La ristrutturazione dei debiti del consumatore sovraindebitato (1)

di Alessandro Farolfi

SOMMARIO: 1. La nozione di consumatore. – 2. Il piano del consumatore come procedura concorsuale. – 3. Condizioni di fattibilità e verifica giudiziale.

1. La nozione di consumatore

Parlare della ristrutturazione dei debiti del consumatore sovraindebitato non è semplice. In primis perché si tratta di un fenomeno giudiziario che negli ultimi anni sta vivendo una crescente espansione, ponendo delicati interrogativi e problematiche interrelazioni con altri istituti giuridici (garanzie personali, esecuzioni forzate, procedure concorsuali, ecc..).In secondo luogo, poi, perché questo scritto, pur ponendosi come sviluppo di una precedente relazione, deve necessariamente confrontarsi con l’importante novità costituita dall’approvazione del Codice della crisi e dell’insolvenza, avvenuta con il recentissimo D. Lgs.vo 12 febbraio 2019, n. 14 (pubblicato sulla G.U. del 14 febbraio 2019, n. 38), in attuazione della legge delega n. 155/2017. Tale novità, peraltro, è destinata a divenire effettivamente vigente – in tutte le sue disposizioni – dopo una non breve vacatio legis di 18 mesi. L’interprete si trova così, in questa fase, nella condizione di avere già davanti a sé le nuove disposizioni, madi “maneggiare” un testo normativo ancora vigente (la legge 27 gennaio 2012, n. 3 e succ. modd.),seppur destinato ad essere sostituito. Singolare condizione che potrebbe essere racchiusa nella metafora (presa a prestito da un libro dedicato all’ambiente rugbistico ed alla sua filosofia di gioco) del saper “andare avanti guardando indietro”. Si proverà pertanto – cercando di “non perdere l’equilibrio” fra vecchia e nuova normativa – di illustrare alcune criticità della disciplina attualmente vigente, dedicando tuttavia uno spazio alle nuove disposizioni ed ai possibili riflessi interpretativi che, sin da ora, le stesse possono offrire all’operatore giuridico.  

Iniziando con il presupposto soggettivo, si deve ricordare che l’art. 6 co. 2 lett. b) della L. 3/2012, così come modificata dalla L. 221/2012, definisce il consumatore come “il debitore persona fisica che ha assunto obbligazioni esclusivamente per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta”. Tale definizione sembra compiere un riferimento molto restrittivo alla causa genetica del debito, nel senso che qualunque obbligazione sorta per finalità non consumeristiche priverebbe il debitore della possibilità di ricorrere all’istituto del piano del consumatore ai fini del superamento della situazione di sovraindebitamento.

La questione indicata non è semplicemente definitoria od astratta: infatti, delle tre diverse procedure di composizione della crisi prevista dalla L. 3/2012 e ss. modd., il piano del consumatore si caratterizza come procedimento nel quale è assente una formale consultazione preliminare, volta ad acquisire l’adesione dei creditori al piano proposto, essendo invece basato su di una valutazione giudiziale circa la fattibilità del piano e la condotta del consumatore, con riguardo alla ragionevole prospettiva di adempimento delle obbligazioni al tempo della loro assunzione ed alla mancanza di colpa nella determinazione del sovraindebitamento. A differenza dell’accordo previsto per il comune debitore non fallibile, quindi, il piano del consumatore non prevede alcuna votazione dei creditori, ma soltanto l’elaborazione unilaterale dell’ipotesi di soluzione da parte del consumatore sottoposta a valutazione del giudice ed alla sola possibilità – eventuale e successiva – di opposizione da parte dei creditori. Una procedura più snella, quindi, giustificata proprio dalle caratteristiche soggettive del consumatore e dalla presunta semplicità e minore entità dell’indebitamento da esso generato[1].

La lettera della norma citata, superando una precedente dizione che riteneva sufficiente la semplice “prevalenza” (d.l. 212/2011) delle obbligazioni estranee alla sfera professionale per usufruire dello statuto “consumeristico”, adotta l’avverbio “esclusivamente”, prestando perciò un forte elemento letterale a favore delle tesi restrittive. In questo senso del resto sembrava orientarsi la prevalente giurisprudenza di merito, fra cui Trib. Milano, 16 maggio 2015, secondo cui “ai fini dell’ammissibilità di una domanda di composizione della crisi da sovraindebitamento ex art. 6 l. n. 3/2012, per consumatore deve intendersi solo il debitore persona fisica il cui indebitamento non sia riconducibile ad un’attività imprenditoriale o libero professionale”.

Ma è questa l’unica lettura possibile?

Cass. civ., sez. I, sent., 01/02/2016, n. 1869, ha fornito una risposta alternativa.In primo luogo, il S.C. ha affermato l’inammissibilità del ricorso per Cassazione proposto avverso il provvedimento adottato dal Tribunale, in composizione collegiale, in sede di reclamo di un precedente provvedimento di non ammissione alla procedura di sovraindebitamento e sospensione perché privo dei connotati della decisorietà e della definitività. Tuttavia, pur a fronte della potenziale assorbenza dell’argomento precedente, l’importanza della questione ha spinto la Corte ad affrontare la problematica definizione di “consumatore” ai fini della possibilità di ricorrere allo strumento di composizione della crisi da sovraindebitamento prevista a tale precipuo scopo dalla L. 3/2012, così da dettare il relativo principio di diritto ai sensi dell’art. 363 co. 3 c.p.c.

La S.C. ha così rilevato che proprio l’art.6 co. 2 lett. b) L. 3/2012 implica che anche i debiti d’impresa o relativi allo svolgimento delle professioni ben possono ritenersi assunti nella definizione accolta, ciò che rileva non essendo tanto la loro contrazione (od oggettiva insorgenza) quale fatto storico in sé, occorrendo piuttosto che essi non siano sopravvissuti al momento della prospettazione della qualità di consumatore in funzione “ristrutturativa” del passivo mediante la proposta di piano.A sua volta, l’art.7 co. 1 terzo periodo, per il quale “in ogni caso, con riguardo ai tributi costituenti risorse proprie dell’Unione Europea, all’imposta sul valore aggiunto ed alle ritenute operate e non versate, il piano può prevedere esclusivamente la dilazione del pagamento”, è norma specificamente richiamata dall’art. 12 bis co. 3, ove si contempla, tra le altre condizioni, l’omologa del piano del consumatore se il giudice vi ravvisa “l’idoneità dello stesso ad assicurare il pagamento dei crediti impignorabili, nonché dei crediti di cui all’articolo 7, comma 1, terzo periodo“. Ora, poiché tali ultimi crediti, almeno in parte, esprimono una diretta riferibilità socio-economica alle attività d’impresa o professionali, o ciò porta a ravvisare l’intero richiamo alla stregua di un refuso (poiché in evidente contraddizione con la portata tipologica di esclusione di debiti da impresa o professione con cui la stessa definizione di consumatore è introdotta nel predetto art.6 cit.) o, pur se con disposizione del tutto speciale e limitata a questo ambito, ciò non può che comportare l’accesso al piano del consumatore anche da parte di soggetti che si trascinino siffatti debiti, contratti in una qualità — poi dismessa o almeno non produttiva di debiti così caratteristici – di imprenditori o professionisti.

