La imminente riforma dell’ordinamento penitenziario: un ulteriore passo verso l’attuazione dei principi costituzionali nei confronti dei cittadini condannati. Spunti critici.

di Filomena Capasso

Dopo più di quarant’anni dall’ultima riforma organica in materia di diritto penitenziario- e dopo qualche sporadico quanto frammentario intervento legislativo susseguitosi negli ultimi anni- il Legislatore ha finalmente affrontato una rivisitazione globale della normativa penitenziaria, da realizzare attraverso lo strumento dei decreti delegati- su legge delega n. 103/2017- che, al momento della stesura di questo articolo, sono stati approvati dalle Commissioni Parlamentari ed attendono l’ultimo vaglio da parte delle Camere della nuova Legislatura.

Una commissione di eminenti studiosi ha affiancato gli organi politici per lunghi mesi, nella stesura delle nuove norme che sono ispirate ad una costante attenzione alla dignità e ai diritti individuali della persone detenute, all’ampliamento della possibilità di accedere alle misure alternative alla detenzione, all’abbattimento di numerose preclusioni oggi esistenti, con conseguente riespansione della discrezionalità della magistratura di primo grado e rinnovato approccio individualizzante al trattamento penitenziario.

Qui di seguito si affronteranno alcuni capisaldi della ormai imminente  riforma dell’ordinamento penitenziario, tentando di suggerire  qualche spunto critico di riflessione.

Trattamento e rieducazione dei detenuti

Il perno attorno al quale deve ruotare tutto il sistema penitenziario è il recupero sociale dei condannati.

La componente rieducativa della pena, in ossequio al dettato costituzionale, assume con la riforma in parola una valenza ancora più pregnante rispetto al passato, rispetto a quella retributiva.

Attenzione primaria viene quindi riservata dal Legislatore al trattamento penitenziario, il quale dovrà essere non solo conforme al senso di umanità ed assicurare il rispetto della dignità della persona, ma- come ulteriore dispiegamento in concreto dell’articolo 3 della Costituzione- dovrà essere altresì improntato alla “assoluta imparzialità, senza discriminazioni in ordine a sesso, identità di genere, orientamento sessuale, razza, nazionalità, condizioni economiche e sociali, opinioni politiche . e credenze religiose, e si conforma a modelli che favoriscono l’autonomia, la responsabilità, la socializzazione e l’integrazione.

Tutto il trattamento penitenziario, inoltre, deve tendere in via prioritaria- attraverso i contatti con la società civile e con l’accesso alle misure alternative alla detenzione- al reinserimento sociale del condannato, tenendo sempre conto delle specifiche esigenze degli interessati.

Viene ribadito il principio in base al quale ai detenuti devono essere garantiti tutti i diritti fondamentali e che nei loro confronti è vietata ogni violenza fisica e morale,con la possibilità di adottare restrizioni nei loro confronti giustificabili esclusivamente con l’esigenza di mantenimento dell’ordine e della disciplina

L’aspirazione alla uniformità del diritto penitenziario in ambito europeo, viene inoltre rivelata dal comma 6 del nuovo art. 1 dell’ordinamento penitenziario, laddove viene evidenziato che “la sorveglianza delle persone detenute” dovrà avvenire “nel rispetto dei principi indicati nelle regole penitenziarie del Consiglio d’Europa e con modalità tali da consentire ai detenuti e agli internati di trascorrere la maggior parte della giornata fuori dalle aree destinate al pernottamento anche al fine di favorire i rapporti interpersonali e l’osservazione del comportamento e della personalità”.

Allargamento della operatività dell’articolo 11 ordinamento penitenziario. Valorizzazione del diritto alla salute dei detenuti.

