La crisi “nascosta” ai creditori: il mondo all’incontrario

I riflessi penali delle moratorie societarie del D.L. liquidità  n. 23/2020

di Fabio Di Vizio in collaborazione con il Centro Studi “Nino Abbate” di Unità per la Costituzione

Abstract: Il Decreto Legge 8 aprile 2020 n. 23 (cd. D.L. Liquidità) definisce le condizioni per l’accesso delle imprese in difficoltà a linee di credito garantite da SACE S.p.A. o dal fondo di garanzia per le  PMI; la manovra di finanziamento è però anticipata da importanti iniezioni di moratorie rispetto alle regole societarie tradizionali, in particolare quelle rivolte a contrastare gravi crisi del capitale sociale, l’inerzia nella loro gestione e il loro nascondimento a terzi. Inevitabili gli effetti riflessi sulle fattispecie penali della crisi di impresa, la cui protezione resterà temporaneamente incisa nel contenuto, ma non stravolta nella struttura.  Oltre a passare in rassegna i termini di questa temporanea riduzione della portata delle diverse figure di reati fallimentari, si illustrano le ragioni per le quali il carattere asistematico  dell’intervento normativo d’urgenza finisce per allontanare i tempi e la praticabilità di un ripensamento, pur necessario, dell’impostazione della tutela penale nel settore della crisi di impresa e dell’insolvenza.     

INDICE-SOMMARIO

  • 1.  Brevi premesse. —  1.1. Il mondo all’incontrario. — 1.2. Dove eravamo rimasti: dallattesa del codice della crisi di impresa e dellinsolvenza al decreto liquidità.  — 1.3. L’obiettivo della ricerca e il  punto fermo:  le fattispecie penalfallimentari restano temporaneamente incise, ma non definitivamente travolte dal D.L. liquidità.  — 2. La crisi del capitale sociale e le fattispecie penal-fallimentari.   — 2.1. Le previsioni  del D.L. liquidità sui doveri funzionali a rimediare alla crisi di capitale e le ragioni delle “sospensioni” e delle “deroghe”. — 2.2. Le ragioni delle regole sospese. — 2.3. Le deroghe già conosciute e quelle attese. — 2.4. Gli effetti penali temporanei. — 2.4.1. In linea generale.  — 2.4.2. La bancarotta da operazioni dolose. 2.4.2.1. Nozioni generali. — 2.4.2.2. Operazioni dolose e doveri ex art. 24462447, 2482 bis e 2482 ter c.c. — 2.4.2.3. Operazioni dolose  e D.L. liquidità.  — 2.4.3. La bancarotta ex art. 224, comma 1,  n. 2 L.fall. — 2.4.3.1. Nozioni generali. — 2.4.3.2.  Inosservanza degli obblighi imposti dalla legge generativi di   dissesto e doveri ex art. 24462447, 2482 bis e 2482 ter c.c.  — 2.4.2.3. Inosservanza degli obblighi imposti dalla legge generativa di   dissesto e D.L. liquidità.  — 2.4.4. La bancarotta ex art. 224, comma 1,  217, comma  1, n. 4 L.fall. — 2.4.4.1. Nozioni generali.2.4.4.2. Ritardata richiesta di fallimento ex art. 217, comma 1,  n. 4 L. fall. e doveri previsti dagli art. 2446-2447, 2482 bis e 2482  ter c.c. —  2.4.4.3. Il D.L. liquidità ed il reato ex art. 217, comma 1,  n. 4 L. fall. — 3.  Il rimborso dei finanziamenti soci e infragruppo realizzati in condizioni di incongruità del capitale e le fattispecie penali-fallimentari. — 3.1. La previsione del D.L. liquidità e le ragioni delle “sospensioni” e delle “deroghe”. — 3.2. Le ragioni delle regole sospese e la distinzione tra versamenti in conto capitale e finanziamenti a titolo di mutuo.  — 3.3. Le deroghe in vigore e quelle attese. — 3.4. Gli effetti penali temporanei. —  3.4.1 Le bancarotte per distrazione e  preferenziali. — 3.4.2 Il D.L. ed il rimborso  dei finanziamenti soci  quali possibili pagamenti preferenziali.  — 4. La continuità aziendale nelle valorizzazione degli attivi. —  4.1. La presunzione del decreto liquidità.  — 4.2. Le ricadute sulla trasparenza dei bilanci e sulle fattispecie penali.  — 5. Brevi conclusioni.  
  • 1.  Breve premesse.
  • 1.1. Il mondo allincontrario.

«Lasciatemi così. Ho fatto tutto il giro e ho capito. Il mondo si legge all’incontrario. Tutto è chiaro»[1]. Aveva forse ragione lOrlando impazzito di Calvino, mentre si trovava appeso a testa in giù. Non di rado, del resto, la visione fantastica è solo profetica. Ebbene si, sembrerebbe proprio che il mondo si debba leggere alla rovescia.

Chi lo avrebbe detto, solo qualche mese addietro, che una crisi sanitaria senza precedenti avrebbe riscritto in men che non si dica le regole delle relazioni economiche e schernito il tentativo di offrire, dopo appena ottanta anni, una nuova disciplina sistematica e moderna per gestire la crisi di impresa? Ma quale pretesa di evitare la silenziosa propagazione dellinsolvenza, responsabilizzando limprenditore ad organizzarsi per riconoscerne le avvisaglie e, principalmente, a non nasconderne la realtà! Non solo lentrata in vigore del nuovo codice della crisi di impresa e dellinsolvenza, ulteriormente differita, ma alcune regole societarie sono state ribaltate, in senso esattamente contrario a quella che si pensava, solo qualche tempo addietro, la direzione giusta. Non semplicemente adattate alla crisi, proprio capovolte. Quello che era male”, da combattere, è diventato  bene”, da preservare.

In nome della salvaguardia dei valori economici, la crisi economica sembra sia stata sospesa e celata, per legge. I bilanci non ancora chiusi sembrerebbero potersi formare su presupposti artificiali di continuità aziendale (che poi, al netto di prudenze espositive, vuol dire irrealistici per non arrivar a dire  finti); di certo imprudenti; la cronica sottocapitalizzazione delle imprese italiane, poi, trasformata in condizione da conservare o comunque irrilevante per valutarne la solvibilità;  linvincibile ritrosia dei soci ad impiegare capitali di rischio – male atavico di un ceto imprenditoriale che azzarda fino in fondo solo con i capitali dei terzi, siano banche o diversi investitori  – addirittura assecondata.

La crisi ha fagocitato il mondo di norme che ritenevamo oramai razionali. Come in un abile gioco di specchi, pienamente riuscito, quello che avevamo da una parte lo abbiamo visto raffigurato dall’altra e viceversa. Ad un modello di imprenditore competente, prudente e responsabile sembra esserne subentrato uno per il quale non pare disdicevole una certa dose di spregiudicatezza[2].  A stare alle regole sospese, per qualche tempo la crisi rischierà di  scomparire dai bilanci, dai patrimoni netti negativi, dai debiti irrisolvibili.

Si sa, la crisi cambia i valori in campo, accelera le soluzioni e  risolve le incertezze. Nel nostro caso, è stata capace di sospendere le regole concorsuali del futuro  e di non applicare quelle del presente[3].  

La crisi ha cambiato tutto e scelto le sue regole[4].

  • 1.2. Dove eravamo rimasti: dallattesa del codice della crisi di impresa e dellinsolvenza al decreto liquidità

 A metà febbraio, ancora, si attendeva fiduciosi l’entrata in vigore del D.Lgs. 12/01/2019, n. 14[5]. Un apparato con buone ambizioni di organicità, la cui intitolazione (“codice”) appariva un po’ altezzosa ma in fondo coerente con l’aspirazione di offrire una disciplina efficiente per gestire le crisi di impresa. Consapevole di quanto ciò fosse essenziale per il buon funzionamento del sistema economico. La tempestiva liquidazione delle imprese non più produttive e l’efficace ristrutturazione di quelle in situazioni di temporanea difficoltà erano gli obiettivi cruciali di una riforma volta a favorire lerogazione responsabile del credito, sostenendo un’efficiente riallocazione delle risorse. Da una veloce soluzione delle crisi d’impresa, infatti, attraverso la dismissione dei crediti deteriorati ed il rafforzamento della solidità delle banche, poteva scaturire la disponibilità di maggior credito, il contenimento dei costi e lo sviluppo della produttività dell’economia[6]. Anche in linea con questa ispirazione meritocratica — quasi rivoluzionaria parlando di economia — si era delineato un nuovo favore per le ragioni dei creditori di buona fede e dei terzi titolari di diritti non proprietari su beni del debitore interessati da coesistenti vincoli penali; l’anticipata considerazione di esse in seno al procedimento della cautela penale segnava una novità rilevante nel coordinamento, storicamente problematico, tra diverse procedure. Una decisa apertura verso le ragioni di sviluppo dei protagonisti dello Stato Comunità; un arretramento deciso della salvaguardia dell’esigenze catartiche e repressive dello Stato Apparato.   

Era, si diceva, la tempestività della rilevazione della crisi, secondo una logica preventiva e di intervento precoce, lo snodo fondamentale della nuova impostazione. Non è casuale, del resto, che la porzione della disciplina riformata destinata ad entrare in vigore in tempi rapidi dovesse essere proprio quella funzionale a renderla possibile, per quanto in gran parte ulteriormente differita[7]. Nell’anticipazione del dissesto irrimediabile si individuava la possibilità di valorizzare l’attivo (se necessario, anche liquidandolo) in tempi contenuti; in generale, del resto, era dato di esperienza – si credeva ancor all’epoca … – che a tale anticipazione fossero associati i  migliori risultati delle procedure, «in termini di maggiori tassi di recupero o di incremento delle probabilità di ripristino dellequilibrio economico-finanziario»[8].

Erano direttamente funzionali alla celere emersione e all’adeguata gestione della difficoltà finanziaria i nuovi sistemi di allerta (con un’intensa e innovativa responsabilizzazione nella prevenzione dei dissesti irreparabili degli organi di controllo interno e dei creditori pubblici qualificati)  e le nuove procedure di composizione assistita della crisi[9]; ma ancor prima era la nuova governance che delineava moderni contenuti della diligenza gestoria: l’obbligo di adottare misure ed assetti idonei a rilevare tempestivamente lo stato di crisi e di assumere senza indugio le iniziative necessarie a farvi fronte (art. 2086, comma 2, c.c.), che sopravanzava la tradizionale logica conservativa, più riduttiva, di non aggravare il dissesto.  Un obbligo di portata generale che esorbitava anche dal semplice utilizzo degli strumenti di regolazione della crisi o dell’insolvenza. I doveri della tempestività della rilevazione e della prontezza dell’intervento, infatti, quali doveri della prevenzione e della gestione appropriata della crisi finivano per costituire canoni generali della diligenza dellimprenditore (art. 3 del CCI) che ne anticipavano le ulteriori declinazioni nelle successive fasi secondo parametri tradizionali (art. 4 CCI). Un rafforzamento della complessiva responsabilizzazione degli amministratori che rappresentava la definitiva positivizzazione di orientamenti giurisprudenziali già consolidati[10]. Tanto centrale era  il rispetto della ricognizione pronta e fattiva della crisi che su di essa doveva concentrarsi anche l’attenzione specifica degli organi di controllo, accrescendone le responsabilità e le evenienze in cui ne è obbligatoria la costituzione nelle s.r.l.  Nelle trattative, nelle procedure di regolazione della crisi e dell’insolvenza e nell’esecuzione degli accordi i parametri della diligenza gestoria erano costituiti dal dovere di rappresentare la propria situazione economica  in modo completo, veritiero e trasparente (fornendo, in tal modo,  ai creditori tutte le informazioni necessarie ed appropriate allo strumento di regolazione della crisi o dell’insolvenza prescelto), dal dovere di assumere tempestivamente le iniziative idonee alla rapida definizione della procedura, anche al fine di non pregiudicare i diritti dei creditori, nonché dal dovere di gestire il patrimonio o l’impresa durante la procedura di regolazione della crisi o dell’insolvenza nell’interesse prioritario dei creditori

Poi, d’improvviso, tutto è mutato. L’entrata in vigore della riforma è stata rinviata.

 Il decreto legge 8 aprile 2020, n. 23, recante «misure urgenti in  materia di accesso  al credito e di adempimenti fiscali  per  le imprese, di  poteri speciali nei settori strategici, nonché interventi in materia di salute e lavoro, di proroga di termini amministrativi e processuali» (in breve, il nostro decreto liquidità) ha inibito la vigenza di alcune regole coessenziali alla tempestiva rilevazione e gestione della crisi di impresa.  Le ragioni addotte sono note[11];  creduta, o meno, che sia la loro fondatezza  o anche solo  la corrispondenza con la realtà[12].  Certo è che dobbiamo parlare all’imperfetto di una riforma mai entrata in vigore. Non ancora, almeno, e chissà per quanto…

  • 1.3. Lobiettivo della ricerca ed il punto fermo:  le fattispecie penalfallimentare restano temporaneamente incise, ma non definitivamente travolte dal D.L. liquidità.     

Lo scopo dell’analisi è assai contenuto. Si tratta di verificare in termini più approfonditi la portata della “moratoria” di alcune regole societarie (artt. 6-8, 10 D.L. n. 23/2020), in modo da saggiarne i riflessi penalistici. Sullo sfondo, si mira a chiarire se la ricerca della certezza giuridica nel contesto societario — che poi è in grande parte rassicurazione agli imprenditori di poter disporre di tempo per assumere scelte ponderate, scopo  dichiarato dell’intervento — costituiscano risultati conseguibili o se si pongano all’origine di un quadro normativo vieppiù confuso nel quale a nuovi valori civilistici si contrappongono vecchi disvalori penalistici. Occorre tralasciare l’analisi di altri temi spinosi, come quelli connessi all’erogazione del credito a favore di imprese immeritevoli e delle possibili responsabilità, non solo civili, degli operatori finanziari; per esse si rinvia ad altre riflessioni[13], da calibrare alla luce della forte spinta normativa a finanziare rapidamente (art. 1 D.L. liquidità).

Senza anticipare gli esiti della verifica, si possono anteporre alcuni punti fermi.

Resteranno insoddisfatti coloro che aspirano ad un ordinamento giuridico  coerente, nel quale le nuove tendenze del diritto civile siano assecondate inevitabilmente da quelle del diritto penale. Le ragioni o le colpe – punti di vista… – di questa situazione, però, non sono del legislatore della decretazione di urgenza; o comunque non solo.

La tutela penale della crisi di impresa, infatti, per tradizione nazionale, non ha funzione esclusivamente sanzionatoria dei precetti civili; anche quando si raccorda con essi,  il diritto penale può fondare peculiari disvalori, che sopravanzano quelli scaturenti dal diritto civile. Per spiegarlo, basti dire che il diritto penale fallimentare contrasta concreti pericoli di pregiudizio delle aspettative dei creditori; sennonché, quando le condotte che li generano si traducono in atti negoziali, il diritto penale si trova necessitato alla repressione (non si ravvisano reati a querela), mentre la normativa civilistica affida al creditore “frodato”, entro certe condizioni, la disponibilità della rimozione degli effetti, senza il corredo della sanzione più severa[14]. Un pagamento preferenziale, di rilievo penale, così, può non essere suscettibile di revocatoria fallimentare o civile, anche per volontaria inerzia del creditore leso. In definitiva, il diritto societario e quello civile(nei casi che si esamineranno, per la crisi rivelata dalla riduzione del patrimonio netto oltre soglie normativamente definite, degli artt. 2446-2447 c.c. per le s.p.a., o degli artt. 2482-bis e 2482-ter c.c. per le s.r.l.) non sono le fonti esclusive dei criteri comportamentali nella materia; alcuni di essi originano  direttamente dalle fattispecie penali fallimentari che si confrontano con i profili della crisi finanziaria ed in particolare con l’aggravamento del dissesto (cfr. art. 217, comma 1, n. 4, art. 223, comma 2,  nn. 1, 224 L.F.) o con la causazione del fallimento (cfr. art. 223, comma 2, nn. 2, L.F.).  I contenuti della diligenza e le condizioni della responsabilità dei gestori e dei tutori trovano, così, fonte nel diritto civile societario, ma non meno delle norme penal-fallimentari,  indisponibili. Ed avviene anche il contrario[15]. Qui sta il punto. La disponibilità della tutela civile non facilmente convive con l’obbligatorietà della protezione  penale. 

I meccanismi di integrazione tra norma civile e norma penale sono assai complessi da definire ed ancor più da governare. In termini corrispondenti, complicati sono gli effetti della successione delle norme extrapenali sulle fattispecie penal-fallimentari.  Partendo dalla necessità  di condurre l’indagine facendo riferimento alla fattispecie astratta[16], può rivelarsi arduo riconoscere per le norme extrapenali autentica natura integratrice  del precetto penale[17]; piuttosto agevole è solo, forse, per le norme definitorie o  quelle integratrici del norme penali in bianco; solo, in tal caso, infatti, in presenza di intervento demolitorio[18], puòipotizzarsi  un effetto abrogativo connesso al mutamento nella disciplinadi un elemento costitutivo del fatto tipico.  

