La particolare tenuità nelle discipline minorili e davanti al Giudice di Pace

di Roberta D’Onofrio

In attuazione della legge delega 28 aprile 2014, n. 67 in materia di pene detentive non carcerarie e di depenalizzazione, il decreto legislativo 16 marzo 2015, n. 28 ha modificato il codice penale introducendo all’articolo 131 bis la nuova disposizione sulla ‘ esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto’.

Tale istituto non rappresenta un novum nel nostro sistema processuale: la tenuità del fatto, infatti, trova la sua ispirazione nel procedimento penale avanti al Giudice di Pace ( art. 34 d. lgs. 28 agosto 2000, n. 274) e, ancora prima, in quello a carico dei minori ( art. 27 d. P.R. n. 448/1988).

Nel rito minorile,  l’art. 27 del DPR 448/1998 ha introdotto l’istituto evidentemente per consentire al minore una rapida fuoriuscita dal circuito penale ogni qualvolta si accerti che il reato commesso sia di scarso allarme sociale e non sia espressione di una condotta di vita abituale. Dal punto di vista processuale, è previsto che se, nel corso delle indagini preliminari, risulta la tenuità del fatto e l’occasionalità del comportamento ( elementi che coincidono con quelli richiesti dell’art. 131 bis c.p. di nuova introduzione), il Pubblico Ministero chiede al giudice sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto quando l’ulteriore corso del procedimento pregiudichi le esigenze educative del minorenne comportando una prognosi negativa in ordine alla prosecuzione del processo, improntato, più che alla repressione, al recupero della devianza del minore[1].

Ed è significativa la circostanza che in origine l’istituto fosse limitato alle indagini preliminari e, poi, sia stato esteso nella sua operatività all’udienza preliminare, al giudizio direttissimo ed al giudizio immediato dal quarto comma dell’art. 27 del DPR 448/1998, come innovato dalla legge 5 Febbraio 1991 n. 123. In ultimo,  la Corte Costituzionale, con la sentenza 9 Maggio 2003 n. 149, ha dichiarato la illegittimità costituzionale di  tale comma nella parte in cui non consentiva l’applicazione dell’istituto anche al dibattimento.

Una valorizzazione della necessaria offensività della condotta tipica, poi, si rinviene nell’attuale ordinamento, nel rito per i reati di competenza del Giudice di Pace laddove l’istituto della particolare tenuità del fatto è stato tipizzato dal legislatore come causa di improcedibilità, o meglio di esclusione della punibilità,  per tutti i reati ai quali si applichi la normativa di cui al D.L.vo 274/2000. Ai sensi dell’articolo 34 del citato decreto il giudice può, durante le indagini preliminari, dichiarare con decreto di archiviazione non doversi procedere per particolare tenuità del fatto, quando non risulta un interesse della persona offesa alla prosecuzione del procedimento. Il fatto è di particolare tenuità quando, correlato con l’interesse tutelato, l’esiguità del danno e/o del pericolo che ne è derivato, nonché la sua occasionalità e il grado di colpevolezza non giustifichino l’esercizio dell’azione penale, tenuto conto anche del pregiudizio che la prosecuzione del procedimento potrebbe arrecare alle esigenze di vita della persona sottoposta alle indagini o dell’imputato. Se l’azione è già stata esercitata, poi, la particolare tenuità può essere dichiarata con sentenza solo se l’imputato e la persona offesa non fanno opposizione. Pur in presenza di alcuni requisiti analoghi alla nuova disciplina, la diversità tra i due istituti è riscontrabile sia sul piano dei presupposti, sia su quello più strettamente processuale. [2] Proprio sotto l’angolatura processuale, le differenziazioni si colgono nella fase delle indagini preliminari: l’archiviazione è dichiarata solo se non risulti un interesse della persona offesa alla prosecuzione; dopo l’esercizio dell’azione penale il non doversi procedere è pronunciato solo senza l’opposzione dell’imputato e della persona offesa. Nella fase delle indagini preliminari, a fronte di una richiesta di archiviazione avanzata dal pubblico ministero, la decisione è assunta dal giudice di pace de plano, previa valutazione che non sussista un interesse della persona offesa alla prosecuzione del procedimento. Nessun ruolo è attribuito alla persona sottoposta ad indagini: questo esito inaudita altera parte ha fatto ritenere che tale accertamento sia idoneo ad  escludere un mancato interesse dell’indagato a fare sentire la propria pretesa, potendosi ipotizzare una conclusione del procedimento  più favorevole.

I presupposti dell’improcedibilità per tenuità del fatto nel procedimento avanti al giudice di pace potrebbero essere accertati anche prima del dibattimento, mediante la pronuncia resa ai sensi dell’art. 469 c.p.p.  Sul punto, appare necessario operare un coordinamento tra le due norme, non avendo l’art. 34 del d.lgs. n. 274/2000 valore di norma derogatoria rispetto all’art. 469 c.p.p., che dovrà essere applicato, pur con le varianti imposte dalla disciplina sul giudice di pace. Quest’ultima, infatti, nella parte in cui richiede, dopo l’esercizio dell’azione penale, la non opposizione dell’imputato e della persona offesa, è stata ritenuta integrativa della generale.[3] Infine, nella fase del giudizio, l’ improcedibilitàexart. 34 d.lgs. n. 274/2000 può essere pronunciata dal giudice ex officio purché l’imputato e la persona offesa – nessun ruolo è attribuito al pubblico ministero – non abbiano manifestato la loro opposizione.

La particolare tenuità nel diritto penale

In merito alla ratio dell’istituto della particolare tenuità del fatto, esso risponde a due esigenze fondamentali, entrambe di rilievo costituzionale: il principio di proporzione (estrinsecazione del principio di offensività) ed il principio di economia processuale. In primo luogo, sotto il profilo sostanziale, l’istituto espunge dall’area della punibilità quei fatti che ne appaiano “immeritevoli”. Sotto questo profilo, pertanto, l’irrilevanza del fatto contribuisce chiaramente a realizzare il sovraordinato principio dell’extrema ratio del momento penale, nonché il principio di proporzione senza la cui ottemperanza la risposta sanzionatoria perde la sua stessa base di legittimazione. Difatti,  secondo la concezione gradualistica del reato, quest’ultimo si presenta come una entità graduata e graduabile, secondo la concezione più dinamica della dottrina[4]: fatto offensivo e tipico, antigiuridicità, colpevolezza sino a giungere alla punibilità. Così, la dimensione quantitativa del reato evidenzia il suo grado di rilevanza giuridica:  è  il reato , inteso in senso scalare,a regolare l’applicazione della clausola di non punibilità ex 131 bis c.p., rispondendo sempre ai principi di sussidiarietà e frammentarietà. Il legislatore, così operando, ha inteso sottrarre alla punibilità quei fatti caratterizzati dalla speciale esiguità sempre in un’ ottica

deflattiva delle fattispecie più lievi. L’ 131-bis c.p., nell’escludere la punibilità di condotte sanzionate con la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, ovvero con la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena, quando risulti la particolare tenuità dell’offesa e la non abitualità del comportamento, viene a riaffermare non solo il principio di offensività ma l’intera dimensione gradualistica dell’illecito penale tanto che tra gli indici rilevatori della tenuità rientrano sia il grado dell’offesa ed insieme la dimensione del danno o del pericolo e le modalità esecutive della condotta, oltre che il grado della colpa o l’intensità del dolo[5].

L’applicazione della clausola di speciale tenuità dipende in ogni caso da una valutazione del caso concreto: si tratta di valutare, in termini di quantità, la dimensione del fatto offensivo tipico nell’area circoscritta tra l’inoffensività e la dimensione classica del fatto illecito. Non è un caso, difatti, che il criterio dell’esiguità sia legato al dibattito sviluppatosi attorno al principio di offensività ed in particolare al c.d. fatto inoffensivo conforme al tipo[6].

È questa l’ipotesi della c.d. offensività di confine, introdotta da autorevole dottrina,[7] in cui senz’altro il fatto appare tipico, antigiuridico e colpevole, ma la misura dell’offesa che ne consegue risulta tanto contenuta da far apparire sproporzionata, e in definitiva non giustificata, la sanzione penale.

Pertanto, mentre la nozione di “inoffensività” attiene alla mancanza totale di offensività del fatto che risulta pertanto privo di un suo elemento costitutivo ed è in definitiva atipico e insussistente come reato , viceversa, si ricorre a clausole come quella sancita all’art.131-bis c.p. quando, pur in presenza di un fatto tipico, antigiuridico e colpevole, esso risulti contrassegnato da una dimensione quantitativa di consistenza talmente lieve che l’applicazione della pena potrebbe addirittura apparire irragionevole e sproporzionata.

In secondo luogo, sotto il profilo processuale, l’istituto dell’irrilevanza contribuisce a realizzare l’esigenza di alleggerimento del carico giudiziario nella misura in cui la definizione del procedimento tenda a definirsi nelle sue prime fasi. Peraltro, la definizione anticipata per irrilevanza del fatto, oltre a soddisfare esigenze di deflazione processuale, risulta del tutto adeguata alla luce del richiamato principio di proporzione, essendo il dispendio di energie processuali per fatti di minore gravità sproporzionato sia per l’ordinamento sia per il soggetto autore.

Si esprime, lungo queste due direttrici, il significato pieno del diritto penale come extrema ratio.

Occorre, ora, prendere in considerazione i presupposti che giustificano l’art. 131 bis c.p.: il primo si riferisce alla pena edittale (reati puniti con pena detentiva non superiore a cinque anni e/o con la pena pecuniaria), il secondo all’offesa (di particolare tenuità per l’esiguità del danno e del pericolo), il terzo alle modalità della condotta (comportamenti non abituali). Come è stato osservato in dottrina, nello schema approvato dal Consiglio dei Ministri il 1 dicembre 2014, i suddetti parametri erano stati opportunamente fatti coincidere con i due ‘ indici/criteri’ della tenuità del fatto già contenuti nella direttiva della legge delega ( ‘tenuità dell’offesa e la non abitualità del comportamento’) e con due ulteriori sottoindici della tenuità dell’offesa, rappresentati dalle ‘modalità della condotta e dalla esiguità del danno o del pericolo'[8].

