La retribuzione netta percepita senza il massimale contributivo

La retribuzione netta percepita senza il massimale contributivo

Il cd. “allarme pensioni”: qualche breve riflessione sul tema dell’applicabilità del disposto di cui all’art. 2, comma 18, della Legge n. 335/1995 s.m.i. al personale non contrattualizzato alle dipendenze della Pubblica Amministrazione

Nel corso degli ultimi mesi si è sviluppato, com’è noto, un ampio dibattito sul tema dell’applicabilità o meno del cd. “massimale contributivo” di cui al comma 18 dell’art. 2 della Legge n. 335/1995 s.m.i. anche al personale non contrattualizzato alle dipendenze della Pubblica Amministrazione e, segnatamente e per quanto qui maggiormente interessa, al personale appartenente ai ruoli della magistratura ordinaria.

Si è già avuto modo, nel corso delle settimane appena trascorse, di trattare, mediante due approfondite e dettagliate monografie, siffatta appassionante e complessa tematica.

Pertanto, fermo restando quanto ivi illustrato in proposito (nei limiti, ovviamente, della natura propria delle suddette monografie) e rinviando conseguentemente a quelle sedi per un più compiuto esame della materia (oltre che a quanto già esposto in un breve saggio dedicato ad alcune peculiari questioni applicative – dal carattere squisitamente tecnico-pratico – predisposto qualche giorno fa, sempre nei detti termini e limiti tutti), pare opportuno soffermarsi ora, più in dettaglio, su una precipua questione afferente l’analisi costi/benefici connessi ad un eventuale cd. “riscatto” del corso di studi universitario ed assimilati ai fini dell’eventuale esclusione o meno dell’operatività del meccanismo del cd. “massimale contributivo”.

In particolare, si è già avuto modo di precisare in quei contesti che tra i principali costi del riscatto deve essere considerato il minor importo della retribuzione netta così percepita, ciò che costituisce conseguenza immediata e diretta del maggior prelievo contributivo dovuto all’inapplicabilità del cd. “massimale contributivo” a seguito del riscatto medesimo.

Analogamente, applicandosi il cd. “massimale contributivo”, diminuirà altresì la base di retribuzione su cui vengono calcolate le relative ritenute per il Fondo Pensione e per il Fondo Credito anche ex art. 15 della Legge n. 724/1994 s.m.i..

Viceversa, il principale beneficio del cd. “riscatto” (conseguente appunto alla scelta di evitare, per tal via e nei termini precisati, l’applicazione del cd. “massimale contributivo”) è evidentemente rappresentato dal maggior importo della pensione che, a legislazione invariata, si andrà a percepire all’atto della cessazione del rapporto lavorativo.

Invero, il cd. “riscatto” della laurea e titoli assimilati risulta sostanzialmente funzionale, sempre ad oggi e quindi a legislazione invariata, al perseguimento di un duplice obiettivo, ossia anticipare l’età pensionistica ed aumentare il montante contributivo onde poter appunto ricevere una pensione, in prospettiva, più cospicua (peraltro, qualunque sia la scelta effettuata in ordine al cd. “riscatto” della laurea et similia ai fini tutti qui in rilievo, la stessa può comportare altresì significative ripercussioni sotto ulteriori e differenti profili del complessivo trattamento pensionistico futuro del personale non contrattualizzato alle dipendenze della Pubblica Amministrazione tra cui, per quanto in questa sede maggiormente interessa, il personale appartenente ai ruoli della magistratura ordinaria, e ciò sia da un punto di vista giuridico che economico: si pensi, a mero titolo d’esempio, alle diverse modalità di erogazione dei benefici, anche e soprattutto economici, successivi al pensionamento; al diverso correlativo trattamento fiscale; alla diversa regolamentazione dei presupposti di accesso alla cd. “pensione anticipata”; e così via).

