La correlazione tra accusa e sentenza: il potere qualificatorio del giudice penale

procedura penale

di Tommaso Perrella

SOMMARIO:

1. Premessa; 2. Il potere-dovere del giudice di dare al fatto-reato contestato una diversa definizione giuridica; 3. L’ambito di operatività di tale potere; 4. Il rapporto tra il potere “qualificatorio” del giudice penale ed il principio del contraddittorio di cui agli artt. 111 Cost. 2 e 6 co. 3 lett. a e b C.E.D.U.; 5. Gli ulteriori limiti al potere di riqualificazione giuridica di cui agli artt. 521 co. 1 ultimo periodo e 521 bis c.p.p.

1. PREMESSA

    Gli artt. 516 – 520 c.p.p. disciplinano poteri, doveri e facoltà delle parti da esercitarsi nel corso del dibattimento a fronte del possibile concretarsi di fatti nuovi o semplicemente diversi da quelli compendiati nelle imputazioni oggetto della richiesta di rinvio a giudizio o del decreto di citazione diretta a giudizio.

    Gli artt. 521 c.p.p. (rubricato “correlazione tra l’imputazione contestata e la sentenza”) 521 bis e 522 cpp riguardano invece il momento decisionale, descrivendo i limiti del potere del giudice ogni qual volta lo stesso è chiamato a pronunciarsi sull’imputazione formulata dal p.m  e, dunque, non solo, all’esito del dibattimento (con la sentenza che definisce il giudizio), ma anche in ogni altro snodo processuale nel quale è richiesta una sua decisione (si pensi al sub-procedimento cautelare, all’udienza preliminare o al giudizio abbreviato).

2. IL POTERE-DOVERE DEL GIUDICE DI DARE AL FATTO-REATO CONTESTATO UNA DIVERSA DEFINIZIONE GIURIDICA

    L’art. 521 c.p.p. disciplina due diverse tematiche che, sebbene connesse, risultano tra loro distinte ed autonome:

–  quella della corretta definizione giuridica da parte del giudice del fatto contestato dal P.M. (art. 521 co. 1 c.p.p.);

– quella dell’eventuale diversità tra il fatto (inteso nella sua accezione storico-naturalistica quale accadimento materiale, episodio di vita umana) compendiato nel capo d’imputazione e quello emerso invece all’esito dell’istruttoria dibattimentale (art. 521 co. 2 c.p.p.).

  In ordine alla prima tematica, la disposizione richiamata consente al giudice, in sentenza, di qualificare il fatto in modo diverso da come è stato contestato (senza che ciò incida sull’autonomo potere di iniziativa del pubblico ministero, che rileva esclusivamente sotto il diverso profilo dell’immutabilità della formulazione del fatto storico inteso come accadimento materiale) purché però quello ritenuto resti identico a quello addebitato in riferimento al triplice elemento della condotta, dell’evento e dell’elemento psicologico.

In altre parole, se all’esito dell’attività istruttoria il giudice ritiene che sussista il fatto contestato dal P.M., ma che lo stesso vada sussunto nell’alveo di una fattispecie di reato diversa da quella contestata, può (anzi deve) provvedere a correggere tale erronea qualificazione giuridica in sentenza, precisandolo in parte dispositiva (ad es. “dichiara tizio colpevole del reato di cui agli art. 624 bis co. 2 c.p. – così diversamente qualificato il fatto contestatogli al capo “a” – e, per l’effetto, lo condanna a…) in quanto l’esatta attribuzione del nomen iuris è connaturale all’esercizio della giurisdizione.

3. L’AMBITO DI OPERATIVITÀ DEL POTERE “QUALIFICATORIO”

   Il citato art. 521 c.p.p., sebbene collocato tra le disposizioni del “dibattimento” (rectius: nel titolo II del Libro VII del codice di procedura penale), è peraltro espressione di un principio generale e, in quanto tale, applicabile – secondo la giurisprudenza di legittimità – in ogni snodo procedimentale.