La Corte, ancora, ha ritenuto che vi siano ulteriori indici normativi favorevoli alla possibilità di utilizzo in funzione “ristrutturativa” del piano del consumatore, pure da parte di soggetti che svolgono attività professionale o di impresa, sempre che – beninteso – i debiti caratteristici della sfera professionale del soggetto non confluiscano nella proposta di piano di composizione della crisi da sovraindebitamento:

a) tra i presupposti di ammissibilità, l’art.7 co.2 vieta l’accesso alle procedure (accordo, co. 1 o piano del consumatore, co. 1 bis) “quando il debitore, anche consumatore: a) è soggetto a procedure concorsuali diverse da quelle regolate dal presente capo“, implicitamente supponendo uno scrutinio possibile solo fra imprenditori commerciali sotto o sopra la soglia di cui all’art. 1 l.f.;

b) l’art. 8 co.3 bis ha riguardo (in una disposizione intitolata al contenuto dell’accordo o del piano del consumatore) ad una proposta di accordo o di piano che può essere “presentata da parte di chi svolge attività d’impresa“;

c) l’art.9, ancora sotto il medesimo p.1 dettato in tema di Disposizioni generali e nella Sezione prima delle Procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento, in tema di “deposito della proposta” si riferisce, al comma 3, al “debitore che svolge attività d’impresa”, imponendogli l’onere di depositare le scritture contabili degli ultimi tre esercizi, con copia conforme all’originale;

d) l’art. 14 quinquies, co. 2 lett. c) stabilisce l’annotazione nel registro delle imprese della apertura della liquidazione, vicenda che può derivare anche da una conversione evolutiva o per eventi anomali del piano del consumatore, ex art. 14 quater;

e) tra le sanzioni, ai sensi dell’art. 16 co. 1 lett. b), è prevista la punizione del debitore che, al fine di ottenere l’accesso alle procedure di cui alle sezioni prima e seconda (dunque anche del piano del consumatore), sottrae, occulta o distrugge, anche in parte, la “propria documentazione contabile“.

Sulla scorta di tali rilievi, ha concluso la Suprema Corte che: “è consumatore agli effetti della possibilità di presentare il piano previsto dall’art. 12 bis della L. 27 gennaio 2012, n. 3 e succ. modd. solo il debitore persona fisica, che risulti aver contratto obbligazioni — non soddisfatte al momento della proposta di piano – per far fronte ad esigenze personali o familiari o della più ampia sfera attinente agli impegni derivanti dall’estrinsecazione della propria personalità sociale, dunque anche a favore di terzi, ma senza riflessi diretti in un’attività d’impresa o professionale propria, salvo gli eventuali debiti di cui all’art. 7 co. 1 terzo periodo (tributi costituenti risorse proprie dell’Unione Europea, imposta sul valore aggiunto e ritenute operate e non versate)”.

La questione interpretativa sopra richiamata è stata risolta dalla S.C., condivisibilmente, in modo sicuramente innovativo. Anche l’art. 3 del D.Lgs.vo 6 settembre 2005, n. 206 (c.d. testo unico consumo) definisce come il consumatore come “la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta”. Il riferimento alla “persona fisica” è quindi essenziale anche in questa categoria definitoria, ma diversa è la ratio: nel testo unico sul consumo si tratta quasi sempre di proteggere un contraente “debole” rispetto ad una controparte professionale;pertanto, risulta pienamente giustificata una dimensione “statica” di questa definizione, nel senso che si dovrà verificare volta a volta il momento genetico in cui l’obbligazione è sorta per decidere dell’applicabilità o meno al rapporto delle disposizioni di tutela del consumatore.

Nel caso del sovraindebitamento – imprescindibile anche in questo caso la limitazione alle sole “persone fisiche” – viene invece in rilievo la necessità di disciplinare una situazione di perdurante squilibrio o una definitiva incapacità di adempimento che non è affatto detto sussista al momento genetico, ma che può – anche in virtù di circostanze sopravvenute – verificarsi a distanza di tempo da quando le singole obbligazioni sono sorte. Ecco pertanto farsi strada l’idea di una concezione “dinamica” ed innovativa di consumatore, ai fini della normativa in commento e della possibilità di predisporre un piano di superamento della crisi che prescinde dal gradimento dei creditori: potrà perciò ritenersi a tali effetti consumatore anche chi – piccolo imprenditore non fallibile, professionista, commerciante… – abbia già adempiuto o comunque risolto le proprie obbligazioni nascenti dall’attività d’impresa o comunque professionale, e residuino unicamente obbligazioni c.d. “civili”, salva comunque la possibilità – quale statuto speciale di questo peculiare “consumatore” ai fini della normativa in commento – di ristrutturazione mediante soluzione unicamente dilatoria del debito fiscale per IVA e ritenute.

Ma le considerazioni che è possibile svolgere sulla nozione di consumatore non finiscono qui.

Viene in particolare in considerazione quella categoria di soggetti, persone fisiche, che abbiano prestato garanzia fideiussoria a favore di un diverso soggetto, debitore principale. Si tratta, invero, di una situazione molto frequente che può riguardare situazioni fra loro indubbiamente diverse: è il caso ad esempio del socio o dell’amministratore di società cui la banca richiede un impegno di garanzia al fine di erogare il finanziamento richiesto all’impresa, ma può trattarsi, altresì, del familiare dell’imprenditore che, magari dotato di un discreto patrimonio ma per nulla coinvolto nell’attività economica del coniuge o parente, presta garanzia per il soddisfacimento delle obbligazioni assunte dal congiunto nello svolgimento dell’attività imprenditoriale.

Fino ad oggi l’orientamento prevalente della giurisprudenza, in particolare di quella di legittimità, ha applicato una sorta di teoria dell’ “io riflesso”: così come in sociologia si è affermato che “nelle opinioni degli altri è costruita, modificata e mantenuta l’immagine del nostro Io”[2], così rispetto ai rapporti di garanzia si è ritenuto che la natura del soggetto-fideiussore non vada ricostruita guardando a chi presta la garanzia, ma – come in uno specchio – alla qualità soggettiva di colui che – debitore principale – viene garantito.

Emblematica di questo modo di affrontare il problema del fideiussore-consumatore è Cass., 29 novembre 2011, Sez. III, n. 25212, secondo cui: “La tutela del consumatore è da escludere quando il contratto di fideiussione è stato concluso da una persona fisica che agisce a garanzia di un debito contratto da un soggetto che agisce nell’ambito della sua attività professionale” (in precedenza anche Cass. 13 giugno 2006, n. 13643, valorizzando espressamente l’accessorietà che connota il rapporto fideiussorio al debito principale).

Tale conclusione, a sua volta, si ricollegava alla elaborazione della Corte di Giustizia UE che – con sentenza 17 marzo 1998, emessa a seguito di richiesta di interpretazione pregiudiziale della direttiva del Consiglio del 20 dicembre 1985 n.85/77/CEE in materia di contratti negoziati fuori dai locali commerciali – aveva da tempo escluso l’applicabilità della tutela del consumatore quando il contratto di fideiussione sia concluso da una persona fisica che non agisce nell’ambito di un’attività professionale ma a favore di un soggetto “professionista”.

