La vita in una comunità in tempo di pandemia

di Don Nilo Nannini

La letteratura è densa di narrazioni che raccontano cosa e come si vive nel tempo di una epidemia.

Pagine belle ma distanti dalla nostra quotidianità che hanno riempito i nostri pomeriggi, accompagnato le ore assonnate dei banchi di scuola. Nessuno avrebbe potuto immaginare che un’ondata virale o batterica sarebbe entrata prepotente nella vita degli umani del secondo millennio e aggredire violentemente una normalità che sembrava immodificabile.

Così è stato per il Covid 19.

Noi generazioni fortunate, cresciute senza limiti oggettivi, le emergenze diffuse e prolungate le abbiamo solo ascoltate, distratti, nei racconti dei nostri nonni o dei nostri genitori, e molto spesso le abbiamo considerate delle belle favole, o delle pagine di una storia impegnativa ma lontana. Oggi ci troviamo ad affrontare una pandemia che è entrata prepotente nella nostra abitudinarietà portandosi con sé domande sul senso della vita, del morire, di Dio.

Non solo. Un senso di impotenza e una profonda incertezza hanno cominciato a guidare le nostre giornate e le nostre relazioni più prossime. La paura di un contagio ha sviluppato tanta angoscia, molto spesso rabbia verso chi poteva essere il responsabile vettore più diretto della malattia. Una sorta di caccia agli untori. E così la paralisi e l’esclusione del diverso è passata dai barconi di Lampedusa al vicino di casa, che condivide con te il pianerottolo….

Quanto più un uomo è poco equilibrato tanto più ha bisogno di un nemico da combattere. L’irrazionalità di questa situazione, il confinamento che ne è venuto, la crisi economica che dovremo affrontare spingono spesso gli umani in una posizione di ostilità e di chiusura che non aiuta a superare le ansie che la solitudine acuisce.

E come sempre a fare le spese maggiori sono i più poveri e i più fragili.

Tutto questo, e anche di più, è ciò che stiamo vivendo nella Comunità Sasso-Montegianni a Marradi, che attualmente accoglie una sessantina fra ragazzi e ragazze con problemi di dipendenza  e tre minori, divisi in varie strutture.

Abbiamo sempre pensato la Comunità come un microcosmo; mai come oggi ci appare evidente come le dinamiche sociali che il mondo sta vivendo e deve affrontare si palesano in Comunità e riflettono dinamiche comuni.

Quando il 23 febbraio è apparsa la notizia che sarebbero state chiuse le scuole di ogni ordine e grado in Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna abbiamo dovuto prendere atto che la situazione era cambiata e un problema che sentivamo lontano stava entrando nella nostra quotidianità per stravolgerla.

Improvvisamente il timore che l’epidemia potesse entrare in Comunità e coinvolgere tutti gli ospiti e gli operatori ci ha indotto a fermarci e a riflettere per capire.

Abbiamo cominciato a ragionare sulle misure di senso che la tutela doveva sviluppare. Abbiamo cominciato ad ipotizzare le misure più adeguate per evitare il panico, pur mettendo in sicurezza le case dove abitano i ragazzi.

Prima ancora che il governo diramasse una ordinanza precisa, alla fine di febbraio abbiamo deciso di sospendere ogni permesso a casa nei weekend, abbiamo interrotto le visite dei parenti all’interno della Comunità e abbiamo deciso come operatori che la nostra vita sociale si sarebbe ridotta per evitare di essere noi vettori per loro.

Nel frattempo abbiamo intensificato le pulizie e la sanificazione dei luoghi e degli oggetti di uso comune, come porte, maniglie, corrimano, interruttori.

Ogni evento eccezionale rivela sempre la vera natura degli umani, e il modo in cui si affronta riflette gli equilibri di ognuno. Noi stessi come educatori siamo dovuti scendere a patti con le nostre ansie e paure personali. E ancora una volta abbiamo sperimentato che “Sbagliare insieme, piuttosto che fare bene da soli” è una grande verità che ti fa rimanere aderente alla realtà per trovare le risposte più adeguate e non perdersi nei meandri delle personali strategie di sopravvivenza.

Affrontare la questione con i ragazzi è stato il passaggio successivo. Le nostre incertezze  e le nostre paure dovevano comunicare la necessità di un cambiamento di rotta ma non spaventarli né innervosirli per le chiusure doverose e inevitabili. I passaggi sono stati progressivi e sempre con lo sguardo aperto alle indicazioni regionali e governative, non sempre così cristalline.