    In particolare, con riferimento alla fase dibattimentale, si segnala l’interessante sentenza n. 18195 del 2016, conla quale la Suprema Corte ha precisato che “nessuna limitazione pone il codice di rito con riferimento allo specifico momento dell’iter dibattimentale in cui il giudice può esercitare il potere di qualificare giuridicamente il «fatto» oggetto dell’imputazione e di declinare conseguentemente la propria competenza; l’opposta interpretazione porterebbe alla conseguenza che il giudice sia tenuto ad attendere l’istruttoria dibattimentale (o addirittura la sua conclusione) per declinare una competenza ictu oculi inesistente sin ab initio, in contrasto non solo con la logica, ma anche con il principio della «ragionevole durata del processo» sancito dall’art. 111 della Costituzione (ovviamente in tal caso il giudice deve però preventivamente invitare le parti ad interloquire sul punto, pena la nullità della sentenza).

     Quanto invece alla fase cautelare si segnalano, tra le tante, le eseguenti pronunce:

– Sez. U, Sentenza n. 16 del 19/06/1996 Cc.  (dep. 22/10/1996 ) Rv. 205617: “Al giudice per le indagini preliminari, in sede di applicazione della misura cautelare ai sensi dell’art. 292 cod. proc. pen., ed al tribunale, in sede di riesame o di appello ai sensi degli artt. 309 e 310 cod. proc. pen., è consentito modificare la qualificazione giuridica data dal pubblico ministero al fatto per cui si procede, fermo restando che pure in tali ipotesi l’eventuale correzione del “nomen iuris” non può avere effetti oltre il procedimento incidentale);

Sez. 6, Sentenza n. 18219 del 11/03/2003 Cc.  (dep. 16/04/2003 ) Rv. 225216: “in tema di riesame dei provvedimenti restrittivi della libertà personale, è consentito al giudice del riesame di procedere alla modificazione della qualificazione giuridica del fatto, atteso che tale modifica non incide sull’autonomo potere del pubblico ministero di esercizio dell’azione penale, che riguarda il fatto storico oggetto dell’imputazione”;

– Sez. 6, Sentenza n. 12828 del 14/02/2013 Cc.  (dep. 19/03/2013 ) Rv. 254902: “in tema di misure cautelari personali, il giudice, pur essendo vincolato alla richiesta del pubblico ministero in ordine agli elementi di fatto che integrano la contestazione, può legittimamente modificare la definizione giuridica dell’addebito. (Fattispecie in cui il G.I.P., con valutazione confermata dal Tribunale del riesame, aveva riqualificato in termini di maltrattamenti in famiglia il fatto contestato dal pubblico ministero “sub specie” di tentata estorsione);

– Sez. 5, Sentenza n. 7468 del 28/11/2013 Cc.  (dep. 17/02/2014 ) Rv. 258983. “in tema di misure cautelari personali, il giudice, sia in sede di applicazione della misura cautelare che in sede di riesame o di appello, può modificare la qualificazione giuridica attribuita dal P.M. al fatto, fermo restando che l’eventuale modifica non produce effetti oltre il procedimento incidentale”

   Il potere di cui all’art. 521 co. 1 c.p.p. spetta infine anche al giudice dell’udienza preliminare [cfr., ex multis, Cass. 10.1.19 n. 901: “rientra tra i poteri del giudice dell’udienza preliminare la riqualificazione del fatto oggetto dell’imputazione, dal momento che l’esatta attribuzione del nomen iuris è strettamente connaturale all’esercizio della giurisdizione. Secondo l’art. 423 c.p.p. la modifica dell’imputazione rientra nell’esercizio dell’azione penale e, quindi, è attribuita al potere – dovere del pubblico ministero non del giudice; tuttavia, quest’ultimo può sempre dare al fatto una diversa qualificazione. Infatti, il giudice non può modificare il fatto oggetto dell’imputazione, ma, anche in sede di udienza preliminare, può dare al fatto il nonnen juris che ritiene corretto. Il potere del giudice di qualificare correttamente il fatto, sotto il profilo giuridico, si risolve nella esatta applicazione della legge, sicché non tollera limitazioni, così come non deve essere specificamente previsto, proprio perché è un connotato dell’esercizio della giurisdizione (Sez. 6, 28481/2012, Rv. 253695; Sez. 3, 1083/2011, Rv. 249334)”] e a quello del giudizio abbreviato (cfr, ex multis, Cass. 2012 n. 10093).

