La riforma dell’udienza preliminare: il nuovo “filtro”

A cura di Alessandro De Santis (giudice penale presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere)

Secondo l’attuale formulazione dell’art. 425 c.p.p., il G.U.P. pronunzia sentenza di non luogo a procedere, salvi i casi in cui difetti una condizione di procedibilità o il reato sia estinto, solo “quando risulta che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o il fatto non costituisce reato” (comma 1), oppure “quando gli elementi acquisiti risultano insufficienti, contraddittori o comunque non idonei a sostenere l’accusa in giudizio” (comma 3). Astrattamente, il disposto normativo racchiude tutte le formule di proscioglimento elencate dagli artt. 529, 530 e 531 c.p.p., fatta eccezione per quella di non imputabilità, che comunque deve considerarsi ricompresa. Quello che differenzia le formule di non luogo a procedere contenute dall’art. 425 c.p.p. da quelle di proscioglimento emesse in sede dibattimentale è la regola di giudizio.

La delibazione del giudice dell’udienza preliminare non ha quale oggetto una pronuncia riguardante la innocenza o la colpevolezza dell’imputato bensì l’inutilità o meno del dibattimento per affermare la prima evenienza. Nell’applicazione concreta, il G.U.P. effettua una valutazione analoga a quella sottesa all’art. 129 c.p.p. per la fase dibattimentale: emana una sentenza di non luogo a procedere solo laddove le cause di proscioglimento emergano ictu oculi e, pur disponendo di alcuni limitati poteri istruttori (art. 422 c.p.p.), l’esercizio degli stessi risulta concretamente residuale; dunque, il G.U.P. rinvia a giudizio anche allorquando ritenga che l’eventuale affermazione di colpevolezza in sede dibattimentale passi attraverso l’esercizio dei poteri istruttori officiosi di cui all’art. 507 c.p.p. In altre parole, la sentenza di non luogo a procedere funge da filtro rispetto a tutti quei procedimenti per i quali l’accesso alla fase dibattimentale non consentirebbe, in chiave prospettica, alcuna evoluzione in positivo degli elementi raccolti nel corso delle indagini preliminari.

La L. n. 134/2021 (“Delega al Governo per l’efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari”) parte da un’analisi statistica, evidenziata dalla Commissione Lattanzi: “l’udienza preliminare filtra poco più del 10% delle imputazioni per i processi nei quali è prevista e non incide peraltro in modo significativo sul tasso dei proscioglimenti in dibattimento1.

Preso atto della scarsa utilità in chiave di filtro dell’udienza preliminare, all’art. 1, co. 9, lett. m), prevede espressamente una “modifica della regola di giudizio”, statuendo che il G.U.P. debba pronunciare sentenza di non luogo a procedere quando “gli elementi acquisiti non consentono di formulare una ragionevole previsione di condanna” dell’imputato. Il Decreto legislativo attuativo, approvato in via definitiva dal Consiglio dei Ministri il 28 settembre 2022 ha recepito la predetta modifica normativa.

L’analisi circa la ragionevole previsione di condanna comporta, per il giudice, la necessità di esaminare e soppesare nel merito gli elementi probatori raccolti a carico dell’imputato, statuendo il rinvio a giudizio solo ove abbiano un peso ed una rilevanza tali da rendere ragionevole la prognosi di condanna; e ciò prescindendo dal successivo ed eventuale esercizio, da parte del giudice del dibattimento, dei poteri istruttori officiosi e senza che il G.U.P. possa fare affidamento su possibili sviluppi favorevoli alla Pubblica accusa dell’istruttoria dibattimentale.

Potenzialmente, si tratta di una innovazione di significativo rilievo, volta a favorire la celere definizione dei procedimenti giudiziari (evitando la celebrazione di dibattimenti inutili e defatiganti) e, nel contempo, ad arricchire i poteri valutativi e cognitivi del G.U.P. in ottica garantista, in guisa tale da consentire all’imputato di sottrarsi più rapidamente dalla morsa del procedimento penale.

Si tratta però di un’innovazione normativa che, ove non accompagnata da una sistematica riorganizzazione dell’ufficio G.I.P., magari fondata sulla separazione soggettiva delle funzioni G.I.P. – G.U.P., è destinata ad essere neutralizzata attraverso una interpretazione restrittiva del concetto di “ragionevolezza”, ben potendosi astrattamente considerare ragionevole il rinvio a giudizio dell’imputato confidando nel successivo sviluppo dell’istruttoria o nell’esercizio di poteri officiosi da parte del giudice del dibattimento.

