposito in telematico” contenuto nella disposizione in commento, non dovrebbe essere di ostacolo ad un deposito in formato analogico delle conclusioni scritte, le quali in sostanza dovrebbero sintetizzare in sé – si spera – soltanto il contenuto di quelle che sarebbero state le discussioni orali dei difensori e le conclusioni del pubblico ministero.

Questa soluzione resta favorita dall’attuale versione dell’art. 379 c.p.c., come novellato dal d.l. n. 168 del 2016, prevedendo oggi la detta norma seccamente – a differenza del testo del ’40[12] – che non sono ammesse repliche dalle parti in sede di discussione; quindi il contraddittorio cartolare deve ritenersi garantito in maniera sufficiente, mediante il semplice scambio degli scritti contenenti le conclusioni delle parti e del P.M.

L’unica sicura rinuncia che la c.d. “udienza cartolare” impone alle parti, è quella a sentire la relazione introduttiva fatta dal consigliere relatore, prevista dal cennato art. 379, primo comma, c.p.c. Ora, la relazione, per il suo naturale contenuto, potrebbe assumere un sicuro rilievo solo nel caso in cui il collegio intenda sottoporre alle parti una questione rilevata d’ufficio che non sia stata affrontata nel corso del processo; in questo caso tuttavia soccorre il meccanismo dell’art. 384, comma terzo, c.p.c. che appunto prevede l’assegnazione alle parti di un termine, non superiore a sessanta giorni, per il deposito in cancelleria di osservazioni sulla questione sollevata appunto d’ufficio.

Le conclusioni finali delle parti dovranno compendiare quello che sarebbe stata la discussione orale affidata al difensore, non potendo certo costituire una replica o una ripetizione rispetto alle memorie ex art. 378 c.p.c. in precedenza depositate dai medesimi difensori; né potrebbero essere utilizzate come strumento per ottenere una indebita rimessioni in termini della parte, la quale per sua colpa abbia fatto decorrere il termine di cinque giorni che precede l’udienza pubblica per il deposito degli scritti difensivi finali.

Gli scritti conclusivi, pure nel silenzio della norma in commento, dovranno essere depositati, al più tardi, entro la data e l’ora fissata per la celebrazione dell’udienza pubblica, cui segue appunto la camera di consiglio in cui viene deciso il ricorso; agli scritti difensivi potranno essere allegati i medesimi documenti che la giurisprudenza pacificamente ammette fino all’udienza pubblica, ai sensi dell’art. 372 c.p.c., id est soltanto quelli necessari ai fini dell’ammissibilità del ricorso o del controricorso, ovvero per valutare la nullità del provvedimento impugnato[13].

3.2. (Segue) L’udienza da remoto. L’art. 83, comma 7, lett. f), del d.l. n. 18 del 2020, è certamente la norma che suscita più interesse nell’interprete.

Essa introduce in via normativa, per la prima volta nel processo civile[14], la facoltà di svolgere le udienze civili che non richiedono la presenza di soggetti diversi dai difensori e dalle parti «mediante collegamenti da remoto individuati e regolati con provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia»[15].

L’udienza pubblica “da remoto” deve comunque svolgersi – ammonisce direi senza che ve ne fosse bisogno il legislatore – con modalità idonee a salvaguardare il contraddittorio e l’effettiva partecipazione delle parti.

È certo, peraltro, che nelle misure organizzative il Primo presidente della S.C. dovrà assicurare il rispetto di una serie di regole minime, opportunamente dettate dalla norma in commento.

Anzitutto, prima dell’udienza il presidente del collegio avrà cura di fare comunicare ai procuratori delle parti e al procuratore generale, giorno, ora e modalità del collegamento con i mezzi informatici messi a disposizione dall’infrastruttura ministeriale.

All’udienza telematica, poi, il presidente dovrà dare atto a verbale anche delle modalità prescelte per accertare l’identità dei difensori delle parti che sono collegati da remoto; considerato che entrambi i programmi messi a disposizione dal ministero della Giustizia prevedono collegamenti audiovisivi, mediante invito a collegarsi tramite indirizzo mail, è plausibile ritenere che l’identificazione dei difensori potrà presumersi dalla corrispondenza dell’indirizzo di posta elettronica; in alternativa occorrerà esibire a video di un documento, sempre che il difensore non sia conosciuto direttamente dal presidente del collegio.

Naturalmente all’udienza da remoto dovrà partecipare anche il procuratore generale[16], che oggi interviene per primo in tutte le pubbliche udienze, ai sensi del novellato art. 379 c.p.c.; le parti private che si trovano fuori dall’aula, nei rispettivi studi professionali, dovranno quindi essere poste in condizione di ascoltare, ovviamente sempre tramite i programmi informatici ministeriali messi a disposizione, anche le sue conclusioni orali.

