La nuova legge elettorale del CSM: una diversa soluzione è possibile di Fulvio Troncone

È circolata in questi giorni una bozza di riforma del sistema elettorale del Consiglio superiore della magistratura inserita in un più ampio intento riformatore del sistema-giustizia che si muove lungo diverse direttrici, non solo ordinamentali.

La relazione che si è avuto modo di leggere chiarisce che «le disposizioni con le quali si intende riformare il sistema elettorale del consiglio superiore della magistratura […] impongono tempi di immediata attuazione non affidabili alla più diluita tempistica dell’attività legislativa delegata».

L’intento dichiarato è quello di emendare l’attività consiliare dall’«emergente, patologico fenomeno del “correntismo” nella magistratura, allentando il legame tra contesto associativo ed eletti nell’organo di autogoverno». Dal punto di vista dei componenti laici, nelle parole della relazione, si vuol parimenti «eliminare la contiguità dei componenti del Consiglio superiore con esponenti della politica». Nel complesso la novella va nel senso di depotenziare il predicato tasso di politicizzazione dei lavori consiliari da ricondurre nell’esclusivo alveo della buona amministrazione. In tal senso si è disposto l’ampliamento del numero complessivo dei componenti, elevato a trenta, nonché l’incompatibilità fra le funzioni di giudici disciplinari e quelle prettamente amministrative, pur restando entrambe formalmente nell’ambito delle unitarie attribuzioni dell’Organo di governo autonomo.

Con stretto riferimento alla componente togata, si disegna un sistema elettorale bifasico basato su diciannove collegi, con individuazione dei candidati mediante sorteggio preventivo. I collegi hanno una dimensione ristretta, pari a circa un diciassettesimo del corpo elettorale, e rispettosa del principio di continuità territoriale. Secondo l’art. 38, comma 6, del disegno di legge, il procedimento elettorale si svolge in due fasi. La prima diretta a individuare, mediante sorteggio, i magistrati candidabili al Consiglio superiore della magistratura; la seconda, a eleggere i magistrati destinati a farvi parte. Nella prima fase, in ciascun collegio, è sorteggiato un numero di magistrati pari al venti per cento degli eleggibili tra i magistrati in possesso dei requisiti previsti. I magistrati sorteggiati possono presentare la loro candidatura nel collegio ove esercitano le funzioni giudiziarie, ovvero nel collegio nel quale hanno esercitato le funzioni giudiziarie nei dieci anni precedenti la candidatura. Nella seconda fase del procedimento sono eletti i magistrati candidati a norma del comma 8 che, in ciascun collegio, hanno ottenuto il maggior numero di voti. Nel collegio di legittimità sono eletti i due candidati che hanno ottenuto il maggior numero di voti.

Corollari sono infine l’assoggettamento delle indennità percepite dai consiglieri superiori ai limiti massimi di cui all’art. 12 del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, in legge 23 giugno 2014, n. 89, nonché la previsione di un periodo di decantazione successivo all’espletamento del mandato elettivo, di modo che i magistrati ex componenti non possono proporre domanda per un ufficio direttivo o semidirettivo prima che siano trascorsi quattro anni dal giorno in cui hanno cessato di far parte del Consiglio superiore della magistratura e prima di due anni da tale data non possono essere nuovamente collocati fuori ruolo, salvo l’espletamento di funzioni elettive.

Un’analisi dell’efficacia e della congruenza con i propositi indicati di tale ius novum non può prescindere da un preliminare inquadramento del Consiglio superiore nell’ambito dell’architettura costituzionale, non solo formale.