Tra i principi ispiratori della riforma, imperniati sulla valorizzazione dei diritti individuali dei detenuti  e sul trattamento degli stessi come soggetti giuridici portatori di diritti nei confronti dello Stato, benché in stato di restrizione,  si nota una maggiore attenzione al diritto alla salute di ciascun detenuto, con corrispondente obbligo dei sanitari e dell’amministrazione carceraria  a comunicare tempestivamente all’A.G. qualunque anomalia patologica riscontrata all’atto di ingresso in istituto del condannato ( la necessità di tale previsione normativa è stata probabile conseguenza del clamore e dello sdegno suscitati nella società civile per il caso Cucchi) .Tale maggiore attenzione si rinviene anche nella previsione della cd.carta dei servizi sanitari, nella quale ogni condannato viene reso edotto di tutte le sue facoltà inerenti a tale bene costituzionalmente garantito e del suo diritto di ottenere- all’interno dell’istituto carcerario- un ceck up  completo sul suo stato di salute, indipendentemente da un lamentato o già accertato stato di malattia. 

Ancora, particolare attenzione ai diritti del malato detenuto e della tutela della sua dignità si intravede altresì nella norma che prevede che, per il detenuto tradotto in ospedale, se non sia ravvisabile in concreto un pericolo di fuga, non debba essere disposto il piantonamento, salva ovviamente la previsione del delitto di evasione, nel caso di allontanamento non autorizzato del condannato dal luogo di cura.

Altra importante novità è da ravvisare nella equiparazione della malattia psichica e fisica, ai fini del vaglio del differimento della pena (articoli 147, 148 c.p. e 47 septies o.p.).

Il ridimensionamento del numero di preclusioni: conseguenze.

Altro elemento di rilievo della riforma è il ridimensionamento del numero di preclusioni, con conseguente ampliamento della discrezionalità del Magistrato di Sorveglianza.  Alla abrogazione di molte preclusioni esistenti nell’attuale assetto normativo conseguirà un approccio marcatamente individualizzante del trattamento penitenziario, fortemente auspicato da tempo.

Ad esempio, con riferimento alla norma di cui all’art. 4 bis o.p., a seguito della soppressione della norma di cui al comma 3 bis di tale articolo,  rimarranno solo le preclusioni legate ai titoli di reato di cui al comma 1 di tale articolo- i reati cd.di prima fascia– mentre quelle di cui al comma 1 ter verranno meno.

Verrà inoltre abrogata la norma di cui  all’art. 58 quater o.p., ovvero il divieto di concessione di benefici- quali l’assegnazione al lavoro esterno, i permessi premio- o di misure alternative alla detenzione, come l’affidamento in prova ai servizi sociali, la detenzione domiciliare e la semilibertà- al detenuto che sia stato condannato per il delitto di evasione nei tre anni precedenti , o nei confronti del quale sia stata revocata una misura alternativa per violazione delle relative prescrizioni.

Ancora, verrà meno preclusione di cui all’art. 30 quater o.p., con la conseguente possibilità di valutare la concessione di un permesso premio nei confronti di un detenuto al quale sia stata applicata la recidiva qualificata, indipendentemente da un minimo di quota pena già espiata, come avviene nell’attuale impianto normativo; nonché la norma di cui all’art. 677 comm 1 c.p.p., che sancisce la inammissibilità della istanza di misura alternativa nel caso di mancata elezione di domicilio da parte del condannato.

L’abbattimento delle preclusioni, pur contenendo un predicato di fiducia nei confronti della magistratura di merito, potrebbe però portare adun eccessivo soggettivismo delle decisioni, con ricadute sulla uniformità valutativa riguardante il trattamento dei detenuti.

Impossibilità di proporre reclamo al Tribunale di Sorveglianza avverso le decisioni del Magistrato di Sorveglianza in materia di sanzioni disciplinari e trattamento disumano durante la detenzione

Altro elemento della riforma che merita una riflessione è costituito dalla eliminazione della possibilità di proporre reclamo al Tribunale di Sorveglianza, avverso le decisioni in materia di 35 bis o.p. -ovvero sui provvedimenti del magistrato di sorveglianza in materia di sanzioni disciplinari riportate dal detenuto in istituto-  e 35 ter o.p. – cioè sulle ordinanza del magistrato di sorveglianza relative ai reclami per trattamento disumano durante la detenzione- con la previsione del solo ricorso per cassazione.

Tale previsione desta perplessità per le sue ricadute in tema di giustizia sostanziale e di nomofilachia.

Con riguardo al primo aspetto, la concreta possibilità di impugnare le decisioni in tali materie, sarà demandata alle concrete possibilità economiche del singolo condannato, creando di fatto una corsia preferenziale legata al censo.