4. IL RAPPORTO TRA IL POTERE “QUALIFICATORIO” DEL GIUDICE PENALE ED IL PRINCIPIO DEL CONTRADDITTORIO DI CUI AGLI ARTT. 111 COST. 2 E 6 CO. 3 LETT. A E B C.E.D.U

   Il potere/dovere del giudice di attribuire al fatto una diversa qualificazione giuridica rispetto a quella formulata nell’imputazione va peraltro contemperato coi principi del contradditorio e del giusto processo sanciti dagli artt. 111 co. 2 Cost e 6 Convenzione Europea Diritti dell’Uomo comma terzo lett. a e b (come interpretato dalla Edu nella celebre sentenza, 2 sez. 11 dicembre 2007 Drassich v. Italia), secondo i quali la garanzia del contraddittorio deve essere assicurata all’imputato anche in ordine alla diversa definizione giuridica del fatto operata dal giudice ex officio in quanto la stessa non investe soltanto il momento della formazione della prova, ma anche ogni altra questione che attiene la valutazione giuridica del fatto.

In particolare la Corte di Strasburgo ha affermato che “poiché l’atto di accusa svolge un ruolo fondamentale nel procedimento penale, l’art. 6, § 3, lett. a) della Convenzione europea dei diritti dell’uomo riconosce all’imputato il diritto di essere informato non solo del motivo dell’accusa, ossia dei fatti materiali che gli vengono attribuiti e sui quali si basa l’accusa, ma anche, e in maniera dettagliata, della qualificazione giuridica data a tali fatti” e ciò, in quanto, in materia penale, “un’informazione precisa e completa delle accuse a carico di un imputato e dunque la qualificazione giuridica che la giurisdizione potrebbe considerare nei suoi confronti, è una condizione fondamentale dell’equità del processo“; l’art. 6 lett. a) della Convenzione non impone che l’anzidetta informazione sia data con modalità particolari e, tuttavia, il diritto dell’imputato va tutelato tenendo conto della necessità, ai sensi dell’art. 6 § 3, lett. b) della Convenzione, che egli possa utilmente preparare la sua difesa.

La Corte europea ha altresì rimarcato che “se í giudici di merito dispongono, quando tale diritto è loro riconosciuto nel diritto interno, della possibilità di riqualificare i fatti per i quali sono stati regolarmente aditi, essi devono assicurarsi che gli imputati abbiano avuto l’opportunità di esercitare i loro diritti di difesa su questo punto in maniera concreta ed effettiva. Ciò implica che essi vengano informati in tempo utile non solo del motivo dell’accusa, cioè dei fatti materiali che vengono loro attribuiti e sui quali si fonda l’accusa, ma anche e in maniera dettagliata, della qualificazione giuridica data a tali fatti“.

   Ebbene, a seguito di tale pronuncia si è registrato un primo arresto della Cassazione il quale, preso atto della necessità di interpretare l’art. 521 co. 1 cpp di guisa tale da assicurare all’imputato la garanzia del contraddittorio nella eventualità della diversa qualificazione giuridica del fatto, ha ritenuto che “è causa di nullità generale a regime intermedio la riqualificazione dell’imputazione operata in sentenza senza il previo contraddittorio, per quanto sia più favorevole per l’imputato” : Sez. 6, n. 45807 del 12/11/2008, Drassich, Rv. 241754; Cass. 2011 n. 18590 Rv. 250275; Cass. 2012 n. n. 6487).

Evidenti le conseguenze pratiche di tale opzione interpretativa:il giudice, prima di ritirarsi in camera di consiglio,dovrebbe (ove il pm non abbia posto la questione in sede di discussione) invitare le parti interessate a formulare eventuali osservazioni in relazione al capo d’imputazione in esame, relativamente alla contestata condotta ivi descritta e alla sua eventuale riconducibilità nell’alveo di altra fattispecie criminosa.