A farsi apprezzare, in tal modo, era non soltanto la scelta di rinunciare a criteri non strettamente connessi alla proiezione materiale del fatto come quelli previsti nel processo minorile e di pace ( esigenze educative del minore, esigenze di lavoro, studio, famiglia vita dell’imputato’), troppo elastici e sfuggenti per non entrare in contrasto con l’art. 112 Cost.,  ma anche la scelta di rinunciare al criterio del ‘ grado di colpevolezza’, presente nell’art. 34 del d.lgs. n. 274 del 2000.

Il primo presupposto del limite edittale è previsto al comma I dell’art. 131 bis c.p., che va letto in combinato disposto col comma IV: la causa di non punibilità è applicabile ai reati (delitti e contravvenzioni) puniti con pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni (ossia fino a cinque anni) ovvero con pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena detentiva. Ai sensi del comma IV del detto articolo, che detta i criteri per la determinazione della pena detentiva per l’ipotesi in cui siano presenti circostanze, non si tiene conto delle circostanze del reato, ad eccezione di quelle per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa (da quella ordinaria del reato) e di quelle ad effetto speciale, per le quali non rileva l’eventuale concorrenza di circostanze attenuanti di qualunque natura. In altri termini, si vieta al giudice, ai fini del computo della pena di cui al comma I dell’art. 131 bis c.p., di tener conto del bilanciamento delle circostanze ex art. 69 c.p., proprio al fine di contenere il margine di discrezionalità giudiziale implicato dalla possibilità di un siffatto giudizio di bilanciamento. Ai sensi del comma IV dell’art. 131 bis c.p., andranno considerate solo quelle circostanze che, comportando una specie di pena diversa od essendo ad effetto speciale, rivelano una particolare “significatività” tale da essere in qualche modo accostabili a sottospecie di fattispecie autonome. In dottrina è stato osservato che la recente riforma si distingue nettamente dal fenomeno della depenalizzazione[9].

 La differenza è palese: con la depenalizzazione tutti i reati, a prescindere dalle modalità con le quali in concreto si sono consumati, vengono meno; con la valutazione di particolare tenuità non sarebbero punibili i reati, sanzionati in astratto nel massimo con la pena di cinque anni di reclusione o con la pena pecuniaria, solo qualora siano in concreto scarsamente offensivi.

Nel primo caso, il legislatore stabilisce a priori le condotte che non costituiscono più reato; nel secondo caso, il legislatore demanda al giudice la verifica, nel caso concreto, dei fatti che non meritano di essere puniti, perché per le loro modalità, per la lievità del danno o del pericolo cagionato, per la loro occasionalità hanno arrecato una offesa troppo lieve per meritare una sanzione penale. La pratica giudiziaria dimostra come fatti, astrattamente gravi perché puniti severamente dal legislatore, a volte si manifestano in concreto come di scarsa gravità oppure fatti, astrattamente non gravi perché puniti lievemente dal legislatore, in concreto ledano seriamente il bene giuridico protetto[10].

Quanto al secondo presupposto normativo per applicarsi la disciplina di cui all’art. 131 bis c.p., la causa di non punibilità opera, nel rispetto dei limiti di pena ora ricordati, per i casi in cui, per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo, l’offesa sia di particolare tenuità. L’art. 131-bis, richiedendo un’offesa non solo tenue, ma anche particolarmente tenue, evidenzia la volontà di ridurre l’ambito della causa di non punibilità ai soli casi in cui l’offesa stessa sia significativamente poco rilevante. La valutazione giudiziale in ordine alla particolare tenuità dell’offesa deve essere effettuata sulla base dei parametri inerenti alla gravità del reato di cui al comma 1 dell’art. 133 (“la punibilità è esclusa quando, per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell’articolo 133, primo comma, l’offesa è di particolare tenuità”).

Sebbene l’art. 131-bis c.p. non faccia alcun espresso riferimento alla colpevolezza, sembra non potersi prescindere dall’analisi delle modalità della condotta. Tutti i reati la cui pena edittale superi tale limite, perciò, debbono intendersi comunque non particolarmente tenui, a prescindere da ogni indagine sulla dimensione dei suoi elementi. In sostanza, un delitto recante un’offesa particolarmente tenue astrattamente sanzionato con una pena superiore ai cinque anni di reclusione, per espressa disposizione del legislatore, non potrebbe mai configurarsi come fatto di particolare tenuità ex art 131-bis c.p..

Inutile rilevare come tale limite sollevi alcune perplessità evidenziandosi profili di irragionevolezza laddove non si prevede una possibile applicazione della clausola in presenza di un’offesa assolutamente tenue, pur cagionata in fattispecie con pena edittale eccedente i limiti imposti dalla norma.

Si pensi all’ipotesi della micro-ricettazione, rientrante nello schema tipico dell’art. 648, comma II, c.p. che prevede una pena edittale sino a sei anni di reclusione ovvero a determinate ipotesi di peculato o di furto aggravato o di rapina per ragioni di minima rilevanza (si pensi alla rapina del degente in una comunità di recupero per ottenere una sigaretta) che non rientrano nei limiti di operatività della clausola.  Il classico ‘furto di sigarette’, se aggravato, pur connotato da una offesa tenue, mai potrebbe rientrare e godere della clausola oggetto di tale disamina. A tal proposto, si sottolinea come il quarto comma dell’art. 131-bis c.p. specifica che ai fini della determinazione della pena detentiva prevista dal primo comma non debba tenersi conto delle circostanze  ad eccezione di quelle per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale, casi in cui, rispettivamente, dovrà considerarsi il massimo della pena di specie diversa e l’entità della pena aumentata  oltre i criteri ordinari: in nessun caso i possibili effetti inibitori del ricorso a tale clausola possano essere eliminati attraverso la concessione di circostanze attenuanti o attraverso un eventuale giudizio di equivalenza[11].

Al contrario, invece, la valutazione di esclusione dell’aggravante ad effetto speciale per insussistenza della stessa ingenera un meccanismo di reingresso della fattispecie nel possibile ambito applicativo della particolare tenuità.

Peraltro, in base alla formulazione letterale della disposizione normativa,  anche eventuali circostanze attenuanti che comportino una riduzione di pena superiore a quella ordinaria, sembrano potersi considerare ai fini della applicazione della clausola. Si pensi al caso dell’attenuante speciale del recesso attivo di cui al comma IV dell’art. 56 c.p[12].  Naturalmente l’operatività dell’art. 131-bis c.p. si estende anche alle contravvenzioni ed ai delitti tentati i cui limiti edittali rientrino nell’ambito applicativo del suddetto articolo.

Ultimo presupposto per l’operatività della clausola è rappresentato da un requisito di carattere soggettivo: la non abitualità del comportamento del reo, nozione che richiama gli istituti di cui agli artt. 102 e 103 c.p. con riferimento al termine “abituale”.

Tale limite si mostra, in realtà, come un ulteriore requisito (che si aggiunge alla tenuità dell’offesa) richiesto dalla norma per il riconoscimento della particolare tenuità del fatto. Il comma III dell’art. 131 bis c.p. stabilisce che vi è abitualità quando l’autore sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza ovvero abbia commesso più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità, nonché nel caso in cui si tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate.

Va rimarcato, sul punto, come il legislatore escluda la non abitualità con riferimento sia a condizioni dell’autore (per i primi due casi), sia al tipo di reato (nell’ultima ipotesi). Le esclusioni relative al tipo di reato sembrerebbero ricomprendere i reati abituali (quali i maltrattamenti in famiglia) in quanto aventi necessariamente per oggetto “condotte abituali”, nonché i reati complessi in quanto aventi ad oggetto “condotte plurime”[13]. I reati permanenti non sembrano, invece, implicare necessariamente condotte plurime, che possono però caratterizzarne l’esecuzione (da valutare perciò caso per caso) e che invece si verificano nei reati a consumazione prolungata (o reiterata)[14]. Il riferimento alle “condotte reiterate” consentirebbe di escludere reati come quello di atti persecutori ex art. 612-bis c.p. (cosiddetto stalking), in cui la reiterazione è elemento costitutivo del reato[15]. Dovrebbero escludersi dall’ambito di applicazione della causa di non punibilità in esame anche quei reati che, nella loro concreta attuazione, siano realizzati mediante reiterazione dei medesimi atti, così da non dar luogo ad una pluralità di reati ma ad un unico reato. Il punto è decisivo per escludere i reati in materia ambientale, dove simile modalità esecutiva è frequente[16]. Pertanto,  si ritiene applicabile la nuova clausola di non punibilità anche ai reati ambientali, previa tuttavia lo scioglimento della riserva in ordine alla effettiva reale e concreta portata inoffensiva del fatto. Per quanto riguarda il reato continuato, contemplando, siffatto,  l’esecuzione di condotte plurime, integranti anche diversi reati, avvinte da un medesimo disegno criminoso, a rigore esso si dovrebbe escludere dall’applicazione del 131-bis c.p.

A tal proposito è utile coordinare la nuova disciplina con il reato di omesso versamento di ritenute previdenziali ed assistenziali ci cui all’articolo 2 del decreto legge 12 settembre 1983 n. 463, convertito con modificazione dalla legge 11 novembre 1983, n.638, in tale ambito è di tutta evidenza che alcune condotte astrattamente integranti il reato di cui sopra siano sussumibili all’interno dell’istituto della ‘ particolare tenuità del tutto’, creando un vero e proprio vuoto normativo. Eppure, il percorso per giungere  a tale conclusione non è stato lineare. In più riprese la Corte Costituzionale (ex plurimis  la sentenza 19 Maggio 2014 n. 139 in ordine alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 comma 1 bis D.L.vo 463/1983 in tema di omesso versamento delle ritenute previdenziali da parte del datore di lavoro) ha sottolineato l’utilità del canone ermeneutico del principio generale di necessaria offensività della condotta, con conseguente esclusione della responsabilità penale a condotte apparentemente tipiche quando, avuto riguardo alla ratio   della norma incriminatrice, suddette risultino in concreto prive del significato lesivo.  E ciò al fine di semplificare e rendere realmente estreme le rationes  puniendi dei fatti come reati. Sovente l’applicazione dell’istituto della ‘particolare tenuità del fatto’ ha trovato in questa materia lo sbarramento della reiterazione delle condotte: per alcuni, sarebbero plurime le condotte del medesimo tipo che l’agente reiteri più volte nel medesimo contesto spazio-temporale, non importa se riconducibili al paradigma della continuazione o da valutarsi unitariamente quoad poenam; per altri, esso alluderebbe alle condotte concorsuali (eventuali o necessarie), con l’intento, soprattutto, di evitare la degradazione in causa di non punibilità della «evanescente» circostanza attenuante di cui all’art. 114 c.p.[17]. Quanto, infine, al concetto di condotta reiterata, per alcuni si tratterebbe di un sinonimo di condotta plurima, per altri di un sinonimo di condotta abituale.