Il campo delle fattispecie incriminatrici fallimentari è un campo elettivo per saggiare tale difficoltà: lo dimostrano i contrasti insorti nel settore nel qualificare le norme civili quali meri elementi normativi[19], o disposizioni integratrici che non incidono sulla strutturadella fattispecie  penale, insuscettibili di importare alcuna abrogazione; ovvero come norme appieno costitutive del precetto penale, la modifica delle quali può rivestire effetto abrogativo.  

Così è stata esclusa l’abolitio criminis del reato di bancarotta del piccolo imprenditore (che il d. lgs. n. 5/2006 ha sottratto alla procedura fallimentare), in relazione a fatti commessi sotto la previgente normativa[20].   Parimenti, in relazione all’incidenza della modifica dell’art. 2358 c.c. ad opera del D.Lgs. 4 agosto 2008 n. 142 (relativa alla possibilità per la società di accordare prestiti o fornire garanzia per l’acquisto o la sottoscrizione delle proprie azioni) sul reato di bancarotta fraudolenta mediante operazioni dolose è stata disconosciuta la retroattività della disciplina favorevole ex art. 2, comma 4, c.p.  qualificandosi  norme integratrici del precetto penale ma non incidenti sulla struttura essenziale del reato e quindi sulla fattispecie tipica;  insomma, una variazione del contenuto del precetto penale[21] non basta ad abrogarlo. Ancora, la soppressione, a seguito della modifica dell’art. 2478 cod. civ. recata dall’art. 18 del D.L. n. 185 del 2008 conv. nella l. n. 2 del 2009, dell’obbligo per le società a responsabilità limitata di tenere il libro dei soci, è stata ritenuta irrilevante ai fini della configurabilità del reato di bancarotta fraudolenta documentale, in relazione alle condotte tenute nel periodo precedente alla modifica normativa; le norme del codice civile che individuano gli obblighi contabili dell’imprenditore commerciale (cui implicitamente rinvia la norma incriminatrice), non sembrano  integrare il precetto penale, ma definiscono un elemento normativo della fattispecie , cosicché i relativi fenomeni successori risultano irrilevanti[22]. Inoltre,  sono considerati tuttora rilevanti penalmente i fatti di bancarotta per i quali sia intervenuta la dichiarazione d’ufficio del fallimento, preclusa a dal D.Lgs. n. 5 del 2006[23] e non sono considerate norme integratrici del contenuto del precetto penale le norme civilistiche degli artt. 10 e 11 R.D. 16 marzo 1942, n.267[24]; onde le vicende relative alle predette norme si stimano ininfluenti rispetto al fatto di reato anteriormente commesso.

L’effetto abrogativo, invece, può ipotizzarsi solo in caso di modifica sostanziale di un presupposto di base della condizione che conduce alla dichiarazione di fallimento, quale la qualità di imprenditore soggetto a fallimento o di un intero istituto a ciò preordinato. E’ quanto riconosciuto per l’abrogazione dell’amministrazione controllata quale presupposto del fallimento[25] e del connesso reato di bancarotta societaria connessa.  

Nel caso che occupa le previsioni del D.L. n. 23/2020 non rivestono effetto abrogativo di nessun reato fallimentare; non demoliscono alcun elemento costitutivo dei fatti tipici che interessano e delle quali ci occuperemo. Questo non significa che la loro operatività non resterà incisa per il tempo di vigenza dell’eccezionale intervento. Senza, dunque, ipotizzare modifiche mediate stabili,  è certa una temporanea riduzione contenutistica della protezione penale.  Vediamone, per quanto possibile,  i termini più specifici.

  2. La crisi del capitale sociale e le fattispecie penalifallimentari .  

  • 2.1. La previsione del D.L. liquidità sui doveri funzionali a rimediare alla crisi di capitale e le ragioni delle sospensioni e delle deroghe.

In base all’art. 6 del D.L.  n. 23/2020 (Disposizioni temporanee in materia di riduzione del capitale) «a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto e fino alla data del 31 dicembre 2020 per le fattispecie verificatesi nel corso degli esercizi chiusi entro la predetta data non si applicano gli articoli 2446, commi secondo e terzo, 2447, 2482-bis, commi quarto, quinto e sesto e 2482-ter del codice civile. Per lo stesso periodo non opera la causa di scioglimento della società per riduzione o perdita del capitale sociale di cui agli articoli 2484, primo comma, numero 4), e 2545-duodecies del codice civile».

Come segnala la relazione tecnica che ha accompagnato il D.L. liquidità la norma è tesa «ad evitare che le perdite di capitale, dovute alla crisi da Covid-19 e verificatesi nel corso degli esercizi chiusi al 31 dicembre 2020, pongano gli amministratori di imprese nelle condizioni di immediata messa in liquidazione, con perdita della prospettiva di continuità per imprese anche performanti e con il rischio di esporsi alla responsabilità per gestione non conservativa ai sensi dell’articolo 2486 del codice civile».  La stessa relazione osserva che «resta comunque ferma la previsione in tema di informativa ai soci, prevista per le società per azioni» e dunque le previsione del primo comma dell’art. 2446 c.c. in casi di riduzione oltre il terzo che non importa la riduzione al di sotto del capitale sociale .

Inoltre l’art. 10 (Disposizioni temporanee in materia di ricorsi e richieste per la dichiarazione  di fallimento e dello stato di insolvenza) del D.L. n. 23/2020 prevede: «[1] Tutti i ricorsi ai sensi degli articoli 15 e 195 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 e 3 del decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270 depositati nel periodo tra il 9 marzo 2020 ed il 30 giugno 2020 sono improcedibili. [2]  Le disposizioni di cui al comma l non si applicano alla richiesta presentata dal pubblico ministero quando nella medesima è fatta domanda di emissione dei provvedimenti di cui all’articolo 15, comma ottavo, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267. [3] Quando alla dichiarazione  di improcedibilità  dei ricorsi  presentati  nel  periodo di cui al comma  1 fa seguito la dichiarazione di fallimento, il periodo di cui al comma  l non viene computato nei termini di cui agli articoli 10 e 69 bis del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267».  A tale riguardo, la relazione ministeriale illustrativa assume «indispensabile, per un periodo di tempo limitato sottrarre le imprese ai procedimenti finalizzati allapertura del fallimento e di procedure anch’esse fondate sullo stato di insolvenza. Ciò per una duplice ragione: da un lato per evitare di sottoporre il ceto imprenditoriale alla pressione crescente delle istanze di fallimento di terzi e per sottrarre gli stessi imprenditori alla drammatica scelta di presentare istanza di fallimento in proprio in un quadro in cui lo stato di insolvenza può derivare da fattori esogeni e straordinari, con il correlato pericolo di dispersione del patrimonio produttivo, senza alcun correlato vantaggio per i creditori dato che la liquidazione dei beni avverrebbe in un mercato fortemente perturbato; dall’altro bloccare un altrimenti crescente flusso di istanze in una situazione in cui gli uffici giudiziari si trovano in fortissime difficoltà di funzionamento».

Misura eccezionale e temporanea di durata ristretta ma a valenza generale che, secondo la relazione illustrativa,  si spiega alla luce della estrema «difficoltà, nella situazione attuale, di subordinare la riconducibilità o meno dello stato di insolvenza allemergenza epidemiologica determinata dal diffondersi del COVID-19». Accertamento ritenuto nell’immediato incompatibile con la situazione di emergenza[26]. L’improcedibilità si estende a tutte le ipotesi di ricorso, e quindi anche ai ricorsi presentati dagli imprenditori in proprio, «in modo da dare anche a questi ultimi un lasso temporale in cui valutare con maggiore ponderazione la possibilità di ricorrere a strumenti alternativi alla soluzione della crisi di impresa senza essere esposti alle conseguenze civili e penali connesse ad un aggravamento dello stato di insolvenza che in ogni caso sarebbe in gran patte da ricondursi a fattori esogeni». L’improcedibilità opera anche per la richiesta del P.M., salvo che contenga la domanda  di emissione dei provvedimenti cautelari o conservativi di cui all’art. 15, comma 8, L. fall[27].

Allo scopo di evitare preclusioni irreversibili rispetto alla proposizione delle istanze nei confronti delle imprese cancellate o riflessi negativi  sulle tutele della par condicio creditorum, il terzo comma dell’art. 10 cit. prevede la sterilizzazione del periodo di “blocco” sia  ai  fini  del  calcolo  dell’anno decorrente dalla cancellazione dal registro delle imprese sia ai fini del calcolo dei termini stabiliti dall’articolo 69 bis del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 per la proposizione delle azioni revocatorie. Non senza suscitare qualche perplessità, ricollega tale effetto, almeno letteralmente,  alla dichiarazione di improcedibilità del ricorso o della richiesta, riconoscendo l’utilità della presentazione di ricorsi o richieste prive della pratica prospettiva di effettiva trattazione ma funzionali ad non incorrere nelle preclusioni anzidette[28].     

  •    2.2. Le ragioni delle regole sospese.

La disciplina della riduzione del capitale per perdite (artt. 2446−2447, 2482−bis–2482−ter c.c.) coinvolge tutti gli organi di governo e di controllo della società, già dal momento in cui insorge l’obbligo di convocazione dell’assemblea; ciò a rimarcare che non è solo lamministratore il beneficiario della moratoria, ma una vasta platea di professionalità che lo assistono in una fase critica dell’impresa societaria. L’attività di tali soggetti viene vagliata secondo criteri di celerità (“senza indugio”) [29] per assicurarne una intensa responsabilizzazione che può avere anche sfoghi penali. 

Le disposizioni sulla riduzione per perdite mirano ad assicurare la corrispondenza tra il capitale sociale ed il patrimonio della società, imponendo, in caso di sensibile sopravvenuto squilibrio, la riduzione del primo al fine di adeguarlo al secondo[30] e, così, garantire, entro certi limiti, l’effettività del capitale indicato.

Che il capitale sia garanzia reale di solvibilità, a ben vedere, si potrebbe anche discutere, se è vero che lo stesso legislatore,  nel 2014, ha ridotto, ad un terzo, quello minimo delle s.p.a.,  forma più complessa di società di capitale o addirittura previsto, con il D.L. liberalizzazione n. 1/2012,  le s.r.l. semplificate con capitale pari ad un euro. Probabilmente, poi, pochi fornitori contraggono obbligazioni esaminando il capitale sottoscritto e versato, in luogo di altri indici significativi della redditività dell’impresa. La ratio della norma è pur sempre la doverosa tutela dei soci e dei terzi aventi causa[31], anche per contrastare il pericolo di spregiudicate manovre da parte degli amministratori nel momento in cui la società è priva di tutto, o della maggior parte, del proprio capitale sociale[32]. In ogni caso, la perdita dell’effettività del capitale indicato, per quanto nominalistica, può costituire condizione sintomatica di ben maggiori difficoltà finanziarie, come è noto considerando l’esperienza di “manovre” di bilancio volte a nascondere la realtà della perdita. 

Ove lo squilibrio, a seguito di perdite, superi la soglia di tolleranza fissata, gli amministratori o il consiglio di gestione e, nel caso di loro inerzia, il collegio sindacale o il consiglio di sorveglianza, devono senza indugio convocare l’assemblea affinché prenda gli opportuni provvedimenti. Chiarito che la perdita di oltre un terzo di rilievo non è quella risultante, come esercizio negativo, dal conto economico, ma quella che determina un disavanzo nella situazione patrimoniale[33],  va precisato che la stessa deve essere accertata al netto delle riserve (statutarie, facoltative e legali), che potrebbero essere esaurite o assorbite prima[34], oltre che  degli utili non distribuiti[35].

Ove il capitale diminuisca di oltre un terzo in conseguenza di perdite, dunque, scattano a carico dei gestori e dei controllori delle società doveri informativi verso i soci: dovrà essere convocata senza indugio l’assemblea per gli opportuni provvedimenti[36], redatta una relazione sulla situazione patrimoniale della società[37] e dato conto in assemblea degli eventuali fatti rilevanti[38] avvenuti dopo la redazione della prima. La relazione dovrà essere integrata dalle osservazioni dell’organo di vigilanza[39] e i due documenti dovranno essere depositati nella sede della società durante gli otto giorni che precedono l’adunanza.  Tali incombenti mirano ad assicurare la più ampia informazione dei soci ed innervano il primo comma dell’art. 2446, c.c., lasciato in vigore dal decreto liquidità, ma separato dai doveri di gestione fattiva della crisi di capitale. Si rammenta , in proposito, che, ai sensi dell’art. 2631 c.c., l’omessa convocazione dell’assemblea nei casi prescritti dalla legge concreta un illecito amministrativo.

Ad essere poste in temporanea quiescenza, infatti, sono le altre previsioni dell’art. 2446 c.c., che fondano i doveri di rimediare fattivamente alla sottocapitalizzazione.   Ai soci convocati,  non è fatto obbligo di procedere immediatamente alla riduzione del capitale di fronte alle perdite emerse, potendo non assumere la correlativa delibera ed adottare diversi provvedimenti (come, ad esempio, operazioni di ripianamento, quali l’accollo della perdita da parte dei soci, la remissione di crediti, e così via), ovvero rimanere inerti nella convinzione di un riassorbimento successivo. Tale libertà di scelta, tuttavia, trova un limite temporale costituito «dallanno di grazia»[40]. Se, infatti, entro l’esercizio successivo la perdita non risulta diminuita a meno di un terzo, l’assemblea ordinaria o il comitato di sorveglianza che approva il bilancio di tale esercizio deve ridurre il capitale in proporzione alle perdite accertate. Nel caso di riduzione obbligatoria prevista dall’art.2446 c.c., comma 2, c.c., secondo un primo indirizzo, la riduzione del capitale sociale e la successiva ricapitalizzazione spetterebbe all’assemblea ordinaria, mentre per diversa opinione andrebbe deliberata dall’assemblea straordinaria[41]. Nelle compagini che abbiano emesso azioni senza valore nominale la riduzione del capitale può essere deliberata dal consiglio di amministrazione (art. 2446, comma 3, c.c.) ove ciò sia previsto dallo statuto, da una sua modificazione ovvero da una deliberazione adottata con le maggioranze previste per l’assemblea straordinaria. In mancanza della delibera di riduzione obbligatoria, gli amministratori e i sindaci[42] dovranno chiedere al tribunale che venga disposta la riduzione del capitale in proporzione alle perdite accertate. Il tribunale,  in composizione collegiale, provvederà, sentito il pubblico ministero, secondo le norme relative ai procedimenti in camera di consiglio, con decreto soggetto a reclamo che dovrà essere iscritto nel registro delle imprese a cura degli amministratori.

Ove in conseguenza delle perdite il capitale sia sceso addirittura al di sotto del minimo legale, vige la disciplina più rigorosa dell’art. 2447 c.c.[43]; anchessa ora sospesa dal D.L. liquidità. In tal caso, infatti, gli amministratori (o il consiglio di gestione) e, in caso di loro inerzia, il collegio sindacale[44] (o il consiglio di sorveglianza) dovrebbero, senza indugio, convocare l’assemblea per deliberare la riduzione del capitale ed il contemporaneo aumento del medesimo ad una cifra non inferiore al detto minimo, o la trasformazione della società[45]. L’assemblea  convocata, qui certo quella straordinaria[46], accertate la perdita, dovrebbe  deliberare, con le maggioranze previste per le modifiche statutarie, la riduzione ed il contestuale aumento, ovvero la trasformazione della società, essendole precluso  qualsiasi temporeggiamento, in attesa dei risultati dell’esercizio successivo; l’integrità del capitale, infatti, è lesa in misura non tollerabile[47] o almeno, sinora reputata tale.  I soci dovranno scegliere immediatamente, quindi, se assicurare la prosecuzione dell’attività, riportando il capitale sociale al di sopra del minimo legale, ovvero trasformare la compagine in un’altra tipologia societaria per la quale è prescritto un capitale minimo inferiore[48]. In assenza di siffatte deliberazioni, la società si scioglierà (art. 2484, n. 4, c.c.)[49].

  • 2.3. Le deroghe già conosciute e quelle attese.

Ai sensi dell’art. 182-sexies l.fall.(Riduzione o perdita del capitale della società in crisi)[50]  «[1] Dalla data del deposito della domanda per lammissione al concordato preventivo, anche a norma dell’articolo 161, sesto comma, della domanda per l’omologazione dell’accordo di ristrutturazione di cui all’articolo 182-bis ovvero della proposta di accordo a norma del sesto comma dello stesso articolo e sino all’omologazione non si applicano gli articoli 2446, commi secondo e terzo, 2447, 2482-bis, commi quarto, quinto e sesto, e 2482-ter del codice civile. Per lo stesso periodo non opera la causa di scioglimento della società per riduzione o perdita del capitale sociale di cui agli articoli 2484, n. 4, e 2545-duodecies del codice civile.  [2] Resta ferma, per il periodo anteriore al deposito delle domande e della proposta di cui al primo comma, l’applicazione dell’articolo 2486 del codice civile».  

Viene in rilievo una protezione che si applica a procedure concorsuali o comunque a situazioni di trasparente gestione delle crisi, con coinvolgimento dei creditori e dell’autorità giudiziaria, alla quale vengono affidati diversificati spazi di controllo. Chiara la diversità di contesto e trasparenza  rispetto alla previsione del D.L. liquidità.