Ma la dottrina e la giurisprudenza degli ultimi anni hanno mostrato una crescente insoddisfazione verso questa conclusione. La circostanza, inoltre, che la normativa consumeristica e la nozione soggettiva che ne costituisce il presupposto applicativo abbiano un’origine comunitaria ha richiesto di sottoporre nuovamente la questione alla Corte di Giustizia UE, in termini innovativi.

La risposta non si è fatta attendere ed ha preso le mosse proprio dalla definizione di consumatore mutuata dalla Direttiva 93/13, per la quale è “qualsiasi persona fisica che, nei contratti oggetto della presente direttiva, agisce per fini che non rientrano nel quadro della sua attività professionale”. Non l’interesse perseguito da un diverso soggetto è ciò che connota, ab origine la nozione di consumatore, ma proprio e soltanto l’interesse e la finalità che muovono colui della cui qualificazione giuridica come consumatore (o meno) si sta trattando. Non l’accoglimento di una teoria “riflessa” o dell’accessorietà, quindi, ma una nozione che si incentra direttamente sul soggetto che assume l’obbligazione oggetto di indagine giudiziaria.

Pertanto, con il provvedimento del 19 novembre 2015, causa C-74/15, la Corte di Giustizia ha affermato che “è onere del giudice nazionale stabilire se il soggetto che sottoscrive una fideiussione possa essere consumatore ai sensi della predetta direttiva, considerando che se si tratta di una persona fisica garante di obbligazioni di una società commerciale, la direttiva può essere applicata estensivamente laddove tale persona fisica ha agito per scopi che esulino dalla propria attività professionale o senza avere alcun collegamento funzionale con la società. Tale collegamento, chiarisce la Corte, sussiste se il soggetto è amministratore della società o possiede una partecipazione non trascurabile al capitale sociale. Se, invece, la persona fisica agisce per fini di natura privata, potrà ricevere i benefici della tutela consumeristica”.

Tale conclusione è stata ribadita anche da Corte di Giustizia, ord. del 14/9/2016, secondo cui si deve negare che la nozione di “consumatore” o di “professionista” possa essere assegnata soltanto sulla base del rapporto di accessorietà con il contratto garantito.Al contrario, dal punto di vista dei contraenti, il contratto di garanzia si presenta come un “contratto distinto” in quanto è stipulato tra soggetti diversi dalle parti del contratto principale: “E’ dunque in capo alle parti del contratto di garanzia o fideiussione che deve essere valutata la qualità in cui queste hanno agito… (dovendosi stabilire se) tali persone fisiche hanno agito per scopi che esulano dalla loro attività professionale e non hanno alcun collegamento di natura funzionale con la suddetta società, circostanze queste che spetta al giudice del rinvio verificare” (il caso riguardava la prestazione di una garanzia reale oltre che fideiussoria).

La più recente giurisprudenza di merito si sta allineando a tali precedenti comunitari. L’origine sovranazionale della nozione, infatti, assegna alla giurisprudenza comunitaria non un semplice valore persuasivo, bensì il valore di fonte (integrativa) del diritto, dovendo il giudice nazionale, di fronte a diverse possibili interpretazioni di una disposizione di rango od origine comunitaria, scegliere quella più vicina all’orientamento ermeneutico emerso in ambito comunitario e che permette la più ampia sfera applicativa di tale disposizione (c.d. principio di effettività).In questo senso, ad es. Tribunale Reggio Emilia, 23/02/2016 e 19/11/2016; Tribunale Rovigo, 13/12/2016; Tribunale Padova, 27/06/2018 (contro, tuttavia, Trib. Roma, 07/08/2018).

Può essere utile ricordare, in particolare, il provvedimento reso da Tribunale Palermo, 31/07/2017[3], secondo cui “la nozione di “consumatore” della legge 3/2012 deve armonizzarsi con le disposizioni del diritto comunitario. Essa va interpretata facendo riferimento al ruolo e alle finalità perseguite dal garante rispetto all’impresa garantita: pertanto, il fideiussore di un’obbligazione oggettivamente riferibile ad un’attività professionale può anche essere considerato consumatore se non ha assunto cariche sociali o gestorie nella società beneficiaria della garanzia” (nel caso di specie, peraltro, il Tribunale ha comunque rigettato il reclamo avverso il provvedimento che non aveva omologato il piano, ritenendo che quest’ultimo risultasse infattibile e privo di convenienza rispetto all’alternativa liquidatoria, non prevedendo anche la vendita dell’immobile di proprietà della garante).

D’altra parte, un possibile punto di equilibrio di fronte ad ipotesi di composizione della crisi velleitarie od irrispettose dei diritti dei creditori che per un consumatore così inteso portano a prescindere dalla ricerca di un accordo con i creditori, può trovarsi proprio nel più penetrante potere di controllo giudiziale previsto per il piano del consumatore di cui all’art. 12 bis L. 3/2012 cit. In questa ipotesi di ristrutturazione, infatti, come si vedrà infra, è previsto non soltanto un controllo di fattibilità del piano, ma anche la verifica soggettiva di “non colpevolezza” della situazione di indebitamento e lo scrutinio circa l’idoneità della soluzione proposta a garantire il pagamento dei crediti impignorabili e quelli di cui all’art.  7 co. 1 L. 3/2012 cit. (quanto a questi ultimi – peraltro – con il problema di armonizzazione rispetto alla disciplina concordataria di cui all’art. 182 ter l.f.).

PROSPETTIVE DI RIFORMA: il nuovo Codice della crisi e dell’insolvenza

Va a questo punto rilevato come la legge delega di riforma delle procedure concorsuali, c.d. Rordorf, di cui alla L. 19 ottobre 2017, n. 155 (pubblicata come è noto sulla G.U. n. 254 del 30/10/2017), dopo un periodo di stasi nella sua concreta traduzione in testo normativo, abbia visto l’approvazione del Decreto Legislativo attuativo, nel corso della recente riunione del Consiglio dei Ministri del 10/01/2019, trovando infine la luce con il D.Lgs.vo 12 febbraio 2019, n. 14, chiamato anche Codice della crisi e dell’insolvenza (CCI)[4].

Si può fin da ora evidenziare – sia pure in attesa del pronunciamento della Camere – come nello schema di decreto siano contenute, accanto a molteplici definizioni, secondo una tecnica mutuata dalla legislazione di derivazione comunitaria, disposizioni che operano una reductio ad unitatem delle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento nell’ambito di un solo Codice della crisi e dell’insolvenza, destinato a sostituire integralmente la legge fallimentare.