    Nel corso degli anni successivi si è tuttavia formato un secondo indirizzo, maggiormente “sostanzialista” (e ad oggi assolutamente prevalente: cfr. da ultimo Cass. 2018 n. 52884 e Cass. 2017 n. 54241) secondo il quale il rispetto della regola del contraddittorio impone esclusivamente che la diversa qualificazione giuridica non avvenga “a sorpresa”, determinando conseguenze negative irrimediabili per l’imputato, il quale, senza mai avere avuto la possibilità di interloquire sul punto, si trovi di fronte ad un fatto storico radicalmente trasformato in sentenza nei suoi elementi essenziali, al punto tale, cioè, da imporre una diversa e nuova definizione giuridica del fatto medesimo, rispetto a quanto contestato, in punto di fatto e di diritto, nell’imputazione, di cui rappresenta uno sviluppo inaspettato.

La situazione testè prospettata, peraltro, non si verifica quando:

1) l’imputato o il suo difensore abbiano comunque avuto la possibilità e di interloquire sul tema della qualificazione giuridica del fatto in una delle fasi del procedimento (ivi compreso quello incidentale), eventualmente anche mediante l’ordinario rimedio dell’impugnazione davanti al giudice di secondo grado ovvero a quello di legittimità;

2) la diversa qualificazione giuridica appare come uno dei possibili (si potrebbe dire “non sorprendenti”) epiloghi decisori del giudizio (di merito o di legittimità), stante la riconducibilità del fatto storico, di cui è stata dimostrata la sussistenza all’esito del processo e rispetto al quale è stato consentito all’imputato o al suo difensore l’effettivo esercizio del diritto di difesa, ad una limitatissima gamma di previsioni normative alternative, per cui l’eventuale esclusione dell’una comporta, inevitabilmente, l’applicazione dell’altra, non corrispondendo, in tale ipotesi, alla diversa qualificazione giuridica una sostanziale immutazione del fatto, che, integri nei suoi elementi essenziali, può essere diversamente qualificato secondo uno sviluppo interpretativo assolutamente prevedibile (si pensi, ad es., a rapina e furto con strappo; peculato e appropriazione indebita; estorsione ed arbitrario esercizio delle proprie ragioni; insolvenza fraudolenta e truffa, nel qual caso la condotta tenuta dall’agente in entrambi i reati consiste in un comportamento fraudolento tale da ingenerare errore nella vittima).

Si riportano, di seguito, le sentenze della Suprema Corte che sostengono l’indirizzo giurisprudenziale prevalente, in relazione ad ogni singolo snodo processuale:

– Sez. 2, Sentenza n. 35678 del 15/05/2013 Ud.  (dep. 28/08/2013 ) Rv. 257104:“in tema di correlazione tra accusa e sentenza, nell’ipotesi in cui la riqualificazione giuridica del fatto sia stata espressamente richiesta dal Pubblico Ministero, l’omessa informazione all’imputato da parte del giudice della eventualità che il fatto contestatogli possa essere diversamente definito non comporta violazione dell’art. 6 così come interpretato dalla Corte Edu nel proc. Drassich c/ Italia dell’11 dicembre 2007 (Fattispecie in cui la riqualificazione giuridica del fatto da furto in ricettazione era stata richiesta dal Procuratore Generale presso la Corte di Appello nella sua requisitoria)”.

– Cass. 12.12.2018 n. 55794 + Cass. 9.10.14 n. 43881 + Cass. 2013 n. 2341 + Cass. 2013 n. 37413: “L’osservanza del diritto al contraddittorio in ordine alla natura e alla qualificazione giuridica dei fatti di cui l’imputato è chiamato a rispondere, sancito dall’art. 111, comma terzo Cost. e dall’art. 6 CEDU comma primo e terzo lett. a) e b), così come interpretato nella sentenza della Corte EDU nel proc. Drassich c. Italia, è assicurata anche quando il giudice di primo grado provveda alla riqualificazione dei fatti direttamente in sentenza, senza preventiva interlocuzione sul punto, in quanto l’imputato può comunque pienamente esercitare il diritto di difesa proponendo impugnazione”.

– Sez. 5, Sentenza n. 19380 del 12/02/2018 Ud.  (dep. 04/05/2018) Rv. 273204 + Cass. 18.12.2018 n. 57032: “in tema di correlazione tra accusa e sentenza, la diversa qualificazione del fatto effettuata dal giudice di appello non determina alcuna compressione o limitazione del diritto al contraddittorio, anche alla luce della regola di sistema espressa dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (Corte EDU 11 dicembre 2007, Drassich c. Italia), consentendo all’imputato di contestarla nel merito con il ricorso per cassazione (Fattispecie nella quale il giudice di appello ha riqualificato il delitto di cui all’abrogato art. 485 cod. pen., nel più grave titolo di reato di cui all’art. 491 cod. pen.).