Senz’altro apprezzabile è il contestuale ampliamento del novero dei reati per i quali l’azione penale viene esercitata con citazione diretta a giudizio2 trattandosi di modifica che restringe il perimetro dell’udienza preliminare, agevolando il G.u.p. nel concreto impiego dei più penetranti poteri cognitivi e valutativi che gli vengono assegnati. Tuttavia, tale innovazione rischia di essere fortemente depotenziata, nella sua portata deflattiva, dall’introduzione di una udienza predibattimentale in camera di consiglio per i processi a citazione diretta. Ciò grava un giudice potenzialmente differente rispetto a quello che deciderà il processo dell’onere di studiare il fascicolo del dibattimento, reintroducendo, de facto, quella medesima funzione di filtro che si è inteso eliminare per i processi di minore complessità.

Ad ogni modo, il rischio sotteso all’intervento normativo è che i pregevoli scopi cui mira la riforma rimangano pregiudicati dall’inesigibilità concreta del vaglio del merito nei confronti del G.U.P., tenuto conto che lo stesso si troverà a dover effettuare lo studio approfondito, funzionale ad una sostanziale decisione nel merito, di tutti i fascicoli fissati per l’udienza preliminare. Il tutto senza obliterare la necessità di rivitalizzare i poteri istruttori di cui all’art. 422 c.p.p., con conseguente ulteriore dispendio di energie per lo svolgimento della relativa attività, che, da un lato può risultare essenziale ai fini della formulazione della prognosi di ragionevolezza della condanna ma, dall’altro, risulta difficilmente compatibile con l’ampiezza delle incombenze gravanti sul G.U.P.

In un quadro così tratteggiato, la concreta realizzabilità degli obiettivi sottesi alla riforma passa necessariamente, oltre che attraverso una riorganizzazione interna dell’ufficio G.I.P. ed il potenziamento del personale assegnato, anche attraverso ulteriori innovazioni normative idonee a sgravare il G.U.P. di parte delle sue incombenze.

Una prospettiva potrebbe essere quella di spostare la celebrazione del giudizio abbreviato verso la fase dibattimentale, attraverso un’innovazione che si porrebbe anche a tutela dell’imputato, garantendo allo stesso la collegialità della sentenza e rivitalizzando la funzione autenticamente decisionale del Tribunale in composizione collegiale. Ma trattasi comunque di soluzione che rende necessario incrementare il numero delle udienze collegiali, risultato che passa attraverso la diminuzione delle udienze monocratiche e, dunque, attraverso un vasto lavoro di depenalizzazione di fattispecie destinate alla citazione diretta a giudizio ma per le quali la risposta penale appare anacronistica ed inefficace (si pensi alle contravvenzioni in materia edilizia ed ambientale, in buona parte destinate ad esitare in una prescrizione in appello e, quindi, a far girare a vuoto il meccanismo della giustizia).

La parola chiave della riforma è “efficienza”. Gli interventi sono mossi dal preciso obiettivo, fissato dal P.N.R.R. e concordato con la Commissione Europea, di ridurre i tempi del processo penale entro i prossimi cinque anni, del 25% in riferimento al settore penale e del 40% in riferimento al settore civile. Dal raggiungimento di questi obiettivi dipende l’erogazione dei fondi europei legati al P.N.R.R.

La sensazione è quella di un legislatore animato da un meritevole e condivisibile obiettivo ma molto distante, nella scelta dei mezzi per la sua concreta realizzazione, dalla realtà delle aule di giustizia.

Basti pensare all’enorme investimento confluito nella creazione dell’Ufficio del processo, non supportato da una oramai improcrastinabile depenalizzazione su vasta scala (si pensi alle materie dell’edilizia e della violazione del C.d.s.) e telematizzazione del processo penale (ovviamente, da intendere come digitalizzazione degli atti ed informatizzazione delle procedure), ancora anacronisticamente svolto con fascicoli cartacei.

Una riforma autenticamente efficientista non può prescindere da una presa di consapevolezza: il modello di procedimento penale introdotto nel 1989 fotografa l’idea di un diritto penale minimo e dispiega la sua efficienza ove rapportato ad un numero limitato di processi, buona parte dei quali definiti con riti alternativi; sicché il radicato stimolo legislativo all’utilizzo sempre più ampio del processo penale quale “panacea” per tutti i mali sociali appare destinato a scontrarsi inevitabilmente con un livello di efficienza ed efficacia ampiamente inferiore rispetto alle attese.