4. La composizione del collegio. Com’è noto, l’art. 380 c.p.c. stabilisce ancora oggi perentoriamente che la Corte di cassazione, dopo la discussione della causa, delibera la sentenza in camera di consiglio «nella stessa seduta»[17]. E nessuno dubita che nel sistema immaginato dal codificatore del ’40, in mancanza della possibilità tecnica di predisporre plurimi collegamenti audiovisivi da remoto tra i consiglieri, alla presenza fisica di tutto il collegio in pubblica udienza, doveva fare seguito la presenza dei medesimi alla successiva contestuale camera di consiglio.

Sulla questione, che tocca anche delicati profili ordinamentali, sembra consentito invocare i principi generali dettati nel libro primo del Codice di rito, in tema di libertà delle forme e di esclusione di ogni forma di invalidità quando l’atto processuale abbia comunque raggiunto il suo scopo[18], per sostenere che – ferma appunto la necessità di garantire la contestuale “partecipazione” (intesa come facoltà di ascoltare e di intervenire) di tutti i membri del collegio alla discussione in pubblica udienza e alla successiva camera di consiglio – è oggi ammissibile che uno o più tra i componenti del collegio giudicante risultino assenti dall’aula e dalla sala della camera di consiglio, trovandosi in collegamento audiovisivo o anche solo audio da remoto.

Ora, le disposizioni emergenziali in esame nulla dicono sulle modalità di partecipazione dei consiglieri che compongono il collegio all’udienza pubblica ovvero alle adunanze camerali, né sulle forme di tenuta delle camere di consiglio nel processo civile.

Questo silenzio potrebbe essere interpretato come indizio di una volontà del legislatore urgente di non introdurre deroghe alla disciplina codicistica, avuto riguardo alle finalità che ispirano il decreto legge[19].

È ben plausibile, tuttavia, affermare che la mancata disciplina circa la presenza fisica dei componenti del collegio, in udienza e nelle camere di consiglio, manifesti una diversa precisa opzione, per una regolamentazione delle modalità di attuazione della “funzione collegiale” nelle nuove udienze pubbliche da remoto affidata all’organo giudicante medesimo.

Nel processo di Cassazione il tema assume una rilevanza significativa per ragioni intuibili[20].

La necessità di assicurare il “necessario distanziamento” tra i componenti del collegio e le vigenti disposizioni che rendono assai difficili gli spostamenti sull’intero territorio nazionale, impongono allora una lettura quanto più ampia delle disposizioni processuali in commento.

Un sicuro argomento a favore della tesi della possibilità di celebrare udienze e adunanze senza la presenza fisica di tutti i componenti del collegio, si trae dall’ultimissima legislazione urgente.

Mentre infatti nel d.l. n. 11 del 2020 nulla si diceva sulla partecipazione dei magistrati alle udienze e alle camere di consiglio, inopinatamente, l’art. 84, comma 6, del d.l. n. 18 del 2020, nell’ambito della speciale disciplina dettata per i processi innanzi al giudice amministrativo, stabilisce oggi che «Il giudice delibera in camera di consiglio, se necessario avvalendosi di collegamenti da remoto. Il luogo da cui si collegano i magistrati e il personale addetto è considerato camera di consiglio a tutti gli effetti di legge»; e siffatta norma, per l’espresso richiamo contenuto nell’art. 85 del citato decreto legge, trova applicazione anche nei giudizi che si celebrano davanti al giudice contabile.

Ora, nessuno può seriamente dubitare che una disposizione di siffatto tenore – priva peraltro di una precisa limitazione quanto alla sua efficacia temporale –, avrebbe dovuto trovare collocazione in una cornice normativa riferita a tutti i riti processuali, non rinvenendosi ragione di sorta per giustificare un collegamento da remoto dei componenti del collegio giudicante nell’ambito del processo amministrativo o contabile, con esclusione invece dei processi civili ovvero di quelli tributari[21].

In attesa di una auspicata estensione a tutti i riti processuali, almeno in sede di conversione del decreto legge in parola, non resta allora che ritenere applicabile al processo civile in via analogica la norma in discussione, se non altro quale possibile espressione di un principio di libertà delle forme in tema di modalità di tenuta delle camere di consiglio.

Se allora riteniamo che oggi, applicando anche per il processo civile il disposto dell’art. 84, comma 6, del d.l. n. 18 del 2020, sia ammessa una camera di consiglio da remoto, in cui uno o più tra i componenti del collegio si collegano tramite sistemi informatizzati dai rispettivi domicili, é chiaro che anche l’udienza pubblica, che immediatamente la precede, deve potersi svolgere con la partecipazione di taluni tra i componenti del collegio collegati esclusivamente da remoto.

4.1. (Segue) La camera di consiglio da remoto. A questo punto, ammessa in thesi l’udienza pubblica e la successiva camera di consiglio da remoto, nel perdurante silenzio serbato sul punto dal legislatore, occorre chiedersi come debbano svolgersi tali incombenti e, in particolare, se sia consentito una udienza o adunanza camerale, che non veda la partecipazione di nessun magistrato all’interno dell’aula d’udienza, né nella sala adibita alla camera di consiglio del Palazzaccio.

La risposta, allo stato della normativa vigente e dei mezzi tecnici a disposizione dei magistrati e dei cancellieri della S.C., deve essere decisamente negativa, almeno con riguardo all’udienza pubblica e alla relativa camera di consiglio.