Ebbene, ciò posto in termini generali ed argomentando ora a contrario relativamente al particolare profilo oggetto del presente saggio (sempre fermo restando quanto già evidenziato nelle precedenti monografie e nei precedenti scritti già dedicati al tema de qu oe di cui sopra nonché a cui, conseguentemente, si rimanda anche a tali fini), un’eventuale applicazione del cd. “massimale contributivo” (in ipotesi, per mancato cd. “riscatto” del corso di studi universitario e fattispecie assimilate ovvero, comunque, per mancanza di periodi contributivi pregressi rispetto al 01.01.1996) comporterà viceversa, sempre come conseguenza principale e diretta, il percepimento, a legislazione invariata, di una pensione in prospettiva meno cospicua ma, al tempo stesso e nell’immediato futuro, il percepimento di una retribuzione netta mensile sensibilmente maggiore per effetto, appunto, del minore prelievo contributivo dovuto all’applicabilità del cd. “massimale contributivo” a seguito del mancato riscatto medesimo (e simili).

In particolare, va in proposito tenuto presente, sotto il profilo del trattamento pensionistico, che i magistrati, in quanto dipendenti civili dello Stato, sono iscritti alla Cassa per i Trattamenti Pensionistici dei Dipendenti dello Stato (CTPS) istituita in data 01.01.1996, in applicazione della Legge n. 335/1995 s.m.i., come gestione separata dell’INPDAP.

La soppressione dell’INPDAP, dal 01.01.2012, ha quindi determinato il trasferimento dei Fondi così gestiti all’INPS.

Le principali differenze con il Fondo Pensioni Lavoratori Dipendenti (FPLD) possono allora così sintetizzarsi: fino al 31.12.1992 la pensione era calcolata sulla base della retribuzione tabellare dell’ultimo giorno di servizio, maggiorata del 18% (mentre per gli iscritti al FPLD si calcolava sulla media degli ultimi cinque anni senza maggiorazione, sebbene con l’inclusione di alcune voci retributive accessorie), e inoltre non esistevano tetti retributivi (siffatti tetti sono stati parzialmente introdotti dal 1993 ed integralmente allineati a quelli in vigore nel FPLD nel 1998); l’aliquota di rendimento (l’aliquota con la quale nel sistema retributivo vengono valorizzati gli anni di contribuzione al fine del calcolo della pensione), inoltre, è pari al 2,33% fino al 15° anno di anzianità (diversa da quella prevista per la generalità degli iscritti al FPLD, che è al massimo del 2%) ed è pari all’1,80% dal 16° anno in poi (tali aliquote si applicano, fino al 31.12.2011, per coloro con almeno 18 anni di anzianità di servizio al 31.12.1995 e, fino al 31.12.1995, per chi aveva anzianità inferiori a tale data ed inoltre, in quest’ultimo caso, per le anzianità maturate dal 01.01.1993 la base di calcolo è data dalla media delle retribuzioni annue percepite in un determinato periodo di tempo, cd. “periodo di riferimento”, prossimo al pensionamento e rivalutate in base agli indici del costo della vita maggiorato di un punto percentuale).