A parere di chi scrive, occorrerebbe una verifica caso per caso, dovendosi analizzare concretamente la reale portata offensiva del fatto e valutare se la mera ripetizione delle condotte nel periodo di cui all’imputazione, in presenza dei connotati per il riconoscimento della continuazione ex art. 81 c.p. – soprattutto laddove la continuazione sia già stata contestata nell’incolpazione mossa dalla Pubblica Accusa- possano escludere quel disvalore penale che la norma prevedere come causa di esclusione dell’applicabilità dell’istituto della particolare tenuità.

Laddove, con particolare riferimento alla disciplina dell’omesso versamento di ritenute previdenziali, commessa con condotte ripetute ma tuttavia rientranti nella soglia della imminente depenalizzazione e per le quali ricorra un’evidente ascrizione nell’ambito di un medesimo disegno criminoso, si ritiene l’insussistenza di quel disvalore che deve connotare le “condotte plurime, abituali e reiterate” come descritte dal comma III dell’art. 131 bis c.p.

Il discorso cambia nel passaggio dalla “occasionalità” alla “non abitualità” del comportamento, per quanto già detto a proposito della natura prevalentemente prognostica del primo giudizio e della natura esclusivamente diagnostica del secondo. Quando emergano in seguito ulteriori condotte omologhe, un primo comportamento giudicato occasionale può essere fondatamente ritenuto, a posteriori,  non occasionale: ma un comportamento giudicato non abituale resta sempre non abituale nel momento in cui è stato tenuto e ciò quanto meno se i nuovi episodi appartenenti alla serie sono successivi al primo oltre che scoperti successivamente[18]. In conclusione, dunque, se Tizio, dopo avere commesso più reati giudicati tenui con provvedimento di archiviazione o con sentenza di non luogo a procedere, si rende responsabile di un ulteriore reato della stessa indole, per affermare l’abitualità dell’ultimo comportamento e non pervenire a una nuova declaratoria di tenuità sarà necessario accertare incidentalmente  anche le precedenti condotte illecite.

Le innovazioni di carattere processuale

Il Decreto Legislativo 16 marzo 2015, n. 28  contiene solo due articoli (artt. 2 e 3) che modificano il codice di procedura penale e un terzo articolo che modifica alcuni articoli del Testo Unico sul casellario giudiziale (art. 4).

Va premesso che, in ambito processuale, l’intervento legislativo si è limitato a modificare i casi di archiviazione e di proscioglimento prima del dibattimento, nonché  a coniare  l’articolo 651 bis c.p.p., inserito nel Libro X dell’esecuzione, destinato a regolare l’efficacia della sentenza di proscioglimento in esame nel giudizio civile o amministrativo di danno. Questi interventi di modifica del codice di rito hanno lasciato insoluto il dubbio interpretativo circa l’effettiva ‘natura assolutoria’.

Vi è dibattito, infatti,  tra chi sostiene la natura processuale della non punibilità in ragione della pronuncia  di una sentenza di non doversi procedere, ai sensi degli artt. 469 c.p.p., ove resa nella fase predibattimentale, oppure ex art. 529 c.p.p., ove resa la sentenza, nella fase dibattimentale,  e chi opta, al contrario,  per la natura sostanziale di questa causa di non punibilità  che comporterebbe una forma di assoluzione nel merito ai sensi dell’art. 530 c.p.p.  Le differenze non sono trascurabili: l’art. 530 c.p.p. già prevede la possibilità  che il giudice pronunzi sentenza di assoluzione quando il reato è stato commesso da persona non punibile, sicché non è stato necessario per il legislatore intervenire sul tessuto di questa norma per rendere possibile questo epilogo ,viceversa, l’art. 529 c.p.p. non consente la pronunzia della sentenza di non doversi procedere, prevista esclusivamente  per l’inesistenza di una condizione di procedibilità. Le prime sentenze di merito che hanno fatto applicazione della non punibilità per particolare tenuità del fatto hanno richiamato la formula assolutoria di cui all’art. 530 c.p.p., in omaggio alla natura sostanziale dell’istituto affermata da una recente pronuncia resa dalla Corte di Cassazione[19]

Per ciò che concerne la fase dell’archiviazione ,  la particolare tenuità del fatto non presenta particolari problemi di tipo processuale, salvo che  quando il P.M. voglia archiviare il procedimento per questa ragione deve dare sempre avviso all’indagato e alla persona offesa avvertendoli che, nel termine di 10 giorni possono prendere visione degli atti e presentare opposizione, indicando, a pena di inammissibilità, le ragioni del dissenso. Se l’opposizione non è inammissibile il giudice è tenuto a fissare udienza e a sentire (nuovamente) le parti, prima di potersi pronunciare sulla richiesta.

L’epilogo del procedimento indicato dal comma 1 bis dell’art. 411 c.p.p. è il seguente: il Gip può accogliere la richiesta, ovvero restituire  “gli atti al P.m., eventualmente provvedendo ai sensi dell’art. 409 commi 4 e 5 c.p.p.” . In questo caso il procedimento può terminare anche con la mera restituzione degli atti al Pubblico Ministero per non accoglimento della richiesta (di contro, non sussistono preclusioni ad una archiviazione del procedimento per infondatezza della notizia di reato ovvero per mancanza di una condizione di procedibilità, in ipotesi, sollecitate dall’indagato nell’ opposizione o nel corso dell’udienza) [20]  [21].

Circa il proscioglimento prima del dibattimento,  il legislatore ha modificato l’art. 469 c.p.p. prevedendo l’inserimento del comma I bis : la sentenza di non doversi procedere è pronunciata anche quando l’imputato non è punibile ai sensi dell’art. 131 bis del codice penale, previa audizione in camera di consiglio anche della persona offesa, se compare.

La prima considerazione che balza all’evidenza è che, in questo caso, è previsto l’interpello anche della persona offesa, alla quale però, a differenza del pubblico ministero e dell’imputato, non è  conferito il potere di condizionare la decisione del giudice (mentre , per il proscioglimento predibattimentale ordinario di cui al primo comma, è necessaria la non opposizione del P.m. e dell’imputato). Posto che la sentenza di proscioglimento per particolare tenuità del fatto comporta una valutazione assai penetrante sulla sussistenza dei requisiti di cui all’art. 131 bis c.p., difficilmente il giudice sarà in grado di prendere una motivata decisione sulla base dei pochi atti comunemente inseriti nel fascicolo del dibattimento.

Pertanto, in base a tesi minoritaria si propugna l’acquisizione del fascicolo del P.m.  (alla stregua di un patteggiamento), al fascicolo del dibattimento sia pure al limitato fine di poter decidere se sussista, o meno, la non punibilità di cui all’art. 131 bis c.p. e così addivenirsi al proscioglimento prima del dibattimento.[22]

Risulta, al contrario, insuperabile l’argomento in base al quale il transito al fascicolo del dibattimento di atti contenuti nel fascicolo del Pubblico Ministero possa avvenire esclusivamente se vi sia consenso delle parti, in omaggio al principio del contraddittorio nella formazione della prova così come delineato dall’articolo 111 della Costituzione.

In difetto del consenso delle parti, dunque, il giudice dovrebbe decidere esclusivamente sulla base degli atti ma, soprattutto, in base alla descrizione del fatto, come disegnato nel capo di imputazione.

A questo punto occorre affrontare il tema della possibilità, o meno, di richiamare l’art. 129 c.p.p. per pronunciare la non punibilità per la particolare tenuità del fatto laddove il dibattimento sia stato già dichiarato aperto.

La Cassazione ha più volte espressamente  ammesso la rilevabilità di cause di non punibilità con sentenza pronunciata ex art. 129 c.p.p., pur evitando di prendere posizione sulla corretta formula da adottare[23]; ad esempio, la giurisprudenza di legittimità ha ammesso la rilevabilità d’ufficio da parte del giudice adito con richiesta di applicazione pena la causa di non punibilità prevista dall’art. 384 c.p. e, conseguentemente, ha ritenuto legittima la sentenza di proscioglimento ex art. 129 c.p.p. per la declaratoria di siffatta causa di non punibilità[24].

In altra sentenza la Corte di Cassazione ha espressamente osservato che “non sembra di ostacolo a questa soluzione il dettato dell’art. 129 comma 2 c.p.p., dal momento che la formula perché il fatto non costituisce reato è stata sempre intesa come ricomprendente anche le cause di non punibilità; e d’altronde, una interpretazione diversa comporterebbe, così come sostiene il ricorrente, fondati dubbi sotto il profilo della legittimità costituzionale, traducendosi in una disparità di trattamento difficilmente compatibile sotto il profilo della logica e della razionalità” [25].

In altre pronunce la Corte di Cassazione  ha ritenuto possibile rilevare d’ufficio, nel giudizio di legittimità, l’esistenza di cause di non punibilità con la formula  “perché il fatto non costituisce reato” così  annullando senza rinvio la sentenza di condanna ed  adottando un dispositivo espressamente previsto dall’art. 129 c.p.p.[26]

Questa chiave di lettura risulterebbe preferibile, anche dal punto di vista sistematico, perché consente di richiamare l’art. 129 c.p.p. anche per la causa generale di non punibilità per particolare tenuità del fatto, sia pure nell’ambito delle specifiche norme che regolano l’epilogo del proscioglimento delle varie fasi e dei diversi gradi del processo, in conformità alle indicazioni di principio fornite dalle S.U. della Cassazione, che, per l’appunto, hanno sottolineato come questa norma non sia fonte autonoma di situazioni potestative, ma si limiti a enunciare una regola di condotta rivolta al giudice che, di fronte a una riconosciuta causa di non punibilità, deve adottare la corrispondente decisione allo stato degli atti, senza che possa trovare spazio una qualsiasi altra attività non essenziale[27].