Occorre tenere a mente, infatti, che il processo verbale di ogni udienza, ai sensi dell’art. 130 c.p.c., va sottoscritto sia dal cancelliere che dal presidente; non essendo ancora previste forme di trasmissione telematica degli atti del cancelliere o del giudice in Cassazione, non sembra possa dubitarsi, quindi, che almeno il cancelliere e presidente del collegio debbano trovarsi nello stesso luogo fisico, posto necessariamente all’interno della Corte, per sottoscrivere entrambi il verbale redatto in formato cartaceo.

Va soggiunto che l’ultimo comma dell’art. 276 c.p.c., in tema di deliberazione delle sentenze nei processi di cognizione davanti al tribunale, espressamente richiamato dall’art. 380, secondo comma, c.p.c., stabilisce che una volta chiusa la votazione del collegio, il presidente «scrive e sottoscrive il dispositivo».

Vi è poi da considerare che presso la S.C. è istituito il registro del ruolo d’udienza della sezione[22], il cui estratto, contenente l’elenco dei ricorsi trattati in ciascuna camera di consiglio, una volta stampato dal cancelliere viene consegnato al presidente del collegio, perché vi annoti l’esito di ciascun ricorso trattato[23]; detto ruolo, terminata la camera di consiglio, viene sottoscritto dal presidente e restituito al cancelliere perché quest’ultimo riporti l’esito dei ricorsi trattati sul registro informatico della Cassazione, rendendolo così immediatamente visibile alle parti del giudizio.

Ancora una volta, allora, non essendo prevista la possibilità di trasmettere telematicamente né i dispositivi né il ruolo firmati dal presidente, deve ritenersi che quest’ultimo non possa che trovarsi nel luogo fisico dove si trova il cancelliere, cioè nelle stanze della Corte, affinché possano essere curate tutte le incombenze amministrative affidate al predetto ausiliario.

Infine, non può sottacersi della difficoltà pratica – sia pure solo eventuale – che nascerebbe nel caso in cui il collegio abbia necessità, per decidere la causa, di consultare atti o documenti che si ritrovano soltanto nel fascicolo d’ufficio del giudizio di merito, precedentemente acquisito ai sensi dell’art. 369, ultimo comma, c.p.c.; è chiaro infatti che si tratta di documentazione attualmente solo in formato cartaceo, che deve rimanere custodita nella cancelleria della Corte fino alla definizione della causa.

Può ipotizzarsi insomma una udienza pubblica che sia celebrata con la presenza nell’aula di udienza almeno del cancelliere e del presidente del collegio, entrambi muniti di dispositivi che consentono il collegamento audiovideo con gli avvocati e il procuratore generale – sempre che quest’ultimo non ritenga di comparire di presenza –, mentre gli altri consiglieri componenti del collegio risultano assenti dall’aula, ma collegati in via telematica.

Terminata l’udienza e sottoscritto il verbale cartaceo, il presidente potrà ritirarsi da solo nella camera di consiglio, con gli altri consiglieri che rimangono collegati da remoto; sarà poi sempre il presidente a compilare e sottoscrivere il dispositivo (il cd. “statino”), nonché il ruolo d’udienza, che al termine della camera di consiglio consegnerà al cancelliere.

Le difficoltà ad immaginare una udienza gestita dall’intero collegio sparso per il territorio italiano lontano da piazza Cavour, scemano in parte rispetto all’adunanza camerale non partecipata; in questo caso, infatti, manca un verbale relativo all’udienza da sottoscrivere, poiché il cancelliere non partecipa all’adunanza, mentre è certo che i dispositivi potrebbero pure essere redatti e sottoscritti dal presidente da remoto, per essere poi consegnati in cancelleria unitamente alla minuta redatta dal consigliere estensore, come avviene del resto nella prassi attuale.

Rimangono, tuttavia, due ostacoli di ordine strettamente pratico, insuperabili almeno a parere di chi scrive: i) la necessità che sia compilato e sottoscritto da parte del presidente del ruolo d’udienza, da consegnare al cancelliere al termine della camera di consiglio; ii) la necessità per il collegio – sia pure solo eventuale – di consultare atti o documenti che si ritrovano nel fascicolo d’ufficio custodito in Corte.

Le descritte difficoltà, in definitiva, inducono a concludere che la presenza del presidente del collegio nella sala della camera di consiglio appare sostanzialmente irrinunciabile anche per le adunanze camerali.

5. Il deposito degli atti di parte. Le problematiche connesse al tema del deposito degli atti di parte nascono dalla circostanza che nel processo innanzi alla S.C. – a differenza che negli uffici giudiziari di merito –, non trova ancora applicazione la disciplina dettata dal citato d.m. n. 44 del 2001 sulla trasmissione in via telematica degli atti di parte e del giudice.