La moratoria vige nel caso di concordati liquidatori o con continuità aziendale (ma secondo alcuni non per quelli con riserva[51]) e spiega la sua efficacia dalla data del deposito della domanda di concordato sino alla sua omologazione; dopo di che, ovvero dopo il passaggio in giudicato del decreto di omologazione, tornano pianamente in vigore le norme in tema di riduzione del capitale sociale per perdite, gli obblighi degli amministratori e l’operatività della causa di scioglimento[52]. In altri termini la presentazione della domanda di concordato comporta il differimento dell’obbligo di intervenire sul capitale e determina la necessità di verifica della permanenza della causa di scioglimento solo all’esito della procedura di concordato[53]. Analogamente avviene dal deposito della domanda per l’omologazione dell’accordo di ristrutturazione di cui all’articolo 182-bis L. fall. ovvero della proposta di accordo a norma del sesto comma dello stesso articolo e sino all’omologazione.

Un’altra deroga già in vigore, limitata al secondo comma dell’art. 2446 ed all’art. 2447 c.c., è prevista per le start-up innovative.  Il comma 1 dellart. 26 del d.l. 179/2012, in particolare, prevede per tali soggetti economici un’estensione di ulteriori dodici mesi del “rinvio a nuovo” delle perdite e, nelle ipotesi più gravi, nelle quali le perdite arrivino ad intaccare il minimo legale, consente il differimento della ricapitalizzazione alla chiusura dell’esercizio successivo. In pratica, per le imprese innovative: (i) in caso di perdite superiori a un terzo del capitale sociale, è possibile, senza ridurre il capitale, riportare la perdita sotto tale limite entro il secondo esercizio successivo a quello in cui si è verificata (anziché entro il primo esercizio successivo); (ii) in caso di perdite che riducano il capitale sociale al di sotto del minimo legale, le società innovative possono attendere la chiusura dell’esercizio successivo per deliberare la riduzione del capitale e il contemporaneo aumento dello stesso a una cifra non inferiore al minimo legale, oppure trasformare o liquidare la società (anziché farlo immediatamente).

 Anche  il D.Lgs. 12.1.2019, n. 14 (la cui vigenza è prorogata al 1° settembre 2021 dall’ art. 5, D.L. 8.4.2020, n. 23, c.d. Decreto Liquidità)  ipotizzava di conservare le deroghe espresse alle norme in esame. Per gli artt. 20, 64 e 89 CCII, nell’ambito rispettivamente delle procedure di composizione assistita della crisi, di accordi di ristrutturazione e di concordato preventivo, non avrebbero dovuto trovare  applicazione l’art. 2446, comma 2, e 3, 2447, 2482 bis, 4° , 5° e 6° co., 2482 ter, 2484, 1° co., n. 4, e 2545 duodecies c.c.

  •  2.4. Gli effetti penali temporanei.  
  •  2.4.1. In linea generale.

L’inosservanza dei doveri previsti dagli artt. 2446-2447, 2482-bis-2482-ter L.fall. viene all’attenzione del diritto penale fallimentare, in via elettiva, quale componente della condotta delle seguenti fattispecie penal-fallimentari: – la bancarotta impropria per effetto di operazioni dolose ex art. 223, comma 2. n. 2, L.fall.;  – la bancarotta prevista a carico di amministratori, direttori generali e sindaci di società dall’art. 224, n. 2 L. fall.; – la bancarotta semplice prevista dall’art. 217, comma n. 4, richiamata dall’art. 224, n. 1, L. fallimentare.  

L’inosservanza ai doveri di cui si parla, d’altro canto, può costituire il terreno fertile per altre figure delittuose, come le due ipotesi di bancarotta semplice previste allart. 217, comma primo, nn. 2 e 3, L.fall. (relative, rispettivamente, alla consumazione del patrimonio in operazioni di pura sorte o manifestamente imprudenti ed al compimento di operazioni di grave imprudenza per ritardare il fallimento)[54], quando non quelle più gravi della bancarotta fraudolenta[55], anche per dissipazione[56],  o preferenziale.

Restando all’immagine del terreno fertile, infatti, leiniziative dell’imprenditore vanno valutate con criteri diversi a seconda che concernano un’impresa in bonis o in stato prefallimentare. Infatti,  «se nel primo caso la potenzialità offensiva (per il ceto  creditorio) di quelle iniziative deve essere oggetto di puntuale dimostrazione, da  condurre – con giudizio ex ante – con criteri rigorosi e sulla base di elementi  oggettivi (che tengano conto del livello dell’indebitamento, della consistenza patrimoniale dell’impresa e della sua capacità, anche prospettica, di produrre reddito) – poiché trattasi di giudizio che interferisce con i principi dell’autonomia privata, della libertà gestionale e della libera disponibilità dei beni da parte  dell’imprenditore -, e deve investire in pieno la condizione soggettiva di  quest’ultimo, di cui deve essere dimostrata la consapevolezza di recare offesa ai creditori; nell’impresa in stato pre-fallimentare quella valutazione deve necessariamente tenere conto della situazione precaria dell’impresa e della sua  potenziale dissolvenza. Ne consegue – nello scenario da ultimo delineato – che anche iniziative altrimenti legittime possono assumere, per il modo in cui sono attuate, il carattere della illiceità, per i riflessi che hanno sugli interessi del ceto creditorio ».  Da tali previsioni si trae conferma  del fatto «che l’imprenditore in stato di crisi non ha più l’ampia libertà riconosciutagli  dallo statuto dell’impresa, ma, oltre a dover agire con prudenza aggiuntiva, deve, allorché pone in essere tentativi di risoluzione della crisi d’impresa, tenere conto  del particolare contesto in cui si sviluppa la sua attività e delle “opportunità” a lui  offerte  dall’ordinamento (opportunità che rappresentano altrettanti  indici della direzione in cui – secondo il legislatore – è auspicabile si muova); e  comunque astenersi da comportamenti aventi impatto negativo sui diritti dei  creditori: o nel senso di diminuire la garanzia per loro rappresentata dal  patrimonio dell’impresa, o nel senso di attuare politiche discriminatorie tra coloro  che hanno aspettative su quel patrimonio»[57].

  • 2.4.2. La bancarotta da operazioni dolose.
  • 2.4.2.1. Nozioni generali.

L’operazione dolosa richiamata nel corpo della fattispecie penale dell’art. 223, comma 2, n. 2, l.fall. si identifica con abusi di gestione o infedeltàai doveri imposti dalla legge all’organo amministrativo realizzati nell’esercizio della carica ricoperta e concretanti atti intrinsecamente pericolosi per la salute economico-finanziaria della impresa. Non deve necessariamente trattarsi di fatti   costituenti  in  sé  reato,  potendo consistere in qualsiasi  comportamento  del titolare del  potere sociale che, abusando o  rendendosi infedele  alle funzioni  o  violando i doveri  derivanti dalla sua qualità, cagioni  lo stato di decozione al  quale consegua il fallimento.  L’operazione dolosa può tradursi anche in una condotta omissiva produttiva di un depauperamento non giustificabile in termini di interesse per l’impresa[58].  E’ richiesto però un atto strutturalmente articolatoovvero di un complesso di atti, implicanti una disposizione patrimoniale, compiuti da persone preposte all’amministrazione della società, con abuso dei poteri o violazione dei doveri inerenti alla loro qualità, che rechi pregiudizio ai legittimi interessi dell’ente, dei soci, dei creditori e dei terzi interessati. Un fatto di complessità strutturale è riscontrabile in iniziative societarie implicanti un procedimento o, comunque, una pluralità di atti coordinati all’esito divisato[59].  Ciò vale, inoltre, ad identificare la modalità del pregiudizio patrimoniale della fattispecie penale in esame, discendente non direttamente dall’azione dannosa del soggetto attivo (come nel caso della distrazione, dissipazione, occultamento, distruzione) ma, proprio, da un fatto di maggiore complessità strutturale. Diversamente dalla bancarotta fraudolenta patrimoniale —  in cui la condotta distrattiva (o dissipativa) deve consistere in una diminuzione del patrimonio sociale, a prescindere dalla circostanza che abbia determinato il fallimento, che è sufficiente intervenga —  nella bancarotta impropria cagionata da operazioni dolose, queste ultime devono porsi in relazione eziologica con il fallimento; non è necessario, in particolare, l’immediato depauperamento della società, essendo sufficiente la creazione, o l’aggravamento, di una situazione di dissesto economico che, prevedibilmente, condurrà al fallimento della società[60].

Per queste ragioni, la Corte di Cassazione ha tradizionalmente qualificato come  operazione dolosa:  – il protratto, esteso e sistematico inadempimento delle obbligazioni contributive, che, aumentando ingiustificatamente l’esposizione nei confronti degli enti previdenziali, rende prevedibile il conseguente dissesto della società[61]; – la condotta dell’amministratore che dopo aver omesso il versamento delle imposte dovute, gravando così la società di ingenti debiti nei confronti dell’erario, proceda alla distribuzione dei predetti utili a favore dei soci[62];  – i reati societari non ricompresi nell’elencazione dell’art. 223, comma 2, n. 1, L. fall.; –  il ricorso abusivo  al credito; – altri abusi,  tra i quali la  dolosa omissione  della convocazione dell’assemblea  per gli opportuni provvedimenti nel caso di diminuzione del capitale sociale oltre un terzo (art.  2446, comma 1, c.c.).  e di riduzione del capitale  sociale sotto  il minimo  legale (art.  2447 c.c.)[63].

Se nell’ipotesi di causazione dolosa del fallimento, quest’ultimo è specificamente voluto, nel fallimento conseguente ad operazioni dolose lo stesso è l’effetto di una condotta volontaria, ma non intenzionalmente diretta a produrre il dissesto fallimentare, anche se il soggetto attivo dell’operazione ha accettato il rischio della stessa. Nella prima fattispecie il dolo è specifico, nella seconda è generico, non richiedendo la volontà diretta a provocare lo stato di insolvenza, ma solo la coscienza e volontà del comportamento[64]; si pensi al caso del sistematico inadempimento degli obblighi tributari e contributivi. In altri termini, il fallimento determinato da operazioni dolose è un’eccezionale ipotesi di fattispecie a sfondo preterintenzionale, per la quale l’accusa deve unicamente dimostrare la consapevolezza e volontà dell’operazione alla quale segue il dissesto (e non di necessità l’immediato depauperamento), nonché l’astratta prevedibilità (e non evitabilità altrimenti) di tale evento quale effetto dell’azione antidoverosa, ma non la rappresentazione e la volontà dell’evento fallimentare[65].

Infine, quanto all’interruzione del nesso causale tra l’operazione dolosa e l’evento fallimento in presenza di pregressa condotta distrattiva, è escluso che quest’ultima possa ritenersi causa in sé efficiente del dissesto, valendo la disciplina del concorso causale delineata dall’art. 41 cod. penale. Del resto, l’operazione dolosa rileva anche in quanto abbia cagionato solo l’aggravamento di un dissesto già in atto, poiché la nozione di fallimento, collegata al fatto storico della sentenza che lo dichiara, è ben distinta da quella di dissesto, la quale ha natura economica ed implica un fenomeno in sé reversibile[66].

  • 2.4.2.2. Operazioni dolose e doveri ex art. 2446—2447, 2482 bis e 2482 ter c.c. 

Venendo agli obblighi funzionali al contrasto della crisi del capitale sociale, significativa è una recente pronuncia della Corte di Cassazione[67] che ha riconosciuto astrattamente configurabile il reato di fallimento conseguente ad operazioni dolose ex art. 223, comma 2, n. 2, L. fall. in evenienza nella quale agli  amministratori  erano  contestate “omissioni” e attività materiali. Le prime consistevano nel non aver adottato le misure obbligatorie previste dall’art. 2447 c.c. (ossia, versandosi in un’ipotesi di totale azzeramento del capitale sociale, nel non aver, senza  indugio,  convocato l’assemblea per  deliberare la riduzione del capitale ed il  contemporaneo  aumento  del   medesimo  ad   una   cifra   non   inferiore  al   minimo,  o  la trasformazione della  società, mancando altresì di   sollecitare  l’assemblea  dei   soci   per l’adozione dei  provvedimenti ex  art.   2447  c.c.);  le “attività   materiali” consistevano  nel protrarsi delle attività della  società, rivendicata dagli stessi amministratori in nome del mantenimento del “valore” della  società  in vista dell’ingresso  di   nuovi  soci   finanziatori,  senza   alcun   intento  liquidatorio,  in violazione del divieto per  gli  amministratori di  intraprendere  nuove operazioni (già art. 2449 c.c., ora art. 2486, comma 1,[68] c.c.) ; un  comportamento  che,  andando ad aumentare ingiustificatamente l’esposizione della  società  nei  confronti dei terzi, era  idoneo a rendere  prevedibile il dissesto[69]. Avendo presente che nel concetto di nuove operazioni vietate, rientrano, in  particolare, tutti gli atti gestori, diretti non a fini  liquidatori, e quindi alla  trasformazione delle  attività societarie in  denaro destinato al  soddisfacimento dei  creditori e, nei  limiti del  residuo dei soci, ma  al   conseguimento   di   fini    diversi,   quali   ad   esempio   quelli  preordinati  al conseguimento di  nuovi utili, essendo, invece, lecito il  completamento di  attività in corso  destinate  al  miglior  esito   della   liquidazione[70].  

Il reato previsto dall’art. 223, comma 1, n.2  L. fall. è stato ritenuto configurabile[71] anche in evenienza  all’amministratore veniva contestato di aver cagionato  o concorso  a cagionare  il fallimento della  società poiché, pur in  presenza  di una  perdita  di esercizio assai consistente, per sopravvenuta inesigibilità dei crediti, comportante  l’azzeramento  del capitale  sociale,  aveva omesso di esporla nel bilancio e di convocare l’assemblea   dei  soci,  consentendo   così  alla  società  di  continuare   ad  operare, nonostante dovesse  considerarsi in scioglimento  automatico.

 Circa la distinzione con il reato previsto dall’art. 224, comma 1, n. 2  L.fall., è nota l’opinione per cui la convocazione dell’assemblea dei soci ex art.  2447  c.c. rientra tra gli  “obblighi imposti dalla  legge” la  cui  inosservanza può  dar  luogo  a responsabilità penale dell’amministratore ai sensi dell’art. 224,  primo comma, numero 2, L. fall., laddove costituisca causa  o concausa del  dissesto ovvero del  suo  aggravamento[72]. Tuttavia, laddove accanto all’omessa tempestiva convocazione dell’assemblea risultino contestate plurime attività, tra le quali la continuazione nell’attività sociale, viene in rilievo una complessità dell’agire amministrativo che integra un’operazione dolosa. In particolare il protrarsi delle attività della società  secondo impostazione non meramente conservativa o liquidatoria,  in  spregio  del divieto per  gli  amministratori di  intraprendere  nuove operazioni, può costituire comportamento  idoneo a rendere prevedibile il dissesto, andando ad aumentare ingiustificatamente l’esposizione della  società  nei  confronti dei terzi[73].

E’ richiesto, però, che il fallimento sia direttamente causato o concausato dalle operazioni dolose dagli imputati, anche ove esse consistano nella violazione dei  doveri imposti agli  amministratori dagli  artt. 2447  e  2449  c.c. “ratione temporis” vigenti e accompagnate dal dolo tipico. L’intervento di una inversione di tendenza, con netta ripresa in punto di redditività dell’impresa potrebbe porre in crisi la sussistenza del nesso causale e dell’elemento soggettivo tipico, contraddetto da volontà dell’organo amministrativo di garantire la ripresa della società, poi,  effettivamente determinatasi.

  • 2.4.2.3. Operazioni dolose  e D.L. liquidità. 

 Ciò esposto, il D.L. liquidità è destinato ad avere effetti inibitori assai intensi sulla configurabilità del reato di fallimento conseguente ad operazioni dolose ex art. 223, comma 2, n. 2, L. fall.;  per il tempo di vigenza dell’art. 6 cit. (dal 9 aprile al 31 dicembre 2020), infatti, la condotta tipica del reato fallimentare in esame non potrà essere innervata su omissioni degli obblighi collegati alla ricostruzione del capitale, o alla trasformazione o scioglimento sociale ex art. 2446, comma 2, 2447, 2482 bis, commi da 4 a 6, e 2482 ter c.c.,  ora temporaneamente sospesi. Sotto quest’ultimo profilo, è innocuizzato anche un effetto riflesso delle gravi condizioni di sottocapitalizzazione (il verificarsi di una causa di scioglimento della società e dunque l’obbligo di contegni gestori conservativi ex art 2486, comma 1, c.c.), che importerebbe ex sé il pericolo di incriminazione in presenza di nuove operazioni[74].

Nondimeno, non va enfatizzato l’effetto inibitorio in commento. Gli obblighi gestori conservativi ex art. 2486, comma 2, c.c. conseguono anche al verificarsi di altre cause di scioglimento, come nel caso della sopravvenuta impossibilità di conseguire l’oggetto sociale  (art. 2484, comma 1,  n. 2 c.c.)[75] , situazione che,  a sua volta, può  seguire, almeno in via di fatti, alla sottocapitalizzazione ex art. 2484, comma 1,  n. 4, c.c.. Inoltre, integra criterio autonomo quello che impone la prudenza aggiuntiva per gli amministratori in crisi (eventualmente rivelata anche da crisi di capitale) scaturente dalle norme penali fallimentari che criminalizzano temporeggiamenti  inutili o iniziative nuove idonee ad aggravare il dissesto fallimentare.  Infine, non del tutto rare saranno falsità delle scritture contabili e nei bilanci finalizzate ad occultare la sottocapitalizzazione per proseguire nell’attività ordinaria che,  come detto,  possono integra “operazioni dolose” suscettibili di concorrere a cagionare il dissesto fallimentare.  