Il Consiglio è usualmente collocato fra gli organi di rilevanza costituzionale in ragione della dicotomia rispetto agli organi supremi dello Stato-soggetto, idonei a determinare l’indirizzo politico generale o di condizionarne l’attuazione. Ora, al di là della disputa meramente semantica se si tratti piuttosto di un organo costituzionale, è indubitabile la copertura posta dall’art. 139 Cost. a una riforma costituzionale, esercitata, dunque, dal potere costituito su quanto ha deliberato il potere costituente, che proceda a una soppressione o a un completo svuotamento delle funzioni dell’Organo. Si tratta, come bene è stato affermato, di un «un punto di non ritorno del disegno costituzionale», indefettibile perché posto a presidio dell’autonomia e dell’indipendenza dell’ordine giudiziario, a sua volta strumentale all’inveramento dello Stato costituzionale di diritto che vuole tutti i soggetti ugualmente sottoposti alle leggi conformi a Costituzione. Con tutta evidenzia si è in presenza dei principi supremi dell’ordinamento costituzionale italiano e parte dei valori fondamentali dell’Unione europea[1].

In tale complesso quadro definitorio si innesta la problematica delle funzioni consiliari, in particolare se il Consiglio si ponga come mero «vertice organizzativo» conformemente all’autoqualificazione che l’organo si è dato nella sua prima relazione al Parlamento, come «una sorta di direttore generale collegiale»[2], oppure se esso non si limiti alla mera gestione del personale di magistratura togata e onoraria, bensì, in qualche modo, concorra alla formazione della politica giudiziaria del Paese, pur rimanendo la stessa di principale responsabilità del Ministro della Giustizia. 

E’ parere di chi scrive che la tesi riduzionistica sia ormai superata dalla consolidata prassi istituzionale. D’altro canto anche la stessa strutturazione costituzionale del Consiglio potrebbe lasciar propendere in senso diverso. Invero, il fatto che la presidenza del CSM sia attribuita al Presidente della Repubblica, rappresentante dell’unità nazionale, massimo organo di garanzia, potere «neutro», posto al di fuori della tripartizione dei poteri e che la componente “laica” sia di elevata caratura professionale necessariamente espressiva di tutte le forze politiche, in ragione della particolare maggioranza qualificata richiesta per la sua elezione, non è priva di significato. Infatti, costituisce la cartina tornasole del contenuto di intrinseca politicità, intesa anche come opzioni assiologiche di selezione e individuazione delle priorità dei beni-interessi abbisognevoli di cura, della sua azione, che si esprime, ovviamente, non tanto nella parte prettamente gestionale, per esempio in sede di concreta nomina dei magistrati destinati a ricoprire uffici direttivi e semidirettivi o a far parte degli uffici di legittimità, quanto piuttosto allorché il Consiglio proceda a elaborare la cosiddetta normativa secondaria, la quale ha obiettive ricadute nell’organizzazione degli uffici giudiziari (si pensi alle circolari sulle tabelle di organizzazione degli uffici giudicanti o quella riguardanti gli uffici requirenti e i poteri del Procuratore della Repubblica, alle circolari in tema di incarichi extragiudiziari, di valutazione di professionalità, di magistratura onoraria e così via). Un rilievo, poi, affatto particolare ha acquisito l’attività “pareristica” svolta dal Consiglio, su richiesta del Parlamento, Governo o in via autonoma, con riguardo alle iniziative legislative in materia di giustizia[3], con la quale, pur non concorrendo alla formazione del dettato legislativo, il Consiglio esprime il suo punto di vista e segnala gli aspetti positivi, le possibili criticità e le auspicate integrazioni e modifiche del testo di legge sottoposto all’esame delle Aule parlamentari, nonché esso stesso avanza proposte per la modifica delle circoscrizioni giudiziarie e su tutte le materie riguardanti l’organizzazione dei servizi relativi alla giustizia. Sempre sul tema, degna di menzione è la facoltà per il CSM di far pervenire al Parlamento, sempre tramite il Ministro della Giustizia, una Relazione annuale sullo stato della giustizia, segnalando problemi e proponendo le soluzioni ritenute più opportune. Sempre in tale ottica, va anche ricordata l’intensa attività internazionale che svolge il CSM, il quale, è bene segnalare, ancor oggi costituisce un modello di riferimento per molti ordinamenti euro-mediterranei.

