La libertà religiosa secondo la Corte Suprema statunitense (pronuncia Hobby Lobby)

a cura di Paolo Mammola (dottorando di ricerca in diritto privato e commerciale)

La Corte Suprema statunitense, con la sentenza Burwell v. Hobby Lobby Stores, Inc. (giugno 2014), interpreta il Religious Freedom Restoration Act  (RFRA del 1993) nel senso che la definizione di person includa le corporations e che il Governo in tanto possa incidere sull’esercizio della libertà religiosa, in quanto provi che l’interesse perseguito non possa essere soddisfatto con mezzi meno gravosi per i soggetti destinatari – nel caso in parola, la società chiusa Hobby Lobby− del contraceptive mandate.

LIBERTA’ RELIGIOSA E SOCIETA’ DI CAPITALI NEGLI USA:

CUIUS REGIO EIUS RELIGIO?

di Paolo Mammola

Junior Academic Visitor, Commercial Law Centre, Harris Manchester College,Oxon;

Dottorando di Ricerca in Diritto privato e commerciale, Università degli Studi di Salerno;

Alumnus in Giurisprudenza, Università degli Studi di Napoli ‘Federico II’

Delicata per le potenziali implicazioni della decisione è la questione sottoposta all’esame della Corte Suprema degli Stati Uniti d’America e sfociata (giugno 2014) nella pronuncia Hobby Lobby, dove gli interessi da bilanciare sono, da un lato, la libertà religiosa del datore di lavoro e, dall’altro,il diritto di accedere a determinate prestazioni sanitarie per i dipendenti.

In particolare, i soci di riferimento di unaclosed companylamentano la lesione del proprio convincimento religioso, in quanto l’Affordable Care Act (c.d.Obamacare) impone alla società di garantire alle proprie lavoratrici un’ampia gamma di anticoncezionali.

La circostanza che non si tratti di imprenditore individuale, ma di impresa societaria (ancorché c.d. chiusa), è foriera di interrogativi sulla estensione dei diritti (e delle libertà) delle persone giuridiche: segnatamente, circa una religious liberty  per le società secular e for-profit, quale Hobby Lobby.

La Corte accoglie l’istanza della famiglia Green, cosí riconoscendo – conformemente alle previsioni del Religious Freedom Restoration Act del 1993 – che il governo abbia l’onere di dimostrare che l’interesse soddisfatto non potesse essere perseguito con una misura meno gravosa, sull’assunto che l’imprenditore non possa, in séguito alla incorporation, perdere diritti che dapprima gli sarebbero, in quanto individuo, spettati.

La principale critica− non sono mancate, in seno alla Corte, dissenting opinions -rileva che tale orientamento consentirebbe alle società (rectius, ad ungià influente ceto manageriale) di vessare i dipendenti, imponendo loro il proprio credo: «Cuius regio eius religio»?

Paolo Mammola

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