Il calcolo della pensione, a sua volta, va effettuato, sostanzialmente, tenendo presente che la stessa non può superare l’80% della retribuzione pensionabile e che occorre distinguere tra le quote A, B e C della pensione medesima: invero, per la determinazione della quota A di pensione (ossia, quella riferita all’anzianità contributiva maturata al 31.12.1992) si valutano, quali voci retributive, lo stipendio maggiorato del 18% (così come previsto dall’art. 15 della Legge n. 177/1976 s.m.i.), le quote mensili di cui all’articolo 161 della Legge n. 312/1980 s.m.i. (con maggiorazione del 18%) oppure l’ultimo stipendio integralmente percepito maggiorato delle quote mensili maturate in numero corrispondente ai mesi di servizio trascorsi dalla data di attribuzione dell’ultimo stipendio medesimo fino alla cessazione dal servizio e, infine, l’indennità integrativa speciale; la quota B di pensione si riferisce viceversa alle anzianità maturate dal 01.01.1993 e la relativa base di calcolo è data dalla media delle retribuzioni annue percepite in un determinato periodo di tempo, cd. “periodo di riferimento”, prossimo al pensionamento e rivalutate in base agli indici del costo della vita nonché maggiorate di un punto percentuale (nel dettaglio, la quota B di pensione è determinata applicando l’aliquota di rendimento precedentemente descritta riferita agli ulteriori servizi valutabili dal 1993 al 31.12.1995, per coloro che hanno un’anzianità contributiva inferiore a 18 anni a tale data, ovvero fino al 2011, per coloro che hanno maturato almeno di 18 anni al 31.12.1995, o, ancora, applicando la detta aliquota di rendimento riferita alla media delle retribuzioni percepite in un determinato periodo di tempo – cd. “periodo di riferimento” – comprensive, dal 01.01.1996, degli elementi accessori che eccedono la retribuzione tabellare (come lavoro straordinario, indennità legate ai risultati e/o alla produttività, e simili) maggiorata del 18%. Si noti, per inciso, che l’indennità di funzione o giudiziaria, corrisposta in relazione agli oneri che i magistrati incontrano nello svolgimento della loro attività, è valorizzata, a partire dal 01.01.1996, nella quota B di pensione ex art. 13, comma 1, lettera B), del D.Lgs. n. 503/1992 s.m.i.); per i magistrati con meno di 18 anni di anzianità contributiva al 31.12.1995, infine, viene calcolata anche la quota C di pensione sulla base delle regole del metodo contributivo (la quota C è data dal montante contributivo accantonato dal 01.01.1996 sino alla cessazione delle proprie attività rivalutato in base alla media quinquennale del PIL e moltiplicato per il coefficiente di trasformazione, legato all’età ed alla decorrenza della pensione. Le stesse regole di determinazione della quota C di pensione si applicano, poi, alle anzianità maturate dal 01.01.2012 anche in favore dei magistrati che avevano almeno 18 anni di anzianità contributiva al 31.12.1995, compresi i magistrati con un’anzianità contributiva pari o superiore a 40 anni in base all’interpretazione data dall’INPS-Istituto Nazionale della Previdenza Sociale all’art. 1, comma 707, della Legge n. 190/2014 s.m.i. e di cui alla Circolare INPS, n. 74/2015 s.m.i.).

Ciò posto con riguardo al trattamento pensionistico e sotto il profilo ora del trattamento retributivo conseguente all’applicazione del cd. “massimale contributivo”, invece, va tenuto presente che il prelievo contributivo viene ad oggi attuato (sempre per quanto in questa sede maggiormente interessa e, quindi, a fini principalmente di analisi dei costi/benefici connessi alla scelta di riscattare o meno gli anni del corso di studi universitari ed assimilati ai sensi e per gli effetti di quanto previsto dal citato comma 18 dell’art. 2 della Legge n. 335/1995 s.m.i.) mediante l’applicazione di un’aliquota pari all’8,80%.

Invero, com’è noto e come già accennato, la riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare attuata con la suddetta Legge n. 335/1995 s.m.i. ha istituito presso l’INPS-ex Gestione INPDAP, con effetto dal 01.01.1996, la gestione separata dei trattamenti pensionistici dei dipendenti dello Stato.

Conseguentemente, sono stati stabiliti i criteri per la determinazione della relativa base imponibile e sono state individuate altresì le aliquote da applicare a tali fini nonché definite le modalità di versamento dei correlativi contributi all’INPS-ex Gestione INPDAP medesimo (cfr., in particolare: Circolare MEF, n. 3/1996 s.m.i.).

Si è così previsto, sempre per quanto qui maggiormente interessa, che l’aliquotade quaa carico del dipendente pubblico (tra cui il personale appartenente ai ruoli della magistratura ordinaria) è allo stato pari, come già detto, all’8,80% e che quella a carico, viceversa, dell’Amministrazione di appartenenza è ad oggi pari al 24,20%, il tutto – appunto – relativamente alla quota di contributi dovuta in relazione al Fondo Pensione ex-INPDAP; viceversa, per il Fondo Credito l’aliquota di riferimento è ad oggi pari allo 0,35% ed è posta esclusivamente a carico del dipendente stesso (sempre con precipuo riferimento alla categoria di lavoratori di cui si controverte in questa sede e con specifico riferimento alla tematica qui in esame).

Al tempo stesso, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 3ter, comma 1, della Legge n.438/1992 s.m.i. (di conversione del D.L. n. 38/1992), “A decorrere dal 01 gennaio 1993 è stabilita, in favore di tutti i regimi pensionistici dei dipendenti pubblici e privati che prevedano aliquote contributive a carico del lavoratore inferiori al 10%, un’aliquota aggiuntiva nella misura di un punto percentuale sulle quote di retribuzione eccedente il limite della prima fascia di retribuzione  pensionabile determinata ai fini dell’applicazione dell’articolo 21, comma 6, della Legge 11  marzo 1988, n. 67. … (…omissis…) …”.