But the way, si discute anche se, in sede di emissione del regolamento interno, il Consiglio abbia esercitato una propria attività normativa. Si tratta certamente di una facoltà attribuita dal legislatore ordinario (si veda l’art. 20, numero 7 della legge 24 marzo 1958, n. 195); pertanto, la tesi più accreditata è che si tratti di una vera e propria fonte dell’ordinamento generale[4],  con la quale nessuna fonte governativa potrebbe mai concorrere. Non v’è, infatti, dubbio che il Consiglio superiore della magistratura sia l’organo direttamente investito delle funzioni previste dall’art. 105 della Costituzione e il solo competente a esercitarle in via definitiva e in posizione di indipendenza da altri poteri dello Stato (Corte costituzionale, sentenza, n. 379 del 1992), di modo che l’autonomia della magistratura esclude ogni intervento determinante del potere esecutivo nelle deliberazioni concernenti lo status dei magistrati, fatto ovviamente salvo il rapporto di collaborazione fra CSM e Ministro della giustizia (Corte costituzionale, sentenze, numeri 168 del 1963 e 379 del 1992).

Dunque, può concludersi che proprio la estrema rilevanza e diversità dei compiti che il dato formale e la prassi istituzionale, per come si è consolidata, affidano ai consiglieri superiori spiega perché, pur essendo la magistratura un corpo di eguali, ai quali non si applicano le disposizioni relative all’ordinamento gerarchico statale (Corte costituzionale, sentenza, numero 168 del 1963) e che si distinguono solo per le funzioni svolte, secondo la definizione scolpita dall’art. 107, terzo comma, Cost., per selezionare la componente togata al Consiglio superiore il Costituente abbia inteso percorrere la via elettiva, cui partecipano in via attiva tutti i magistrati ordinari, e non altra modalità, che pur poteva essere di più agevole praticabilità.

Da tanto autorevoli settori dottrinari hanno rilevato come la via elettiva sia a oggi  costituzionalmente obbligata, non potendo essere essa surrogata da altre modalità, quali il sorteggio, finanche se preventivo, come previsto nel disegno di legge in esame[5].

Ma, pur volendo non arrestarsi alla lettera della Costituzione, che, inequivocabilmente, disegna un sistema elettivo puro (e non già un sistema misto: sorteggio di una platea di candidabili e, quindi, la competizione elettiva), non è inutile indagare la ragionevolezza della scelta legislativa che si sottopone all’esame delle Aule parlamentari. 

La Corte costituzionale ha già da tempo precisato che il giudizio di ragionevolezza consiste in «un apprezzamento di conformità tra la regola introdotta e la “causa” normativa che la deve assistere» (sentenze n. 245 del 2007 e n. 89 del 1996). In altri termini, la Corte costituzionale ha desunto dall’art. 3 Cost. un canone di razionalità della legge svincolato da una normativa di raffronto, essendo sufficiente un sindacato di conformità a criteri di coerenza logica, teleologica e storico-cronologica (sentenza n. 87 del 2012). Il principio di ragionevolezza «è dunque leso quando si accerti l’esistenza di un’irrazionalità intra legem, intesa come “contraddittorietà intrinseca tra la complessiva finalità perseguita dal legislatore e la disposizione espressa dalla norma censurata” (Corte costituzionale, sentenza n. 86 del 2017 e n. 416 del 2000).

E’ parimente noto che nella Costituzione italiana ciascun diritto fondamentale è predicato unitamente al suo limite, nel senso che tutti i diritti costituzionalmente protetti sono soggetti al bilanciamento necessario ad assicurare una tutela unitaria e non frammentata degli interessi costituzionali in gioco, di modo che nessuno di essi fruisca di una tutela assoluta e illimitata e possa, così, farsi “tiranno” (sentenze n. 63 del 2016 e n. 85 del 2013).