Va detto subito che, come ricordato in precedenza, ai sensi dell’art. 83, comma 2, del detto d.l. n. 18 del 2020, dal 9 marzo 2020 al 15 aprile 2020 sono sospesi «i termini stabiliti per la fase delle indagini preliminari, per l’adozione di provvedimenti giudiziari e per il deposito della loro motivazione, per la proposizione degli atti introduttivi del giudizio e dei procedimenti esecutivi, per le impugnazioni e, in genere, tutti i termini procedurali».

Quindi almeno fino al prossimo 15 aprile tutte i termini per depositare i ricorsi e i controricorsi, nonché le memorie dei difensori innanzi alla S.C. sono sospesi.

Inoltre, sempre la norma in commento, stabilisce che quando il termine è computato a ritroso e ricade in tutto o in parte nel periodo di sospensione, è differita l’udienza o l’attività da cui decorre il termine in modo da consentirne il rispetto.

Così, se consideriamo che le memorie ex artt. 378 c.p.c., 380-bis e 380-bis.1 c.p.c. devono essere depositate almeno cinque e dieci giorni prima rispettivamente dell’udienza pubblica dell’adunanza di sesta e dell’adunanza della sezione semplice, è certo che anche le udienze o adunanze, pure fissate dopo il 15 aprile 2020, ma prima del decorso dei detti termini di cinque o dieci giorni, dovranno essere differite per consentire il deposito delle dette memorie nel rispetto dei termini accordati ex lege.

Va soggiunto che per evitare assembramenti degli avvocati italiani nelle cancellerie degli uffici giudiziari, prima il d.l. n. 11 del 2002 e poi anche l’art. 83, comma 11, del d.l. n. 18,  ha stabilito che dal 9 marzo 2020 e fino al 30 giugno 2020, negli uffici che hanno la disponibilità del servizio di deposito telematico anche gli atti e documenti di cui all’articolo 16-bis, comma 1-bis, del d.l. n. 179 del 2012, vale a dire gli atti introduttivi del giudizio (atto citazione, ricorso o comparsa di costituzione), sono depositati esclusivamente con le modalità della trasmissione telematica.

Dunque, il legislatore urgente ha oggi imposto – sia pure per un limitato lasso temporale – l’obbligatorietà del deposito telematico di tutti gli atti processuali di parte in tutti i giudizi civili che si celebrano nei tribunali e nelle corti d’appello. Ma, lo si capisce subito, questa disposizione non può applicarsi ai ricorsi e controricorsi da depositare innanzi alla S.C., perché appunto non vi è attualmente la possibilità di alcun deposito telematico degli atti di parte, neppure cioè di quelli c.d. endoprocedimentali.

Certo per gli avvocati rimane sempre la possibilità di avvalersi del mezzo postale, essendo ancora oggi vigente l’art. 134 disp. att. c.p.c., come novellato nel lontano 1979, che consente di trasmettere ricorso e controricorso mediante “piego raccomandato” indirizzato al cancelliere della Corte; e sul punto assai opportunamente la S.C. ha già chiarito che ai fini della tempestività del ricorso e per non incorrere nella scure della improcedibilità ex art. 369 c.p.c., assume rilievo esclusivamente la data di consegna del plico all’ufficio postale[24].

Ma l’applicabilità dell’art. 134 disp. att. c.p.c. oltre i casi del ricorso e del controricorso è attualmente controversa: occorre considerare infatti che all’interno della S.C. vi è in atto un contrasto, sostenendo talune pronunce che le memorie finali, se depositate a mezzo posta, devono essere dichiarate inammissibili, non essendo applicabile per analogia la cennata disposizione di attuazione[25], mentre altre decisioni, più liberali, affermano la inammissibilità delle ridette memorie soltanto se pervenute nella cancelleria della S.C., ancorchè siano state anteriormente spedite a mezzo del servizio postale, oltre il termine ultimo di dieci giorni ovvero di cinque giorni dalla data rispettivamente fissata per l’adunanza in camera di consiglio ovvero per la pubblica udienza[26].

6. I provvedimenti della Cassazione. Anche per i provvedimenti resi dai magistrati in servizio preso la S.C. vale ovviamente la regola della sospensione dei termini per il deposito delle motivazioni dei provvedimenti fino al 15 aprile 2020, come attualmente fissata dal citato art. 83, comma 2, del d.l. n. 18 del 2020.

Occorre chiedersi, peraltro, avuto riguardo alle ricordate rigorose restrizioni negli spostamenti sul territorio nazionale, se esista un meccanismo processuale che consenta ai consiglieri della corte di depositare le c.d. “minute” dei provvedimenti, senza recarsi fisicamente nella cancelleria della Corte e ai presidenti, a loro volta, di sottoscriverle anche da remoto.

Inutile ripetere che questa problematica sorge dall’impossibilità di applicare il d.m. n. 44 del 2011 nei processi civili in Cassazione e, dunque, dalla attuale impossibilità per i soli consiglieri in servizio presso la S.C., di trasmettere il documento sottoscritto dall’estensore e dal presidente con firma digitale alla cancelleria in via telematica, come avviene invece per i giudici civili in servizio presso tutti i tribunali e le corti d’appello d’Italia.