  • 2.4.3. La bancarotta ex art. 224, comma 1,  n. 2 L.fall.
  • 2.4.3.1. Nozioni generali.

L’art. 224, comma 1, n. 2, RD 267/42 punisce la condotta dei soggetti della bancarotta impropria (amministratori, direttori generali, sindaci e liquidatori di società dichiarate fallite), i quali abbiano concorso a cagionare od aggravare il dissesto della società con inosservanza degli obblighi ad essi imposti dalla legge. Si tratta di un reato di evento, rappresentato dal dissesto societario (o dal suo aggravamento) causalmente riconducibile alle condotte, sia attive che omissive,  poste in essere dagli autori tipici.  E’ stato in proposito efficacemente osservato che « l’art.   224   l.f.  non  è norma sanzionatoria  degli  obblighi  di  cui agli  artt.   2482-bis e 2482-ter, in  quanto  considera l’inosservanza  degli  stessi  non  in  quanto  tale  ma  soltanto  ove  ne derivi  il  successivo dissesto.  La condotta tipizzata  dalla norma  è allora  identificabile con qualsiasi  elusione sostanziale   dell’obbligo  che   si                                 ponga         in   termini causalmente efficienti   rispetto all’evento»[76].    

Tra gli obblighi di legge sono compresi anche i doveri imposti dall’atto costitutivo, dallo statuto, dalle deliberazioni assembleari prese in conformità alla legge e all’atto costitutivo e attinenti alla vita dell’ente sociale (si pensi allo scioglimento anticipato o la trasformazione della società, alla presentazione della domanda di concordato preventivo»)[77].  Deve trattarsi di obblighi funzionali alla conservazione della garanzia patrimoniale.

Tra le trasgressioni di obblighi rilevanti ai fin in analisi si annoverano: (i) per i sindaci, l’omesso controllo da parte dell’amministrazione della società ex art. 2403 c.c.;  (ii) per i liquidatori, l’ina­dempimento dell’obbligo di prendere in consegna i beni e i documenti sociali ex art. 2277 c.c.  o la trasgressione del divieto ex art. 2279 c.c. di intraprendere nuove operazioni; (iii) per gli amministratori, l’inadempimento degli obblighi previsti dagli artt. 2391, 2391-bis e 2392 c.c., dell’obbligo di convocazione dell’assemblea dei soci exart. 2447 c.c (riduzione del capitale sociale al di sotto del limite legale),  l’inosservanza  dell’art. 2344 c.c. (per il caso di mancato pagamento delle quote), l’esercizio di un’attività di concorrenza per conto proprio o di terzi ex art. 2390 c.c., l’omissione del controllo sull’an­damento della gestione sulla base delle relazioni degli organi delegati.  

Sul versante della distinzione con altre ipotesi delittuose, la trasgressione degli obblighi  ex art 224, comma 2, n. 2, cit. risulta collegata ad comportamenti colposi, ponendosi  altrimenti  problemi di delimitazione  con la fattispecie della bancarotta impropria per effetto di operazioni dolose, specie se l’inosservanza sia accompagnata dalla consapevolez­za di porsi in contrasto con l’interesse della società e dei creditori sociali, in relazione a dissesto accettato, anche in via eventuale.  Dubbi sussistono sul rapporto con la fattispecie prevista dal n. 4 dell’art. 217 L.  fall. Si è ritenuto, in proposito, che l’art. 217 L. fall. fall. esige una colpa grave, mentre l’art. 224 L. fall. una colpa generica, vale a dire una imprudenza, negligenza o imperizia, per inosservanza di obblighi imposti dalla legge, realizzate con qual­siasi grado di intensità. 

  • 2.4.3.2.  Inosservanza degli obblighi imposti dalla legge generativa di  dissesto e doveri ex art. 2446—2447, 2482 bis e 2482 ter c.c. 

 Per  consolidata opinione la  mancata  attivazione dei  rimedi previsti dall’art. 2447 cc. (in particolare l’omessa convocazione  dell’assemblea dei soci ex art.  2447  cod.  civ.  in presenza  di una riduzione  del capitale  sociale al di sotto  del limite  legale), rientrando  tra  gli   “obblighi   imposti   dalla   legge”,  può consentire  la  prosecuzione dell’attività della società, così da configurare responsabilità penale ai sensi dell’art. 224, comma 1, n.  2, L. fall. quale causa o concausa del dissesto ovvero  del suo aggravamento[78].  

Il  reato sussiste anche quando la condotta  illecita,  consistente  nell’omissione  di adempimenti previsti  dalla  legge a  tutela dell’integrità  del  patrimonio, abbia  concorso  a  determinare solo un aggravamento del dissesto già in atto della società[79], non  interrompendo  il rapporto di  derivazione causale l’intervento di  fattori  sopravvenuti ex  sibus inidonei a determinare, in via esclusiva, l’evento ex art.  41 c.p..  E’ punito, infatti, anche l’incremento di un deficit economico della società e non solo il causarne il dissesto nella misura originaria: l’omessa o intempestiva adozione dei provvedimenti di cui all’art. 2482  ter  c.c.  può ben valere ad aggravare il dissesto già creato da altri[80].

  • 2.4.2.3. Inosservanza degli obblighi imposti dalla legge generativa di   dissesto e D.L. liquidità.

Anche in tal caso il d.l. liquidità avrà effetto inibitorio assai intenso sulla configurabilità del reato in esame; il decreto esclude (almeno sino al 31.12.2020) l’antidoverosità delle omissioni che, più frequentemente possono aggravare il dissesto; vale a dire quelle corrispondenti ai  doveri sospesi, più che a quelle informative (art. 2446, comma 1, 2482—bis, comma 1, c.c.),  tuttora vigenti. 

 Nondimeno, recenti sentenze della Corte di Cassazione hanno riferito all’inadempimento degli doveri informativi l’attitudine a porsi quale causa di aggravamento dei dissesto ex art. 224, comma 1,  n. 2,  L. fall.. Nella sentenza n. 11311/2020 rispetto all’art. 2482 bis, c.c. si è rimarcato come il  primo  obbligo in  ordine  logico  funzionale è quello  di convocare  l’assemblea  dei  soci,  il quale, «per  il rilievo   che  assume  nella  vita  della  società  e  per  il  valore  di  presidio   anticipato  delle ragioni  dei creditori è annoverabile tra gli “obblighi imposti  dalla legge”, la cui inosservanza può dar luogo  a  responsabilità  penale  dell’amministratore ai  sensi  dell’art.  224,  primo   comma, numero  2, della  legge  fallimentare, quando  costituisca   causa o concausa  del dissesto  ovvero del suo aggravamento»[81].                                

Con la sentenza n. 13/2020, poi, è stata confermata la condanna per il delitto ex art 224/1 n. 2 L. fall. integrato attraverso il mancato adempimento dell’obbligo di convocare l’assemblea per adottare i provvedimenti conseguenti  alla   perdita   del  capitale sociale, in presenza di attivo  patrimoniale inesistente, in quanto indicato in bilancio senza tenere conto della necessaria svalutazione di rimanenze e crediti poi operate successivamente al fine di accedere al concordato preventivo[82].

  • 2.4.4. La bancarotta ex art. 224, comma 1,  217 comma  1,  n. 4 L.fall.
  • 2.4.4.1. Nozioni generali.

A norma  dell’art. 217,  comma   l,  n.  4 L. fall.,  è  punito   con   la  reclusione  da   sei   mesi   a  due   anni,   se  è  dichiarato fallito, l’imprenditore che, fuori  dai casi preveduti nell’articolo 216 della  stessa legge, ha aggravato il proprio dissesto, astenendosi dal   richiedere  la  dichiarazione  del proprio fallimento o con  altra  grave  colpa.  L’art. 224, comma 1, n. 1, L. fall. estende la previsione agli amministratori, ai direttori generali, ai sindaci ed ai liquidatori di società dichiarate fallite.

L’incriminazione    mira   a   evitare    che    l’esercizio   continuato dell’impresa in presenza di una situazione di obiettiva impossibilità di fare fronte alle proprie obbligazioni possa prolungare e dunque aggravare lo stato di perdita. L’evento è l’aggravamento del dissesto[83] provocato per colpa  grave o per la  mancata richiesta  di fallimento; rileva il  deterioramento  della complessiva  situazione economico-finanziaria dell’impresa fallita,  ma non basta l’aumento  di  alcune  poste    passive[84]; d’altro canto, nel caso di ritardata richiesta di fallimento, è sufficiente che l’aggravamento del dissesto dipenda dal semplice ritardo nell’instaurare la concorsualità, non essendo richiesti ulteriori comportamenti concorrenti[85].     

Per stimare la gravità della colpa del contegno omissivo serve individuare il momento in cui si è delineato lo stato di insolvenza, vale a dire l’incapacità di soddisfare con mezzi ordinari le proprie obbligazioni, secondo la previsione dell’art. 5 della  L. fall., posta  in rilievo dalle perdite e  dall’inoperatività  della   società; da tale momento va calcolata la durata del comportamento omissivo. È stato a lungo discusso se il requisito della colpa grave fosse riferibile  unicamente alle  altre  condotte  — diverse dall’avere  omesso  o  ritardato la richiesta tempestiva del fallimento —  oggettivamente  orientate  all’aggravamento  del   dissesto,   o  se  esso,   invece, connotasse  tutti i fatti  riconducibili alla  previsione incriminatrice delineata   dall’art.217  L.fall.  Da ultimo, nella giurisprudenza della Quinta sezione penale della Cassazione ha trovato spazio l’orientamento per il quale anche l’omissione della tempestiva richiesta  deve  essere  sorretta  dal coefficiente  psicologico della  colpa  grave[86].   Quest’ultima può essere desunta, in  concreto,  da  dati   fattuali  sintomatici  di   un   provato  e consapevole  atteggiamento   di   resistenza rispetto alla iniziativa dovuta di ricorrere alla dichiarazione di fallimento,  in  presenza   di  chiaro   stato   di dissesto  o in una situazione di conclamata ed irrimediabile insolvenza della società, senza iniziative volte a risollevare le sorti dell’impresa[87]. In tali condizioni, non è ostativa alla configurabilità del reato la condotta dell’amministratore che presenta un’istanza di rateizzazione del debito erariale[88].

  • 2.4.4.2. Ritardata richiesta di fallimento ex art. 217, comma 1,  n. 4 L. fall. e doveri previsti dagli art. 2446-2447, 2482 bis e 2482  ter c.c..

Le perdite che riducono in condizioni critiche il capitale sociale possono concorrere a rivelare la condizione di colpa grave in cui viene realizzata l’omissione della presentazione della richiesta di dichiarazione di fallimento, anche in ragione delle concomitanti omissioni consapevoli rispetto ai doveri previsti dagli art. 2446-2447, 2482 bis e 2482 ter c.c., causa dell’aggravamento del dissesto.

Il reato è stato ritenuto integrato in caso di gestione di impresa caratterizzata da costanti perdite di esercizio, dalla costituzione sino  al fallimento, con risalente condizione di  dissesto,  avendo la società  operato in  regime di  sottocapitalizzazione senza  l’adozione di alcun  provvedimento  ex art.2482 ter c.c. [89]; ed ancora, in caso di difficoltà finanziarie risalenti alla  costituzione di società, mai posta in  liquidazione volontaria, che aveva ostinatamente proseguito nell’attività, senza mai versare l’IVA,  in  assenza di  liquidità e con  forte esposizione debitoria verso  le  banche; il patrimonio netto negativo aveva reso attuali le  condizioni previste  dagli art.  2446 – 2447  c.c. ed originato la sollecitazione  del collegio sindacale all’amministratore circa la necessità di  ripianare la  perdita  entro la  fine dell’esercizio ovvero  di   procedere  all’abbattimento   del   capitale  sociale; invito trascurato dall’amministratore portando avanti l’attività,  con inevitabile  aggravio del   dissesto[90].

  • 2.4.4.3. Il D.L. liquidità ed il reato ex art. 217, comma 1,  n. 4 L. fall.

Gli artt. 6 e 10 del D.L. liquidità incidono sulla fattispecie penale. A ben vedere, l’inertizzazione dei doveri non informativi scaturenti dalla crisi del capitale sociale esclude l’antidoverosità di  condotte inattive, non l’esigibilità del loro adempimento anche durante la vigenza della nuova disciplina. Parimenti,  è a dirsi per il ricorso di auto—fallimento (improcedibile, ma non vietato).   

I problemi verteranno sulla perimetrazione temporale di dette improcedibilità o sospensioni rispetto all’insorgere dell’insolvenza o della grave crisi di capitale sociale. Solo ove l’insolvenza sia insorta nel periodo dal 9 marzo 2020 al 30 giugno 2020 (per i ricorsi di auto-fallimento) ovvero la crisi del capitale sociale si sia palesata tra il 9 aprile 2020 ed il 31 dicembre 2020 (per doveri riparatori e non meramente informativi) può dirsi sicura la guarentigia dalla fattispecie penale in esame, esclusa dalla inertizzazione legislativa degli obblighi in argomento. Salvo abbracciare la tesi, francamente azzardata, per cui gli indebiti temporeggiamenti nella gestione delle insolvenze e delle crisi di capitale manifestatesi già prima delle moratorie covid-19 siano stati resi  non punibili da queste ultime.  

In prospettiva penale, le moratorie non dovrebbero rilevare per l’imprenditore che, da tempo risalente (pre-covid-19) era insolvente o in crisi di capitali e che venga a fallire post covid-19. Agli imprenditori resta possibile l’opzione volontaristica, rispetto alla ricapitalizzazione e alla presentazione del ricorso di autofallimento. Non è congetturale, in realtà, immaginare la presentazione di un ricorso – con piena consapevolezza della improcedibilità – quale rimedio per fuggire alle responsabilità di un bancarotta da ritardata richiesta di fallimento.

  3.  Il rimborso dei  finanziamenti soci e infragruppo realizzati in condizioni di incongruità del capitale  e le fattispecie penali-fallimentari.

  •  3.1. La previsione del D.L. liquidità e le ragioni delle sospensioni e delle deroghe.

Secondo l’art. 8 D.L. n. 23/2020 (Disposizioni temporanee in materia di finanziamenti alle società) «Ai finanziamenti effettuati a favore delle società dalla data di entrata in vigore del presente decreto e sino alla data del31 dicembre 2020 non si applicano gli articoli 2467 e 2497 quinquies del codice civile».

Secondo la relazione illustrativa del decreto di urgenza «l’esigenza  di incentivare i canali necessari per assicurare un adeguato rifinanziamento delle imprese rende opportuna la temporanea disattivazione dei meccanismi di postergazione dei finanziamenti effettuati dai soci o da chi esercita attività di direzione e coordinamento». Nell’attuale situazione congiunturale l’applicazione di tali meccanismi risulterebbe eccessivamente disincentivante a fronte di un quadro economico che necessita di maggior coinvolgimento dei soci nell’accrescimento dei flussi di finanziamento. La deroga è limitata cronologicamente ai soli finanziamenti effettuati entro il 31 dicembre 2020

  • 3.2. Le ragioni delle regole sospese e la distinzione tra versamenti in conto capitale e finanziamenti a titolo di mutuo

L’art. 2467 c.c. contrasta la sottocapitalizzazione nominale, situazione in presenza della quale la società dispone dei mezzi per l’esercizio dell’impresa, ma senza che siano per lo più imputati a capitale di rischio, essendo in massima parte concessi sotto forma di finanziamento. Le somme versate non sono qualificate come conferimento e, dunque, non sono imputate a capitale; possono essere diversamente denominate[91]. Posta tale ratio si ritiene che la disciplina si estenda dalle s.r.l. ad altri tipi di società di capitali qualora le condizioni della società siano note al socio, la cui posizione, per lo specifico assetto dell’ente o per la posizione da lui concretamente rivestita, sia assimilabile alla posizione del socio di una s.r.l.[92].

Fondamentale è la distinzione tra i versamenti del socio riconducibili ad un contratto di mutuo, parificati a quelli di qualsiasi creditore, e versamenti diversi, che determinano l’esclusione del diritto alla restituzione durante la vita della società e, in caso di fallimento, la postergazione rispetto alle ragioni degli altri creditori sociali (in quanto la restituzione viene subordinata al soddisfacimento integrale anche di tutti i creditori chirografari)[93].  

Secondo le Sezioni civili della Cassazione[94] i versamenti operati dai soci in conto capitale (o con altra analoga dizione indicati), pur non incrementando immediatamente il capitale sociale, e pur non attribuendo alle relative somme la condizione giuridica propria del capitale (onde non occorre che siano conseguenti ad una specifica deliberazione assembleare di aumento dello stesso), hanno tuttavia una causa che, di norma, è diversa da quella del mutuo ed è assimilabile a quella del capitale di rischio; per questa ragione, non danno luogo a crediti esigibili nel corso della vita della società, e possono essere chiesti dai soci in restituzione solo per effetto dello scioglimento della società, e nei limiti dell’eventuale residuo attivo del bilancio di liquidazione. Tali versamenti non sono iscritti tra i debiti, ma confluiscono in apposita riserva “in conto capitale” (o altre simili denominazioni),  connotandosi per la postergazione della sua restituzione al soddisfacimento dei creditori sociali e per la posizione del socio quale residual claimant[95].