In particolare, per restare al tema assegnato, le novità principali sono costituite da:

a) la definizione di consumatore come “la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigiana o professionale eventualmente svolta, anche se socia di una delle società appartenenti ad uno dei tipi regolati nei capi III, IV e VI del titolo V del libro quinto del codice civile, per i debiti estranei a quelli sociali” (art. 2 co. 1 lett. e)[5];

b) la definizione di sovraindebitamento come “lo stato di crisi o di insolvenza del consumatore, del professionista, dell’imprenditore minore, dell’imprenditore agricolo, delle start – up innovative di cui al d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, e di ogni altro debitore non assoggettabile alla liquidazione giudiziale ovvero a liquidazione coatta amministrativa o ad altre procedure liquidatorie previste dal codice civile o da leggi speciali per il caso di crisi o insolvenza” (art. 2 co. 1 lett. c)[6];

c) l’espressa ammissibilità di procedure di sovraindebitamento c.d. “familiari” (cioè coinvolgenti più membri di una stessa famiglia, fenomeno assai frequente stante l’assommarsi della solidarietà passiva per debiti personali e di garanzia fra soggetti legati da vincoli di parentela e/o coniugio o convivenza), regolate dall’art. 65 CCI secondo principi di necessario coordinamento, ferma la distinzione delle masse attive e passive di pertinenza di ciascun familiare coinvolto[7]; da sottolineare come in sede di definitiva approvazione sia stato regolato espressamente il caso in cui solo alcuni dei membri (non necessariamente conviventi) della famiglia sovra-indebitata abbiano la qualità di consumatore: in tal caso si è introdotta una prevalenza assoluta della qualità non consumeristica della crisi da risolvere, disponendo che  al progetto unitario si applicano le disposizioni in tema di concordato minore (nuovo istituto per il debitore non fallibile diverso dal consumatore regolato dagli artt. 74 e ss. CCI);

d) l’estensione degli effetti delle procedure di sovraindebitamento anche nei confronti dei soci illimitatamente responsabili (art. 65 ult. co.)[8].

2. Il piano del consumatore come procedura concorsuale

Come è noto l’attuale piano del consumatore non vede una votazione da parte dei creditori e tale assetto viene confermato anche dalle nuove disposizioni del CCI (artt. 67 e ss.).

L’assenza di una fase di votazione preliminare rispetto alla omologazione potrebbe far dubitare della riconducibilità del piano del consumatore sovra-indebitato al novero delle procedure concorsuali. Ma è un dubbio che deve essere respinto con forza.

Già nei primi commenti alle disposizioni attualmente vigenti(cfr. DI MARZIO,Le principali novità apportate dal “Decreto Sviluppo-bis“alla disciplina del sovraindebitamento, in www.ilfallimentarista.it, 2013), con notazione pienamente condivisibile si era rilevato che, dopo la riforma apportata all’istituto del sovraindebitamento dald.l. 18/10/2012, n. 179(convertito con modd. dalla l. 17/12/2012, n. 221) il piano del consumatore dovesse essere considerato come una variante dell’accordo. Si era osservato, piuttosto, come la differenza dovesse essere piuttosto individuata nel fatto che la proposta “adempitiva” è rivolta ai creditori da un debitore qualificato che è il consumatore, mentre le ulteriori differenze di disciplina sono soprattutto fondate sull’esigenza di agevolare la conclusione positiva della procedura in relazione alla particolare natura del soggetto debitore che, appunto, non è un operatore economico, ma un consumatore”.Lo stesso Autore, in un successivo articolo aveva poi concluso che “il piano del consumatore è una procedura di carattere concorsuale. Il piano, infatti, una volta omologato, produce i suoi effetti nei confronti di tutti i creditori concorsuali esattamente come accade nell’accordo di sovraindebitamento e nelle procedure concorsuali … Non abbiamo però una procedura concorsuale di carattere deliberativo giacchè non è richiesta nessuna approvazione o deliberazione della proposta da parte dei creditori. Abbiamo invece una figura peculiare che in letteratura è nota come “concordato coattivo” e che viene ripresa in una legge molto importante, la legge Prodi bis sull’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi”[9].

Tale conclusione può essere a maggior ragione ribadita oggi, dopo l’importante arresto di Cassazione civile, sez. I, 12/04/2018, n. 9087, che nell’affermare in modo innovativo (peraltro dopo l’analoga Cass. n. 1182/2018) che l’accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182 bis l.f. appartiene agli istituti del diritto concorsuale, ha ritenuto che “la concessione del termine di cui all’art. 162, comma 1, l.fall., può essere disposta anche in favore del debitore che, sciogliendo la riserva formulata con il ricorso ex art. 161, comma 6, l.fall., alla scadenza del termine opti per il deposito non già della proposta di concordato preventivo, bensì della domanda di omologazione di un accordo di ristrutturazione ai sensi dell’art. 182-bis, comma 1, l.fall., in quanto detta ultima procedura riveste carattere concorsuale e si pone, nell’impianto normativo, in termini di interscambiabilità con il concordato”

Pur essendo tale decisione sottoposta a talune critichedella dottrina (cfr. FABIANI, Dal codice della crisi di impresa agli accordi di ristrutturazione senza passare per Saturno, in www.ilcaso.it), l’importanza sistematica della stessa non può essere ignorata.

Secondo la S.C., in particolare, costituiscono indici della concorsualità, quale ridisegnata dalle riforme degli ultimi anni:

1) la necessaria interlocuzione con l’autorità giudiziaria, non importa se già in sede preventiva (misure di protezione, ammissione, ecc…) o successiva (semplice omologazione);

2) il coinvolgimento dei creditori (anche ove non si esprime con una votazione formale);

3) l’esistenza di forme di pubblicità della procedura.

In particolare, la S.C. esclude che il necessario rispetto della par condicio sia, attualmente, un carattere indefettibile di ogni procedura concorsuale, essendo stato sostituito da un più generale perseguimento del miglior interesse dei creditori, al cui soddisfacimento, in qualunque forma, la procedura deve comunque essere rivolta.

In motivazione si afferma altresì che “piuttosto che attribuire agli accordi di ristrutturazione un’improbabile connotazione meramente privatistica – confliggente non solo con l’embrionale verifica di ammissibilità esplicitata nell’ipotesi anticipatoria di cui all’art. 182-bis, comma 7, L. Fall., ma anche con la imprescindibilità dell’omologazione giudiziale ex art. 182-bis, comma 4 L. Fall. (peraltro soggetta allo stesso reclamo previsto per il concordato preventivo dall’art. 183 L. Fall.) e soprattutto con gli effetti pregiudizievoli che i creditori “estranei” subiscono direttamente o indirettamente, per effetto dell’accordo con la maggioranza dei creditori aderenti che rappresenti almeno il sessanta per cento dei crediti (quali: il divieto di agire esecutivamente e cautelarmente, nonchè di acquisire titoli di prelazione se non concordati, durante i periodi di inibitoria, preventivi o definitivi; la moratoria coattiva dei termini di pagamento fino a centoventi giorni; le nuove prededuzioni contemplate dagli artt. 182-quater e 182-quinquies L. Fall.; la sottrazione a revocatoria fallimentare degli atti di disposizione previsti nel piano omologato) – dovrebbe prendersi atto che la sfera della concorsualità può essere oggi ipostaticamente rappresentata come una serie di cerchi concentrici, caratterizzati dal progressivo aumento dell’autonomia delle parti man mano che ci si allontana dal nucleo (la procedura fallimentare) fino all’orbita più esterna (gli accordi di ristrutturazione dei debiti), passando attraverso le altre procedure di livello intermedio, quali la liquidazione degli imprenditori non fallibili, le amministrazioni straordinarie, le liquidazioni coatte amministrative, il concordato fallimentare, il concordato preventivo, gli accordi di composizione della crisi da sovraindebitamento degli imprenditori non fallibili, gli accordi di ristrutturazione con intermediari finanziari e le convenzioni di moratoria (con la precisazione che la L. Delega n. 155 del 2017, art. 5, comma 1, lett. a), per la riforma delle discipline della crisi di impresa e dell’insolvenza, intende estendere queste ultime “procedure” anche a creditori diversi da banche e intermediari finanziari). Restano invece all’esterno di questo perimetro immaginario solo gli atti interni di autonoma riorganizzazione dell’impresa, come i piani attestati di risanamento, e gli accordi di natura esclusivamente stragiudiziale, che non richiedono nemmeno un intervento giudiziale di tipo meramente omologatorio”.