Al riguardo, occorre distinguere tra ordinanze o decreti (sottoscritti dal solo presidente: artt. 134 e 135 c.p.c.) e sentenze (sottoscritte dal presidente e dal giudice estensore: art. 132, ultimo comma, c.p.c.).

Se il presidente del collegio è titolare di un dispositivo di firma elettronica, ferma la ricordata inapplicabilità del d.m. n. 44 del 2011 ai processi in Cassazione, in thesi potrebbe avanzarsi l’idea di applicare analogicamente la disciplina dettata dal d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82, il Codice dell’Amministrazione Digitale (CAD).

È possibile cioè sostenere che il presidente possa firmare elettronicamente – con firma digitale, ex art. 1, comma 1, lett. s), CAD – il documento digitale contenente il testo dell’ordinanza o della sentenza, trattandosi comunque di un documento amministrativo informatico ai sensi dell’art. 23-ter del CAD.

E che la firma digitale possa dirsi infatti equiparata alla sottoscrizione autografa dei provvedimenti giudiziari, si ricava anche dall’art. 2, comma 6 del medesimo CAD ch rende applicabile l’intera sua disciplina «al processo civile, penale, amministrativo, contabile e tributario, in quanto compatibili e salvo che non sia diversamente disposto dalle disposizioni in materia di processo telematico».

Del resto, già la S.C. ha affermato espressamente che la firma digitale è equiparata alla sottoscrizione autografa in base ai principi del CAD, resi applicabili al processo civile dall’art.  4 del d.l. 29 dicembre 2009, n. 193, convertito con modificazioni dalla legge 22 febbraio 2010, n. 24[27].

Ferma dunque l’ammissibilità di una firma digitale delle ordinanze e delle sentenze della S.C., il problema che si pone è tutto squisitamente tecnico, legato cioè all’infrastruttura informatica di cui è dotata la Corte di Cassazione.

L’art. 15 del d.m. n. 44 del 2011, invero, stabilisce che l’atto del processo, redatto in formato elettronico da un soggetto abilitato interno (il giudice) e sottoscritto con firma digitale, è depositato telematicamente nel fascicolo informatico.

Grazie all’applicativo ministeriale in dotazione a tutti i magistrati civili con funzioni di merito[28], il documento informatico una volta sottoscritto con firma digitale sia dall’estensore che dal presidente, viene trasmesso in via informatica al cancelliere, il quale accetta il deposito telematico senza necessità di apporre la propria firma e lo deposita – contestualmente – nel registro informatico civile[29], consultabile dalle parti e dal giudice.

Nel caso di una sentenza o di una ordinanza della Corte di cassazione, pure ammessa la firma elettronica del presidente e del relatore apposta sul documento in formato c.d. “nativo digitale”, è chiaro che siffatto documento informatico dovrebbe poi essere trasmesso alla cancelleria della corte: ma attualmente non è in dotazione dei magistrati della Corte un applicativo che consenta la trasmissione telematica dell’atto digitale dal giudice al cancelliere.

Potrebbe allora ipotizzarsi che la trasmissione dell’atto avvenga a mezzo della posta elettronica certificata di cui al d.lgs. 11 febbraio 2005, n. 68, come espressamente previsto dall’art. 47, comma 2, lett. d), del CAD per la trasmissione di documenti informatici tra pubbliche amministrazioni. Il presidente dovrebbe cioè allegare l’atto informatico redatto digitalmente ad un messaggio del suo indirizzo di posta elettronica certificata, trasmesso ad un indirizzo PEC riferibile alla cancelleria della S.C.

Applicando pedissequamente il codice di rito, il cancelliere dovrebbe quindi sottoscrivere la sentenza, ai sensi dell’art. 133, comma secondo, c.p.c., contestualmente al suo deposito, avvalendosi di un dispositivo di firma digitale, trattandosi di un atto – quello da sottoscrivere – appunto c.d. “nativo digitale”.

Tuttavia, la Corte di Cassazione – allo stato – non possiede un registro informatico dove curare il deposito, la conservazione (il c.d. repository) e la successiva consultazione dei documenti nativi digitali, che siano stati trasmessi telematicamente e sottoscritti con firma digitale. E allora evidente che l’atto informatico, pure firmato digitalmente dal presidente e dal relatore, sarebbe destinato a non potere poi essere depositato dal cancelliere.

In sostanza, manca ancora innanzi alla S.C. quel registro informatico, che invece negli uffici di merito consente di custodire i documenti trasmessi in modalità telematica dai soggetti abilitati interni.

E allora, in attesa dunque del provvedimento ministeriale, ex art. 35 del d.m. n. 44 del 2011, che attesti la possibilità della trasmissione telematica degli atti in Cassazione, deve ritenersi inevitabile avvalersi delle forme tradizionale analogiche per il deposito dei provvedimenti giudiziari.