Tra la società ed i soci,  inoltre, può essere convenuta l’erogazione di capitale di credito, anziché di rischio; i soci possono effettuare versamenti in favore della società a titolo di mutuo (con o senza interessi), riservandosi in tal modo il diritto alla restituzione anche durante la vita della società.  

Per distinguere le diverse tipologie di versamenti in questione soccorrono le indicazioni rinvenibili dalle Sezioni civili della Corte. Stabilire se, in concreto, un determinato versamento tragga origine da un mutuo o se stato effettuato quale apporto del socio al patrimonio dell’impresa collettiva, è questione di interpretazione della volontà delle parti[96]; più in particolare, «i versamenti in conto capitale sono assoggettati all’onere di contabilizzazione nel patrimonio netto della società come riserve di capitale ed alla distinta indicazione di tale natura nella nota integrativa», mentre «l’individuazione della natura del versamento dipende dalla ricostruzione della comune intenzione delle parti, la cui prova va desunta in via principale dal modo in cui il rapporto ha trovato concreta attuazione, dalle finalità pratiche cui appare diretto e dagl’interessi allo stesso sottesi, e solo in subordine dalla qualificazione che i versamenti hanno ricevuto in bilancio, la cui portata può risultare determinante, in mancanza di una chiara manifestazione di volontà negoziale, in considerazione della sottoposizione del bilancio all’approvazione dei soci»[97].

L’art. 2467 c.c., senza riqualificare autoritativamente le diverse forme di finanziamento-soci, garantisce la tutela dei terzi creditori, mediante la postergazione del rimborso dei finanziamenti dei soci; è bene chiarire che ciò è previsto solo quanto il finanziamento sia avvenuto in un momento in cui la società si trovava in una situazione di disequilibrio finanziario.  Il legislatore ha, in definitiva, introdotto un trattamento di disfavore per tutte le operazioni che siano rivolte a perpetrare una situazione di incongruità del capitale.

Infatti, la norma si applica solo ai crediti sorti a seguito di finanziamenti dei soci concessi alla presenza di particolari condizioni della società finanziata: (i) un eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto; oppure (i) in una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento.  La prima condizione impone di valutare la sussistenza di un eventuale squilibrio in relazione al«tipo di attività esercitata»; la situazione di «eccessivo squilibrio» fra indebitamento e patrimonio netto, però, non coincide con lo stato di insolvenza della società, art. 5, comma  2, L. fall.  La seconda condizione impone di verificare se la situazione finanziaria, in luogo di un finanziamento, avrebbe richiesto un vero e proprio conferimento. Tale presupposto, previsto dalla norma come alternativo, si affianca alla condizione dell’eccessivo squilibrio tra indebitamento e patrimonio netto, costituendone ulteriore inquadramento definitorio

Nelle condizioni patrimoniali indicate nell’art. 2467, comma 2, c.c. la postergazione del credito e la revoca del rimborso del finanziamento conducono, dunque, il socio finanziatore in una condizione assimilabile, in sostanza, a quello cui sarebbe stato soggetto qualora il suo apporto fosse stato eseguito a titolo di conferimento.

L’art. 2467 c.c. si applica, giusto il disposto dell’art. 2497—quinquies c.c, anche ai finanziamenti effettuati a favore della società da chi esercita attività di direzione e coordinamento nei suoi confronti o da altri soggetti ad essa sottoposti

  • 3.3. Le deroghe in vigore e quelle attese.  

 Una prima deroga all’art. 2467 c.c. era  già prevista dall’art. 182-quaterR.D. 16 marzo 1942, n. 267, aggiunto dall’art. 48D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla L. 30 luglio 2010, n. 122. Tale norma riconosce già attualmente natura prededucibile, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 111 l. fall. (e dunque per il caso di successivo fallimento), per alcuni finanziamenti erogati prima della domanda di concordato (comma 2), o dopo lomologazione (comma 1). Il riferimento, dunque, è ai finanziamenti ponte[98] o relativi allesecuzione di un concordato ovvero di un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell’articolo 182-bis L. fall. ai quali viene riconosciuto un titolo preferenziale nel  soddisfacimento sulle somme ricavate dalla liquidazione dell’attivo fallimentare, in deroga al principio  della par condicio (art. 2741 c.c. ) ed agli artt. 2467 e 2497-quinquies c.c.; la prededuzione, prevista dall’art. 182-quater, comma 3, L. fall.,  è riconosciuta ai finanziamenti effettuati dai soci fino alla concorrenza dell’80% del loro ammontare[99], anche quando il finanziatore abbia acquisito la qualità di socio in esecuzione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti o del concordato preventivo[100].

Anche il D.lgs. n. 14/2019 (differito) immaginava di intervenire sulle previsioni dell’art. 2467 c.c.. In primis, in via generale, era prevista la soppressione dell’obbligo di restituzione del rimborso dei finanziamenti soci avvenuto nell’anno precedente alla dichiarazione di fallimento della società (art.   384 CCII);  unita alla previsione dell’inefficacia rispetto ai creditori dei rimborsi dei finanziamenti dei soci a favore della società eseguiti dal debitore dopo il deposito della domanda cui è seguita l’apertura della procedura concorsuale o nell’anno anteriore, con applicazione dell’articolo 2467, comma 2, c.c. (art. 164 CCII). In secondo luogo, consolidando il regime di deroga alla postergazione in relazione a procedure di risoluzione della crisi di impresa previsto con la prededuzione dell’art. 182-quater, comma 3, L. fall., estesa anche ai finanziamenti infragruppo. In particolare, se l’art.292, comma 1, del Codice della CII confermava la postergazione del rimborso dei crediti da finanziamenti infragruppo,  la escludeva nel caso di finanziamenti prededucibili dei soci previsti dall’articolo 102 CCI,  quali finanzia­menti in funzione o in esecuzione di una procedura di concordato preventivo e di ac­cordo di ristrutturazione dei debiti.  Infatti, con il richiamo all’art. 102 CCI  veniva esteso ai finanziamenti infragruppo il beneficio delle prededuzione ove finanziamenti—ponte o in esecuzione di procedure di regolazione della crisi. In particolare, in base all’art. 102 CCI «in deroga agli articoli 2467 e 2497-quinquies del codice civile, il beneficio della prededuzione previsto agli articoli 99 e 101 si applica ai finanziamenti erogati dai soci in qualsiasi forma, inclusa l’emissione di garanzie e controgaranzie, fino all’ottanta per cento del loro ammontare». Il medesimo beneficio era previsto «per l’intero ammontare dei finanziamenti qualora il finanziatore abbia acquisito la qualità di socio in esecuzione del concordato preventivo o degli accordi di ristrutturazione dei debiti»[101].

  • 3.4. Gli effetti penali temporanei
  • 3.4.1 Le bancarotte per distrazione e  preferenziali.  

La restituzione, in periodo di dissesto, delle somme versate dai soci a favore della società pone non secondari problemi di qualificazione penale. A fronte di un panorama giurisprudenziale non sempre perspicuo, occorre aver chiara consapevolezza delle differenze tra versamento in conto capitale e finanziamento a titolo di mutuo  nonché delle condizioni ex art. 2647, comma 2 c.c. per la postergazione del finanziamenti soci (v. supra).   La caratteristica fondamentale che orienta a qualificare il rimborso, avvenuto in periodo di dissesto,  di un versamento del socio,  nei termini di bancarotta fraudolenta per distrazione o di bancarotta preferenziale è l’inesigibilità assoluta,  o meno,  del diritto alla restituzione della somme versate.

L’esigibilità del rimborso, infatti, non è attributo dei versamenti in conto capitale (con funzione di capitale di rischio e non di credito), costitutivi di una generica aspettativa, da verificare al momento della liquidazione, in presenza di un attivo residuo sufficiente; credito (sia pure in senso lato) peraltro successivo alla dichiarazione di fallimento. Lo stesso è a dirsi per i versamenti in conto futuro aumento di capitale[102].  L’inesigibilità del rimborso dei finanziamenti avvenuti nelle condizioni ex art. 2467 comma 2, c.c., poi,  è imposta dalla postergazione prevista dall’art. 2467, comma 1, c.c.[103] . La restituzione di una somma inesigibile, dunque, integra appieno la base materiale di una bancarotta per distrazione[104]

L’esigibilità, invece, può ricorrere nel caso di  rimborso di finanziamento a titolo di mutuo, allorché l’erogazione originaria alla società sia realizzata in periodo non attratto dalla postergazione; in tal caso, il profilo problematico riguarda una restituzione avvenuta in periodo di dissesto, con eventuale indebita preferenza rispetto ad altri creditori provvisti di poziore o equivalente titolo di soddisfazione, onde la scelta solutoria potrà trovare riprovazione nella bancarotta preferenziale.

Quello esposto è il criterio interpretativo da ultimo venutosi chiarendo nella giurisprudenza della Cassazione;  con preferenza rispetto a diverse letture volte a incentrare, nel caso di rimborso ai soci di somme in fase di dissesto, la distinzione tra distrazione e preferenziale: (i) sul rapporto di contraddizione con gli interessi della fallita[105];  (ii) sulla contestuale qualità gestoria del beneficiario rimborsato, valorizzando la funzione tutoria degli interessi del ceto creditorio dell’amministratore, anche quando socio-creditore sociale[106]; (iii) sul dolo che accompagna il pagamento[107].    

  • 3.4.2 Il D.L. ed il rimborso  dei finanziamenti soci  quali possibili pagamenti preferenziali. 

        L’art. 8 del D.L. n. 23/2020 ha inertizzato, a tempo,  la regola della postergazione per i finanziamenti  «effettuati a favore delle società dalla data di entrata in vigore del presente decreto –  9 aprile 2020-  e sino alla data del 31 dicembre 2020». In tal modo è venuta meno l’inesigibilità del rimborso di somme corrisposte a titolo di mutuo o comunque quale capitale di credito (non per quelle versate come capitale di rischio), a condizione che i rimborsi, anche avvenuti dopo il 31.1.2020, riguardino finanziamenti sorti nel “tempo di grazia”, intercorrente tra il 9.4.2020 al 31.2.2020. L’astratta esigibilità permette di escludere per tali rimborsi  la configurabilità della bancarotta per distrazione. Per contro risulta potenzialmente operativo il presidio della bancarotta preferenziale.  

  Infatti, la fattispecie di cui  all’art. 216,  comma   3, L. fall. punisce il fallito che esegue  pagamenti o simula titoli di  prelazione  allo  scopo  di  favorire,  a  danno   di  altri   creditori,  alcuni   di  essi. Essenziale è  la  violazione  della  par  condicio creditorum  (espressione del  principio inteso  ad  evitare disparità di  trattamento che  non  trovino  giustificazione nelle   cause  legittime  di  prelazione fatte  salve dall’art.  2741 c.c.)  e,  in  relazione all’elemento psicologico, il  dolo  specifico, costituito  dalla   volontà  di   recare   un  vantaggio  al  creditore  soddisfatto,  con l’accettazione dell’eventualità  di  un  danno   per  gli  altri[108] . Se  ne è arguito che l’offesa non consiste nell’indebito depauperamento del patrimonio del debitore, ma nell’alterazione dell’ordine, stabilito dalla  legge,  di soddisfazione dei creditori.  

Le restituzioni dei “finanziamenti” dei soci con le caratteristiche del  mutuo o di altro negozio  equivalente sono  pienamente  legittime  durante  l’ordinaria  vita   societaria  ma possono integrare la bancarotta  preferenziale allorché  avvengano  in periodo  di  dissesto   societario,  che   lasci   intravedere  l’evoluzione  dell’impresa verso   il  fallimento;  la  restituzione, in  tal  caso,   è indebita ove  alteri l’ordine,  stabilito  dalla   legge,  di   soddisfazione  dei creditori[109].

 Sotto il  profilo penalistico, dunque, l’iscrivibilità, o meno, nella  categoria di  quelli  postergati di  cui  all’art. 2467  c.c. del credito rimborsato ai soci di impresa fallita perde  di significato. Ciò che rileva è che il rimborso del finanziamento sia avvenuto in una fase in cui la società  era in condizioni che lasciavano intravedere come  prossima che i crediti rimborsati non erano assistiti da titoli di  prelazione che  consentivano di preferirli a quelli  degli  altri creditori sociali  di pari  grado  e  che,  ciò  nonostante, essi  siano   stati   soddisfatti con  precedenza rispetto a questi ultimi[110].

     4.   La continuità aziendale nella valorizzazione degli attivi.

  • 4. 1 La presunzione del decreto liquità.

  In base all’art. 7 del D.L. n. 23/2020, sotto la rubrica  «Disposizioni temporanee sui principi di redazione del bilancio» viene statuito che  «nella redazione del bilancio di esercizio in corso al 31 dicembre 2020, la valutazione delle voci nella prospettiva  della  continuazione  dell’attività  di cui all’a1ticolo  2423-bis, comma primo, n. 1), del codice civile può comunque essere operata se risulta sussistente nell’ultimo bilancio di esercizio chiuso in data anteriore al23 febbraio 2020, fatta salva la previsione di cui all’articolo   106  del  decreto  legge   17  marzo  2020,  n. 18.  Il criterio di valutazione è specificamente illustrato nella nota informativa anche mediante il richiamo delle risultanze del bilancio precedente. 2. Le disposizioni di cui al comma l si applicano anche ai bilanci chiusi entro il 23 febbraio 2020 e non ancora approvati».

La relazione illustrativa si diffonde sull’opportunità della previsione. Essa, infatti, deriverebbe «dalla consapevolezza degli effetti dirompenti ed abnormi dellepidemia di COVID-19, ed in particolare delle ricadute, profonde ma temporanee, che essa può determinate sulle prospettive di continuità.  La situazione anomala che si è determinata comporterebbe (ove si applicassero regole elaborate con riferimento ad un panorama fisiologico e non patologico) l’obbligo per una notevolissima quantità di imprese di redigere i bilanci dell’esercizio in corso nel 2020 secondo criteri deformati, ed in particolare senza la possibilità di adottare lottica  della continuità aziendale, con grave ricaduta sulla valutazione di tutte le voci del bilancio medesimo.  Si  rende, quindi,  necessario  neutralizzare  gli  effetti  devianti  dellattuale  crisi  economica conservando ai bilanci una concreta e corretta valenza informativa anche nei confronti  dei terzi, consentendo alle imprese che prima della crisi presentavano una regolare prospettiva di continuità di conservare tale prospettiva nella redazione dei bilanci degli esercizi in corso nel 2020, ed  escludendo, quindi, le imprese che, indipendentemente  dalla crisi COVID-19, si trovavano autonomamente in stato di perdita di continuità.  La norma mira, quindi, a favorire la tempestiva approvazione dei bilanci delle imprese (in quanto anche nel contesto attuale tale approvazione mantiene un’essenziale funzione informativa), consentendo alle imprese di affrontare le difficoltà dellemergenza  COVID-19 con una chiara rappresentazione della realtà, operando una riclassificazione con riferimento alla situazione fisiologica precedente all’insorgere dell’emergenza medesima.  Il dato temporale di riferimento è stato collegato alla situazione esistente al 23 febbraio 2020, e cioè alla data di entrata in vigore delle prime misure collegate all’emergenza  (decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, convertito, con modificazioni, dalla legge 5 marzo 2020, n. 13) ed al conseguente maturarsi degli effetti di crisi economica, il secondo comma della norma prevede l’estensione  della regola di cui al comma l anche  ai bilanci chiusi entro il 23 febbraio 2020 e non ancora approvati».

La difficoltà di redigere questa porzione della relazione appare evidente. Come spiegare, invero, che, per legge, la crisi ed i suoi effetti, realtà tangibili, non devono essere tenute presente nella rappresentazione dei valori dell’impresa nella redazione dei  bilanci per gli esercizi non chiuso a febbraio 2020? Come spiegare che si sarebbe potuto valorizzare ratei, risconti, rimanenze ed immobilizzazioni secondo il criterio della continuità, iscritti in bilancio non tanto per la loro ragionevole utilità futura ma per titolo di eredità della  risalente situazione fisiologica (per quanto ora dissolta)? Non era facile, come non è semplice, invero, scrivere le norme in tempi di emergenza.

Risulta ingiustificato, però, dedurne che chi adotterà criteri di rappresentazione liquidatori utilizzerà “criteri deformati”; o attribuire solo alla previsione, eccezionale, la funzione di conservare ai bilanci «una concreta e corretta valenza informativa anche nei confronti dei terzi».

Non dovrebbe essere la legge a formulare anticipatamente il giudizio sulla continuità aziendale al posto dell’imprenditore. Il bilancio conserva un’autentica valenza formativa quando l’impiego dei criteri viene realizzato a seguito di ricognizione onesta da parte del redattore della realtà economica dell’impresa.  Legittimare alla continuità per eredità di condizione passata non prelude a rappresentazioni veritiere ma allude al  nascondimento di imprudenze.