Ora, nel piano del consumatore (destinato a diventare il piano di ristrutturazione di cui agli artt. 67 e ss. CCI) si ritrovano certamente quegli indici di concorsualità rilevati dal più recente orientamento del S.C. Infatti, oltre ad un provvedimento iniziale di sostanziale ammissione, troviamo un provvedimento successivo di omologazione da parte dell’autorità giudiziaria, nonchè forme di pubblicità della proposta. Inoltre,risulta comunque previsto un coinvolgimento dei creditori che, seppure non chiamati al voto, ricevono tuttavia ampia informazione della proposta di ristrutturazione da parte del debitore/consumatore e possono così intervenire nel procedimento per far valere motivi di inammissibilità o la propria contrarietà alla omologazione.

Questo comporta che già oggi sia possibile colmare eventuali lacune della disciplina attraverso l’applicazione analogica di disposizioni relative alle altre procedure di sovraindebitamento od in tema di concordato preventivo, nelle parti non incompatibili con la disciplina specificamente riguardante la procedura oggetto di analisi. Un domani, anche qui con attenzione e rispettando un principio di non incompatibilità, le lacune potrebbero essere colmate attingendo a talune parti della disciplina del concordato minore (artt. 74 e ss. CCI).

PROSPETTIVE DI RIFORMA

La natura del piano di ristrutturazione dei debiti del Consumatore sovraindebitato quale procedura concorsuale è destinata – forse – ad essere rafforzata da talune disposizioni contenute nel recente Codice della crisi e dell’insolvenza, di cui si è già fatto cenno.

In particolare, in estrema sintesi, appare rilevante:

a) la conferma, già oggi prevista dall’art. 9 co. 3 quater L. 3/2012, della c.d. “cristallizzazione” del debito, ossia che il deposito della proposta di accordo o di piano produce la sospensione del decorso degli interessi salvo che per quelli privilegiati, secondo un meccanismo in qualche misura simile a quello oggi contemplato dall’art. 55 l.f., richiamato dall’art. 169 l.f. in tema di concordato preventivo (cfr. art. 68 ult. co. CCI);

b) la nuova previsione contenuta all’art. 67 co. 4 CCI (i cui contenuti dovevano oggi ricavarsi per implicito attraverso una ricognizione sistematica dell’art 12 bis L. 3/2012 ove rinvia, fra l’altro, ai precedenti artt. 7, 8 e 9, nonché art. 12 bis co. 4) secondo cui “è possibile prevedere che i crediti muniti di privilegio, pegno o ipoteca possano essere soddisfatti non integralmente, allorché ne sia assicurato il pagamento in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o ai diritti oggetto della causa di prelazione, come attestato dall’OCC”: quindi con certezza anche nel piano del consumatore si deve rispettare una regola di falcidia dei privilegiati in senso non peggiorativo rispetto all’alternativa liquidatoria, così come previsto per il concordato preventivo dall’attuale art. 160 co. 2 l.f.;

c) la possibilità per il piano del consumatore (già oggi affermata in via interpretativa sia pure con alcuni distinguo nella giurisprudenza di merito) di prevedere “anche la falcidia e la ristrutturazione dei debiti derivanti da contratti di finanziamento con cessione del quinto dello stipendio, del trattamento di fine rapporto o della pensione e dalle operazioni di prestito su pegno”, fermo quanto previsto al punto che precede circa il trattamento non deteriore rispetto all’alternativa liquidatoria (cfr. 67 co. 3 CCI);

d) viene confermato l’effetto protettivo non automatico di questa procedura, bensì a domanda: “il giudice, su istanza del debitore, può disporre la sospensione dei procedimenti di esecuzione forzata che potrebbero pregiudicare la fattibilità del piano. Il giudice, su istanza del debitore, può altresì disporre il divieto di azioni esecutive e cautelari sul patrimonio del consumatore nonché le altre misure idonee a conservare l’integrità del patrimonio fino alla conclusione del procedimento” (art. 70 co. 4 CCI); degna di nota l’anticipazione del c.d. automatic stay– che oggi è ricollegata al solo decreto di omologazione (cfr. art. 12 ter co. 1 L. 3/2012) – già al decreto di fissazione dell’udienza per la eventuale omologazione, ma sempre a richiesta del debitore.

3. Condizioni di fattibilita’ e verifica giudiziale

La circostanza che i creditori non siano chiamati, nel caso del piano del consumatore, ad una votazione preventiva e che, quindi, il loro coinvolgimento nella procedura sia sì sussistente ma pur sempre formale ed in funzione eventualmente oppositiva e successiva (finalizzata cioè non a stimolare un gradimento preventivo che non è richiesto, ma un eventuale opposizione alla omologazione della proposta di piano), spiega perché l’ambito di verifica giudiziale prevista al momento della omologazione subisca – nella disciplina attuale – un peculiare allargamento rispetto alla diversa procedura dell’accordo (destinato a diventare concordato minore) del soggetto sovraindebitato non consumatore.

Oltre alle usuali verifiche circa la sussistenza dello stato di sovraindebitamento e delle altre condizioni di ammissibilità della procedura – soggettive e oggettive – nonché in ordine alla regolarità formale del procedimento (es. competenza, completezza della documentazione, ecc…), nel caso del piano del consumatore il Giudice è chiamato dall’attuale art. 12 bis L. 3/2012 a valutare, anche in assenza di opposizione:

a) la fattibilità del piano;

b) ad escludere (e quindi comunque a svolgere un giudizio sia pure espresso in termini negativi) che il consumatore abbia “assunto obbligazioni senza la ragionevole prospettiva di poterle adempiere” ovvero abbia “colposamente determinato il sovraindebitamento, anche per mezzo di un ricorso al credito non proporzionato alle proprie capacità patrimoniali”;

c) l’idoneità del piano ad assicurare il pagamento dei crediti impignorabili e di taluni crediti “erariali” previsti dall’art. 7 co. 1 della L. 3/2012.

Come già è stato notato, nel caso dell’accordo del debitore non consumatore, ex art. 12 L. 3/2012, la valutazione da parte del Giudice appare più ristretta e condizionata da un esame del merito dell’accordo e della sua convenienza che è stato già positivamente scrutinato – attraverso il meccanismo del voto – dai creditori. In tal modo il Giudice nel caso di accordo (futuro concordato minore) è più semplicemente chiamato a vagliare – in assenza di opposizioni – che la percentuale necessaria dei consensi sia stata raggiunta e che il piano sottostante all’accordo sia tale da assicurare il pagamento integrale dei crediti impignorabili, nonché dei crediti di cui all’art. 7, comma 1, terzo periodo (in sintesi IVA e ritenute operate e non versate)[10].