6.1. (Segue.) Il deposito delle minute. L’art. 119 disp. att. c.p.c. ancora oggi prevede che l’estensore deve consegnare la minuta del provvedimento al presidente; quest’ultimo deve sottoscriverla insieme al relatore e consegnarla al cancelliere per la scrittura dell’originale; il presidente e il relatore, poi, verificata la corrispondenza dell’originale alla minuta – la c.d. collazione –, sottoscrivono l’originale della sentenza[30]

È noto a tutti che questa disposizione è ormai da considerare almeno in parte abrogata per desuetudine, visto che nessuno affida più al cancelliere la scritturazione dell’originale della sentenza, in quanto l’estensore presenta il testo integrale del provvedimento direttamente in cancelleria già stampato e da lui sottoscritto[31], perché sia sottoposto alla firma del presidente.

Nessuna norma, peraltro, impone all’estensore della sentenza di consegnare l’originare del provvedimento in cartaceo brevi manu accedendo alla cancelleria della Corte; è ipotizzabile infatti una trasmissione dell’atto anche a mezzo del servizio postale, purché ovviamente con plico raccomandato per assicurarsi della sua avvenuta ricezione.

Né può escludersi che il relatore, dopo avere redatto il testo della c.d. minuta in un formato digitale, lo trasmetta tramite posta elettronica alla cancelleria della Corte; il cancelliere, una volta stampato il documento digitale ricevuto per posta elettronica, che diviene così il testo originale del provvedimento, lo sottoporrà al presidente per la firma, curandone il successivo deposito.

La mancanza di una sottoscrizione del consigliere estensore, richiesta a pena di nullità per le sole sentenze, potrà essere superata dando atto dell’impedimento del medesimo a recarsi nella città di Roma, ai sensi dell’art. 132, ultimo comma, c.p.c.[32].


[1] Senza pretesa di completezza e con riferimento solo ai provvedimento adottati dal Governo, dall’inizio del mese di febbraio e fino al 22 marzo del 2020, si annoverano ben cinque decreti legge (d.l. 17 marzo 2020 n. 18-Misure di potenziamento del servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19; d.l. 23 febbraio 2020, n. 6 – Misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19; d.l. 2 marzo 2020, n. 9 – Misure urgenti di sostegno per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19; d.l. 8 marzo 2020, n. 11 – Misure straordinarie ed urgenti per contrastare l’emergenza epidemiologica da COVID-19 e contenere gli effetti negativi sullo svolgimento dell’attività giudiziaria; d.l. 9 marzo 2020, n. 14 – Disposizioni urgenti per il potenziamento del Servizio sanitario nazionale in relazione all’emergenza COVID-19); sette decreti del Presidente del consiglio dei ministri (d.p.c.m. 22 marzo 2020 – Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID- 19, applicabili sull’intero territorio nazionale; d.p.c.m. 11 marzo 2020 – Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, applicabili sull’intero territorio nazionale; d.p.c.m. 9 marzo 2020 – Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, applicabili sull’intero territorio nazionale; d.p.c.m. 8 marzo 2020 – Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19; d.p.c.m. 4 marzo 2020 – Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, applicabili sull’intero territorio nazionale; d.p.c.m. 1 marzo 2020 – Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19; d.p.c.m. 25 febbraio 2020 – Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19); e nove ordinanze del Ministro della salute (Ordinanza 20 marzo 2020 – Ulteriori misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, applicabili sull’intero territorio nazionale; Ordinanza del 15 marzo 2020 – COVID-19, Importazione di strumenti e apparecchi sanitari, dispositivi medici e dispositivi di protezione individuale; Ordinanza del 14 marzo 2020 – COVID-19, Voli cargo con provenienza Cina per la consegna e il ricarico merci; Ordinanza del 12 marzo 2020 – Deroga all’ordinanza 30 gennaio 2020, recante «Misure profilattiche contro il nuovo Coronavirus (2019 – nCoV)»; Ordinanza 24 febbraio 2020 – Misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19. Regione Liguria; Ordinanza 23 febbraio 2020 – Misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19. Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia; Ordinanza 23 febbraio 2020 – Misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19. Regione Piemonte; Ordinanza 23 febbraio 2020 – Misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19. Regione Lombardia; Ordinanza 23 febbraio 2020 – Misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19. Regione Veneto; Ordinanza 23 febbraio 2020 – Misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19. Regione Emilia-Romagna; Ordinanza 21 febbraio 2020 – Ulteriori misure profilattiche contro la diffusione della malattia infettiva COVID-19).

Il solo Governo nazionale ha emanato tra febbraio e marzo del 2020 quattro decreti leggi e un numero considerevole di ordinanze del Presidente del consiglio dei ministri, oltre alle ordinanze del Ministro della salute.

[2] Credo che sia del tutto trascurabile il fatto che, unico tra i provvedimenti della Corte, il decreto di estinzione per rinuncia agli atti, ai sensi dell’art. c.p.c., è pronunciato dal presidente della sezione, quindi da un organo monocratico.

[3] Ai sensi del comma 6 dell’art. 16-bis  del d.l. 18 ottobre 2012, n. 179 convertito, con modificazioni dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, negli uffici giudiziari diversi dai tribunali e delle corti d’appello – quindi anche in Cassazione – le disposizioni sull’obbligatorietà dei depositi telematici degli atti di parte si applicano «a decorrere dal quindicesimo giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana dei decreti, aventi natura non regolamentare, con i quali il Ministro della giustizia, previa verifica, accerta la funzionalità dei servizi di comunicazione. I decreti previsti dal presente comma sono adottati sentiti l’Avvocatura generale dello Stato, il Consiglio nazionale forense ed i consigli dell’ordine degli avvocati interessati».