Ora, v’è da rilevare una non perfetta congruenza interna fra i propositi che il legislatore vuole perseguire con la riforma in esame e il rimedio ritrovato del sorteggio preventivo, con conseguenti dubbi sull’effettiva ragionevolezza del bilanciamento cui è stato sottoposto il diritto di elettorato passivo al CSM presidiato dall’art. 51 Cost.[6] (si rammenta che dal punto di vista dell’elettorato passivo, il precetto costituzionale esige soltanto che i componenti siano scelti fra i magistrati appartenenti alle varie categorie (art. 104, quarto comma, Cost.). In particolare, se il proposito è quello di evitare l’intromissione delle correnti nell’attività consiliare e, principalmente, di impedire che le nomine dei magistrati destinati a uffici direttivi, semidirettivi e agli uffici di legittimità, sia inquinata, per non dire altro, da influenze correntizie, il sorteggio preventivo non sembra congruente con tale ratio legis,specie se si procede a un’analisi sistemica e non parcellizzata dell’intero disegno di legge.

Infatti, il disegno di legge non si occupa solo del sistema elettorale del CSM, ma intende procedere a decisivi interventi sulle disposizioni dettate dall’ordinamento giudiziario proprio in tema di conferimento di uffici direttivi e semidirettivi (per questi ultimi, ex art. 105 Cost., la loro previsione non sembra surrogabile con altre figure, come quella dei coordinatori) e di destinazione dei magistrati agli uffici di legittimità, al fine di assicurare l’adozione di criteri trasparenti e autenticamente ancorati a dati oggettivi e coerenti.

Dunque, è ragionevole ritenere che delle due, l’una: o il legislatore intimamente reputa tali ultimi interventi del tutto inidonei a correggere l’attuale estrema discrezionalità del CSM, impedire intromissioni correntizie e implementare la comprensibilità delle scelte consiliari, implicitamente confessandone la loro inutilità, oppure, potrebbe sorgere il dubbio che dietro la scelta di modificare il sistema elettorale vi possa essere un intento neanche tanto dissimulato, che è quello di ridimensionare il ruolo complessivo del CSM, riducendolo esclusivamente a mero ente organizzatore del personale della magistratura, in controtendenza con la divisata prassi costituzionale, che ha un indubbia rilevanza da un punto di vista sostanziale. 

Se il Consigliere superiore è, infatti, chiamato a compiere, oltre ad attività gestionale espressiva di discrezionalità tecnica (comunque, già di per sé assai significativa per le sue ricadute), anche un quid pluris che obiettivamente incide sulla generale politica giudiziaria del Paese, è ragionevole ritenere che il corpo elettorale sia legittimato a scegliere il miglior candidato possibile nell’ambito di una platea di candidabili che, per quanto ampia, non può essere ristretta dalla sorte. Così come il Consigliere eletto deve essere dotato di massima autorevolezza, che gli è anche conferita dal riscontro elettorale non viziato ab origine da un evento del tutto aleatorio, qual è il sorteggio. Tale ultima eventualità, costituente un unicum nel panorama istituzionale[7], invero, non può non avere ricadute negative sul prestigio e sulla importanza del Consiglio nell’ordinamento costituzionale[8] nonché sulla sua capacità di porsi in posizione di dialogo, di leale collaborazione, e, solo ove necessario, di conflitto, con altri poteri dello Stato.

Peraltro, l’art. 38 non indica neanche la tempistica in cui tale sorteggio sarà effettuato e, quindi, lo spatium temporis concesso per lo svolgimento dell’intero processo elettorale. Non si comprende, dunque, quali sono i tempi posti a disposizione rispettivamente al candidato per far conoscere il proprio pensiero e le proprie capacità umane e professionali e al corpo elettorale per una scelta davvero consapevole.

Nondimeno, con ciò non si vuol difendere l’indifendibile.

E’ chiaro che l’attuale sistema elettorale va riformato, avendo dato pessima prova di sé, per errori di ideazione e per pratiche opinabili di cui l’intera magistratura deve fare autocritica (da ultimo, la scelta sostanzialmente elusiva del dettato costituzionale di candidare alle elezioni del 2018 un numero di pubblici ministeri pari al numero degli eleggibili per tale categoria)[9].

