La mia storia

Sono nata nelle Marche, a Senigallia (AN); sono in magistratura dal 1998.


Ho iniziato come giudice in Sicilia, a Termini Imerese (PA), sede che aveva come sezione distaccata quella di Corleone (di cui ho avuto per alcuni mesi il coordinamento) e dove ho svolto funzioni civili e penali, occupandomi di diverse materie in quanto ero in un piccolo ufficio.


Ho poi trascorso un breve periodo fuori ruolo: dal 2004 al 2006 come
consulente della Commissione parlamentare di inchiesta sulla morte
di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin e dal 2006 al 2008 come consulente presso l’ufficio legislativo del Ministero delle Politiche per la famiglia.

Nel 2008 sono rientrata in ruolo al Tribunale di Rimini come giudice penale (ho trattato reati di competenza monocratica e collegiale, procedimenti di riesame reale, misure di prevenzione, esecuzione penale). Da un anno sono Presidente della I Sezione (civile) del Tribunale di Ancona, che si occupa di famiglia, volontaria giurisdizione, successioni e divisioni, proprietà e possesso, responsabilità extracontrattuale e protezione internazionale, e comprende la sezione lavoro e previdenza.

Sono stata componente del Consiglio Giudiziario di Bologna dal 2012 al 2016 e componente della Sezione Autonoma giudici di pace e della Commissione Flussi.

Sono stata affidataria di magistrati in tirocinio e tirocinanti ex art. 73 ed ho curato per diversi anni, a Rimini, la formazione penale della magistratura onoraria.

Sempre a Rimini, ho collaborato con il Presidente alla redazione di intese e protocolli con la Procura della Repubblica ed il locale Consiglio dell’Ordine degli Avvocati (sull’applicazione del c.d. braccialetto elettronico, sul lavoro di pubblica utilità per i reati in materia di codice della strada, sulla liquidazione degli onorari per patrocinio a spese dello Stato).

Il perché, il come, i temi

Ho accettato di candidarmi perché dopo quel che è emerso la scorsa primavera ho pensato che non basta lo sdegno – che pure ho provato, come tanti di noi – ma occorre un impegno concreto: le cose si cambiano dall’interno, con un di più di partecipazione.

Sono qui con la mia storia personale e professionale (la potete leggere sintetizzata sopra) e all’interno del gruppo di Unità per la Costituzione, nel quale ho iniziato e svolto attività associativa e che oggi sostiene la mia candidatura.

So bene che questa corrente è stata direttamente coinvolta nei “fatti di maggio”, con suoi esponenti sia consiglieri che non.

Ma – fermo restando che le diverse responsabilità, penali,disciplinari o morali,saranno accertate nelle sedi opportune – voglio dire che non solo credo ancora nel valore dei gruppi associativi come punti di riferimento e luoghi di confronto e di crescita, ma non ci sto a bollare tutto come marcio e immodificabile.

Unicost non solo ha preso le distanze da certe condotte, ma è parte lesa di quei comportamenti. E’ stata rapida e severa,all’indomani del disvelamento dei fatti, a fare autocritica, anche pagando un prezzo in termini di sofferenza personale, per i rapporti stretti, anche di amicizia, che ci legano ai colleghi coinvolti, senza esitazioni perché certi metodi sono inaccettabili, e se sono la degenerazione di un sistema, quel sistema va decisamente e radicalmente cambiato.

Vogliamo continuare ad esserci, a rappresentare la casa comune per quei colleghi che si riconoscono nei valori del non collateralismo con qualunque potere politico, del pluralismo delle opinioni, del riferimento ai principi costituzionali e della ricerca della declinazione concreta di quei principi.Con un metodo istituzionale e di dialogo, con lo stile della moderazione, che non è indifferenza alla realtà, e nemmeno adesione predefinita ad opzioni politiche, di qualunque colore siano.

Questione morale

questione morale

La questione morale deve avere priorità. Solo il mantenimento di un livello elevato di eticità dei comportamenti esprime la capacità del Consiglio Superiore di riflettere verso l’esterno la sua alta funzione. è quindi indispensabile valorizzare il codice deontologico e disciplinare del magistrato ed applicarlo ogni volta che si presenti l’ipotesi di uno sviamento o di un abuso del ruolo e della funzione giudiziaria.

E’ necessario stabilire regole per evitare quell’intreccio pernicioso tra ruoli istituzionali e associativi, potere delle correnti, ambizioni personali e politica che è emerso la scorsa primavera, a partire da una rigorosa separazione tra le attività istituzionali e quelle associative: sono favorevole alla proposta (che proviene dal CDC della ANM) di modifica del Codice Etico nel senso della incandidabilità al CSM dei magistrati che svolgono ruoli associativi o altri incarichi (componenti il CDC ANM o le GES, i Consigli Giudiziari, il Consiglio Direttivo della SSM, presidenti e segretari dei gruppi associativi) fino alla scadenza naturale dell’incarico o dell’organo di appartenenza.

Autonomia dalla politica

autonomia della politica

E’ necessario avere un rapporto adulto e libero con la politica. La presenza nel CSM di una componente laica, pensata per scongiurare i rischi di autoreferenzialità e corporativismo, consente una interlocuzione istituzionale con la politica ed una leale collaborazione nell’attività di amministrazione che spetta al Consiglio.

Ci sono poi le interlocuzioni ufficiali con il Ministero della Giustizia e con le altre istituzioni. Nessun altro tipo di rapporto diretto con la politica è consentito. Ribadiamo con forza la più ferma opposizione a “contatti” non istituzionali da parte dei consiglieri che in qualsiasi modo attengano alle attività consiliari, contatti che avrebbero l’unica ragion d’essere in una logica di scambio (come è talvolta accaduto, non solo a maggio e non solo da parte di alcune correnti). Proprio perché il non collateralismo è la cifra di Unicost, e l’autonomia e l’indipendenza dei magistrati sono valori imprescindibili, credo sia indispensabile mantenere la più assoluta terzietà ed evitare ogni tipo di adesione ad opzioni politiche espresse da una parte o dall’altra

Qualità della giustizia

qualità della giustizia

Dopo anni (ormai lontani) di scarsa efficienza e ritardi nella risposta di giustizia, negli ultimi anni la produttività dei magistrati italiani è divenuta assai elevata.

Si è passati però ad una eccessiva focalizzazione sull’aspetto quantitativo (numero di definizioni, indici di smaltimento, durata media dei procedimenti),a detrimento, a volte, della qualità del prodotto giurisdizionale, conseguenza ancora più negativa in taluni ambiti, ad esempio quello della Cassazione, in cui deve essere assicurato il ruolo nomofilattico e un grado elevato di qualità dei provvedimenti. Occorre dare il giusto peso alle potenzialità dell’nformatica: utilissima per la lettura dell’attività giurisdizionale nel complesso (statistiche, distribuzione del lavoro, ecc.) e la gestione telematica dei procedimenti (come avviene nel settore civile), ma inadatta a risolvere da sola i problemi della giurisdizione: il processo telematico, prossimo al debutto anche nel penale, non può essere utilizzato per ‘cancellierizzare’ l’attività del giudice, mentre le analisi statistiche devono essere al servizio di una giustizia di qualità e in particolare essere in grado di rappresentare l’effettivo lavoro dei magistrati.