Ritenuto, dunque, in astratto applicabile l’immediata declaratoria di cause di non punibilità nel corso del dibattimento di cui all’art. 129 c.p.p. anche per il riconoscimento della particolare tenuità del fatto, un serio ostacolo all’operatività di siffatto istituto è stato  ravvisato nella necessità di avviare una interlocuzione con l’imputato e la persona offesa.

Il caso più problematico[28] è, infatti, rappresentato dalla richiesta di emissione di decreto penale di condanna  (art.  459 comma 3 c.p.p.): la pronuncia di una sentenza di proscioglimento, ex art. 129 c.p.p., per la causa di non punibilità in esame, non è possibile non potendosi instaurare un contraddittorio, neppure virtuale,con l’imputato e la persona offesa. Invece, questo ostacolo non pare insormontabile con riferimento alla sentenza di applicazione pena pronunciata in fase di indagine, a condizione che sia dato avviso dell’udienza  anche alla persona offesa.

La quaestio iuris più interessante concerne l’interpretazione della natura della ‘formula assolutoria’ per particolare tenuità del fatto. Come già accennato all’inizio di questa disamina,  la dottrina è bipartita tra chi sostiene la natura processuale della non punibilità ovvero la necessità di una pronuncia  di una sentenza di non doversi procedere, ai sensi degli artt. 469 cpp -ove si versi nella fase predibattimentale-  od ai sensi dell’art. 529 c.p.p. -ove sia stato già dichiarato aperto il dibattimento- e chi opta per la  natura sostanziale di questa causa di non punibilità dovendosi ritenere che di   una vera e propria assoluzione nel merito ai sensi dell’art. 530 c.p.p. si tratti.

Se non sembrano sorgere particolari questioni in ordine all’applicazione in sede di indagini preliminari, stante la disciplina dettagliata in ambito processuale voluta dal legislatore, le prime discussioni fra operatori sono nate in ordine all’applicazione in sede dibattimentale, e segnatamente predibattimentale.

I primi commenti sono concordi nell’affermare che presupposto indispensabile per la pronuncia della sentenza di proscioglimento per tenuità del fatto sono: che il fatto si sia effettivamente verificato, costituisca illecito penale e sia riconducibile all’imputato. Già di per sé queste semplici osservazioni  renderebbero evidente che si tratta di una situazione di diritto sostanziale e non di una condizione che appartiene alla procedibilità [29]. Infatti, ove emerga in modo evidente che il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso o il fatto non costituisce reato, corrisponde all’interesse dell’imputato  pronunciarsi sentenza assolutoria con formula piena e non di “non doversi procedere per tenuità del fatto”. L’inquadramento della “esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto” nell’ambito del diritto penale sembrerebbe confortata da numerosi argomenti: la configurazione dell’istituto incentrata su categorie di diritto sostanziale; la definizione in termini di “punibilità” (e non di “procedibilità”); l’adozione del decreto delegato sulla base dell’art. 1 della legge delega del 28 aprile 2014, n. 67, articolo puntualmente rubricato “delega al Governo in materia di pene detentive non carcerarie”. Inoltre, la “natura sostanziale del nuovo istituto” risulta affermata da una recentissima pronuncia resa dalla Corte di Cassazione .[30] Questa ricostruzione non sembrerebbe messa in dubbio dalla formula di proscioglimento prevista per il caso di sentenza pre-dibattimentale: sebbene il ‘nuovo’ comma 1-bis dell’art. 469 cp.p. prefiguri espressamente una “sentenza di non doversi procedere” tuttavia la disposizione evocherebbe testualmente la categoria della ‘punibilità’, e non invece quella della ‘procedibilità’.

Inoltre, può sostenersi che l’adozione della formula di “non doversi procedere” sia stata riservata alle sole pronunce pre-dibattimentali per rimarcare, anche da un punto di vista formale, la differenza di efficacia giuridica tra decisioni emesse a norma dell’art. 469 c.p.p. e decisioni adottate all’esito del dibattimento o del giudizio abbreviato: soltanto a queste ultime, infatti, il ‘nuovo’ art. 651- bis cod. proc. pen. attribuisce “efficacia di giudicato” nei giudizi civili e amministrativi di danno[31].

A voler intendere la formula ‘assolutoria’ per particolare tenuità del fatto come una vera e propria assoluzione nel merito, però, si andrebbero a toccare profili attinenti l’imputabilità del soggetto. Ove si ritenga di applicare la formula assolutoria di cui all’art. 530 cpp,  il giudice dovrebbe entrare nel merito del fatto oggetto di imputazione, valutando la materialità del reato, la conoscenza o quanto meno la conoscibilità del precetto penale, il dolo o la colpa fino alla verifica circa l’assenza di cause di esclusione della colpevolezza. Un consimile impianto, invero, sembra sconfessato expressis verbis da quanto dettato dall’articolo 3, 1 comma lettera a) del Decreto Legislativo n. 28 del 16 marzo 2015 lì dove viene precisato, a chiare lettere,  che la formula  rimessa al giudice è la sentenza di non doversi procedere. Questo argomento formale, quindi, dovrebbe essere ritenuto convincente al fine di qualificare la formula di  proscioglimento per particolare tenuità del fatto  sul piano squisitamente processuale.  La modifica dell’art. 411 c.p.p. non costituisce l’unica norma di coordinamento del nuovo istituto con l’impianto processuale. È stato modificato, infatti, anche l’art. 469 c.p.p. mediante l’introduzione di una nuova ipotesi di sentenza predibattimentale nel caso in cui “l’imputato non è punibile ai sensi dell’articolo 131 bis del codice penale, previa audizione in camera di consiglio anche della persona offesa, se compare“.

Su tale modifica si registrano già alcun pronunce di merito, che affrontano sia il tema della ampiezza della cognizione del giudice in tale fase sia il diverso profilo concernente il presupposto della non opposizione delle parti, finora caratteristico della pronuncia resa in tale sede.[32]

Con specifico riferimento al primo profilo, non può non evidenziarsi come il legislatore, modificando l’art. 469 c.p.p., ha in sostanza equiparato il giudizio sulla particolare tenuità del fatto alle diverse ipotesi in cui la declaratoria di improcedibilità consegue alla constatazione – oggettiva – della mancanza di una condizione di procedibilità o proseguibilità della azione penale o del verificarsi di cause estintive del reato, per il cui accertamento non occorra procedere al dibattimento.

Con riferimento al contenuto della pronuncia di proscioglimento predibattimentale ex art. 469 comma I cpp, la giurisprudenza di legittimità ha in più occasioni affermato che “in tema di sentenza predibattimentale, non è consentito al giudice emettere pronuncia che comporti proscioglimento (e quindi valutazione) nel merito, implicando essa un giudizio che deve essere compiuto con la garanzia del pieno contraddittorio, che si realizza solo nella sede dibattimentale. Prima dell’apertura del dibattimento, pertanto, il giudice, sentite le parti, può emettere solo sentenza di non doversi procedere per estinzione del reato o per improcedibilità dell’azione penale” [33]. La diversa natura di tali pronunce si riflette anche sulla conoscenza necessaria alla loro adozione. In questa fase del procedimento, infatti, difficilmente il giudice potrà avere una completa cognizione nel merito sulla base dei pochi elementi desumibili dal fascicolo per il dibattimento, formato ex art. 431 c.p.p., che nella maggior parte dei casi conterrà esclusivamente il certificato del casellario, il decreto di citazione a giudizio e le relative notifiche, gli atti relativi alla procedibilità del reato (non utilizzabili, comunque, ai fini del merito) ed eventuali verbali di atti irripetibili: elementi di solito sufficienti per pronunciare sentenza ex art. 469 c.p.p. nelle ipotesi che finora la norma prevedeva ma che potrebbero non essere sufficienti ai fini di una pronuncia di tenuità del fatto.

Pertanto, si  potrebbe ritenere che, in mancanza di una diversa previsione legislativa, il giudice, anche in questo caso, debba fondare il proprio convincimento esclusivamente sulla base degli elementi a sua disposizione e, quindi, sul contenuto del certificato del casellario per valutare la non abitualità della condotta e sulla descrizione del fatto contenuta nella imputazione per verificare la sussistenza dei limiti edittali e della tenuità dell’offesa -sotto il duplice profilo delle modalità della condotta e della esiguità del danno o del pericolo-.

Soltanto in esito a questo, una volta ampliato il patrimonio conoscitivo a disposizione, eventualmente valutare nuovamente la sussistenza dei presupposti richiesti dall’art. 131bis c.p.

In tal senso sembrerebbe deporre anche la modifica apportata all’art. 651 bis c.p.p. con riferimento all’efficacia della sentenza di proscioglimento nei giudizi civili ed amministrativi: una efficacia che è limitata alla sentenza irrevocabile che abbia applicato la tenuità del fatto in esito a dibattimento o in esito a rito abbreviato e che non riguarda anche la sentenza pronunciata ex art. 469 c.p.p., con ciò evidentemente differenziandosi gli effetti delle rispettive pronunce sulla base del diverso contenuto (e del diverso fondamento) delle stesse[34].

Tanto detto sulle prime questioni interpretative emerse con riferimento alle modifiche apportate agli articoli 411 e 469 c.p.p., non può non evidenziarsi come queste costituiscono le uniche modifiche apportate dal legislatore al codice di rito a seguito della introduzione della nuova causa di non punibilità: analogo coordinamento, infatti, non è operato con riferimento alla declaratoria di particolare tenuità del fatto in esito ad udienza preliminare o a dibattimento così come non è stato in alcun modo modificato l’art. 129 c.p.p.

Per quanto concerne tale ultimo profilo, l’art. 129 c.p.p. non contempla fra le pronunce adottabili in ogni stato e grado l’ipotesi in cui ricorra una causa di non punibilità: “in ogni stato e grado del processo, il giudice, il quale riconosce che il fatto non sussiste, che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato ovvero che il reato è estinto o che manca una condizione di procedibilità, lo dichiara di ufficio con sentenza”.

La sussistenza di una causa di non punibilità, dunque, non è ipotesi espressamente contemplata, così come non lo è , a seguito della entrata in vigore della nuova disciplina , quella specifica per particolare tenuità del fatto. A fronte di questo dato letterale e più in generale rispetto alle cause di non punibilità, una parte della dottrina ha evidenziato la impossibilità di ricondurre tale ipotesi a quelle già espressamente previste in quanto diversi ne sono i presupposti e soprattutto perché il riconoscimento di una causa di non punibilità passa attraverso l’accertamento della sussistenza della rilevanza penale e della attribuibilità del fatto all’imputato.