Si potrebbe dire, in altre parole, che la continuità (come la verità) non si impone per legge, ma si riconosce quale fatto. Se non c’è, non la si può “inventare” per decreto legge.  

  • 4.2. Le ricadute sulla trasparenza dei bilanci e le fattispecie penali interessate. 

Consapevoli dell’ingenuità di ogni aspirazione alla coerenza sistematica, a fronte del pragmatismo degli interventi eccezionali, per comprendere il riflesso penalistico della previsione non vanno trascurati alcuni principi fondamentali in materia. 

Ai sensi dell’art.2423, comma 2, c.c. il bilancio deve essere redatto con chiarezza e deve rappresentare in modo veritiero e corretto[111] la situazione patrimoniale e finanziaria della società e il risultato economico dell’esercizio. Se le informazioni richieste da specifiche disposizioni di legge non sono sufficienti a dare una rappresentazione veritiera e corretta, i redattori devono fornire le informazioni complementari necessarie allo scopo (art. 2423, comma 3 c.c.)[112]. Preservando l’irrinunciabile funzione informativa del bilancio, i commi 4 e 5 dell’art. 2423 c.c., poi, autorizzano la deroga ai criteri legali di redazione del bilancio per assicurarne la correttezza e la veridicità, introducendo il parametro della rilevanza, declinato nei principi di completezza e di non superfluità   informativa.  Come ricorda la Suprema Corte[113], «la “rilevanza”, a sua volta, è concetto relativo [..][114], in quanto essa deve essere apprezzata in rapporto alla funzione precipua dell’informazione, cui sono preordinati i bilanci e le altre comunicazioni sociali, dirette ai soci ed al pubblico. Vale a dire che l’informazione, per essere giudicata corretta, non deve essere tale da influenzare, in modo distorto, le decisioni dei destinatari, non deve, cioè, essere ingannevole e fuorviante. Dunque, l’informazione è rilevante «quando la sua omissione o errata indicazione potrebbe ragionevolmente influenzare le decisioni prese dagli utilizzatori sulla base del bilancio dell’impresa», con la precisazione che «la rilevanza delle singole voci è giudicata nel contesto di altre voci analoghe».

 In virtù dell’art.2423 bis, n.1, c.c., poi, la valutazione delle voci deve essere fatta secondo prudenza e nella prospettiva della continuità aziendale, tenendo conto della sostanza dell’operazione o del contratto.  Il criterio della prudenza (art. 2423 bis nn. 1,2, 4, c.c.) orienta «l’atteggiamento del compilatore del bilancio, che deve esporre gli utili quando sono certi e le perdite se sono ragionevolmente probabili»[115] e si saldandosi con gli altri, a principiare da quello di continuità  aziendale[116], sul quale ha inteso incidere il D.L. liquidità.  

A tale ultimo proposito, per il principio contabile OIC n. 11[117]  l’articolo 2423-bis, comma 1, n. 1, c.c. prevede che la prospettiva della continuazione dell’attività implica la considerazione dell’azienda quale complesso economico funzionante destinato alla produzione di reddito (§ 21). Nella fase di preparazione del bilancio, la direzione aziendale deve effettuare una valutazione prospettica della capacità dell’azienda di continuare a costituire un complesso economico funzionante destinato alla produzione di reddito per un prevedibile arco temporale futuro, relativo a un periodo di almeno dodici mesi dalla data di riferimento del bilancio. Nei casi in cui, a seguito di tale valutazione prospettica, siano identificate significative incertezze in merito a tale capacità, nella nota integrativa dovranno essere chiaramente fornite le informazioni relative ai fattori di rischio, alle assunzioni effettuate e alle incertezze identificate, nonché ai piani aziendali futuri per far fronte a tali rischi ed incertezze. Dovranno inoltre essere esplicitate le ragioni che qualificano come significative le incertezze esposte e le ricadute che esse possono avere sulla continuità aziendale (§ 22). Ove, poi,  la valutazione prospettica della capacità dell’azienda di continuare a costituire un complesso economico funzionante destinato alla produzione di reddito porti la direzione aziendale a concludere che, nell’arco temporale futuro di riferimento, non vi sono ragionevoli alternative alla cessazione dell’attività, ma non si siano ancora accertate ai sensi dellart. 2485 del codice civile cause di scioglimento di cui allart. 2484 del codice civile, la valutazione delle voci di bilancio è pur sempre fatta nella prospettiva della continuazione dellattività, tenendo peraltro conto, nellapplicazione dei principi di volta in volta rilevanti, del limitato orizzonte temporale residuo. La nota integrativa dovrà descrivere adeguatamente tali circostanze e gli effetti delle stesse sulla situazione patrimoniale ed economica della società (§ 23).

In altri termini, un bilancio che aspiri alla chiarezza, verità e correttezza, non raggiungerebbe tale obiettivo se l’ipotesi di continuità aziendale fosse dubbia o, addirittura, esclusa; la ragionevolezza della liquidazione prima della scadenza del prossimo esercizio, infatti, preclude di redigere il bilancio a valori di funzionamento[118].  La “continuità aziendale” è principio contabile che guida il redattore del bilancio nella valutazione delle poste nella prospettiva – se realisticamente formulabile – della prosecuzione dell’attività aziendale. Se «è peraltro fuori discussione che il rispetto del suddetto principio consenta l’appostazione di dati mendaci»[119], deve riconoscersi che la sua violazione è, quantomeno, parimenti predisponente alla falsità.

Il D.L. liquidità sembrerebbe aspirare a mutare alcune di queste regole, autorizzando, in particolare, ad una redazione del bilancio secondo un criterio “artificiale” di continuità aziendale,  presunta,  se non scontata, per i soggetti già non in fase liquidatoria. Se è richiesta l’illustrazione specifica del criterio di valutazione nella nota informativa, ad immediata rassicurazione della superfluità di un dovere di spiegazione estesa, è stimato sufficiente il semplice richiamo delle risultanze del bilancio precedente.  Ciò ha indotto a ritenere, in prime letture, che l’art. 7 del D.L. «rileva con riguardo  al reato  di false  comunicazioni sociali evidentemente  non ipotizzabile  nel caso dell’utilizzo  dei criteri appena indicati»[120].

Questa soluzione non convince, se intesa in senso assoluto. Il criterio dell’art. 7 cit. apre null’altro che a una possibilità, non a un obbligo, né ad un diritto di mentire; la facoltà riconosciuta in tanto potrà essere utilizzata in quanto il redattore sia consapevole che essa vale a preservare l’irrinunciabile funzione informativa del bilancio (la rappresentazione veritiera e corretta della situazione patrimoniale e finanziaria e il risultato economico dell’esercizio della società), richiamata anche dalla relazione illustrativa. Rispetto a questo dato funzionale identitario ed irrinunciabile—  pena la completa vanificazione della sua attitudine informativa del bilancio —  la valutazione sulla continuità aziendale non andrà stimata in maniera atomistica rispetto agli altri principi (verità, correttezza, chiarezza, necessità di informazioni complementari, rilevanza, completezza e  non superfluità   informativa )  e criteri (come quello della prudenza), tutti, ancora, pienamente vigenti.  Il legislatore dell’emergenza, dunque, ha offerto una semplificazione, della quale, però, dovrà farsi impiego accorto e non frettoloso. A tal fine possono rilevare certo le prospettive di accesso a linee di credito previste dall’art. 1 del D.L. liquidità, avendo, anche in tal caso, presente le significative condizioni presenti nel dettato normativo; prime fra tutte, nel caso di erogazioni con la garanzia di SACE S.p.A., le esclusioni rispetto alle imprese in difficoltà al 31.12.2019[121] o con esposizioni deteriorate presso il sistema bancario alla data del 29 febbraio 2020.

In difetto di queste condizioni, in carenza di liquidità o di impossibilità di accesso ad altre forme di finanziamento, l’incapacità dell’azienda di continuare a costituire un complesso economico funzionante destinato alla produzione di reddito per un prevedibile arco temporale futuro non potrà che essere doverosamente tenuta in conto  nella valutazione delle voci di bilancio.

  • 5. Brevi conclusioni

L’analisi svolta conduce a riconoscere che il D.L. liquidità, attraverso le “moratorie” societarie passate in rassegna, non ha stravolto il volto del diritto penale fallimentare, il cui contenuto protettivo resta sostanzialmente intatto, con lieve contrazione.  Non lo aveva fatto neppure un intervento di ben diversa organicità come il codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, realizzando una scelta variamente apprezzata[122].      

A fronte di qualche eccesso di entusiasmo per i fautori della “politica economica della dilazione” (sempre e comunque,), non è mutata, inoltre, la nozione a-causale dellinsolvenza ex art.  5 L.fall.; non vi è stata, in particolare,  l’introduzione di ipotesi di insolvenza incolpevole (dovuta a causa di forza maggiore) insuscettibile di condurre a dichiarazione di fallimento e irrilevante per la rappresentazione di bilancio. L’insolvenza resta un dato oggettivo quale «situazione d’impotenza, strutturale e non soltanto transitoria, a soddisfare regolarmente e con mezzi normali le proprie obbligazioni a seguito del venir meno delle condizioni di liquidità e di credito necessarie alla relativa attività, mentre resta in proposito irrilevante ogni indagine sull’imputabilità o meno all’imprenditore medesimo delle cause del dissesto, ovvero sulla loro riferibilità a rapporti estranei all’impresa, così come sull’effettiva esistenza ed entità dei crediti fatti valere nei suoi confronti»[123]. Di tale dato oggettivo l’imprenditore dovrà continuare a tener conto nei doveri informativi e gestori anche per il presidio penale apprestato contro le relative infedeltà e i corrispondenti abusi.

Certo, a regime ordinario, si stima auspicabile un miglior coordinamento tra tutela civile e tutela penale.  Il diritto penale dovrà smettere ogni autoreferenzialità, innestandosi in una visione unitaria dell’ordinamento economico. Così, a fronte della lettura penalistica, tradizionalmente severa, di molte operazioni straordinarie funzionali alla protezione degli attivi dovranno essere trovate soluzioni originali. Non il confino alla funzione meramente sanzionatoria dei precetti extrapenali, ma una tutela complementare che non sopravanzi la tutela civile o amministrativa,  ove logicamente progressive. Se la sorte infausta, più che l’irragionevolezza originaria, dovesse rivelarne la punibilità, troppo intense sarebbero le remore ad assumere l’inevitabile rischio in molte operazioni d’impresa, ora necessitate dalla crisi.

Occorre dire, però, che le condizioni per realizzare questa risistemazione tardano ad arrivare e sono allontanate proprio da interventi che rendono assai “lasco” il presidio extrapenale di infedeltà gestorie o informative;  ciò, indirettamente, consolida l’indispensabilità di una tutela penale di stampo antico. 

 Se il codice della crisi muoveva dalla convinzione che l’emersione della crisi dovesse essere il principale interesse da tutelare, non può essere ora il D.L. liquidità a offrirci un valore opposto quale la proprietà benefica dell’inutile  temporeggiare nella crisi o nell’insolvenza e men che meno del nasconderne la realtà.  La crisi nascosta ai creditori non pare, davvero, un valore in alcun caso assecondabile.


[1] CALVINO, Il castello dei destini incrociati, Milano, 1973.

[2] Osserva,  in proposito, FERRO, La sopravvivenza della legge fallimentare al Coronavirus: il limbo della giustizia concorsuale dopo il D.L. 23/2020, in Quotidiano giuridico, 10 aprile 2020: «Si è invece assunto che la procedura concorsuale più adatta alla crisi sia rimessa all’iniziativa del debitore e che, nonostante l’elargizione di uno statuto di irresponsabilità, il corrispondente sacrificio dei creditori e di tutti i soggetti comunque coinvolti dagli effetti della crisi non si possa convertire nemmeno in un accrescimento dei livelli di diligenza richiesti al primo e tantomeno in un’interferenza sul modo di fare impresa sin qui adottato».  

[3] In tal senso,  ancora,  FERRO, Codice della crisi differito al 1° settembre 2021, fallimenti sospesi fino al 30 giugno e immediato cordone societario, in Quotidiano Giuridico, 9 aprile 2020.

[4] FERRO, ult. op. cit., annota come difetti ogni criterio discretivo, «com’è il riparo a pioggia dall’emergenza, in una legislazione eccezionale che oscilla tra solidarismo e non applicazione delle regole di responsabilità».

[5]  Il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza in attuazione della legge 19 ottobre 2017, n. 155, d’ora in poi, nel testo, per brevità, CCII.

[6]  Cfr. la memoria della Banca d’Italia del 26.11.2018 reperibile all’indirizzo http://www.bancaditalia.it/media; cfr. ANDREWS e CINGANO, 2014, Public policy and resource allocation: Evidence from firms in OECD countries, Economic Policy, n. 29, pp. 253-296.

[7]  Dovevano entrare in vigore in tempi anticipati gli artt. 363 e 364 CCI sulle certificazioni dei debiti contributivi, per premi assicurativi e dei debiti tributari, gli artt.  375 e 377 CCI sull’introduzione sugli assetti organizzativi dell’impresa e delle società, con generalizzazione dei doveri ex art. 2086, comma 2, c.c., l’art. 378 sulla responsabilità degli amministratori delle S.r.l., l’art. 379 CCI sulla nomina degli organi di controllo delle S.r.l.  da operare entro il 16.12.2019 Per un aggiornamento sullo stato attuazione di questa parte della disciplina cfr. FERRO, Codice della Crisi differito al 1° settembre 2021, fallimenti sospesi fino al 30 giugno 2020 e immediato cordone societario, in Quotidiano Giuridico, 9 aprile 2020.

[8]  Così, ancora, la citata memoria della Banca d’Italia; cfr. BRODI, «Tempestiva emersione e gestione della crisi d’impresa. Riflessioni sul disegno di un efficiente «sistema di allerta e composizione», Banca d’Italia, Questioni di Economia e Finanza, n. 440, 2018.

[9] RORDORF, Il codice della crisi e dell’insolvenza in tempi di pandemia in Giustizia Insieme, 8 aprile 2020: «L’allerta e la composizione assistita della crisi non vanno concepite, né dovranno essere fatte funzionare, come una sorta di ltimatum rivolto all’imprenditore, minacciato di subire in futuro la liquidazione giudiziale della sua azienda, bensì come un mezzo di supporto che al medesimo imprenditore si offre per aiutarlo a superare, nei limiti del possibile, la situazione di crisi in cui versa e ad evitare il paventato esito liquidatorio».

[10] Tra essi, si consideri: — la possibilità degli amministratori delle S.r.l. di rispondere verso i creditori sociali per l’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale (art. 2476 c.c.), senza che la rinunzia all’azione da parte della società ne impedisca l’esercizio da parte dei creditori sociali; —la definizione dei parametri del danno risarcibile, in caso di intempestiva attivazione degli amministratori,  al sopravvenire di una causa di liquidazione, nel  chiedere lo scioglimento della società allo scopo di preservare il valore del patrimonio sociale (art. 2486, comma 2, c.c.). 

[11] Nella relazione illustrativa al D.L. liquidità  si adduce: – l’incompatibilità del sistema delle c.d. misure di allerta con un quadro nel quale  la preponderanza delle imprese è  colpita dalla crisi; –  la probabile necessità  di gestire scelte liquidatorie  contrastanti con la filosofia del nuovo sistema; –  il bisogno di stabilità normativa; –  il miglior adeguamento alla direttiva UE 1023/2019 in materia di ristrutturazione preventiva delle imprese.  

[12] Si rinvia a RORDORF, Il codice della crisi e dell’insolvenza in tempi di pandemia,  in Giustizia Insieme, 8 aprile 2020 per l’illustrazione delle ragioni contrarie ad un differimento. Lo stesso Autore osserva: «Non posso nascondere l’impressione che queste istanze di rinvio sottintendano un certo scetticismo, se non proprio una netta ostilità, nei confronti del nuovo codice. […] Se si condivide la convinzione che il nuovo codice, pur con gli inevitabili difetti, rappresenta un progresso ed una significativa modernizzazione della disciplina concorsuale, anche e soprattutto perché segna il definitivo abbandono di un’antica concezione punitiva del fallimento a fronte di una maggiore propensione a favorire il più possibile soluzioni conservative dell’impresa e ad evitare la dispersione dei suoi valori, è logico auspicare che esso entri in vigore proprio in un momento in cui ci si sforza di impedire che la crisi generale provocata dalla pandemia travolga un gran numero di imprese altrimenti ancora sane».

[13]  DI VIZIO, Il concorso del terzo nelle bancarotte improprie e la responsabilità penal-fallimentare degli organi gestori e di controllo degli istituti di credito, giugno 2017, in https://www.osservatorio-oci.org, Sezione Papers.

[14] Nella giurisprudenza civile consolidata è la distinzione tra frode alla legge e frode ai creditori, come la  non riconducibilità alla nozione di illiceità, nemmeno se basata su motivo determinante comune, dell’intento di frodare i creditori (cfr. Cass. 29 maggio 2003, n. 8600;  Cass. 10603/93;  Cass. 4 ottobre 2010, n. 20576;   Cass. 7983/91;  Cass. 20576/10; Cass. 11 ottobre 2013, n. 23158;  Cass. n. 6239/1983; Cass. n. 4116/1986, Cass. 3905/1981. Per un’analisi più estesa di queste tematiche cfr. Cass. Civ. Sez. 3 n. 23158 del 31/10/2014, Rv. 633290; Cass. Ord. 14 dicembre 2010, n. 2522.