Ciò nondimeno, risulta grandemente meritevole di apprezzamento l’innovazione normativa confluita negli artt. 111 bis e 111 ter c.p.p., con riferimento alla creazione del fascicolo informatico e del deposito telematico degli atti, la cui dimensione applicativa appare però fatalmente destinata a delinearsi attraverso atti di normazione secondaria e/o circolari organizzative interne, sulla cui elaborazione deve ora concentrarsi lo sforzo della competente amministrazione, nell’ottica del coordinamento della “migrazione tecnologica” dell’apparato giustizia, prospettiva che appare oggi forse un po’ meno utopistica ma inesorabilmente legata ad un concreto e corposo investimento in termini di risorse materiali ed umane. Lo stesso a dirsi in riferimento alla modifica dell’art. 148 c.p.p., che introduce la notifica all’imputato con modalità telematiche e che postula, ai fini della sua concreta applicazione, l’attuazione di concrete modalità operative funzionali a generalizzare l’elezione di domicilio telematico nella fase delle indagini, in guisa tale da rendere spedito ed agevole il perfezionamento del procedimento di notifica nelle fasi successive.

Mi sia consentita, al riguardo, una provocazione finale, tratta da un articolo pubblicato anche su questa rivista nell’anno 2019.

All’epoca scrivevo: “Siamo entrati nella seconda metà del 2019. La società SpaceX, di Elon Musk, ha quasi completato i progetti di costruzione del Big Falcon Rocket, vettore spaziale che entro il 2024 dovrebbe condurre quaranta coloni terresti su Marte; due sistemi di intelligenza artificiale creati nei laboratori di Menlo Park (Facebook) hanno iniziato a dialogare autonomamente tra loro adoperando un linguaggio incomprensibile all’uomo, sicché i programmatori li hanno dovuti spegnere prima che potessero decidere di estromettere i loro creatori dal sistema e diventare pericolosi; il dispositivo AlterEgo, sviluppato da alcuni ricercatori del MIT, che si indossa come un paio di cuffie, legge i pensieri di chi lo indossa traducendoli in ricerche su google e successivamente sussurrando all’orecchio le risposte trovate. L’avanzamento tecnologico fa passi da gigante e penetra ogni settore della società ma inspiegabilmente il processo penale rimane impermeabile ad ogni forma di ragionevole innovazione …”. Ritengo ancora molto attuale questa riflessione e rimango convinto che l’innovazione tecnologica costituisca l’unico strumento realmente in grado di restituire efficienza ed efficacia operativa al processo penale e credibilità alla Magistratura.


1 Relazione finale e proposte di emendamenti al D.D.L. A.C. 2435.

2 All’art. 550 c.p.p., il co. 2 è sostituito dal seguente: “Le disposizioni del comma 1 si applicano anche quando si procede per i reati previsti dagli articoli 336, 337, 337- bis, primo e secondo comma, 340, terzo comma, 343, secondo comma, 348, terzo comma, 349, secondo comma, 351, 372, 374-bis, 377, terzo comma, 377- bis, 385, secondo comma, con esclusione delle ipotesi in cui la violenza o la minaccia siano state commesse con armi o da più persone riunite, 390, 414, 415, 454, 460, 461, 467, 468, 493-ter, 495, 495-ter, 496, 497-bis, 497-ter, 527, secondo comma, 556, 588, secondo comma, con esclusione delle ipotesi in cui nella rissa taluno sia rimasto ucciso o abbia riportato lesioni gravi o gravissime, 590-bis, 611, 614, quarto comma, 615, primo comma, 619, secondo comma, 625, 635, terzo comma, 640, secondo comma, 642, primo e secondo comma, 646 e 648 del codice penale, quando si procede per i reati previsti: a) dall’articolo 291- bis del testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43;

b) dagli articoli 4, quarto comma, 10, terzo comma, e 12, quinto comma, della legge 18 aprile 1975, n. 110;

c) dagli articoli 82, comma 1, del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309;

d) dagli articoli 75, comma 2, 75-bis e 76, commi 1, 5, 7 e 8, del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159;

e) dall’articolo 55-quinquies, comma 1, del decreto legislativo del 30 marzo 2001, n. 165;

f) dagli articoli 5, comma 8-bis, 10, comma 2-quater, 13, comma 13-bis, e 26-bis, comma 9 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286;

g) dagli articoli 5, commi 1 e 1-bis, del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74.

Scarica il pdf