Il ricorso alla sorte non sembra tuttavia l’unica soluzione possibile (e, quanto meno, la più ragionevole) per svincolare l’attività gestionale del Consiglio dall’oggettivamente impropria influenza dei corpi intermedi.

Esiste, infatti, già un ventaglio di proposte, ciascuna proveniente da fonte autorevole e ampiamente percorribile, che, oltre a essere maggiormente conformi alla lettera della Costituzione, lasciano integra la piena autorevolezza della componente togata – ferma l’inderogabilità della distinzione degli eleggibili in categorie[10]– senza menomare il ruolo complessivo del Consiglio nell’ordito costituzionale e mortificare le potenzialità di scelte del corpo elettorale[11].

In primo luogo, potrebbe immaginarsi la soluzione, non esclusa dal dettato costituzionale (art. 104, sesto comma, Cost.), che raccorda la durata quadriennale ai singoli membri e non all’Organo, di una rotazione non all’unisono di tutti i componenti, ma continua degli stessi, come avviene per la Corte costituzionale[12]. Dalla conseguente riduzione dell’effetto di “parlamentarizzazione” l’attività istituzionale dell’organo trarrebbe sicuro beneficio in punto di coerenza e continuità, anche per quanto riguarda la componente cd. laica.

Allo stesso modo, valida si palesa la scelta della Commissione ministeriale per le modifiche alla costituzione e al funzionamento del Consiglio superiore della magistratura (cd. Commissione Scotti), la quale, oltre a dare una valutazione nettamente negativa del sistema del sorteggio, ha optato per un sistema articolato su un primo turno, maggioritario, con collegi locali senza liste e su un secondo turno, proporzionale, per collegio nazionali con liste concorrenti[13].

Degna di menzione è anche la soluzione del Presidente Silvestri[14] che esprime la sua preferenza per il vecchio sistema elettorale del Senato.

Resta anche la proposta di cui alla Risoluzione sulla relazione della Commissione ministeriale per le modifiche alla costituzione ed al funzionamento del Consiglio Superiore della Magistratura (Delibera consiliare del 7 settembre 2016), ove si auspica che la riforma favorisca un rapporto meno rigido tra componente associativa ed eletto, da un lato, e, dall’altro, aumenti il ventaglio di scelte dell’elettore. In proposito, secondo tale delibera, si potrebbe riflettere su un diverso meccanismo, quello del voto singolo trasferibile: in collegi plurinominali si presentano liste (con alternanza di genere) e l’elettore può indicare in ordine decrescente di preferenza i vari candidati, dando cosi rilievo sia al progetto di giurisdizione preferito, sia a candidati di altre liste premiati per qualità personali.

Una chiosa finale si impone.

L’esigenza di «voltare pagina» dopo le terribili vicende di questo inizio estate palesata dal Presidente della Repubblica nel suo intervento al Plenum del 21 giugno 2019[15] richiede un rinnovato spirito di servizio nello svolgimento dei compiti consiliari, che, oggi più che mai, deve ispirarsi al precetto sturziano «servire e non servirsi». Solo così gli illustrati intenti riformatori non saranno meri tecnicismi elettorali, bensì costituiranno un ulteriore tassello per il recupero della necessaria fiducia e credibilità che deve accompagnare e sorreggere l’attività del CSM.


[1] In tal senso, G. Silvestri, Consiglio superiore della magistratura e sistema costituzionale, in Questione Giustizia,  4/2017.