– Sez. 2, Sentenza n. 50659 del 18/11/2014 Ud.  (dep. 03/12/2014 ) Rv. 261696 : “Quando ritiene che al fatto addebitato debba essere data una definizione giuridica più grave, la Corte di Cassazione non può, d’ufficio, né procedere direttamente ad una riqualificazione dello stesso, stanti i limiti derivanti dalle pronunce della Corte di Strasburgo in relazione all’art. 6 CEDU, nè disporre l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata ai fini della contestazione agli imputati del reato più grave, poiché l’eventuale condanna comporterebbe la violazione del principio della “reformatio in peius”, per l’assenza d’impugnazione della sentenza di secondo grado da parte del pubblico ministero”.

5. GLI ULTERIORI LIMITI AL POTERE DI RIQUALIFICAZIONE GIURIDICA DI CUI AGLI ARTT. 521 CO. 1 ULTIMO PERIODO E 521 BIS C.P.P.

   Il cd. ius variandi previsto dall’art. 521 co. 1 c.p.p. è inoltre esercitabile dal giudice a condizione che il reato oggetto dell’avvenuta riqualificazione:

1) non ecceda la competenza dell’organo giudicante che procede (ad es., nel caso in cui il Tribunale riqualifichi il fatto contestato in termini sequestro di persona quale sequestro di persona a scopo di estorsione che è competenza della Corte d’Assise);

2) non riguardi un reato per il quale è prescritta l’udienza preliminare ed essa non si è tenuta (ad es. truffa cd. assicurativa di cui all’art. 642 co. 2 c.p. in luogo di quella di cui all’art. 640 c.p.).

3) non sia attribuito al Tribunale in composizione collegiale anziché monocratica (ad es. rapina aggravata ex art. 628 co. 3 in luogo di quella semplice);

   Nelle situazioni ipotizzate il giudice è infatti tenuto:

nel primo caso, ai sensi dell’art. 23 c.p.p., a dichiarare con sentenza la propria incompetenza e disporre la trasmissione degli atti al P.M. presso il giudice competente per ulteriore corso.

nel secondo caso, ai sensi dell’art. 521 bis c.p.p., a disporre con ordinanza la trasmissione degli atti al p.m. e, ove ciò non accada, le parti a pena di decadenza (ai sensi del secondo comma del medesimo art. 521 bis c.p.) devono eccepire l’inosservanza di tale norma nei motivi di impugnazione.

Si segnalano, sul punto, le seguenti pronunce d’interesse:                                                               

Cass. 2017 n. 40263 + Cass. 2009 n. 47111

La riqualificazione giuridica in dibattimento, che riconduce il fatto al novero di reati per i quali è prevista l’udienza preliminare impone al giudice, qualora detta udienza non si è tenuta, la trasmissione degli atti al P.M., restando contestualmente esclusa la possibilità di pronunciare sentenza assolutoria per il reato originariamente contestato (tale pronuncia risulterebbe infatti preclusiva, ai sensi dell’art. 649 c.p.p., di un ulteriore esercizio dell’azione penale nei confronti del medesimo soggetto in quanto il fatto, seppur diverso rispetto a quello contestato, è comunque unico da un punto di vista storico-naturalistico).

Cass 2008 n. 35066: La riqualificazione giuridica nel giudizio di appello, che riconduce il fatto al novero di reati per i quali è prevista l’udienza preliminare impone al giudice, qualora detta udienza non si è tenuta, la trasmissione degli atti al P.M., restando esclusa la possibilità di pronunciare sentenza assolutoria per il reato originariamente contestato.

Cass. 2016 n. 22813 + Cass. 2009 n. 43230: Nel caso in cui la Corte di cassazione dia al fatto una nuova e diversa qualificazione giuridica, con conseguente riconducibilità del reato nelle attribuzioni del tribunale in composizione collegiale e nel novero di quelli per i quali è prevista la celebrazione dell’udienza preliminare, e questa non si sia tenuta, deve annullare senza rinvio la sentenza impugnata e trasmettere gli atti al pubblico ministero presso il tribunale competente in primo grado.