Tornando alle verifiche giudiziali connesse alla omologazione del piano del consumatore, si è condivisibilmente affermato[11]: “Se ci interroghiamo sulla ragione sistematica di tale differenza, la scorgiamo facilmente nel diverso ruolo assunto dai creditori nella decisione sulle due diverse procedure concorsuali di sovraindebitamento in esame. Il cosiddetto “accordo” è sottoposto alla deliberazione maggioritaria dei creditori concorsuali: che votano la proposta per deciderne la approvazione. La natura del procedimento è dunque a) concordataria, b) deliberativa. Il cosiddetto piano del consumatore integra invece una fattispecie di concordato coattivo. In tale procedura il contributo dei creditori si esplica non nella approvazione del piano, fase non contemplata nella legge, ma nella eventuale opposizione alla omologazione del piano medesimo”.

La verifica in ordine alla fattibilità del piano impone – in assenza di opposizione – un controllo preventivo circa la legittimità delle operazioni attraverso le quali il debitore propone di assicurarsi la provvista con la quale provvedere al soddisfacimento dei creditori secondo i tempi e le modalità contenute nella proposta. Passa inoltre attraverso una disamina della ragionevolezza, senza poter tuttavia trascendere in una valutazione di merito, delle assunzioni su cui si basa il piano e sulla ragionevole realizzabilità dello stesso. In questo quadro una notevole importanza va riconosciuta alla relazione di accompagnamento formulata dall’OCC (o meglio dal gestore da questi nominato) che è chiamata attualmente (cfr. art. 9 co. 3 bis L. 3/2012) a contenere:

a) l’indicazione delle cause dell’indebitamento e della diligenza impiegata dal consumatore nell’assumere volontariamente le obbligazioni;

b) l’esposizione delle ragioni dell’incapacità del debitore di adempiere le obbligazioni assunte;

c) il resoconto sulla solvibilità del consumatore negli ultimi cinque anni;

d) l’indicazione della eventuale esistenza di atti del debitore impugnati dai creditori;

e) il giudizio sulla completezza e attendibilità della documentazione depositata dal consumatore a corredo della proposta, nonchè sulla probabile convenienza del piano rispetto all’alternativa liquidatoria.

Si tratta di valutazioni espresse dall’organo tecnico in una relazione che ha evidentemente un duplice scopo:

1) da un lato, offrire un quadro rappresentativo affidante per i creditori, che anche se non votano, sono comunque raggiunti dalla comunicazione della proposta e della relativa relazione particolareggiata, oltre che dal decreto di fissazione dell’udienza per la eventuale omologazione e possono, quindi, determinarsi consapevolmente – sia pure per implicito – in ordine al non contrarietà rispetto alla ristrutturazione dei debiti avanzata dal consumatore, trovando nella relazione stessa ogni più utile chiarimento, ovvero da questa trarre il convincimento della necessità di proporre opposizione alla omologazione al fine di non risultare pregiudicati;

2) dall’altro, rappresentare un utile strumento di sussidio nella verifica di fattibilità e nel giudizio di omologazione affidati all’organo giudiziario, che può in prima battuta rinvenire proprio in tale elaborato gli elementi atti a consentire una motivata espressione del giudizio sia in ordine alla ragionevolezza del piano che in relazione alle valutazioni di carattere soggettivo (qualifica di consumatore, natura colposa o meno del sovraindebitamento, presenza di atti di frode per i creditori, ecc…).

Solo la presentazione di opposizioni “di merito” alla omologazione determina il c.d. cram down, cioè l’esigenza di affrontare il problema della convenienza rispetto alla liquidazione pura e semplice, potendosi ugualmente procedere alla omologazione del piano quando l’organo decidente ravvisi che “il credito possa essere soddisfatto dall’esecuzione del piano in misura non inferiore all’alternativa liquidatoria” (che in questo caso è rappresentata da quella sorta di “fallimento civile” data dalla liquidazione del patrimonio, destinata a divenire a seguito della riforma “liquidazione controllata del sovraindebitato”, di cui agli artt. 268 e ss. dello Schema di D. lgs. in corso di approvazione).

Altra verifica che il Giudice è chiamato a svolgere, al pari di quanto previsto per le altre procedure si sovraindebitamento, è rappresentata dal controllo circa l’assenza di atti di frode a danno dei creditori. Il programma di ristrutturazione del debito, in altri termini, deve comunque essere funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori, e non può porsi come strumento né per carpire (sia pure implicitamente) il gradimento dei creditori al piano volto a superare il sovraindebitamento, né – tantomeno – porsi quale abuso dell’istituto volto a rendere definitive e non attaccabili operazioni distrattive (o meglio dispositive) del patrimonio del consumatore sovraindebitato, che comunque rappresenta il termine di raffronto circa l’esistenza della garanzia patrimoniale di cui all’art. 2740 c.c[12].

In riferimento alle procedure di sovraindebitamento si è notato come il concetto di atto di frode sia richiamato da tutte e tre i procedimenti quale ostacolo all’ammissione o comunque alla omologazione del piano o dell’accordo. Il Trib. Milano, 18/11/2016, in un caso di donazione della nuda proprietà di un immobile al figlio, prima di determinarsi a ricorrere alla procedura di sovraindebimento, così da pregiudicare le ragioni dei creditori, ha ritenuto che “la presenza di iniziative o atti in frode ai creditori che siano obiettivamente idonei ad arrecare pregiudizio alle ragioni creditorie a prescindere dalla loro idoneità decettiva incidono sulla meritevolezza del debitore e determinano il rigetto della domanda di omologazione dell’accordo”.

Nell’ambito delle valutazioni di fattibilità rientrano, a parere del relatore, anche quelle relative alle tempistiche previste per il compimento delle attività di liquidazione (se presenti) ed erogazione dei pagamenti a favore dei creditori, non tanto nel senso di imporre per via giudiziale un termine massimo di durata del piano che le norme non prevedono, quanto piuttosto per poter censire una ragionevolezza complessiva delle assunzioni poste alla base del piano (destinate a risultare vieppiù prive di affidabilità man mano ci si allontana dalla situazione temporale e debitoria di riferimento presa a fondamento per la elaborazione della proposta di ristrutturazione) ed al fine di non offrire ai creditori privilegiati un trattamento deteriore rispetto all’alternativa liquidatoria. Questo spiega come, sia pure con alcune eccezioni, i tribunali di merito siano orientati per prassi ad ammettere piani del consumatore della durata massima di 5/6 anni[13]. Innovativa (pur se in alcun casi già precorsa dalla giurisprudenza di merito), nonché idonea a scongiurare le principali criticità connesse alla durata del piano, sarà la possibilità di conservare la possibilità di adempiere regolarmente (alla scadenza convenute, secondo il piano di ammortamento contrattuale) un mutuo pendente con garanzia ipotecaria sulla prima casa di abitazione del debitore, lasciando tale rapporto al di fuori del perimetro della ristrutturazione (cfr. art. 67 ult. co. CCI).

Sull’importanza del perseguimento del best interest per i creditori, divenuto ormai una sorta di clausola generale ed una “stella polare” delle procedure concorsuali riformate, si possono ricordare le decisioni del S.C. in tema di pagamento dei crediti anteriori (per tutte Cass. 19/02/2016, n. 3324e Cass., sez. I, 16/05/2018, n. 11958[14]), nonché la già citata sentenza del S.C. n. 9087/2018.