Con riferimento agli indirizzi giurisprudenziali di legittimità inoltre, la mera eventualità del ricorso per cassazione, la cui proposizione sarà legata a dati del tutto metagiuridici e casuali per quanto appena sopra osservato, porterà alla formazione di una giurisprudenza “a macchia di leopardo”, con importanti ricadute sulla  nomofilachia in materia.

L’ampliamento delle possibilità di accedere alle misure alternative alla detenzione

Un importante  leit motiv di tutta la riforma, è poi costituito dall’ampliamento delle possibilità di accedere alle misure alternative alla detenzione, sia per i condannati detenuti che per i condannati liberi, allargando la sfera di operatività del giudice monocratico, la cui decisione è stata ritenuta- almeno negli auspici- più snella e rapida rispetto a quella collegiale.

Il sistema penitenziario nella sua globalità si impernia sul recupero sociale della persona condannata, attraverso tutte le modalità esecutive della pena, da quella detentiva a quelle alternative alla detenzione intramuraria, come l’affidamento in prova al servizio sociale, la detenzione domiciliare e la semilibertà.

Con il definitivo varo della riforma, il Pubblico Ministero dovrà sospendere l’ordine di esecuzione contestualmente emesso per pene non superiori a 4 anni.

Tale previsione peraltro è già pienamente operativa nel nostro ordinamento giuridico, grazie alla recentissima pronuncia della Corte Costituzionale- sentenza  n. 41 del 2 marzo 2018- che ha  dichiarato la illegittimità costituzionale della norma di cui all’art. 656 comma V c.p.p., nella parte in cui prevede che il Pubblico Ministero sospende l’esecuzione della pena detentiva, anche se costituente residuo di maggior pena, non superiore a tre anni anziché a quattro anni.

La Corte è pervenuta a tale decisione in quanto ha ravvisato la violazione dell’art. 3 della Costituzione per irragionevole trattamento differenziato  “di situazioni da reputarsi eguali quanto alla finalità intrinseca alla sospensione dell’ordine di esecuzione della pena detentiva e alle garanzie apprestate in ordine alle modalità di incisione della libertà personale del condannato” , laddove la previsione normativa già dal 2013 dell’affidamento in prova cd. allargato, riguardante la possibilità di concedere la misura a condannati a pene fino a quattro anni, sarebbe rimasta irragionevolmente preclusa ai condannati liberi- con il necessario passaggio in carcere, per poter poi chiedere, da detenuti, la misura in parola- senza il necessario adeguamento, quanto ai limiti di pena entro i quali sospendere l’ordine di esecuzione, della norma di cui all’art. 656 co. V c.p.p.      

Quanto alle pene di entità “minore”, ovvero  fino a 18 mesi  irrogate nei confronti di soggetti liberi, il Presidente del Tribunale di Sorveglianza, dopo aver disposto istruttoria, designerà un Magistrato di Sorveglianza affinché decida con ordinanza “de plano”ovvero senza contraddittorio, sulla concessione della misura alternativa.

Dopo la decisione del magistrato in composizione monocratica, il procedimento passerà al vaglio del Tribunale di Sorveglianza in composizione collegiale, che potrà confermare o meno la decisione adottata in via provvisoria.

Nel caso in cui non confermi, si attiverà la procedura ordinaria, ovvero con contraddittorio pieno (il quale, quindi sarà solo eventuale).

L’ordinanza emanata in sede monocratica è opponibile e, nella pendenza dei termini per la opposizione- nonché nella ipotesi in cui venga effettivamente proposta opposizione- la sua esecutività rimarrà sospesa.

Quanto alle ricadute pratiche sugli uffici giudiziari,  il progetto di riforma sembra non tenere conto delle concrete realtà dei Tribunali di Sorveglianza, quali uffici giudiziari distrettuali composti da diverse sedi distaccate, come ad esempio il Tribunale di Napoli, che è composto anche dalle sedi di Santa Maria Capua Vetere e Avellino: il passaggio di fascicoli dalla sede centrale a quelle periferiche potrebbe rivelarsi in concreto più macchinoso  di quello che si possa pensare, senza contare poi le lungaggini legate alle eventuali restituzioni di procedimenti ai presidenti, nel caso in cui il magistrato monocratico ritenga indispensabile ai fini della decisione una integrazione di istruttoria (la riforma, infatti, sembra concentrare tutti i poteri istruttori in capo al Presidente del Tribunale).