Per l’anno 2015 la fascia retributiva annua oltre la quale deve essere corrisposta la detta aliquota dell’1% è pari ad €46.123/00, corrispondente ad €3.844/00 mensili, e ogni anno i tetti retributivi oltre i quali viene applicata la maggiorazione in commento vengono aggiornati in base all’indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie degli operai ed impiegati (cfr. in proposito, altresì e più di recente: Circolare INPS, n. 5/2016 s.m.i.).

Pertanto, la detta aliquota aggiuntiva dell’1% viene applicata sulla sola quota di retribuzione eccedente il suddetto limite (il quale, rapportato a 12 mesi, corrisponde appunto, per l’anno 2015, ad €3.844/00 mensili) ed è posta esclusivamente a carico del dipendente/iscritto la cui aliquota principale, per così dire, sia inferiore al 10% (la quota così trattenuta mensilmente dovrebbe essere identificata sui correlativi cedolini stipendiali con il codice 389 e con la descrizione “Addizion. L. 438/92 Art. 3-ter” ovvero “Addiz. Pension.” e simili).

Per quanto attiene poi alle concrete modalità di applicazione e versamento di siffatta eventuale aliquota aggiuntiva, va ricordato che il contributo deve avere cadenza mensile, salvo conguaglio (a credito o a debito del lavoratore, a seconda dei casi) da effettuarsi in occasione delle operazioni di conguaglio annuale fiscale e previdenziale poste a carico del datore di lavoro, e tutto ciò tenendo conto anche dei redditi da lavoro dipendente o riconducibili ad esso comunicati eventualmente ad opera di altri soggetti (invero, i sostituti di imposta/datori di lavoro sono chiamati ad effettuate le operazioni di conguaglio fiscale e previdenziale, queste ultime necessarie al fine della corretta applicazione dei massimali contributivi e delle aliquote correlate all’imponibile, in relazione ad ogni anno e con riferimento ad un arco temporale analogo).

Orbene, il cd. “massimale contributivo” di cui al comma 18 dell’art. 2 della Legge n.335/1995 s.m.i. trova applicazione anche in relazione alla detta aliquota aggiuntiva dell’1% di cui al citato art. 3ter della Legge n. 438/1992 s.m.i., per quanto concerne la contribuzione a fini pensionistici, oltre che rispetto alla contribuzione relativa alla gestione per le prestazioni creditizie e sociali (come già accennato in precedenza), sicché ciascun datore di lavoro provvederà a sottoporre a contribuzione la retribuzione corrisposta mensilmente fino al raggiungimento del massimale (nei termini esposti) e, nel corso del mese in cui si verifica il superamento del suddetto tetto, la quota di retribuzione imponibile ai fini pensionistici sarà calcolata, ove dovessero coesistere nel mese più rapporti di lavoro subordinato, in modo proporzionale (cfr. in proposito, altresì e più di recente: Circolare INPS, n. 5/2016 s.m.i., di cui si è parlato anche in precedenza, oltre alle informazioni comunque reperibili in proposito sul portale internet dello stesso INPS-Istituto Nazionale della Previdenza Sociale).

In conclusione, dunque, quello fin qui sinteticamente descritto pare essere allo stato il quadro normativo di riferimento in ordine, segnatamente, al particolare profilo oggetto del presente saggio (ossia, è bene ripetere, in ordine al peculiare profilo afferente l’analisi costi/benefici connessi ad un eventuale cd. “riscatto” del corso di studi universitario ed assimilati ai fini dell’eventuale esclusione o meno dell’operatività del meccanismo del cd. “massimale contributivo”).

Ovviamente, tutto quanto fin qui esposto con riguardo al cd. “riscatto” del corso di studi universitario ed assimilati pare valere, sia pure mutatis mutandis, anche in relazione alle eventuali anzianità pregresse rispetto al 01.01.1996 derivanti dal servizio militare et similia  (cfr., in proposito, la Lettera Circolare dell’ex INPDAP n. 2359/2008 s.m.i. e, per quanto in questa sede maggiormente interessa, gli artt. 8, 113 e 115 del D.P.R. n. 1092/1973 s.m.i.).