PROSPETTIVE DI RIFORMA

Il nuovo Codice della crisi e dell’insolvenza, con riferimento alle valutazioni da condurre rispetto al Piano di ristrutturazione del Consumatore, introduce le seguenti previsioni, che vale la pena sin da ora schematizzare:

a) si prevede in primo luogo che la nomina dell’attestatore nelle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento sia sempre facoltativa;

b) si afferma che la domanda deve essere presentata al giudice tramite un OCC costituito nel circondario del tribunale competente ai sensi dell’articolo 27, comma 2, specificando ulteriormente che non è necessaria l’assistenza di un difensore (in controtendenza rispetto ad altre disposizioni, ma in chiaro collegamento con la maggiore semplicità che questa procedura dovrebbe avere rispetto a quelle riservate ai soggetti imprenditori o professionali, nonché in relazione ad un’esigenza volta a contenere i costi e favorire l’accesso a queste procedure);

c) si prevede che la relazione di accompagnamento al piano, redatta dall’OCC, debba contenere “a) l’indicazione delle cause dell’indebitamento e della diligenza impiegata dal debitore nell’assumere le obbligazioni; b) l’esposizione delle ragioni dell’incapacità del debitore di adempiere le obbligazioni assunte; c) la valutazione sulla completezza ed attendibilità della documentazione depositata a corredo della domanda; d) l’indicazione presunta dei costi della procedura”;

d) in modo del tutto innovativo, la stessa relazione deve verificare il comportamento di prudenza e diligenza tenuto dai soggetti finanziatori che – concedendo credito al consumatore – hanno concorso a cagionare la situazione di sovraindebitamento; si prevede, al riguardo, una specifica sanzione processuale, consistente nella preclusione della possibilità di opporsi alla omologazione del piano per ragioni di convenienza;

e) la verifica di meritevolezza del consumatore, sia pure espunta sul piano letterale dalla disposizione che regola il giudizio di omologazione, rientra comunque nel più ampio vaglio circa l’ammissibilità del piano, che viene ripreso dall’art. 70 co. 7 in combinato disposto con l’art. 69 CCI (condizioni soggettive ostative); la verifica soggettiva è stata parzialmente riformulata e con ogni probabilità resa meno rigida nel senso che non qualunque elemento di colpevolezza del debitore o scarsa considerazione delle proprie capacità restitutorie rilevano a fine impeditivo, ma soltanto se (egli) “ha determinato la situazione di sovraindebitamento con colpa grave, malafede o frode[15];

f) resta quale condizione di inammissibilità del piano l’essere già fruito della esdebitazione nei cinque anni precedenti la domanda o l’aver già beneficiato per due volte dell’esdebitazione;

g) non viene più letteralmente prevista la moratoria annuale oggi contenuta nell’art. 8 L. 3/2012 per il pagamento dei crediti privilegiati (salvo quelli speciali di cui sia prevista la liquidazione del bene su cui si esercita la prelazione),mentre diviene invece biennale nel caso di concordato preventivo in continuità, ai sensi dell’art. 86 CCI, con il problema dell’ipotizzata applicazione analogica di tale disposizione, ovvero – in mancanza di continuità aziendale nel piano, e quindi di carenza di eadem ratio – della necessità più generale di valutare la tempistica dei pagamenti sotto i profili della fattibilità del piano e del trattamento non deteriore rispetto all’alternativa liquidatoria.


[1] Sul sovraindebitamento del consumatore, senza pretese di completezza, si segnalano: CESARE, Ammissibile la liquidazione del patrimonio di gruppo proposta dai coniugi congiuntamente (nota a Trib. Mantova, 8 aprile 2018), in www.ilfallimentarista.it;  DE MATTEIS – GRAZIANO, Casi e Questioni di sovraindebitamento, Rimini, 2017; DI MARZIO – MACARIO – TERRANOVA, La “nuova” composizione della crisi da sovraindebitamento, collana “Il civilista”, Milano, 2013; DI MARZIO, Le principali novità apportate dal “Decreto Sviluppo-bis“alla disciplina del sovraindebitamento, in www.ilfallimentarista.it, 2013; ID., Giudizio di fattibilità e procedure di sovraindebitamento, ivi; FAROLFI, Sovraindebitamento: le novità della riforma, ivi; FIMMANÒ- D’ATTORRE, La composizione della crisi da sovraindebitamento, Napoli, 2018;LIMITONE, Il concetto di colpa nella legge n. 3/2012 sul sovraindebitamento del consumatore, in www.ilcaso.it; ID., Postilla sulla colpa nella legge n. 3/2012 sul sovraindebitamento del consumatore e la proposta della commissione Rordorf, ivi; NISIVOCCIA, Il sovraindebitamento e le prospettive di riforma, in www.ilfallimentarista.it.

[2]Cfr. COOLEY, Human Nature and the Social Order, New York, 1902.

[3] Con nota di CESARE, Il piano del consumatore proposto dal fideiussore garante di obbligazioni di impresa, in www.ilfallimentarista.it.

[4]Pubblicato sulla G.U. n. 38 del 14 febbraio 2019. In termini generali: AMBROSINI, La riforma della disciplina della crisi e dell’insolvenza: motus in fine velocior, in www.ilcaso.it; LAMANNA, Il Codice concorsuale in dirittura d’arrivo con le ultime modifiche ministeriali al testo della Commissione Rordorf, Parte I e II, in www.ilfallimentarista.it.

[5] Può in questa sede solo accennarsi al tema dell’applicabilità del sovraindebitamento al socio illimitatamente responsabile. Ad una prima tesi negativa, fondata sul possibile fallimento in estensione – ex art. 147 l.f. – di tale soggetto (cfr. Trib. Milano 18 agosto 2016) attualmente se ne oppone una più liberale, volta ad ammettere il ricorso alla procedura non soltanto – come ovvio – per il socio illimitatamente responsabile di un soggetto societario “sotto soglia”, ma anche per quel socio persona fisica che comunque necessiti di pervenire alla ristrutturazione del proprio debito pur a fronte dell’assoggettamento a procedure concorsuali della società di cui è parte (cfr. Trib. Prato, 16 novembre 2016). Questo secondo orientamento pare oggi rafforzato già in chiave interpretativa proprio dalla legge di riforma c.d. Rordorf, ed è esplicitamente accolto dal Codice della crisi e dell’insolvenza, sia pure con la limitazione ai debiti di natura personale, estranei a quelli sociali.

[6] Si ricorda che attualmente l’art. 6 co. 2 lett. a) definisce il sovraindebitamento come “la situazione di perdurante squilibrio tra le obbligazioni assunte e il patrimonio prontamente liquidabile per farvi fronte, che determina la rilevante difficoltà di adempiere le proprie obbligazioni, ovvero la definitiva capacità di adempierle regolarmente”. La riforma, in linea con la direttiva di riconduzione del sovraindebitamento all’interno del codice, unifica i presupposti di accesso nella crisi e nell’insolvenza, a loro volta così definite all’art. 2 lett. a) “crisi”: lo stato di difficoltà economico-finanziaria che rende probabile l’insolvenza del debitore, e che per le imprese si manifesta come inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate; lett. b) “insolvenza”: lo stato del debitore che si manifesta con inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni.