[4] Fatta eccezione per il punto v), si tratta – singolarmente – di procedimenti tutti di competenza tabellare della prima sezione civile; l’unica quindi in teoria chiamata a trattare, insieme alla sottosezione prima della Sesta sezione, procedimenti civili nel periodo di sospensione generalizzata delle udienze; peraltro il decreto del Primo presidente della S.C. n. 36 del 13 marzo 2020 ha disposto che per le udienze ed adunanze relative a ricorsi sottratti alla sospensione ex lege dei termini, la trattazione fosse differita a data successiva al 31 maggio 2020.

[5] La pubblica udienza è oggi riservata ai soli casi dettati dal secondo comma dell’art. 375 c.p.c., cioè quando la trattazione in pubblica udienza sia resa opportuna «dalla particolare rilevanza della questione di diritto sulla quale deve pronunciare» (la c.d. “valenza nomofilattica”), ovvero quando il ricorso sia stato rimesso dall’apposita sezione di cui all’art. 376 c.p.c. (l’attuale sesta sezione civile), in esito ad una camera di consiglio che non abbia definito il giudizio.

[6] Nell’adunanza camerale il contradditorio, anche con il procuratore generale, è assicurato già oggi in maniera soltanto cartolare, attraverso il deposito almeno dieci giorni prima dell’adunanza delle memorie dei difensori ex art. 380-bis.1 c.p.c. e delle – solo eventuali – conclusioni scritte del P.G.: l’adunanza quindi si celebra direttamente nella camera di consiglio con l’intervento dei soli componenti del collegio.

[7] Così F. DE STEFANO, L’emergenza sanitaria rimodula i tempi della Giustizia: i provvedimenti sul civile (note a primissima lettura del d.l. n. 11 del 2020, in Giustiziainsieme.it, 2020, p. 2.

[8] Il decreto n. 36 del 13 marzo 2020 del Primo presidente della S.C. ha soppresso le udienze e adunanze fissate fino al 10 aprile, essendo stato adottato mentre era ancora in vigore il d.l. n. 11 del 2020, che sospendeva tutte le udienze inizialmente fino al 22 marzo 2020, ferma la possibilità per il capo dell’ufficio di differire quelle fissate fino al 31 maggio 2020.

[9] Così l’art. 83, comma 6, del d.l. n. 18 del 2020.

[10] Così l’art. 83, comma 7, lett. g), del d.l. n. 18 del 2020.

[11] Più chiaramente già l’art. 472, comma 3, c.p.p. prevede che il dibattimento si possa celebrare a porte chiuse quando «la pubblicità può nuocere alla pubblica igiene»

[12] L’art. 379, ultimo comma, c.p.c. nel testo originario assicurava alle parti il diritto alle parti di presentare brevi osservazioni scritte sulle conclusioni del pubblico ministero, il quale concludeva la discussione intervenendo per ultimo.

[13] Così, ad esempio, deve ritenersi che per dimostrare la procedibilità del proprio ricorso, il difensore del ricorrente potrà produrre, insieme alle proprie conclusioni scritte, l’asseverazione di conformità all’originale della copia analogica del provvedimento impugnato, già depositata in precedenza in copia non autentica (vedi Cass. S.U., 25 marzo 2019, n. 8312).

[14] La prima disciplina dell’udienza pubblica da remoto è quella dettata dall’art. 16, comma 4, del d.l. 23 ottobre 2018, n. 119, convertito con modificazioni dalla legge 17 dicembre 2018, n. 136, in tema di giustizia tributaria; tale norma stabilisce che La  partecipazione  delle  parti  all’udienza  pubblica  innanzi alla commissione tributaria può avvenire a distanza, su apposita richiesta formulata da almeno una delle parti nel ricorso o nel primo atto difensivo,  «mediante  un collegamento audiovisivo  tra  l’aula  di  udienza  e  il  luogo  del domicilio indicato  dal  contribuente,  dal  difensore,  dall’ufficio impositore o dai soggetti della riscossione  con  modalità  tali  da assicurare la contestuale, effettiva e  reciproca  visibilità  delle persone presenti in entrambi i luoghi  e  la  possibilità  di  udire quanto viene detto. Il luogo dove la parte processuale si collega in audiovisione è equiparato all’aula  di  udienza». 

[15] I provvedimenti del direttore S.I.A. del 10 marzo 2020 e del 20 marzo 2020, stabiliscono entrambi, all’art. 2, che nei casi previsti, rispettivamente, dal d.l. n. 11 del 2020 e del d.l. n. 18 del 2020, le udienze civili possono svolgersi «mediante collegamenti da remoto organizzati dal giudice utilizzando i seguenti programmi attualmente a disposizione dell’Amministrazione: Skype for Business; Teams».