D’altra parte, la Corte di Cassazione non ha esplicitamente affrontato il problema all’indomani della entrata in vigore della nuova legge, ribadendo la possibilità di rilevare la sussistenza delle cause di non punibilità anche con sentenza resa ex art. 129[35]. 

A ben vedere, si aggiunga, un’assoluzione nel merito, involgendo profili attinenti l’imputabilità del soggetto, contrasterebbe expressis verbis con l’argomento formale: l’articolo 3, comma 1 lettera a) del D.L.vo, n28 del 16 marzo 2015 enuncia espressamente una ‘ sentenza di non doversi procedere’, per cui anche la declaratoria di non punibilità resa all’esito del dibattimento e del giudizio abbreviato andrebbe correttamente intesa  come una sorta di improcedibilità, una non punibilità per mancanza di una condizione.

E siffatta condizione, a parere di chi scrive, non potrebbe non annidarsi nel concetto di offensività inteso come presupposto processuale così’ che la mancanza della stessa o comunque la valutazione della sua ‘ portata ‘ diminuita – nei reati particolarmente tenui-rappresenterebbe il presupposto  per la dichiarazione di non doversi procedere per particolare tenuità del fatto e consentirebbe al giudice una pronuncia sul processo (preferibilmente ex art. 529 c.p.p. perché l’azione penale non può essere proseguita),  tale da estinguere il reato.

In effetti, tale conclusione risulterebbe coerente anche  con la scelta di sistema del legislatore di attribuire efficacia alla sentenza di proscioglimento per particolare tenuità del fatto che sia stata pronunciata proprio al dibattimento od all’esito del giudizio abbreviato nel giudizio civile od amministrativo di danno ai sensi dell’art. 651 bis c.p.p.

Diversamente opinando,  si addiverrebbe alla conclusione – stridente con i principi fondamentali del sistema- che una pronuncia assolutoria “nel merito” abbia efficacia di giudicato – quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale ed all’affermazione che l’imputato lo abbia commesso- nel giudizio civile od amministrativo per le restituzioni od il risarcimento.

La pronuncia della Corte di Cassazione.

A dirimere il contrasto sorto in dottrina, circa la vera natura della ‘formula assolutoria’ per particolare tenuità del fatto,  tra quanti avallano l’interpretazione della natura processuale della non punibilità e chi opta per la  natura sostanziale di questa causa di non punibilità,  è intervenuta la Corte di Cassazione con una recente pronuncia[36]. Il principio ivi espresso è nel senso che ‘ l’ esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’articolo 131 bis c.p., ha natura sostanziale ed è applicabile ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del D.L. 16 marzo 2015, n. 28, ivi compresi quelli pendenti in sede di legittimità, nei quali la suprema Corte può rilevare d’ufficio ex art. 609, comma , c.p.p. la sussistenza delle condizioni di applicabilità del predetto istituto, fondandosi su quanto emerge dalle risultanze processuali e dalla motivazione  della decisione impugnata e, in caso di valutazione positiva, deve annullare la sentenza con rinvio al giudice di merito’.[37] La Corte ha osservato che il decreto legislativo n. 28 del 2015, non prevede una disciplina transitoria , così che va verificata la possibilità di applicare la nuova disposizione anche ai procedimenti in corso al momento della sua entrata in vigore.

La portata sostanziale dell’istituto, dunque,   fa conseguire l’applicabilità della disciplina di cui all’art. 2 codice penale e, pertanto, la retroattivà della legge più favorevole. La questione della particolare tenuità del fatto sarà proponibile anche nel giudizio di legittimità, tenendo conto di quanto disposto dall’articolo 609 c.p.p., comma 2, trattandosi di questione che non sarebbe proponibile in grado di appello.

Da ciò consegue che, nel giudizio di legittimità, si dovrà preventivamente verificare la sussistenza , in astratto, delle condizioni di apllicabilità del nuovo istituto, procedendo poi, in caso di valutazione positiva, all’annullamento della sentenza impugnata con rinvio al giudice di merito affinchè valuti se dichiarare il fatto non punibile.  La Corte basa il proprio assunto sulla considerazione che il giudice di legittimità non potrà che basarsi su quanto emerso nel corso del giudizio di merito tenendo conto delle eventuale presenza di giudizi già espressi che abbiano pacificamente escluso la particolare tenuità del fatto, riguardando, la non punibilità, soltanto quei comportamenti ( non abituali) che, sebbene non inoffensivi, in presenza dei presupposti normativamente indicati,  risultino di così modesto rilievo da non ritenersi meritevoli di ulteriore considerazione in sede penale.

In un’altra recente pronuncia la Corte di Cassazione ha preso posizione in merito alla delicata questione se il nuovo istituto dell’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, regolato dall’art. 131bis c.p., “introduca una forma di abolitio criminis, come tale rilevabile anche davanti al giudice dell’esecuzione ex art. 673 cod. proc. pen.” [38]

I giudici di legittimità hanno risolto la questione escludendo che la nuova causa di esclusione della punibilità integri una tipica ipotesi di abrogazione della norma punitiva.

“Non pare, infatti, che una disposizione recante una nuova causa di non punibilità”, scrive la Corte, “operi una, sia pur parziale, abolitio criminis. Ostacoli alla revocabilità della sentenza per abolitio criminis, quale conseguenza della sopravvenuta esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, sembrano peraltro emergere sia dall’art. 2, secondo comma, cod. pen., sia dall’art. 673, comma 1, cod. proc. pen … In effetti non può trascurarsi che, qualora ricorrono i presupposti dell’istituto previsto dall’art. 131-bis cod. pen., il fatto è pur sempre qualificabile – e qualificato dalla legge – come reato (va ricordato, tra l’altro, che il nuovo art. 651-bis attribuisce efficacia di giudicato nei giudizi civili e amministrativi alla sentenza dibattimentale di proscioglimento per particolare tenuità del fatto anche quanto all’accertamento … della sua illiceità penale)”.

In base alle osservazioni espresse, dunque, emerge come  la nuova causa di non punibilità non interferisca sulla rilevanza penale del fatto, che, sulla base del combinato disposto degli artt. 2, secondo comma, c.p. e 673, primo comma, c.p.p., può venire meno soltanto nel caso di abrogazione o di dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma incriminatrice.

Essa andrebbe ad incidere, dunque, solo sull’applicabilità della pena, nel senso che quest’ultima potrà essere esclusa se il fatto, pur sempre rilevante sul piano penale, si presenti non meritevole di essere punito per la sua scarsissima offensività.
 

La particolare tenuità ex art. 131 bis c.p. e  nel Giudizio davanti al Giudice di Pace

La quaestio juris attiene all’omogeneità strutturale degli illeciti devoluti alla cognizione del magistrato onorario rispetto a quelli di competenza del giudice togato. Mentre il primo può fare una valutazione omogenea dei parametri sopra indicati, tale possibilità è preclusa al secondo che deve confrontarsi con una pluralità di fattispecie criminose assai diverse fra loro e rispetto alle quali i suddetti parametri si atteggiano in maniera radicalmente differente. Il giudice di pace si “confronta” con illeciti che si caratterizzano per l’aggressione di interessi tendenzialmente omogenei e soprattutto di carattere “individuale”, nel senso che il bene giuridico protetto dalle singole disposizioni incriminatrici fa capo a soggetti singoli, sicché che l’aggressione sia stata o meno tenue lo si può facilmente e correttamente desumere dall’intensità con cui il soggetto offeso segue le vicende processuali che lo interessano; di contro, l’art. 131-bis c.p. è destinato a trovare applicazione con riferimento ad illeciti criminali in cui sono diversi sia la rilevanza del bene giuridico (si pensi alla violenza sessuale), la sua titolarità (beni a titolarità diffusa), nonché le modalità di aggressione dello stesso (reati di pericolo e di danno, delitti e contravvenzioni) e le forme della colpevolezza (ad es. il dolo specifico).  Sul piano procedimentale, però, si prefigura il rischio di un sistema “a geometria variabile”.  Nella fase delle indagini preliminari il pubblico ministero potrà avanzare la richiesta di archiviazione nei casi di cui all’art. 411 c.p.p., da integrare con il nuovo art. 411 comma 1 bis c.p.p., che detta una disciplina processuale autonoma rispetto a quella prevista nel procedimento avanti al giudice di pace, così si potrebbero superare le denunciate incongruenze della normativa “speciale” nella parte in cui non consente l’attivazione di un contraddittorio con la persona sottoposta ad indagini. Nella fase degli atti preliminari al dibattimento, invece, si pone il problema di coordinare il nuovo testo dell’art. 469 comma 1 bis c.p.p con l’art. 34 comma 2 d.lgs. n. 274/2000, in base al quale dopo l’esercizio dell’azione penale la sentenza di non doversi procedere per tenuità del fatto può essere pronunciata se imputato e persona offesa non si oppongono. Infine, nella fase del giudizio, l’applicabilità delle nuova disciplina sulla tenuità del fatto segna un arretrata mento delle garanzie dell’imputato e della persona offesa, che potranno certamente interloquire sulle formule che il giudice di pace potrà adottare, per manifestare, eventualmente, il dissenso al proscioglimento per tenuità del fatto ex art. 131 bis c.p. Poi, avverso la sentenza di proscioglimento per tenuità del fatto ex art. 131 bis c.p. pronunciata dal giudice di pace, l’imputato, in base a quanto previsto dall’art. 37 comma 2 d.lgs. n. 274/2000, potrà proporre soltanto ricorso per Cassazione, con i limiti ad esso connessi.

Del resto,anche la Corte Costituzionale (con la sentenza 25/15) ha evidenziato la differenza tra i due istituti : il d.lgs. 274/2000 configura la particolare tenuità del fatto come causa di non punibilità, invece che come causa di improcedibilità, con una formulazione che non fa riferimento al grado di colpevolezza, all’occasionalità del fatto – si fa riferimento alla ‘ non abitualità del fatto-, alla volontà della persona offesa e alle varie esigenze dell’imputato.
 