[7] Tale soluzione – resa difficoltosa per il concordato preventivo di gruppo dalla nota Cass., sez. I, 13 ottobre 2015, n. 20559 – è già stata accolta per il sovraindebitamento da Trib. Mantova, 8 aprile 2018 e Trib. Milano – 6 dicembre 2017. Quest’ultima decisione ha ritenuto che “nulla osta al deposito di un unico ricorso che contenga due separate proposte: i due debitori hanno infatti patrimoni distinti la cui componente attiva messa a disposizione è costituita dalla retribuzione da lavoro dipendente e una situazione debitoria differente che trae origine in gran parte da finanziamenti contratti in via autonoma per far fronte alle esigenze familiari; dunque le proposte sono due e vanno tenute distinte anche se ciascuna è subordinata sospensivamente al conseguimento dell’omologazione dell’altra”. In motivazione la decisione ha altresì ritenuto che la questione afferente la conservazione del debito del mutuo fondiario al di fuori del programma di ristrutturazione possa essere risolta positivamente, purchè lo stesso continui ad essere onorato secondo le scadenze contrattuali.

La scelta di mantenere distinte le masse attive e passive di ciascun familiare sovraindebitato si ricollega, come afferma la stessa Relazione di accompagnamento al decreto, all’esigenza di non scalfire il principio di responsabilità patrimoniale personale (cfr. art. 2740 c.c.).

[8] Con soluzione in qualche modo assimilabile all’attuale disposto dell’art. 184 co. 2 l.f.

[9] DI MARZIO, Giudizio di fattibilità e procedure di sovraindebitamento, in www.ilfallimentarista.it. Altro esempio di concordato coattivo si ritrova nella l.c.a., all’art. 214 l.f.

[10] Esula dai limiti della presente relazione una compiuta disamina del profilo relativo alla possibile falcidia dei crediti erariali e, più in particolare, dell’IVA e ritenute operate e non versate. In sintesi, si deve ricordare come la Corte europea, sentenza del 7 aprile 2016 (C-546/14), abbia riconosciuto la legittimità di norme interne che consentano all’imprenditore insolvente di soddisfare non integralmente il credito IVA nell’ambito di una procedura di concordato preventivo, purchè in misura non deteriore rispetto all’alternativa liquidatoria. Sula scorta di tale decisione la L. n. 232/2016 ha riscritto l’art. 182ter l. f., con decorrenza dal 1° gennaio 2017, contenente due sostanziali innovazioni:

a) il pagamento parziale di IVA e ritenute è ora ammesso qualora il piano presentato ex art. 182 ter preveda la soddisfazione del credito in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della sua collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato dei beni e/o diritti sui quali sussiste la prelazione, come attestato da un professionista indipendente;

b) sulla base della nuova norma, in assenza di transazione fiscale i crediti tributari non possono più essere falcidiati.

La circostanza che l’art. 7 L. 3/2012 non sia stata in pari tempo modificata ha portato Trib Udine, ordinanza 14 maggio 2018, a sollevare questione di legittimità costituzionale.

Per più ampie considerazioni cfr. GAMBI, Il trattamento dei crediti tributari e previdenziali nel sovraindebitamento, in www.ilfallimentarista.it

[11] DI MARZIO, Giudizio di fattibilità e procedure di sovraindebitamento, cit.

[12] Sul concetto di frode ai creditori, da ultimo, Cass. civile, sez. I, 26/06/2018, n. 16856, secondo cui “in tema di revoca dell’ammissione al concordato preventivo, si configurano come atti di frode le condotte del debitore idonee ad occultare situazioni di fatto suscettibili di influire sul giudizio dei creditori, ossia tali che qualora conosciute avrebbero presumibilmente comportato una valutazione diversa e negativa della proposta e che siano state “accertate” dal commissario giudiziale, cioè da lui “scoperte”, essendo in precedenza ignorate dagli organi della procedura o dai creditori. Rientrano, peraltro, tra i fatti “accertati” dal commissario giudiziale, ai sensi dell’art. 173 l. fall., non solo quelli “scoperti” perché prima del tutto ignoti nella loro materialità, ma anche quelli non adeguatamente e compiutamente esposti nella proposta concordataria e nei suoi allegati, i quali, ancorché annotati nelle scritture contabili, rivelino una valenza decettiva per i creditori. (Nella specie, la S.C. ha confermato la pronuncia della corte territoriale, che aveva qualificato come atto di frode il silenzio serbato nella proposta concordataria e nel piano annesso – ancorché essa fosse annotata nelle scritture contabili – su una operazione di scissione patrimoniale, effettuata dalla debitrice già insolvente e consistita nel conferimento di immobili a una società controllata e nella successiva cessione di quote ad un terzo)”.

[13] Così Trib. Pistoia, 28 febbraio 2014, Trib. Ravenna, 10 marzo 2017, Trib. Monza, 2 aprile 2014, Trib. Rovigo, 13 dicembre 2016, Trib. Milano, 27 novembre 2016.Vds. anche Trib. Padova, 13 aprile 2018, secondo cui “la durata del piano del consumatore deve collocarsi in un arco di cinque anni circa; solo in tal modo viene rispettato il principio della ragionevole durata del processo, oltre al fatto che solo così viene ridotto al minimo il sacrificio, impostò ai creditori mediante la previsione di un piano di durata ragionevolmente breve e la cui esecuzione appaia verosimilmente prevedibile”.

Ha invece omologato un piano di durata ventennale Trib. Como, 24 maggio 2018.

[14] Quest’ultima decisione afferma che “il pagamento non autorizzato di un debito scaduto eseguito in data successiva al deposito della domanda di concordato preventivo, non integra in via automatica, ai sensi dell’art. 173, comma 3, l.fall., una causa di revoca del concordato, la quale consegue solo alla verifica, da compiersi ad opera del giudice di merito, che tale pagamento, non essendo ispirato al criterio della migliore soddisfazione dei creditori, sia diretto a frodare le ragioni di questi ultimi, così pregiudicando le possibilità di adempimento della proposta formulata con la domanda di concordato”.

[15] Particolarmente esplicativa, sul punto, la Relazione di accompagnamento al Decreto attuativo, ove è dato leggere: “In linea con i criteri stabiliti dalla legge delega,  si è deciso di non esigere per l’ammissione alle procedure di sovraindebitamento requisiti soggettivi troppo stringenti, tenuto conto, da un lato, dell’eterogeneità qualitativa dei soggetti destinatari (spesso privi di livelli culturali idonei per rendersi conto del loro progressivo sovraindebitamento), dall’altro dell’oggettiva difficoltà di individuare rigorosi criteri di meritevolezza sicuramente verificabili in rapporto all’estrema varietà delle situazioni di vita che possono determinare situazioni individuali di grave indebitamento, senza rischiare di generare un contenzioso dalle proporzioni difficilmente prevedibili o senza, altrimenti, finire per restringere a tal punto la portata dell’istituto da frustrare sostanzialmente le finalità di politica economica ad esso sottese: consistenti, come già accennato, non tanto in una forma di premialità soggettiva quanto piuttosto nel consentire una nuova opportunità a soggetti schiacciati dal peso di un debito divenuto insopportabile.

In tale ottica, si è quindi optato per l’inserimento di requisiti negativi, ostativi ai benefici di legge, individuati nella mala fede o nel compimento di atti di frode (la mala fede tendenzialmente rilevante nel momento della contrazione del debito, la frode normalmente operante nelle fasi precedenti o successive all’ammissione alla procedura)”.