Il 9 marzo abbiamo sospeso definitivamente i viaggi in ospedale per le visite mediche; la settimana successiva , quando il lock-down è diventato totale abbiamo tenuto i ragazzi dentro le loro case, in totale autonomia senza possibilità di muoversi e incontrarsi. Al momento, infatti, sono gli operatori che si muovono da una struttura all’altra all’interno del comune di Marradi, con tutte le precauzioni e i dispositivi essenziali (mascherina, disinfettante, cambio d’abito).

In alcuni momenti è stato difficile arginare l’ansia e la polemica di alcuni ragazzi, che, pur di trovare un capro espiatorio, contestavano la superficialità della Comunità, proprio mentre a noi sembrava  di avere messo in piedi un grande sistema di sicurezza anche con grande sacrificio e a discapito dell’aspetto educativo che rischiava di scivolare in secondo piano.

Difficile è stato riorganizzare tutto il palinsesto. Abituati a pensare i ragazzi come una realtà familiare unica, abbiamo dovuto cominciare a viverli come realtà diverse e separate, cucine separate, riunioni separate, lavori separati.

Credo che da un punto di vista educativo siamo stati chiamati a fare uno sforzo di creatività e grande cambiamento per poter leggere i ragazzi nelle loro reazioni, paure, polemiche, che rivelano davvero tutta la loro fatica di vivere in modo equilibrato entro i confini di un contesto che spesso non hanno scelto realmente.

Come educatori, la fatica grande è stata anche dover interpretare ordinanze governative e regionali che non evidenziavano in modo chiaro il giusto comportamento da tenere in strutture come le nostre, la fatica di reperire il tanto desiderato “tampone” per evitare che un eventuale contagio mettesse in ginocchio la Comunità intera, la necessità di mettere in quarantena chiunque si allontanasse per qualche giorno da qui o coloro che arrivano nuovi in Comunità, pur da altre strutture isolate… Insomma un modo davvero nuovo e difficoltoso di lavorare e di approcciarci, che rischia di oscurare l’aspetto valoriale del nostro progetto educativo e di riabilitazione.

Per noi, che valorizziamo la qualità delle relazioni come valore fondante del recupero,  dover realizzare la distanza e il confinamento come strategia più efficace di prevenzione ci fa anche sorridere, un sorriso amaro per la verità.

Mai come adesso, la distanza oggettiva fra gli umani necessita di una vicinanza ideale, della presa di coscienza della necessità di una solidarietà condivisa, di una rilettura degli eventi capace di generare speranza.

Sicuramente è cresciuta la consapevolezza che la salute sia il bene primario da salvaguardare: salute sociale e salute personale, perché davvero come non mai abbiamo sperimentato che la salute di tutti dipende dalla salute di ognuno, essendo tutti connessi in una relazione interdipendente. E in questa situazione di isolamento si avverte più vivo e più vero il desiderio di un contatto umano con l’altro.

E forse proprio questo che ha messo in evidenza la carenza del nostro sistema sanitario, tanto esaltato eppure così precario e instabile da quando la privatizzazione di alcuni ambiti sanitari di eccellenza hanno minato lo spessore di una salute pubblica, disponibile per tutti.

L’ingiustizia sanitaria, che nasce dall’aver creato delle Aziende Sanitarie e il prevalere di una logica aziendale, ci impone di intervenire per prevenire altri drammi come questo.

Johnson, Trump, tanti sono i politici che hanno tentato di mettere la ragion di economia al primo posto creando scompiglio e paura e morti. Tante morti che ti impongono la domanda più ovvia: quanto poteva essere evitato?

Viviamo ormai da anni dentro un gigantesco mercato senza respiro. Oggi i più poveri tra noi sono costretti a soccombere, e non solo per il Coronavirus, ma perché non sopravvivono senza una economia sommersa e dinamica.

Liberarci dal narcisismo consumistico del “Tutto e Subito” ci riporta all’essenziale, alla fonte dei valori, la qualità delle relazioni fra gli umani e con l’ambiente, la solidarietà fraterna universale.

Non siamo monadi; la salute è un bene globale e come tale va gestita.

Forse è tempo che impariamo davvero a riconoscere che siamo i benvenuti in un mondo limitato e chiamati ad allargare sempre più i confini dell’umano.