[15]  Ad esempio, se il ritardo con cui interviene la dichiarazione di fallimento può incidere sull’aggravamento del dissesto, è pur vero che proprio alcuni dei nuovi istituti di soluzione della crisi — ed adesso le nuove moratorie societarie, nonché il riscadenzamento e la riproposizione  di proposte, piani ed intese nei concordati preventivi e negli accordi ex art. 182 bis L. fall.  previste dall’art. 9 del D.L. liquidità — valgono a rimodulare tempistiche e contenuti dei doveri dei gestori in caso di insolvenza dell’impresa. Sul punto cfr. GUERRIERI, La responsabilità dell’amministratore nell’impresa in crisi (commento alla normativa), in Nuove Leggi Civ. Comm., 2016, 3, 571.

[16]  Cfr. Sez. un.  Magera (n. 2451/2007,  Rv. 238197). Cfr. anche Sez. un. Niccoli (n. 196601 del 28/02/2008, Rv.239400).

[17]  Le Sez. Un. Magera annotano come le norme extrapenali non svolgano tutte la stessa funzione integratrice nella fattispecie penale, sicura in presenza di disposizioni definitorie, o dinorme penali in bianco.

[18]  Per le Sez. un. Rizzoli (n. 24468 del 26/02/2009, Rv. 243585)  per accertare l’abolitio criminis deve procedersi al confronto strutturale tra le fattispecie legali astratte, senza ricercare conferme dell’eventuale continuità facendo ricorso ai criteri valutativi dei beni tutelati e delle modalità di offesa; il primo confronto infatti,  permette di verificare se l’intervento legislativo posteriore assume carattere demolitorio di un elemento costitutivo del fatto tipico, alterando così radicalmente la figura di reato, ovvero, non incidendo sulla struttura della stessa, consenta la sopravvivenza di un eventuale spazio comune alle fattispecie; nello stesso senso la successiva giurisprudenza di legittimità: Cass. Sez. 3, n. 28681 del 27/01/2017, Peverelli, Rv. 270335; Sez. 5, n. 11905 del 16/11/2015, Branchi, Rv. 266474; Sez. 3, n. 32797 del 18/03/2013, P.G., R.C., Rubegni e altri, Rv. 256665; Sez. 2, n. 46669 del 23/11/2011, P.G. in proc. De Masi e altri, Rv. 252194.

[19]  Cfr. anche  Cass. n. 24468//2009, cit.

[20] Cass., Sez. un. n. 19601 in data 28.02.2008, Rv. 239398, Nicoli; cfr. in tema di piccolo imprenditore Cass. Pen. Sez. 5 n. 19297 in data 20.03.2007, Rv. 237025, Celotti, che fa salve le procedure avviate prima della modifica normativa. Cfr., ancora Cass. Sez. 5, n. 44838 del 11/07/2014 – dep. 27/10/2014, Nicosia, Rv. 261309.  Nel senso che nella struttura dei reati previsti dagli artt. 216 ss. L. fall. la dichiarazione di fallimento rileva quale provvedimento giurisdizionale e non per i fatti con essa accertati cfr. Cass. Sez. 5, n. 19889 del 24/10/2013 Ud. (dep. 14/05/2014 ) Rv. 259837; Id.,  n. 13910 del 08/02/2017 Ud., dep. 22/03/2017, Santoro,  Rv. 269389, che considera la sentenza di fallimento quale condizione obiettiva di punibilità. 

[21] Cass. Sez.5, n. 11905 del 16/11/2015 Ud.  (dep. 21/03/2016 ), Branchi e altri,  Rv. 266474 – 01.

[22] Cass. Sez. 5,  n. 26458 del 04/05/2015 Ud.  (dep. 23/06/2015 ) Rv. 264008 – 01.

[23] Cass. Sez. 1, n. 27621 del 15/05/2012 Ud.  (dep. 11/07/2012 ) Rv. 253329.

[24]  Norme applicabili anche al socio illimitatamente responsabile di società fallita, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n.66 del 1999.

[25] Sez. un. Rizzoli, n. 24468/2009,  Rv. 243586 – 01.

[26] Prosegue la relazione: «Si è quindi optato per una previsione generale di improcedibilità di tutte quelle tipologie di istanze che coinvolgono imprese di dimensioni anche grandi ma tali da non rientrare nell’ambito di  applicazione del decreto legge 23  dicembre 2003, n.  347 (c.d. “Decreto Marzano”), mantenendo il blocco per un periodo limitato, scaduto il quale le istanze per dichiarazione dello stato di insolvenza potranno essere nuovamente presentate».

[27] In questi casi, infatti, la radicale improcedibilità verrebbe ad avvantaggiare le imprese che stanno potenzialmente mettendo in atto condotte dissipative di rilevanza anche penale con nocumento dei creditori, compromettendo le esigenze di repressione di condotte caratterizzate da particolare gravità.

[28] In argomento cfr. FERRO, op. ult. cit..

[29] Per un parametro normativo della tempestività della convocazione dell’assemblea cfr. art. 2631 c.c.

[30]  DI SABATO, Diritto delle Società, Milano, 2003, 399

[31] App. Milano 31.1.2003.

[32] T. Grosseto 20.12.1999.

[33] Il riferimento è al rapporto fra capitale e patrimonio, cfr. GALGANO (diretto da), Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia, Padova, 2003, 382,

[34] L’esistenza di riserve esclude la praticabilità della riduzione: in tal senso, DI SABATO, op. cit., 399; BONACCORSI DI PATTI, sub art. 2446, in Comm. Sandulli, Santoro, Torino, 2003, 942.

[35] Prima la società deve assorbire le riserve e gli utili non distribuiti e poi può ridurre il capitale, nella misura pari all’eventuale perdita residua (Cass. 12347/1999; T. Ravenna 3.2.2006; T. Roma 20.2.2001; T. S. Maria Capua Vetere 31.7.2000; T. Roma 17.3.2000; T. Roma17.2.2000; T. Napoli 11.5.1999).

[36] L’incombente è rimesso agli amministratori o, nel sistema dualistico, al consiglio di gestione o, in caso di inerzia, sul consiglio di sorveglianza; cfr.   BONACCORSI DI PATTI, op.cit.,.

[37]  Si tratta di un bilancio infrannuale comprensivo dello stato patrimoniale e del conto economico; così CAMPOBASSO, La riforma delle società di capitali e delle cooperative, Torino, 2003, 173

[38] Il concetto «di fatto rilevante» si identifica con quello di circostanze suscettibili di modificare la deliberazione assembleare rispetto a come la stessa avrebbe potuto essere in base ai dati forniti nella relazione; cfr.  SANTOSUOSSO, La riforma del diritto societario, Milano, 2003, 181.

[39] Il collegio sindacale nel sistema tradizionale, o il comitato per il controllo sulla gestione nel sistema monistico.

[40] PESCATORE, La Società per azioni, in Buonocore (a cura di), La riforma del diritto societario, Torino, 2003, 124.

[41] La distinzione tra assemblea ordinaria e straordinaria non riposa su astratta qualificazione formale, ma è data dalla previsione di diverse maggioranze, nonché dalla circostanza che soltanto per quest’ultima il verbale deve essere redatto per atto pubblico (art. 2375 c.c., comma 2);  Cfr,. Cass., Sez1, n. 8222 del 02/04/2007 (Rv. 595813 – 01)

[42] Ai sensi dell’art.  223 septies disp. att. c.p.p. anche il consiglio di gestione o il consiglio di sorveglianza. 

[43] Le procedure previste dall’art. 2447 c.c. si applicano anche nell’ipotesi di perdita dell’intero capitale sociale (T. Grosseto 12.10.2001)

[44]  In tal senso CAMPOBASSO, La riforma delle società di capitali e delle cooperative, Torino, 2003, 174.

[45] Sebbene la norma taccia in proposito, il procedimento e gli adempimenti da osservare sono gli stessi previsti dall’art. 2446   cfr. Cass. 484/1969; A. Milano 19.9.2000; A. Firenze 18.12.1970; T. Pinerolo 4.2.1999; T. Udine 8.2.1996; T. Roma 10.6.1981;  Cass. 13503/2007.

[46]  Cass. 4923/1995

[47] PESCATORE, La Società per azioni, in Buonocore (a cura di), La riforma del diritto societario, Torino, 2003, 124]

[48] A norma degli artt. 2500 sexies e 2500 septies, per la trasformazione in società di persone sarà sufficiente una delibera adottata con le maggioranze previste per le modifiche dello statuto, con il necessario consenso dei soci che con la trasformazione assumono responsabilità illimitata; per  trasformazione eterogenea in consorzi, società consortili e cooperative, comunioni di azienda, associazioni non riconosciute e fondazioni, la deliberazione dovrà essere assunta con il voto favorevole dei due terzi degli aventi diritto, e comunque con il consenso dei soci che assumono responsabilità illimitata. La trasformazione non è incompatibile con lo stato di liquidazione della stessa, potendo la prima costituire un provvedimento idoneo (se congruamente motivato) a perseguire più proficuamente e con minor dispendio, nell’interesse di creditori, le finalità della liquidazione. Tale trasformazione, naturalmente, non sarà ammissibile qualora il capitale sociale residuo, o ricostituito ex novo, non sia almeno pari al capitale minimo richiesto per il tipo in cui la società intende trasformarsi ( A. Milano 6.10.2000).

[49] Oggi appare superato l’orientamento ante riforma per il quale le cause operavano automaticamente e di diritto (ex plurimis, Cass. n. 9619/2009; Cass. n. 1035/1995); il verificarsi di una causa di scioglimento importa un obbligo a carico degli amministratori di accertare l’esistenza della causa, di procedere ai relativi adempimenti pubblicitari e, in particolare, di limitare la gestione al compimento di atti conservativi del patrimonio sociale. L’attuale terzo comma dell’art. 2384 c.c. prevede che gli effetti dello scioglimento si determinano, nelle ipotesi previste dai numeri 1), 2), 3), 4) e 5) del primo comma, alla data dell’iscrizione presso l’ufficio del registro delle imprese della dichiarazione con cui gli amministratori ne accertano la causa e, nell’ipotesi prevista dal numero 6) del medesimo comma, alla data dell’iscrizione della relativa deliberazione.

[50] Articolo inserito dall’art. 33, comma 1, lett. f), D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134; per l’applicazione di tale disposizione, vedi l’art. 33, comma 3 del medesimo D.L. 83/2012.

[51] T. Pistoia, 30/10/2012 Fallimento, 2013, 1, 74 nota di VELLA

[52] T. Monza Decreto, 11-11-2014 Dir. Fall., 2015, 6, 676 nota di VADALA’ ; T. Verona, 21/07/2016, Il caso.it, 2019.

[53] T. Ancona Sez. II, 12/04/2012 Fallimento, 2013, 1, 110 nota di ARIANI.

[54] La prima fattispecie riguarda operazioni “in genere”, aventi ad oggetto il patrimonio dell’imprenditore, consumato, in notevole parte, in operazioni aleatorie od economicamente scriteriate, il cui effetto conclusivo è la diminuzione della garanzia generica dei creditori, costituita dal patrimonio del debitore, ai sensi dell’art. 2740 cod.civ.; la seconda ipotesi riguarda, invece, operazioni finalisticamente orientate a ritardare il fallimento, ma ad un tempo caratterizzate da grave avventatezza o spregiudicatezza, che superino i limiti dell’ordinaria “imprudenza”, che, secondo la comune logica imprenditoriale, può a volte giustificare il ricorso, da parte dell’imprenditore che versi in situazione di difficoltà economica, ad iniziative “coraggiose” al fine di scongiurare il fallimento. Mentre la seconda ipotesi ha carattere doloso, la prima è punibile a titolo di colpa (Cass.,  Sez. 5, n. 24231 del 20/03/2003 Ud., dep. 04/06/2003, Rv. 225938).

[55] La bancarotta fraudolenta  sussiste «allorché si tratti di operazioni che comportino un notevole impegno sul patrimonio sociale, essendo quasi del tutto inesistente la prospettiva di un vantaggio per la società, mentre le operazioni realizzate con imprudenza costitutive della fattispecie incriminatrice della bancarotta semplice sono quelle il cui successo dipende in tutto o in parte dall’alea o da scelte avventate e tali da rendere palese a prima vista che il rischio affrontato non è proporzionato alle possibilità di successo, ma, in ogni caso, si tratta pur sempre di comportamenti realizzati nell’interesse dell’impresa» (Cass., Sez. 5, n. 6462 del 04/11/2004 Ud., dep. 22/02/2005, Rv. 231394)

[56] La dissipazione si distingue dalla bancarotta semplice per consumazione del patrimonio in operazioni aleatorie o imprudenti, sotto il profilo oggettivo, per l’incoerenza, nella prospettiva delle esigenze dell’impresa, delle operazioni poste in essere e, sotto il profilo soggettivo, per la consapevolezza dell’autore della condotta di diminuire il patrimonio della stessa per scopi del tutto estranei alla medesima (Cass., Sez. 5, n. 47040 del 19/10/2011 Ud., dep. 20/12/2011, Rv. 251218; Id., n. 24231 del 20/03/2003 Ud., dep. 04/06/2003, Rv. 225938).

[57] Per  Cass.,  Sez. 5, n. 24024 del 01/04/2015 Cc. , dep. 04/06/2015, Rv. 263943,

[58] Cass., Sez. 5, n. 29586 del 15/05/2014.; Cass.,  n. 3506  del 23/02/1995,  Rv.  201057; id., n. 40998/2014  Rv. 262188; Id.. n. 43562/2019.

[59] Cass., Sez. 5, n. 17690 del 18/02/2010, Cassa Di Risparmio Di Rieti s.p.a., Rv. 247316.

[60] In tal senso, Cass.,  Sez. 5, n. 40998 del 20/05/2014, Concu, Rv. 262188, secondo cui sussiste il delitto  anche quando le operazioni dolose dalle quali deriva il fallimento della società non comportano una diminuzione algebrica dell’attivo patrimoniale, ma comunque un depauperamento del patrimonio non giustificabile in termini di interesse per l’impresa.

[61] Cass., Sez. 5, n. 47621 del 25/09/2014, Prandini, Rv. 261684; Id, n. 15281 del 08/11/2016, dep. 2017, Bottiglieri, Rv. 270046; Id., n. 29586 del 15/05/2014, Belleri, Rv. 260492; Id., n.  24752 del  19/02/2018 Rv.  273337; Id., n. 15281 del 08/11/2016, Rv. 270046.

[62]  L’assegnazione dell’utile senza la pre-deduzione dell’onere tributario e della conseguente penalità tributaria concreta una manomissione della ricchezza sociale, ovvero una distribuzione che eccede quanto di pertinenza dei soci: Cass.  n. 17355 del 12/03/2015, Casale, Rv. 264080.

[63] Cass., Sez. 5, 49506/2018.

[64] Cass. Sez. 5, n. 2905 del 16/12/1998, dep. 1999, Carrino G, Rv. 212613.

[65] Cass., Sez. 5, n. 17690 del 18/02/2010, Cassa Di Risparmio Di Rieti S.p.a., Rv. 247315; Id, n. 45672 del 01/10/2015, Lubrina, Rv. 265510; cfr. anche Cass. Sez.   5,  n.  533  del 14/10/2016, Rv.  269019.

[66] Cass. Pen., Sez. 5, n. 40998 del 20/05/2014, Concu, Rv. 262189; Id., n. 8413 del 16/10/2013, dep. 2014, Besurga, Rv. 259051; Id.,  n. 17690 del 18/02/2010, Cassa Di Risparmio Di Rieti S.p.a., Rv. 247316.

[67] Cass., Sez. 3, n.  43562/2019.

[68] Al verificarsi di una causa di scioglimento e fino al momento della consegna di cui all’articolo 2487-bis, gli amministratori conservano il potere di gestire la società, ai soli fini della conservazione dell’integrità e del valore del patrimonio sociale.

[69] Cass.  Civ. Sez.  l, n.  9619 del  22/04/2009, Rv.  608228.

[70]  Cass. Civ. Sez.  l, n.   9619/2009, Rv. 608228; Id., n. 3694/2007; Id., n.  6431/1982, Rv. 424062.

[71] Cass., Sez. 5,  31650/2015.

[72] Cass., Sez. 5, n. 8863  del  09/10/2014 Rv.  263421.