E’ però importante evidenziare che, al contrario del cd. “riscatto” (di cui si è in precedenza già detto e che richiede appunto un pagamento ovvero un esborso, a volte anche consistente, di denaro da parte dell’interessato, secondo quanto già chiarito), l’accredito di contributi figurativi per il servizio militare ed assimilati è gratuito: invero, i predetti contributi figurativi sono contributi fittizi che non vengono versati né dal datore di lavoro né dall’interessato bensì, semplicemente e direttamente, accreditati dall’INPS a domanda dell’interessato medesimo, ciò che, evidentemente, muta sensibilmente i termini dell’analisi costi/benefici circa l’opportunità di evitare o meno l’applicazione del cd. “massimale contributivo” di cui si è parlato in precedenza a proposito del cd. “riscatto” degli anni del corso di laurea ed assimilati.

Per completezza, pare da ultimo opportuno ricordare che il cd. “riscatto” degli anni del corso di studi universitario ed assimilati e gli eventuali contributi figurativi connessi al servizio militare ed assimilati possono essere utili, oltre che ai fini della detta normativa sul cd. “massimale contributivo” e nei correlativi limiti e termini tutti sopra già ricordati, anche sotto il profilo dell’ammontare dell’indennità di buonuscita che, com’è noto, è determinata sostanzialmente moltiplicando un dodicesimo dell’80% della retribuzione annua lorda percepita alla cessazione dal servizio, comprensiva della tredicesima mensilità, per il numero degli anni utili, per tali intendendosi anche il servizio militare di leva in corso o successivo alla data del 30.01.1987 (data di entrata in vigore della Legge n. 958/1986 s.m.i.) effettuato da personale assunto in servizio dopo tale data e che cessi dal rapporto di lavoro in posizione di ruolo nonché i servizi ed i periodi riscattati, fermo restando in ogni caso il limite di €240.000/00 con riferimento alla retribuzione annua lorda percepita alla cessazione dal servizio e rilevante a questi fini (compresa la tredicesima mensilità) nonché considerando come anno intero la sola frazione di anno superiore a sei mesi (cfr., in proposito ed in particolare: D.P.R., n. 1032/1973 s.m.i. – si ricordi altresì, sempre ai fini in oggetto, che i lavoratori con diritto all’indennità di buonuscita che aderiscono ad un fondo di previdenza complementare scelgono automaticamente il TFR, sicché il valore dell’indennità di buonuscita maturata fino a quel momento costituirà in tal caso il montante al quale si aggiungeranno i nuovi accantonamenti annui per il TFR e le relative rivalutazioni).   

Ovviamente, fermo restando tutto quanto precede da un punto di vista strettamente tecnico-giuridico ed in relazione alla correlativa fattispecie generale ed astratta e sia pure con tutte le incertezze ed i dubbi anche interpretativi che – come già accennato –  la complessità tecnico-giuridica e la delicatezza anche da un punto di vista socio-economico delle questioni qui in rilievo inevitabilmente comportano, sembra in ogni caso opportuno ribadire nuovamente, ed anche a tali fini, la necessità che il singolo soggetto interessato effettui le necessarie verifiche con precipuo riferimento alla propria posizione individuale tramite i competenti organi ed uffici dell’Ente previdenziale di riferimento (segnatamente, per quanto concerne il personale appartenente ai ruoli della magistratura ordinaria, tramite i competenti uffici ed organi dell’INPS-Gestione Separata Dipendenti Pubblici), e ciò anche in relazione ai relativi costi che, invero, variano molto a seconda del singolo caso concreto e richiedono l’effettuazione di calcoli necessariamente individualizzati nonché, conseguentemente, in relazione altresì all’analisi dei correlativi costi/benefici.

Del resto, non potrebbe essere diversamente, attesa la particolare natura dei diritti e delle posizioni giuridiche soggettive di cui qui si controverte.

Non resta, allora, che attendere eventuali ulteriori futuri sviluppi normativi e/o giurisprudenziali.

Latina, lì 12.02.2016

Dott. Marco Pietricola     

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