Cass. 2016 n. 3927: Non è abnorme il provvedimento con il quale il tribunale in composizione monocratica, in sede di giudizio abbreviato, trasmette gli atti al pubblico ministero ai sensi dell’art. 521 bis cod. proc. pen., ravvisando l’erronea qualificazione giuridica del fatto ed inquadrando lo stesso in una fattispecie criminosa in relazione alla quale risulta necessaria la celebrazione dell’udienza preliminare.

Eccezione: Cass. 2015 n. 42742 + Cass. 2014 n. 24006 + Cass. 2006 n. 34681

In caso di modifica della contestazione (ma lo stesso vale per l’ipotesi della riqualificazione) nel giudizio direttissimo che determini l’attribuzione del reato alla cognizione del Tribunale in composizione collegiale, il giudice monocratico deve disporre la trasmissione degli atti a quest’ultimo “per via orizzontale” e non al pubblico ministero anche quando, in forza della diversa configurazione o qualificazione del fatto imputato, si sarebbe dovuta tenere l’udienza preliminare e ciò in quanto il giudizio direttissimo è instaurabile anche per i reati per cui tale udienza è prevista, mentre la trasmissione degli atti al Tribunale in composizione collegiale non comporta il mutamento del rito già regolarmente instaurato; nell’ambito del giudizio direttissimo, non si applica dunque la disposizione di cui all’art. 521 bis cod. proc. pen., con la conseguenza che lo stesso deve proseguire con queste forme nell’ipotesi di intervenuta modifica dell’imputazione, tale da far rientrare il reato fra quelli per cui è prevista l’udienza preliminare

nel terzo caso, ai sensi dell’art. 33 septies co. 1 c.p.p., a disporre con ordinanza la trasmissione “in via orizzontale” degli atti al Tribunale in diversa composizione.

Si segnalano, al riguardo, le seguenti pronunce d’interesse:

Cass. 2016 n. 18195 + Cass. 2010 n. 8525 + Cass. 2006 n. 34183

Non è abnorme il provvedimento con cui il Tribunale in composizione monocratica, ritenuta, a seguito della riqualificazione del fatto operata prima della chiusura della istruttoria dibattimentale, la cognizione del giudice collegiale, trasmette gli atti “per via orizzontale” a quest’ultimo e non al P.M., sempre che sia stata celebrata l’udienza preliminare per l’originario reato.

Nel caso di specie trova infatti applicazione la disciplina dettata dall’art. 33 septies c.p.p., comma 1, in base al quale è stabilito che nel dibattimento di primo grado instaurato a seguito della udienza preliminare, il giudice, se ritiene che il reato appartiene alla cognizione del Tribunale in composizione diversa, trasmette gli atti al giudice competente a decidere sul reato contestato; pertanto, quando il giudizio sia stato preceduto dalla udienza preliminare, al giudice, sia nel caso, per così dire, di “ipercapacità” (vale a dire nella ipotesi in cui l’imputato si trova davanti al giudice collegiale anziché monocratico) sia nel caso reciproco di “ipocapacità”, è precluso l’epilogo della regressione, giacché la trasmigrazione degli atti avviene per via “orizzontale”.

La disposizione innanzi delineata, trova, poi, il suo complemento, nella previsione dettata dall’art. 521 bis c.p.p., per il quale il giudice è tenuto a disporre la trasmissione degli atti al Pubblico Ministero soltanto nella ipotesi in cui, a seguito della contestazione suppletiva, il reato risulti tra quelli attribuiti alla cognizione del Tribunale per cui è prevista l’udienza preliminare e questa non sia stata tenuta, regola – quella da ultimo rammentata – che sta appunto a denotare come, una volta assicurata la garanzia rappresentata dalla celebrazione di quella udienza, i mutamenti del quadro della accusa assumono certamente un loro risalto ai fini della composizione dell’organo giudicante, permettendo di ristabilire le regole sulle attribuzioni del giudice, ma non giustificano affatto – anche al lume del precetto della ragionevole durata del processo, paradigmaticamente evocato dall’art. 111 Cost. – che gli atti ritornino al titolare della azione penale”.