[73] Così, l’inosservanza  dei doveri  imposti  dalla  legge all’amministratore e che abbia cagionato   (o  contributo a  determinare) il fallimento ricade nella  fattispecie  di bancarotta fraudolenta nel caso di “operazioni dolose”, mentre torna applicabile  il più  lieve  trattamento  sanzionatorio previsto  per  la bancarotta semplice  quando l’inosservanza  è colposa

[74] Osserva P. FILIPPI,  Il decreto legge 8 aprile 2020 n. 23. Come ci si salva dalla crisi economica da pandemia: il rinvio del codice della crisi e altri rimedi, in Giustizia insieme, 14.4.2020: «Nella malaugurata ipotesi  che  la  crisi  sia  irreversibile   e  che  venga  emessa dichiarazione  di fallimento ex art. 16 l. fall. (o la dichiarazione di  insolvenza ex art. 195 l. fall., o la dichiarazione di insolvenza ex art. 8 l. amm. str.)  o venga emesso  decreto di ammissione al concordato preventivo ex art. 163 l. fall. dovrà tenersi conto della  liceità  civile della  prosecuzione  ai fini  della  valutazione  della  rilevanza penale del  cagionamento  o dell’ aggravamento del dissesto. Sotto tale profilo la liceità della prosecuzione rende difficilmente configurabile  la responsabilità penale  con riferimento alle fattispecie di cui a punti n. 3 e n. 4 dell’art. 217 l.f., nonché  al cagionamento del dissesto per operazione dolose di cui al secondo comma  n. 2dell’art.  223  l.fall.  e  all’aggravamento con  inosservanza  degli obblighi imposti della legge di cui al comma 2 n. 2 dell’art. 224 l.fall.. Ciò quando il dissesto abbia come causa esclusiva determinante l’evento la prosecuzione dell’attività nonostante la perdita del capitale».

[75] La sopravvenuta impossibilità di conseguire l’oggetto sociale si configura nel caso in cui la società si viene a trovare, in modo oggettivo, definitivo ed irreversibile, nell’impossibilità di continuare a svolgere l’attività economica programmata dai soci come delineata nell’atto costitutivo, tale da precludere qualsiasi ulteriore attività operativa della società (Trib. Napoli, decr., 25 maggio 2011, Foro it., 2012, I, 1613; Trib. Lecco, 19 febbraio 2007, Soc., 2008, 1027; Cass. n. 14629/2001).

[76] Per Cass. 33895/2017 l’art.  2631 c.c. non permette all’amministratore di  non convocare l’assemblea entro  il termine previsto, semplicemente rinunciando al proprio  incarico  in favore   di  altro   amministratore  e  ciò  proprio   al  fine  di  sottrarsi  a  un  suo  dovere istituzionale; l termine di trenta giorni di cui all’art. 2631 c.c. vale  soltanto  nei confronti degli  amministratori che intendono  rimanere in carica oltre  la scadenza predetta; viceversa devono, in ogni caso, anche se il termine   di  30   giorni   non  è  ancora  scaduto,  convocare   prontamente  l’assemblea prima  di rassegnare  le proprie  dimissioni.

[77] Cass., Sez. 5, 3.12.2002, n. 40581, in Cass. pen., 2003, 1046, in Riv. pen., 2003, 317; in CED, 2002/223409.

[78] Per Cass. Sez. 5, n.  154  del  26/5/2005, dep.   2006, Zanchetta,  Rv.  233385 è tutelato l’interesse al regolare  funzionamento degli organismi  societari  nonché all’operare della società in modo conforme alla legge ed in modo da assicurare l’integrità del patrimonio sociale, per garantire il ceto creditorio .Cfr. Cass. Sez.  5,  n.  40581 del  26/9/2002,  Bussetti, Rv. 223409; Id., n.  8863  del  09/10/2014, dep. 27/02/2015, Varratta, Rv.  263421; Cass., Sez.  7, n.  46987/2019;  Cass. Sez. 5, n. 35793/2018.

[79] Cass.,  Sez.  5, n.29885 del  09/05/2017 Ud. (dep.  15/06/2017) Rv.  270877; Id., n.  17021 del 2013   Rv.  255090; Id., n.  15613  del  2015   Rv.  263803; Id. n.  3579/2018.

[80] Cass., Sez. 5, 49212/2017. In altri termini, il mancato adempimento degli obblighi di legge può contribuire ad aggravare il  dissesto  della  società, non   occorrendo ai  fini dell’integrazione dell’ipotesi delittuosa in questione che, al momento  dell’omissione,  la società versasse in  bonis,  ben potendo l’inadempienza dell’amministratore  aver  concorso all’aggravamento di una situazione  di sofferenza già in atto.

[81] Cfr. Cass.  Sez. 5, n.  8863 del 09/10/2014 Ud.   (dep.  27/02/2015) Rv. 263421; Id. n. 154 del 26/05/2005 Ud.  (dep. 05/01/2006 ) Rv. 233385.

[82] In particolare, in presenza delle condizioni  che  imponevano  all’amministratore  di sollecitare i soci alla  ricostituzione del  capitale  sociale  o di  adottare i provvedimenti alternativi dal codice civile, pur  consapevole dei dati  negativi illustrati, il gestore non aveva  adempiuto a tale  obbligo  e concorso a cagionare il dissesto.

[83] Il dissesto avuto presente dall’art. 217, n. 4, L. fall.,  è  stato inteso anche come «una situazione di squilibrio economico patrimoniale progressivo ed ingravescente, che, se non fronteggiata con opportuni provvedimenti o con la presa d’atto dell’impossibilità di proseguire l’attività, può comportare l’aggravamento inarrestabile della situazione debitoria, con conseguente incremento del danno che l’inevitabile, e non evitata, insolvenza finisce per procurare alla massa dei creditori» (Cass.,  Sez. 5, n. 32899/2011).

[84]   Cass. Sez.    5,   n.   27634/2019, Bernardi,  Rv. 276920; Cass.  52057/2019. La Corte ha annullato con rinvio la decisione di condanna che aveva concentrato l’attenzione sul debito tributario e sui costi operativi accresciutisi per effetto della mancata richiesta di fallimento, senza considerare la progressiva riduzione delle perdite, il modesto utile e il sensibile risparmio dei costi per interessi bancari, risultanti dai bilanci depositati negli anni oggetto della contestazione

[85] Cass., Sez. 5 n. 28609/2017,  Rv.  270874;  Id. n.  13318/2013,   Rv. 254986.

[86] Cass., Sez.  5  n.18108/2018 , Dolcemascolo, rv.  272823;  Id.,  n.  38077/2015,  Preatoni, Rv.  264743; Id.,  n.  43414/2013Pg.  N. proc.   Zille  e  altri,  rv.   257533..

[87] Cass. Sez. 5 n. 13318/2013, Rv. 254986; Id. n. 28609/2017, Rv. 270874; Id.,  18108/2018 Rv. 272823 – 01.

[88] Cass. Sez. 5,  n. 57757 del 24/11/2017 Ud.  (dep. 28/12/2017 ) Rv. 271861 – 01.

[89] Cass. 1380/2018.

[90] Cass. 40997/2017.

[91]  Tra le altre, «versamento in conto aumento di capitale infruttifero»; «versamento soci in conto capitale», «in conto futuro aumento di capitale», «in conto copertura future perdite», «in conto finanziamento soci infruttifero».

[92] Cass. Civ., Sez. 1, n16291 del 20/06/2018 (Rv. 649534 – 01) ha ritenuto applicabile la previsione di cui all’art. 2467 c.c. nel caso in cui il socio, azionista di maggioranza di una s.p.a. ed anche presidente del consiglio d’amministrazione, aveva sottoscritto un prestito obbligazionario non convertibile, garantito da ipoteca, in favore della società.

[93]  Cass. 2314/1996.

[94] Lo ricorda Cass. Pen. n. 8431/2019 che richiama Cass. Sez. civ. 1, n. 7692 del 31/03/2006, Rv. 588234; conf., ex plurimis, Sez. civ. 1, n. 25585 del 03/12/2014, Rv. 633810; Sez. civ. 1, n. 2758 del 23/02/2012, Rv. 621560; Sez. civ. 1, n. 21563 del 13/08/2008, Rv. 605073.

[95]  Cass., Sez. civ. 1, n. 24861 del 09/12/2015, Rv. 637899.

[96]  Cass., Sez. civ. 1, n. 7692 del 31/03/2006, cit.

[97]  Cass., Sez. civ. 1, n. 15035 del 08/06/2018, Rv. 649557.

[98] Si tratta più esattamente dei crediti derivanti da finanziamenti erogati in funzione della presentazione della domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo o della domanda di omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti, qualora i finanziamenti siano previsti dal piano di cui all’articolo 160 o dall’accordo di ristrutturazione e purché la prededuzione sia espressamente disposta nel provvedimento con cui il tribunale accoglie la domanda di ammissione al concordato preventivo ovvero l’accordo sia omologato; che opera anche per i finanziamenti erogati in funzione della presentazione della domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo o della domanda di omologazione dell’accordo di ristrutturazione, a condizione che i finanziamenti siano previsti dal piano o dall’accordo e la prededuzione sia espressamente disposta dal tribunale in sede di ammissione del concordato o di omologa dell’accordo.  

[99]  Per parte dell’investimento, invece, il  socio deve correre il rischio dell’insuccesso della procedura.

[100]  Si tratta di un terzo che interviene assumendo una partecipazione nella società da ristrutturare. E’ stato in proposito osservato (CAIAFA— PANZANI, art. 182—quater, in Commentario alla legge fallimentare, 2016, p. 837 e ss.)  che la posizione dei soci è passata dalla stalle della postergazione cui era erano stati confinati dalla riforma del 2003 (cfr. art. 2467 c.c. per le S.r.l. e 2497 quinquies c.c. per i gruppi di società) alle stelle della prededuzione riconosciuta dall’art. 182 quater, comma 3, l.fall..  

[101] Coordinando questa disciplina, dunque, può trarsi la conclusione che i finanziamenti tra soci — pure nel contesto di gruppi di imprese —  realizzati nel rispetto delle condizioni previste negli artt. 99 (finanziamenti prededucibili autorizzati prima dellomologazione del concordato preventivo o di accordi di ristrutturazione dei debiti) e 101 CCI (finanziamenti prededucibili in esecuzione di un concordato preventivo o di accordi di ristrutturazione dei debiti ) o con acquisizione delle qualità di socio in esecuzione di tali procedure di regolazione della crisi non solo si sottraggono alla postergazione ma “guadagnano” il beneficio della prededuzione.  

[102] Cfr. Cass. 26211/2019; Id, n. 42568  del 19/06/2018, E, Rv. 273925, non massimata sul punto.

[103] Osserva puntualmente Cass., Sez.  5, n.  50188  del  10/05/2017, Mascellani,  Rv.  271775, rel. De Marzo:  «la disciplina della postergazione, la cui ratio è stata sopra delineata, non individua un diverso grado del credito restitutorio ma rende inesigibile la pretesa alla restituzione, proprio perchè il legislatore espressamente intende che le somme erogate devono essere vincolate al perseguimento dell’oggetto sociale e non possono essere restituite se non quando, ormai soddisfatti tutti i creditori, viene meno la stessa esigenza di garanzia delle loro ragioni»;  nello stesso senso Cass.  12186/2019; Cass. 19247/2019; Cass. 29041/2019.

[104] Lo ricorda ancora Cass. 8431/2019 .

[105] E’ l’impostazione della sentenza Ribatti (Cass. Sez. 5, n. 23672 del 15/04/2004 Ud., dep. 20/05/2004,  Rv. 229032).

[106] Secondo un primo orientamento, infatti, integra l’ipotesi di bancarotta per distrazione, la condotta dell’amministratore di una società, che, quale socio creditore della stessa, recupera, in periodo di dissesto, finanziamenti da lui in precedenza concessi (Sez. 5, n. 41143 del 20/05/2014, Zavaroni, Rv. 261250; conf., ex plurimis, Sez. 5, n. 34505 del 06/06/2014, Marchesi, Rv. 264277; Sez. 5, n. 42710 del 03/07/2012, De Falco, Rv. 254456; Sez. 5, n. 25292 del 30/05/2012, Massocchi, Rv. 253001; Sez. 5, n. 2273 del 06/12/2004 – dep. 2005, Martella, Rv. 231289, nonchè, più di recente, Sez. 5, n. 37053 del 21/05/2018, Sandrini; Sez. 5, n. 11053 del 13/11/2017 – dep. 2018, Ancona; Cass. sez,. 5  49506/2018; per diversa opinione (da ultimo, Cass., 2902/2019) è configurabile la bancarotta preferenziale, dal momento che   la  qualità   di  amministratore, sussistente   in capo  al  creditore,  non  è  idonea   a  mutare  la  qualificazione  della fattispecie (Cass.,  n.  48017   del   10/7/2015;   conf. Sez. 5, n. 5186 del 02/10/2013 – dep. 2014, Giamundo, Rv. 260196;  n.  28077   del   15/4/2011).  Tale   regola  vale   anche  quando   “il pagamento” sia eseguito  sotto  forma  di compensazione, poiché  anche in tal caso l’effetto finale  è quello  di alterare  la  par  condicio  in  favore  di uno  dei creditori (Cass., n. 24324 del 15/4/2015; n. 14380  del 14/10/1999); cfr. anche Sez. 5, n. 1793 del 10/11/2011 – dep. 2012, Rv. 252003;; Sez. 5, n. 10117 del 22/01/2018, Bartolini).

[107] Cass., Sez. 5, n. 14908 del 07/03/2008 Ud., dep. 09/04/2008, Rv. 239487; Id., n. 1793 del 10/11/2011 Ud., dep. 17/01/2012, Rv. 252003; Id., n. 13318 del 14/02/2013 Ud., dep. 21/03/2013, Rv. 254985..

[108] Cass., Sez.  5, n. 15712/2014, Consol  e altri, Rv.  26022. 

[109] Cass., Sez.  5, n. 42568/2018, E., Rv. 273925, in motivazione; Id. n.   13318/2013, Viale,   Rv.  254985; Id.,  n.   1793/2011, rv  252003; Id., n. 14908/2008, rv 239487.

[110] Cass., n. 21747/2019.

[111] La verità impone la ricerca di  risultati oggettivi,  neutrali e coerenti con i criteri tecnici imposti dalla legge; la correttezza richiede una rappresentazione basata su criteri tecnicamente corretti e una comunicazione dei dati non decettiva.

[112] Il principio di chiarezza implica la necessità di completezza ed esaustività, imponendo l’obbligo di fornire informazioni complementari integrative rispetto agli standard legislativi minimali in relazione alla pluralità di funzioni del bilancio ed al destinatario fruitore (Trib. Milano, 5 novembre 2001).

[113]  Cass. Sez. un. n. 22474 del 31/03/2016 Ud.  (dep. 27/05/2016 ), Passarelli,  Rv. 266803 – 01.

[114] Principio di origine comunitaria: cfr. art. 2, punto 16, della Direttiva 2013/34/UE, relativa ai bilanci di esercizio, ai bilanci consolidati ed alle relative relazioni di talune tipologie di imprese, direttiva recepita nel nostro ordinamento con decreto legislativo 14/08/2015, n. 136, entrato in vigore il 16/09/2015.

[115] BIANCHI, Tecnica di consolidamento, Milano, 1995, 115.

[116] Cfr. il principio contabile OIC n.11 (Finalità e postulati del bilancio d’esercizio), paragrafi 21-24.

[117] Sulla valenza dei principi OIC quali criteri di valutazione normativamente fissati o criteri tecnici generalmente accettati di rilievo anche per valutare la rilevanza penale di false valutazioni cfr. Cass. Sez. 5,  n. 46689/2016, Rv. 268672.

[118] Diversa è la cd. continuità formale (art. 2423 bis, n. 6 c.c.), che esclude la legittimità dell’adozione di metodi di valutazione diversi da un anno all’altro, ove non se ne dia adeguatamente conto nella relazione degli amministratori; criterio che giustifica il protrarsi di metodi di redazione che, in base alle mutate situazioni dell’impresa, non più attuali, o sono poco chiari e imprecisi  (Cass., Sez.1,  n. 4874/2006,  Rv. 590240).

[119] Cass., Sez. 5, 31974/2019.

[120] P. FILIPPI,  Il decreto legge 8 aprile 2020 n. 23.Come ci si salva dalla crisi economica da pandemia: il rinvio del codice della crisi e altri rimedi, in Giustizia insieme, 14.4.2020.

[121] Ai sensi del Regolamento (UE) n. 651/2014 della Commissione, del 17 giugno 2014, del Regolamento (UE) n. 702/2014 del25 giugno 2014 e del Regolamento (UE) n. 1388/2014 del 16 dicembre 2014

[122] Sul tema cfr. MINICUCCI,  I delitti di bancarotta al crocevia tra continuità e palingenesi, in disCrimen, rivista on line, 24 aprile 2020; MUCCIARELLI, Risvolti penalistici del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza: lineamenti generali, in Dir. pen. proc., 2019, p. 1190; cfr. A.ROSSI, I profili penalistici del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza: luci ed ombre dei dati normativi, in un contesto programmatico. I ‘riflessi’ su alcune problematiche in campo societario, in Riv. it. dir. proc. pen., 2019, p. 1159 ss.; GAMBARDELLA, Il codice della crisi di impresa: nei delitti di bancarotta la liquidazione giudiziale prende il posto del fallimento, in Cass. pen., 2019, 494 ss.; DI VIZIO, Codice della crisi d’impresa: tra novità e ricadute penali, in Quotidiano Giuridico, 13.3.2019; DI VIZIO,  Codice della crisi d’impresa: gli effetti penali “riflessi” della riforma,  in Quotidiano Giuridico, 20.3.2019.

[123]  Cass. civ., Sez. un. n.115 del 13/03/2001 (Rv. 544708 – 01); Cass. civ. n. 441/2016.

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