Tali elementi, unitamente alla previsionedi criteri oggettivi di assegnazione dei procedimenti, e alla mancanza di un termine entro il quale provvedere, potrebbe portare ad un meccanismo che, lungi dall’essere snello e “senza formalità”, sarebbe in concreto lento e farraginoso, perseguendo risultati del tutto opposti a quelli auspicati dalla riforma .

Il magistrato di sorveglianza attualmente ha competenza per le istanze di misura alternativa avanzate in via provvisoria da condannati detenuti, solo allorquando ricorre il presupposto cautelare della sussistenza di un grave pregiudizio dalla protrazione dello stato di detenzione.

Con la riforma, la sua competenza sarà ampliata in materia di misure alternative da concedere o meno in via provvisoria  a soggetti detenuti “nei casi in cui dalla protrazione dello stato detentivo siano pregiudicate le finalità di reinserimento/cura“.

E’di prima evidenza che il bilanciamento tra le finalità rieducative perseguibili in ambiente intramurario rispetto agli obiettivi di riabilitazione ottenibili attraverso una misura alternativa, richiederà lunghe e delicate istruttorie, con motivazioni articolate quanto complesse.

Sempre in tema di ampliamento delle competenze del magistrato monocratico, l’art. 656 comma 10 c.p.p. stabilirà che i condannati agli AADD, sono considerati in detenzione domiciliare– ovvero in misura alternativa nelle more della decisione del Tribunale di Sorveglianza- con conseguente obbligo del magistrato di sorveglianza di stabilire le prescrizioni di tale misura, fino alla decisione collegiale.

Mancata attuazione della legge delega

Si deve infine registrare la mancata attuazione della legge delega su aspetti fondamentali, che avrebbero allineato il nostro Paese a quelli in cui la esecuzione penale e la riabilitazione dei detenuti è all’avanguardia, come la Germania.

Ciò,  con particolare riguardo

– al diritto all’affettività dei detenuti e delle condizioni per il suo esercizio, con la previsione di aree da condividere con gli affetti familiari, fondamentali specialmente per coloro che non hanno la possibilità di accedere ai permessi premio;

– al diritto al lavoro retribuito, pietra angolare per qualsiasi discorso concreto inerente la riabilitazione sociale del condannato;

– sulla previsione di attività e procedure di giustizia riparativa come momento di incontro tra autore e vittima del reato, affinché la  frattura sociale determinatasi con la commissione del reato, possa trovare un componimento favorito proprio dalle Istituzioni statali.

Conclusioni

La riforma, come osservato, amplierà notevolmente la possibilità di accedere alle misure alternative.

L’ambizione è quella di snellire le procedure per l’accesso alle misure alternative, sia per i condannati liberi che per i detenuti, con enormi ricadute peraltro sulla magistratura di sorveglianza in composizione monocratica, che si vedrà moltiplicate le competenze, nonché l’ambito del vaglio discrezionale di ciascuna istanza, essendo state abbattute in linea di principio gran parte delle preclusioni e delle inammissibilità che precedentemente fungevano da “filtro”, garantendo anche una certa uniformità delle decisioni.

La pressione e la sovraesposizione sul singolo magistrato di sorveglianza potrà essere ovviata solo con la previsione di adeguati mezzi, personale di cancelleria e aumento delle piante organiche dei singoli uffici.

Tali interventi saranno indispensabili e dovranno essere previsti in concomitanza alla entrata in vigore delle nuove norme affinché lo spirito della riforma possa trovare effettiva attuazione, laddove dei carichi inesigibili dovuti a moltiplicate competenze e responsabilità della magistratura di primo grado, potrebbero portare in concreto all’insuccesso della riforma.

Napoli, il 23 marzo 2018

Filomena Capasso

Magistrato di sorveglianza Santa Maria C.V.