[2] Così S. Cassese, in Corriere della sera, dell’11 giugno 2019, https://www.corriere.it/opinioni/19_giugno_11/bloccate-porte-girevoli-6f78637a-8c7c-11e9-9a2c-4fa09850aca0.shtml  ove si legge: «L’organo è configurato dalla Costituzione come una sorta di direttore generale collegiale: si interessa di assunzioni, assegnazioni agli uffici, trasferimenti, promozioni, provvedimenti disciplinari dei magistrati. Con il tempo, è andato al di là dei sui compiti: è divenuto l’«organo di autogoverno» di giudici e procuratori Si è quindi parlamentarizzato. Come nei parlamenti vi sono i partiti, nel Consiglio vi sono le correnti. Come i partiti, le correnti hanno svolto inizialmente una utile funzione, perché erano divise da ideali diversi. Poi sono scadute a organizzazioni di interessi.».

[3] Per il suo estremo significato si riporta il testo della lettera inviata il 1° luglio 2008 dal Presidente della Repubblica al Vice Presidente del consiglio superiore della Magistratura, sen. Mancino, il quale aveva lamentato una fuga di notizie sul contenuto di un parere non ancora deliberato dall’assemblea plenaria. A tal proposito, ul Presidente della Repubblica rileva «la regola della riservatezza andrebbe rigorosamente osservata da parte di tutti i componenti del CSM e delle sue Commissioni nel corso della preparazione e discussione di atti impegnativi e di particolare delicatezza». Afferma poi che «Il suo severo richiamo al rispetto di tale regola è da me fortemente condiviso. Non può invece suscitare sorpresa o scandalo il fatto che il CSM formuli un parere – diretto al Ministro della Giustizia – su un progetto di legge di assai notevole incidenza su materie di diretto interesse del CSM stesso. Si tratta infatti di una facoltà attribuitagli espressamente dalla legge n. 195 del 1958, il cui esercizio si è consolidato in una costante prassi istituzionale.

I disegni di legge su cui il CSM è chiamato a dare pareri sono quelli “concernenti l’ordinamento giudiziario, l’amministrazione della giustizia e ogni altro oggetto comunque attinente alle predette materie”. I pareri sono dunque destinati a rilevare e segnalare le ricadute che le normative proposte all’esame del Parlamento si presume possano concretamente avere sullo svolgimento della funzione giurisdizionale. Così correttamente intesa, l’espressione di un parere del CSM non interferisce – altra mia preoccupazione già espressa nel passato – con le funzioni proprie ed esclusive del Parlamento: anche quando, come nel caso dei decreti-legge, per evidenti vincoli temporali, tale parere non abbia modo di esprimersi prima che il Parlamento abbia iniziato a discutere e deliberare. In questo quadro, non può esservi dubbio od equivoco sul fatto che al CSM non spetti in alcun modo quel vaglio di costituzionalità cui, com’è noto, nel nostro ordinamento sono legittimate altre istituzioni. Confido che nell’odierno dibattito e nelle deliberazioni che lo concluderanno, non si dia adito a confusioni e quindi a facili polemiche in proposito. La distinzione dei ruoli e il rispetto reciproco, il senso del limite e un costante sforzo di leale cooperazione, sono condizioni essenziali ai fini della tutela e della valorizzazione di ciascuna istituzione, delle sue prerogative e facoltà».

[4] In tal senso, la relazione della Commissione presidenziale per lo studio dei problemi concernenti il Csm, presieduta da Livio Paladin, in Documenti giustizia, 1991, n. 3, pg. 125.

[5] N. Zanon, F. Biondi, Chi abusa dell’autonomia rischia di perderla, in http://www.forumcostituzionale.it/wordpress/wp-content/uploads/2019/06/zanon-biondi.pdf, ove si legge: «non  è comunque una proposta nuova: non potendosi stabilire – pena la evidente violazione del principio costituzionale di autonomia – che la componente togata sia «nominata» da altro organo, periodicamente viene proposto di sostituire l’elezione con un sorteggio. Ed è bene dirlo chiaro: a ciò si potrebbe arrivare solo con una revisione costituzionale.

In ogni caso, è vero che il C.s.m. non è un organo rappresentativo in senso proprio (e che, dunque, non trattandosi di «rappresentare», potrebbe non essere necessario «eleggere»). Tuttavia, è evidente che l’introduzione del sorteggio inciderebbe sull’autorevolezza dell’organo e, perciò, sulla sua posizione nell’ordinamento costituzionale, soprattutto se tale soluzione fosse accompagnata da una riduzione della componente togata a vantaggio di quella dei laici.