L’intervento della Cassazione a Sezioni Unite sull’istituto della particolare tenuità nel giudizio davanti al Giudce di Pace

In data 27 ottobre 2015 è stata depositata la sentenza n. 43264 / 15 delle Sezioni Uniti della Corte di Cassazione chiamate a dirimere il seguente contrasto : “se, dopo l’esercizio dell’azione penale, la mera mancata comparizione della persona offesa alla udienza davanti al giudice di pace, in assenza di altri dati significativi, impedisca di ritenere che la stessa non si opponga alla definizione del procedimento per particolare tenuità del fatto a norma dell’art. 34 d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274”.

Nel risolvere un giudizio per ingiurie nel quale la persona offesa non era comparsa, il Giudice di Pace in primo grado aveva riconosciuto la particolare tenuità del fatto ricavando la mancanza di “interesse al procedimento” da parte della persona offesa e la non persistenza di una “richiesta di risarcimento e di condanna dell’imputato” dalla mera mancata partecipazione della stessa al dibattimento.

Sul tema in questione sussisteva un contrasto nell’ambito della giurisprudenza di legittimità.
Secondo un primo orientamento la mancata comparizione della persona offesa in udienza non può essere interpretata come una volontà di non opposizione rispetto ad una -meramente eventuale- valutazione del giudice circa la particolare tenuità del fatto [39], trattandosi di un fatto neutro, non espressivo di alcuna specifica volontà.

Sempre in base a siffatto primo orientamento, pur potendosi ricavare la volontà della persona offesa di non opporsi a una simile definizione del procedimento anche da fatti sintomatici, non occorrendo una formale dichiarazione a ciò intesa, tali fatti devono essere univoci, ossia specificamente rivelatori di una volontà non ostativa a un esito liberatorio del procedimento[40].
Secondo altro filone giurisprudenziale, la decisione della persona offesa di non comparire in udienza implica una volontà di rinuncia all’esercizio di tutte le facoltà processuali previste dalla legge, tra cui quella di opporsi all’esito del procedimento per particolare tenuità del fatto. Ciò risulterebbe avvalorato dal fatto che l’art. 34 non richiede necessariamente la presenza della persona offesa e che un tale esito è compatibile con le caratteristiche peculiari del procedimento davanti al giudice di pace, come tendenzialmente rivolto alla composizione del conflitto tra imputato e soggetto leso dal reato[41].
Le Sezioni Unite hanno rilevato che entrambi i filoni giurisprudenziali si impegnano nel definire la mancata comparizione in udienza della persona offesa, per lo più, in termini indicativi, ora in senso negativo ora in senso positivo, di una manifestazione di acquiescenza ad un esito del processo di improcedibilità per particolare tenuità del fatto, ai fini di quanto previsto dal comma 3 dell’art. 34 d.lgs. n. 274 del 2000.
Sennonché, la norma in esame non richiede da parte della persona offesa (come dell’imputato) un’adesione all’esito, stabilendo invece che esso sia escluso solo in presenza di una presa di posizione che abbia il valore di una “opposizione”. In altri termini, come osservato dalla Corte costituzionale nella ordinanza n. 63 del 2007- riportata dalla sentenze delle Sezioni Unite-, l’art. 34, comma 3, “prevede, ai fini dell’operatività dell’istituto de quo, nella fase successiva all’azione penale, non già una condizione positiva (il consenso), ma una condizione negativa (la non opposizione; se l’imputato e la persona offesa non si oppongono)”.
Le Sezioni Unite hanno Interpretato in tal senso il tenore della disposizione e così hanno ritenuto che tale volontà di opposizione deve essere necessariamente espressa, non potendosi desumere da atti o comportamenti che non abbiano il carattere di una formale ed inequivoca manifestazione di volontà’.

La Corte ha così espresso il seguente principio di diritto:
“Nel procedimento davanti al giudice di pace, dopo l’esercizio dell’azione penale, la mancata comparizione in udienza della persona offesa, regolarmente citata o irreperibile, non è di per sé di ostacolo alla dichiarazione di improcedibilità dell’azione penale per la particolare tenuità del fatto in presenza dei presupposti di cui all’art. 34, comma 1, d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274”.

Giurisprudenza di merito sul tema

A conclusione dell’excursus effettuato in tema della introduzione nel nostro codice penale dell’istituto della ‘particolare tenuità del fatto’ porto all’attenzione dei lettori alcune pronunce emesse dal Tribunale di Campobasso che hanno dato concreta attuazione alla disciplina di cui in esame.

In larga misura il nuovo sbocco procedimentale della ‘particolare tenuità del fatto’ è stato utilizzato nei reati per omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali di cui all’art. 2 del decreto legge 12 settembre 1983, n. 463 (convertito con modificazioni dalla legge 11 novembre 1983, n. 638). In ordine a tale reato , per il quale è prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, è stata ritenuta esclusa la punibilità in ragione della modalità non offensiva della condotta e dell’esiguità del danno (in considerazione dell’esiguità dell’importo in contestazione delle ritenute previdenziali non versate), stante, peraltro, la non abitualità del comportamento. Parimenti, in più riprese la Corte Costituzionale (cfr. ad esempio la sentenza 19 Maggio 2014 n. 139 in ordine alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 comma 1 bis D.L.vo 463/1983 in tema di omesso versamento delle ritenute previdenziali da parte del datore di lavoro) ha sottolineato l’utilità del canone ermeneutico del principio generale di necessaria offensività della condotta, con conseguente esclusione della responsabilità penale a condotte apparentemente tipiche quando, avuto riguardo alla ratio della norma incriminatrice, suddette risultino in concreto prive del significato lesivo.

E ciò al fine di semplificare e rendere realmente estreme le rationes  puniendi dei fatti come reati. Ebbene nelle fattispecie in esame, il vaglio dei presupposti scrupolosi per accedere all’istituto della particolare tenuità del fatto si è snodato sull’esiguità del danno derivante dal reato ( lì dove l’importo ‘evaso’ fosse di non rilevante entità) e l’occasionalità del comportamento ove sia constatata  l’assenza di ogni precedente penale  a carico dell’imputato,  incensurato o gravato da precedenti penali risalenti nel tempo, di natura giuridica differente e , in particolar modo, di scarso allarme sociale. Il che, peraltro, escluderebbe l’abitualità del fatto. Di fatti, essendo richiesta espressamente dall’articolo 131 bis c.p.  comma III la non abitualità del comportamento, il Tribunale di Campobasso, in primo grado, ha ritenuto che la mera ripetizione delle condotte nel periodo di cui all’imputazione, il più delle volte, in presenza dei connotati per il riconoscimento della continuazione ex art. 81 c.p., esclude  la sussistenza delle condotte plurime, abituali e reiterate come descritte dal comma III dell’art. 131 bis c.p.

 Va, comunque, sottolineato come il tema risulti dibattuto quanto al fatto che le condotte, continuate, di omesso versamento della ritenute previdenziali (laddove la continuazione sia riconosciuta già dalla Pubblica Accusa nella incolpazione)  non costituiscano condotte abituali alle quali non sarebbe applicabile l’istituto [42]. Sotto questo profilo, infatti, alcune delle pronunce di primo grado sono state fatto oggetto di impugnazione da parte della Procura Generale e la decisione, adesso, è al vaglio della locale Corte di Appello.

Una significativa notazione sul punto è data dalla sentenza n. 40350/15 del 10 Luglio del 2015 emessa dalla Corte di Cassazione (est. Rosi)la quale nel ritenere l’astratta rilevabilità, in sede di legittimità, della citata causa di non punibilità, in una ipotesi in cui era contestato l’omesso versamento delle ritenute previdenziali- al di sotto della soglia di punibilità- per un arco temporale di cinque mensilità consecutive, ha rigettato il ricorso, confermando la sentenza di appello. In questo contesto, però, la Suprema Corte ha  ritenuto correttamente motivata  l’insussistenza, nel merito, dei presupposti per la valutazione dell’inoffensività del fatto ed, al contempo, non ha  affermato affatto il principio, sostenuto dalla Procura Generale presso la Corte di Appello di Campobasso,  secondo il quale la mera ripetizione del comportamento nell’arco di cinque mensilità consecutive  integrerebbe quell’ “abitualità” idonea, di per sé stessa, ad escludere l’istituto.   

Un’altra applicazione dell’istituto della particolare tenuità del fatto è stata resa in materia diviolazione di domicilio ex art.614 comma III c.p.. Gli imputati erano stati chiamati a rispondere del delitto di violazione di domicilio per per essersi introdotti, invito domino, all’interno del cinema in orario di chiusura al pubblico, mediante forzatura di una porta di ingresso, ivi intrattenendosi indebitamente per consumare un pacchetto di pop corn. Essendo il reato ex art. 614 c.p. punito con una pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, è stata esclusa la punibilità in ragione della modalità non offensiva della condotta e dell’esiguità del danno (stante la sola “leggera forzatura dell’angolo superiore della porta di ingresso” e l’ammanco, all’interno, di “pop corn” per € 5,00), stante, peraltro, la non abitualità del comportamento. Ebbene, nella fattispecie concreta, sono state ravvisate tutte le connotazioni della particolare tenuità del fatto: l’esiguità del danno derivante dal reato e l’occasionalità del comportamento rimarcandosi la assenza di precedenti penali a carico d uno dei due imputati ed il solo precedente decreto penale di condanna per guida in stato di ebbrezza a carico dell’altro, precedente, questo, così disancorato dal fatto odierno dall’escludere che quest’ultimo possa essere considerato abituale. Il Giudice ha ritenuto ricorrenti, nel caso considerato,  le tipiche connotazioni di inoffensività, come delineate dall’art. 131 bis comma I c.p., ossia le modalità elementari della condotta, la non gravità del danno, la scarsa intensità del dolo, nonché, in base alla valutazione delle risultanze del casellario, una personalità degli autori non incline al delinquere. Inoltre è stato evidenziato che  la regolare citazione della persona offesa, non costituita quale parte civile, non pregiudica la possibilità che essa possa far valere in sede civilistica le proprie ragioni.[43]