[16] Se la partecipazione del P.G. debba avvenire da remoto, come le altre parti private, oppure se lo stesso possa essere presente fisicamente nell’aula d’udienza – solo considerato che gli uffici della procura generale sono allocati nel medesimo palazzo – in cui si trova il collegio è questione di poco momento, su cui non occorre soffermarsi.

[17] Già l’art. 356 c.p.c. del 1865 stabiliva perentoriamente che «i giudici devono deliberare dopo la discussione della causa».

[18] Si vedano gli artt. 121 e 156, ultimo comma, c.p.c.

[19] Va considerato che oggi i giudici civili svolgono le proprie funzioni in grande misura in composizione monocratica (almeno negli uffici del giudice di pace e nei tribunali), ovvero, quando si tratta pure di funzioni soprattutto collegiali (corte d’appello e corte di Cassazione), vedono i magistrati componenti ad una distanza sufficiente tra l’uno e l’altro, rispetto al parametro di un metro dettato dall’allegato al d.p.c.m. 8 marzo 2020.

[20] Tranne i decreti di estinzione, che sono pronunciati dal presidente, tutti i provvedimenti giurisdizionali sono affidati ad un collegio composto da cinque ovvero nove (nel caso delle sezioni unite) persone; a ciò deve aggiungersi che la provenienza geografica dei consiglieri – trattandosi di unico ufficio su tutto il territorio nazionale – è assai variegata, essendo un congruo numero di consiglieri autorizzati a risiedere fuori dalla città di Roma.

[21] L’art. 83, comma 21, del d.l. n. 18 del 2020, stabilisce che le norme previste per i giudizi civili e penali si applicano in quanto compatibili, ai procedimenti relativi alle commissioni tributarie e alla magistratura militare.

[22] Il d.m. 27 marzo 2000, n. 264 – Regolamento recante norme per la tenuta dei registri presso gli uffici giudiziari, stabilisce che per la Corte di Cassazione deve essere tenuto il “ruolo delle udienze della sezione”.

[23] Il presidente del collegio indica nel ruolo d’udienza esclusivamente se è stata pronunciata sentenza, ordinanza o semplicemente disposto un rinvio a nuovo ruolo, nonché la conformità o difformità delle conclusioni del pubblico ministero rispetto alla decisione presa.

[24] Secondo la S.C. infatti, quando il ricorrente si sia avvalso del servizio postale, deve ritenersi che l’iscrizione a ruolo sia avvenuta nella data in cui il plico è stato consegnato presso l’ufficio postale, non assumendo rilievo che il plico pervenga a destinazione dopo il decorso del termine di venti giorni di cui all’art. 369 c.p.c. (Cass. 18 gennaio 2016, n. 684).

[25] Cass.  27 novembre 2019, n. 31041; Cass. 1 luglio 2019, n. 17653; Cass. 10 aprile 2018, n. 8835; Cass. 31 marzo 2016, n. 6230; Cass.  10 ottobre 2016, n. 20314.

[26] Cass. 29 agosto 2019, n. 21777; Cass. 27 novembre 2018, n. 30592; Cass. 19 aprile 2016, n. 7704; Cass.  4 gennaio 2011, n. 182; Cass. 4 agosto 2006, n. 17726; Cass. 26 luglio 1997, n. 6996.

[27] Cass. 10 novembre 2015, n. 22871.

[28] Si tratta dell’applicativo noto come “consolle del magistrato”.

[29] Attualmente il SICID e il SIECIC, rispettivamente, per il contenzioso ordinario e per il processo esecutivo e fallimentare.

[30] Il testo originario dell’art. 132 c.p.c. – nel solco della previsione del c.p.c. del 1865 – prevedeva che la sentenza fosse sottoscritta da tutti i componenti del collegio. Assai opportunamente con la novella introdotta dalla legge 8 agosto 1977, n. 532, è stata prevista la firma soltanto del presidente e dell’estensore; tuttavia l’art. 119, comma secondo, disp att. c.p.c. continua a prevedere in maniera incongrua che il presidente e il relatore, una volta sottoscritta la sentenza, «la fanno sottoscrivere all’altro giudice».

[31] Con nota del Primo presidente aggiunto della S.C. del 10 gennaio 2017 sono stati trasmessi a tutti i consiglieri della Corte “i criteri di redazione dei provvedimenti”, riferiti espressamente anche all’intestazione delle sentenze o ordinanze, in precedenza curata sempre dalla cancelleria.

[32] Così ha stabilito il recentissimo decreto n. 40 del 19 marzo 2020, con il quale il Primo presidente della S.C. ha disposto che fino al 30 giugno 2020, il deposito delle c.d. minute dei provvedimento possa avvenire tramite l’invio del documento informatico contenente il testo della sentenza in cancelleria; il presidente una volta stampato il documento a cura del cancelliere provvederà ad apporvi la sua sottoscrizione dando atto della mancanza dell’altra firma «per impedimento dell’estensore ai sensi dell’art. 1, comma 1, lett. a) del d.p.c.m. 8 marzo 2020».

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