È bene altresì dir chiaro che una riforma costituzionale sarebbe necessaria anche qualora si intendesse introdurre un sistema «misto», ossia una elezione nell’ambito di una platea di candidati previamente selezionati tramite sorteggio, ovvero, al contrario, un sorteggio tra candidati previamente eletti: in entrambe le ipotesi si tratterebbe, con evidenza, di un «aggiramento» della soluzione prescritta dalla Costituzione».

[6]  Per Corte costituzionale, sentenza n. 168 del 1963, per la formazione del Consiglio superiore della Magistratura, «dal punto di vista dell’elettorato passivo, il precetto costituzionale esige soltanto che i componenti siano scelti fra i magistrati appartenenti alle varie categorie (art. 104, quarto comma)»

Per un’analisi approfondita della giurisprudenza costituzionale in tema di CSM: C. Celentano, L’autonomia e indipendenza della magistratura ed il Consiglio superiore della magistratura nella giurisprudenza costituzionale in https://www.cortecostituzionale.it/documenti/convegni_seminari/stu_278.pdf.

[7] Né è possibile richiamare il sorteggio previsto per il tribunale dei ministri o per i giudici delle corti d’assise, trattandosi di situazioni radicalmente diverse e di organi privi di rilevanza costituzionale.

[8] N. Zanon, F. Biondi, op. cit.

[9] Valga richiamare quanto scritto da M. Patarnello, “Autoriformare” il CSM?, in Questione Giustizia, 26 maggio 2015: «[l]’attuale legge elettorale ha minato alla radice la matrice politica e ideale della componente togata del CSM, mettendo avanti un individualismo personale che svilisce la riflessione e il confronto sulle idee, sola cifra di una vera e consapevole autonomia e indipendenza della magistratura, esaltando il peso delle singole personalità e dei territori».

[10]  C. Celentano, op. cit.

[11] V. Savio, Il sorteggio dei candidati Csm, una riforma incostituzionale, irrazionale, dannosa, in Questione Giustizia, 24 ottobre 2018.

[12] In tal senso oltre a N. Zanon e F. Biondi, sopra citati, anche la Relazione conclusiva di Enzo Baldoni, Presidente della Commissione di studio per la formazione di proposte di sistema elettorale del Consiglio superiore della magistratura, istituita con decreto del Ministro di grazie e giustizia del 14 giugno 1995, in quaderni Costituzionali, dicembre 1997, 550.  Degna di nota è anche l’audizione del 29 maggio 2019, presso la Commissione Affari costituzionali della Camera dei deputati, del Presidente L. Violante, audibile in https://www.camera.it/leg18/1132?shadow_primapagina=9065.

[13] La Commissione sul punto, alla pg. 25, così si esprime: «[s]ul piano della tecnica elettorale la prima fase realizza un sistema maggioritario che offre un ampio ventaglio di selezionati. La seconda fase, attraverso il voto di lista con la conseguente applicazione del quoziente elettorale e con il voto di preferenza, realizza un sistema proporzionale; si prevede la possibilità di una sola o di una duplice preferenza a favore di candidati della stessa lista o anche a favore di candidato di altra lista purché di genere diverso in entrambi i casi».

[14] G. Silvestri, op. cit., pg. 10, ove si legge: «[i]n varie sedi, sin da anni ormai lontani [25], ho proposto di utilizzare come traccia ispiratrice il vecchio sistema elettorale del Senato, che coniugava visibilità dei singoli candidati e sistema proporzionale temperato nell’assegnazione dei seggi. Tralasciata ovviamente la dimensione regionale, da escludere per ovvi motivi nel caso del Csm, si potrebbe dividere il territorio nazionale in tanti collegi quanti sono i magistrati da eleggere, esclusi quelli di legittimità, da concentrare in collegio apposito. I candidati singoli, non raggruppati in liste, dovrebbero collegarsi con almeno due candidati di altri collegi, al fine di costituire un gruppo, punto di riferimento in sede di distribuzione dei seggi, da effettuarsi, su scala nazionale, con il sistema proporzionale, metodo d’Hondt. Come è noto, questo metodo non produce resti e quindi, pur rimanendo proporzionale, evita la frantumazione estrema del proporzionale puro».