L’istituto della particolare tenuità del fatto è stata applicata, poi, in un caso di furto ex art. 624 c.p., così diversamente qualificato a seguito della valutazione di esclusione delle  aggravanti originariamente contestate per l’utilizzazione del mezzo fraudolento e dell’esposizione della merce alla pubblica fede, avendo sottratto, l’imputato, tre bottiglie di liquore. A ben vedere, la nuova disciplina esclude dal proprio ambito applicativo  quei casi di furto che, pur connotati da una scarsa rilevanza penale in termini di offensività e di disvalore sociale, risultino aggravati da una delle ipotesi previste dall’articolo 625 c.p. In tali circostanze l’organo giudicante non può esprimersi sulla ‘particolare tenuità del fatto’ essendo i reati esorbitanti dall’area della soglia detentiva ammessa (fatti punti con un massimo di cinque anni di detenzione). Nella fattispecie oggetto di giudizio presso il Tribunale in composizione monocratica di Campobasso, il Giudice, dopo aver escluso le aggravanti contestate perché insussistenti, ha dichiarato nei confronti dell’imputato il ‘ non doversi procedere’ per essere lo stesso non punibile per particolare tenuità del fatto. Mediante l’esclusione delle aggravanti il delitto di cui all’articolo 624 c.p. può rientrare nell’ambito applicativo dell’istituto in parola, e sempre che la connotazione fattuale e giuridica dell’addebito soddisfi i requisiti richiesti ( tra gli altri, nel caso di specie, il furto di tre bottiglie di liquore non è apparso di rilevante entità e/o sintomo di una acuta personalità delinquenziale del soggetto). Ed è forse questo il caso maggiormente emblematico che chiarisce l’effettiva portata dell’introduzione della ‘particolare tenuità del fatto’, sotto la duplice ottica, sostanzialistica, dell’extrema ratio del diritto penale e, processualistica, di una concreta deflazione del carico giudiziario.

Roberta D’Onofrio

(con la collaborazione della tirocinante ex art. 73 L.n.98 del 2013, d.ssa Francesca Bucci


[1] (in tal senso Cass. Sez. 2, Sentenza n. 32692 del 13/07/2010 dep. 06/09/2010).  La causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto ex art. 131 bis c.p. , sintesi delle problematiche, S. Sarra, articolo pubblicato sul web.Il punto da considerare attiene all’omogeneità strutturale degli illeciti devoluti alla cognizione del magistrato onorario rispetto a quelli di competenza del giudice togato. Mentre il primo può fare una valutazione omogenea dei parametri sopra indicati, tale possibilità è preclusa al secondo che deve confrontarsi con una pluralità di fattispecie criminose assai diverse fra loro e rispetto alle quali i suddetti parametri si atteggiano in maniera radicalmente differente. Il giudice di pace si “confronta” con illeciti che si caratterizzano per l’aggressione di interessi tendenzialmente omogenei e soprattutto di carattere “individuale”, nel senso che il bene giuridico protetto dalle singole disposizioni incriminatrici fa capo a soggetti singoli, sicché che l’aggressione sia stata o meno tenue lo si può facilmente e correttamente desumere dall’intensità con cui il soggetto offeso segue le vicende processuali che lo interessano; di contro, l’art. 131-bisc.p. è destinato a trovare applicazione con riferimento ad illeciti criminali in cui sono diversi sia la rilevanza del bene giuridico (si pensi alla violenza sessuale), la sua titolarità (beni a titolarità diffusa), nonché le modalità di aggressione dello stesso (reati di pericolo e di danno, delitti e contravvenzioni) e le forme della colpevolezza (ad es. il dolo specifico).  

[2] In dottrina è stato osservato che ‘ la L. 67/2014 ‘ contiene un minor numero di requisiti di applicabilità e dunque copre un panorama di casi in linea di massima più esteso di quelli interessati da clausole speciali per gli imputati minorenni e per la giustizia mite del giudice di pace’. D. Brunelli, Diritto penale domiciliare e tenuità dell’offesa nella delega 2014, in Leg. Pen., 2014

[3] Per approfondimenti : C. Cesari, La particolare tenuità del fatto, Il giudice di pace nella giurisdizione penale, Torino, 2001 a cura di G. gIostra-G. IlluMInatI, Torino, 

[4] Per approfondimenti, P . Pomanti, La clausola di particolare tenuità del fatto, in Archivio Penale 2015, n.2

[5]  F. Mantovani, Diritto Penale parte generale,edizione VIII, Cedam, 2013

[6] Per approfondimenti, P . Pomanti, La clausola di particolare tenuità del fatto, in Archivio Penale 2015, n.2

[7] Donini, Teoria del Reato, Torino, 1999,

[8] F. Caprioli, Prime considerazioni sul proscioglimento per particolare tenuità del fatto, in www.dirittopenalecontemporaneo. Con riferimento al secondo indice si può affermare che, occorrendo una verifica in concreto del pericolo e dell’offesa e, dunque, degli effetti “oggettivamente” causati alla persona offesa, è necessaria un’adeguata valutazione in tal senso. Ed all’uopo, la valutazione sugli effetti non potrà, in generale, non tenere conto delle condizioni della persona offesa. Ad esempio, è evidente che non può assumere eguale rilievo, un reato contro il patrimonio nei confronti di soggetti con diversa capacità patrimoniale, riflettendosi sulla concreta esiguità dell’offesa. La valutazione nel caso di reati che ledono beni costituzionalmente tutelati “in favore della collettività” non può risentire dell’eventuale “livello” assicurato in concreto allo stesso bene. Ad esempio, per l’ambiente (art. 9, c. 2, Cost.), nel caso di reati che comportino una compromissione in concreto, proprio perché deve operarsi una valutazione di carattere oggettivo, il fatto reato che causa un degrado ulteriore (ma non esiguo) rispetto a quello già esistente impedisce di configurare l’esiguità dell’offesa. Non può, in altri termini, ritenersi irrilevante l’aggravamento ulteriore di una situazione degradata preesistente, in quanto anche un minimo contributo inquinante incide negativamente, quanto meno sul grado di contaminazione, nonché su tempi e costi di eventuali successive operazioni di messa in sicurezza, bonifica o, in generale, di recupero. Altrettanto deve dirsi per ciò che concerne la disciplina urbanistica e di tutela del paesaggio, non rilevando il grado di eventuale compromissione del territorio dovuta, ad esempio, ad una diffusa e pregressa cementificazione, perché l’ulteriore attività contribuisce comunque all’accentuazione del degrado anteriore. Inoltre, se nella fattispecie incriminatrice o nelle aggravanti vi è espresso riferimento all’offesa o al pericolo, dovrà tenersene specificamente conto; ad esempio nell’art. 570, c. 2, n. 2 c.p., l’avere fatto venire meno i mezzi di sussistenza appare ostativo al riconoscimento della causa di non punibilità. Secondo un’altra opinione, invece, potrebbe sostenersi in ogni caso l’applicabilità dell’art. 131-bisc.p. previa una valutazione in concreto di tutti i presupposti.  

[9] per approfondimenti e critiche, P. Pomati, la clausola di particolare tenuità del fatto, in Arch Pen. 2015, n2;  A. Corbo-G.Fidelbo, Problematiche processuali riguardanti l’immediata applicazione della particolare tenuità del fatto, Relazione Corte di Cassazione, Ufficio del Massimario, n. III/02/2015, 23 aprile 2015; E. Marzaduri, L’ennesimo compito arduo ( ma non impossibile) per l’interprete della norme processualpenalistiche: alla ricerca di una soluzione ragionevole del rapporto tra accertamenti giudiziali e declaratoria di non punilibilità ai sensi dell’art. 131 bis c.p., in Arch. Pen., on line, 2015 n.1.

[10] S. Serra, La causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto ex art. 131 bis c.p.

[11] In dottrina è stato rilevato che : Se lo scopo della declaratoria di tenuità è precludere la celebrazione del processo e l’applicazione di una pena quando quest’ultima risulterebbe sproporzionata al fatto, l’impressione è che il vulnus arrecato al bene giuridico protetto non debba essere valutato in assoluto ma nel confronto con la pena minima che potrebbe essere irrogata nel caso concreto (variabile a seconda del minimo edittale e delle circostanze attenuanti eventualmente presenti). L’alternativa a questo modello – che rischia, innegabilmente, di «mandare esenti da pena condotte lesive di interessi significativi per proteggere con il ricorso alla sanzione penale posizioni giuridiche di scarso rilievo per la collettività»31 – sarebbe valutare l’esiguità dell’offesa in termini assoluti, dichiarando tenue il fatto solo quando l’aggressione al bene protetto si collochi al di sotto della soglia ideale rappresentata da un qualunque comportamento criminoso adeguatamente punibile con il minimo assoluto di pena. Detto in altri termini, l’alternativa è ritenere che alla declaratoria di tenuità si possa pervenire solo quando apparirebbe sproporzionato al fatto un qualunque, pur minimo intervento repressivo penale, e non quando ad apparire sproporzionato sia l’intervento repressivo minimo previsto per quello specifico reato. Così ragionando, tuttavia, non solo si assegnerebbe all’istituto una dimensione applicativa assai ridotta, ma si finirebbe per tradirne la reale ispirazione cfr. F. Caprioli, Prime considerazioni sul proscioglimento per particolare tenuità del fatto, in www.dirittopenalecontemporaneo.it; per la giurisprudenza cfr. Procura della Repubblica presso il tribunale di Lanciano, Prime linee guida

[12], P. Pomati, la clausola di particolare tenuità del fatto, in Arch Pen. 2015, n2;

[13] Per approfondimenti, ‘ La causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto ex art. 131 bis c.p., sintesi delle problematiche’ S. Serra, articolo pubblicato sul web.

[14]  Nel corso delle audizioni parlamentari di era prospettata ‘ in via di principio l’applicabilità dell’istituto a un reato occasionale, che faccia seguito a distanza di molti anni a un’abitualità dichiarata a fronte di condotte disomogenee’.

[15] “Non punibilità per particolare tenuità del fatto: le linee-guida della Procura di Lanciano”, i Gian Luigi Gatta, 3 aprile 2015.

[16]  L. Leghissa, Reati ambientali e il fatto di particolare tenuità, 5 maggio 2015, articolo pubblicato sul web.

[17] Sul punto, E. Marzaduri, L’ennesimo compito arduo , .. ma non impossibile, cit. in Arch. Pen. 2015 n.1:

[18] F. Caprioli, prime considerazioni sul proscioglimento per particolare tenuità del fatto, in www. Dirittopenalecontemporaneo.it

[19]  Corte di Cassazione  sez. 3,  sent. del 8-4-2015, dep. il 15-4-2015, n. 15449.

[20] A ben vedere, il pregiudizio derivante all’offeso da una richiesta di archiviazione formulata in luogo di una doverosa richiesta di rinvio a giudizio non sembra significativamente maggiore quando la scelta abdicativa del pubblico ministero si fondi sulla pretesa tenuità del fatto. Non è questa tuttavia l’opinione espressa dalla Commissione Giustizia della Camera, secondo cui l’archiviazione per tenuità presenterebbe caratteristiche «peculiari» per la persona offesa (Commissione Giustizia Camera, 3 febbraio 2015; in prospettiva analoga, ad esempio, C. SCACCIANOCE,La legge-delega sulla tenuità del fatto, cit., p. 251 s.): di qui la previsione in commento, sollecitata anche dalla Commissione Giustizia del Senato, che obbliga il pubblico ministero a comunicare l’avvenuta presentazione della richiesta archiviativa anche all’offeso che non abbia manifestato l’intenzione di esserne informato, e consente a quest’ultimo di presentare opposizione anche per motivi diversi dall’incompletezza investigativa (per una soluzione analoga v. già ilProgetto Canzio novembre 2013, cit.). Il legislatore non ha invece ritenuto di estendere all’ipotesi in commento la soluzione adottata per il caso di necessaria comunicazione all’offeso della richiesta archiviativa per reati commessi con violenza alle persone (art. 408 comma 3-bis c.p.p.): il termine per la presentazione dell’atto oppositivo rimane dunque di dieci giorni anziché di venti.  

[21] PALAZZO, Nel dedalo delle riforme recenti e prossime venture (a proposito della legge n. 67 del 2014) in Riv. it. dir. proc. pen. 2015, 1708 “eccessivo sarebbe, invece, conferire un vero e proprio diritto di veto a vittima ed indagato, con la conseguenza di impedire necessariamente l’archiviazione e di rendere appli-cabile l’istituto solo a seguito di contraddittorio in udienza. Una simile soluzione, che finirebbe per steri-lizzare le capacità deflattive dell’istituto, non sembra imposta, non già dalla delega che tace completamente in proposito, ma neppure da nessun principio pertinente”. 

[22] La Relazione al decreto legislativo, cit., sembra dare per scontato che il giudice avrebbe comunquepotuto pronunciare sentenza predibattimentale per tenuità del fatto, tant’è che l’intervento sull’art. 469 c.p.p. viene giustificato con la sola esigenza di introdurre l’obbligo di audizione della persona offesa, «così consentendo alla stessa di interloquire sul tema della tenuità, al pari del pubblico ministero e dell’imputato». Questo “al pari” va inteso, peraltro, con cautela, dal momento che l’offeso, se compare, potrà certamente opporsi alla declaratoria di tenuità, ma non potrà vantare, a differenza di imputato e pubblico ministero, alcun potere di veto al riguardo. Sul punto, nel senso che «la non-opposizione del pubblico ministero e dell’imputato costituisce presupposto necessario anche per la sentenza emessaexart. 469, comma 1-bis», in quanto l’audizione dell’offeso va intesa «come requisito aggiuntivo e non sostitutivo rispetto a quanto richiesto dal comma 1», v. già CORTE DI CASSAZIONE, UFFICIO DEL MASSIMARIO, Problematiche processuali riguardanti l’immediata applicazione della “particolare tenuità del fatto”, a cura di A. CORBO e G. FIDELBO, Rel. n. III/02/2015, 30 aprile 2015, in www.cortedicassazione.it, p. 3; v. anche PROCURA DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI LANCIANO, Prime linee guida, cit., p. 22, e PROCURA DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI TRENTO, Decreto legislativo 16 marzo 2015, n. 28, cit., p. 10. Ritiene, peraltro, che l’attribuzione di un potere di veto alla persona offesa in questa sede «non sarebbe risultata inopportuna» E. MARZADURI, L’ennesimo compito arduo, cit., p. 7. 

[23] Cfr. la  relazione dell’Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione n. III.02.2015.

[24] Cfr. C.Cass. sez. 6, 6-12-2012, n. 48765, Ricciardi, Rv. 254104

[25] Cfr. C.Cass. sez. 6, 1-3-2001 n. 15955, Fiori, Rv. 218875

[26] Cfr. la  relazione dell’Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione, n. III,02,2015.

[27] Cfr. sent. 25-1-2005 n. 12283, De Rosa, Rv. 230529.

[28] In tal senso, vedi anche le linee guida della Procura di Lanciano pubblicate su www.penalecontempo-raneo.it; cfr. su tutti gli aspetti processuali, CORBO-FIDELBO, Problematiche processuali riguardanti l’immediata applicazione della “particolare tenuità del fatto”, rel. N.III/02/2015 in Corte di Cassazione, Ufficio del Massimario – Settore penale.  

[29] Cfr. rel. N.III/02/2015 in Corte di Cassazione, Ufficio del Massimario – Settore penale.

[30] Cfr Sez. III, n. 15449 del 2015, cit e DOLCINI, relazione al Convegno Roma Tre, 27 marzo 2015, Dall’emergenza alla “deflazione”: il sistema sanzionatorio dopo la L. 28 aprile 2014, n. 67.  

[31] In questo senso , Problematiche processuali riguardanti l’immediata applicazione della “particolare tenuità del fatto” di Antonio Corbo e Giorgio Fidelbo Rif. Norm.: Cod. Pen. artt. 2, 131-bis; Cod. proc. pen. artt. 129, 411, 469, 609, 620, Ufficio del Massimario, settore penale, Corte di Cassazione.

[32] Così, per un verso, molte notizie di reato concernenti fatti tenui continueranno a essere archiviate per prescrizione del reato (o a non essere archiviate affatto); per altro verso, molte archiviazioni “garantite” per tenuità del fatto graveranno sulla reputazione di soggetti che non avranno avuto la possibilità di esercitare appieno i propri diritti difensivi, e molti accertamenti andranno effettuati ex novo quando sarà necessario dimostrare la non abitualità di un successivo comportamento del medesimo tipo. Più in generale, o la riforma non troverà concretamente applicazione, oppure non apporterà all’economia processuale autentici benefici, specie se si considera che «l’ampliamento dello spettro decisionale conseguente all’introduzione della nuova formula di proscioglimento comporterà un inevitabile appesantimento delle cadenze processuali, dovuto anche al notevole incremento degli obblighi motivazionali negativi gravanti sul giudice» (Relazione Riccio febbraio 2008, cit.).

[33]  Cfr. Cass. Pen., sez. V, n. 2886 del 18.5.2000; nello stesso senso Cass. pen., sez. V, n. 4386 del 7.4.2000, in cui si afferma che “il proscioglimento prima del dibattimento, previsto dall’art. 469 c.p.p., non può essere pronunciato per motivi di merito”.

[34] Da ultimo, sul punto, C. SCACCIANOCE,La legge-delega sulla tenuità del fatto, cit., p. 250, ed E. TURCO, I prodromi della riforma, cit., p. 202 s. Il proscioglimento per tenuità del fatto nel procedimento ordinario nasce invece come un «istituto del tutto estraneo rispetto alla funzione conciliativa e di mediazione» (Relazione Palazzo dicembre 2013, cit.): di qui la mancata previsione di un potere di veto in capo alla persona offesa, considerato, del resto, «il silenzio serbato sul punto dalla delega», e «non potendosi generalizzare una sorta di “principio dispositivo” del processo e della punibilità nelle mani della persona offesa […] al di fuori di specifiche e delimitate previsioni legislative» (Relazione Palazzo dicembre 2014, cit.). Rileva, inoltre, che l’attribuzione del potere di veto alla persona offesa avrebbe «clamorosamente contraddetto lo scopo dichiaratamente “deflazionistico”» della riforma, C.F. GROSSO, La non punibilità , cit., p. 521.  

[35] Cfr la Relazione n. III/02/2015 dell’Ufficio del Massimario,settore penale, Corte di Cassazione.

[36] Sez. III, Ud. 8 aprile 2015 ( dep. 15 aprile 2015), n. 15449, Pres. Mannino, Rel. Ramacci, P.M. Salzano

[37] Nella specie, la Corte ha escluso l’esistenza dei presupposti per il riconoscimento della causa di non punibilità, rilevando dalla sentenza impugnata elementi indicativi della gravità dei fatti addebitati all’imputato, incompatibili con un giudizio di particolare tenuità degli stessi.

[38] Cass. Pen., Sez. 3, 24 giugno 2015 (dep. 18 agosto 2015), n. 34932, Pres. Amedeo, Rel. Pezzella

[39] cfr Cass Sez. 5, n. 49781 del 21/09/2012, Sabouri, Rv. 254833 e Sez. 5, n. 33763 del 09/07/2013, De Cicco, Rv. 257121

[40] Sez. 5, n. 33689 del 07/05/2009, Bakiu, Rv. 244609; Sez. 5, n. 16689 del 03/03/2004, Frascari, Rv. 229860.
Nello stesso senso, da ultimo, Sez. 5, n. 17965 del 26/03/2014, Makula, n.m..
Nell’ambito di tale filone interpretativo si richiama talvolta l’insegnamento giurisprudenziale derivante in primo luogo da Sez. U, n. 46088 del 30/10/2008, Viele, Rv. 241357, secondo cui nel procedimento davanti al giudice di pace instaurato a seguito di citazione del p.m. la mancata comparizione del querelante, pur previamente avvisato che la sua assenza sarebbe stata concludente nel senso di una remissione tacita della querela, non costituisce fatto incompatibile con la volontà di persistere nella stessa

[41] Cfr. Cass. Sez. 4, n. 25917 del 17/06/2003, Ritucci, Rv. 225676 e Sez. 3, n. 48096 del 06/11/2013, Tavernaro, Rv. 258054; Sez. 4, n. 41702 del 26/10/2004, Rv. 230278, Nuciforo

[42] la sentenza n. 507/15 del 19 Giugno del 2015 emessa dal Tribunale di Campobasso in data 19 Giugno del 2015 e depositata in data 23 Giugno del 2015 (Giudice Roberta D’Onofrio);

[43] cfr. sentenza Tribunale di Campobasso di Campobasso, Giudice R. D’Onofrio, udienza 17 aprile 2015 con motivazione contestuale.

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