[15] Giova riportare un passo di tale intervento: «[i]l saluto e gli auguri sono accompagnati da grande preoccupazione. Quel che è emerso, nel corso di un’inchiesta giudiziaria, ha disvelato un quadro sconcertante e inaccettabile.

Quanto avvenuto ha prodotto conseguenze gravemente negative per il prestigio e per l’autorevolezza non soltanto di questo Consiglio ma anche per il prestigio e l’autorevolezza dell’intero Ordine Giudiziario; la cui credibilità e la cui capacità di riscuotere fiducia sono indispensabili al sistema costituzionale e alla vita della Repubblica.

Il coacervo di manovre nascoste, di tentativi di screditare altri magistrati, di millantata influenza, di pretesa di orientare inchieste e condizionare gli eventi, di convinzione di poter manovrare il CSM, di indebita partecipazione di esponenti di un diverso potere dello Stato, si manifesta in totale contrapposizione con i doveri basilari dell’Ordine Giudiziario e con quel che i cittadini si attendono dalla Magistratura.

Tengo a ringraziare il Vice Presidente, il Comitato di Presidenza e i Consiglieri presenti per la risposta pronta e chiara che hanno fornito, con determinazione, non appena si è presa conoscenza della gravità degli eventi.

La reazione del Consiglio ha rappresentato il primo passo per il recupero della autorevolezza e della credibilità cui ho fatto cenno e che occorre sapere restituire alla Magistratura italiana.

Di essa i cittadini ricordano i grandi meriti e i pesanti sacrifici anche attraverso l’esempio di tanti suoi appartenenti e hanno il diritto di pretendere che quei meriti e quei sacrifici non vengano offuscati.

A questo riguardo non va dimenticato che è stata un’azione della Magistratura a portare allo scoperto le vicende che hanno così pesantemente e gravemente sconcertato la pubblica opinione e scosso l’Ordine Giudiziario

Oggi si volta pagina nella vita del CSM. La prima di un percorso di cui non ci si può nascondere difficoltà e fatica di impegno. Dimostrando la capacità di reagire con fermezza contro ogni forma di degenerazione.

Tutta l’attività del Consiglio, ogni sua decisione sarà guardata con grande attenzione critica e forse con qualche pregiudiziale diffidenza. Non può sorprendere che sia così e occorre essere ancor più consapevoli, quindi, dell’esigenza di assoluta trasparenza, e di rispetto rigoroso delle regole stabilite, nelle procedure e nelle deliberazioni.

Occorre far comprendere che la Magistratura italiana – e il suo organo di governo autonomo, previsto dalla Costituzione – hanno al proprio interno gli anticorpi necessari e sono in grado di assicurare, nelle proprie scelte, rigore e piena linearità.

La Costituzione prevede che l’assunzione di qualunque carica pubblica – ivi comprese, ovviamente, quelle elettive – sia esercitata con disciplina e onore, con autentico disinteresse personale o di gruppo; e nel rispetto della deontologia professionale.

Indipendenza e totale autonomia dell’Ordine Giudiziario sono principi basilari della nostra Costituzione e rappresentano elementi irrinunziabili per la Repubblica. La loro affermazione è contenuta nelle norme della Costituzione ma il suo presidio risiede nella coscienza dei nostri concittadini e questo va riconquistato.

Potrà avvenire – e confido che avverrà – anzitutto sul piano, basilare e decisivo, dei comportamenti. Accanto a questo vi è quello di modifiche normative, ritenute opportune e necessarie, in conformità alla Costituzione».