di Alessandro Di Tano
Dallo scioglimento del matrimonio discendono effetti che vanno a incidere sui rapporti patrimoniali degli ex coniugi.
L’art. 5, comma 6, della Legge n. 898/70 prevede che il Tribunale, “tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio”, dispone l’obbligo per un coniuge di somministrare un assegno periodicoa favore dell’altro, quando quest’ultimo non abbia mezzi adeguati o comunque non possa procurarseli per ragioni oggettive.
Preliminarmente, è opportuno ricordare che, nonostante la parziale somiglianza tra l’art. 5, comma 6, della legge n. 878/70 e l’art. 156, comma 1, c.c., la Suprema Corte ha escluso ogni equiparazione tra assegno divorzile e assegno di mantenimento determinato in sede di separazione; le Sezioni Unite, in particolare, hanno chiarito che l’utilizzo del medesimo parametro valutativo non può comportare “la mancanza di ogni autonomia delle valutazioni da operare in sede di divorzio, rispetto a quelle già effettuate in sede di separazione, perché l’assegno di divorzio non si può ritenere radicato nel vincolo matrimoniale (allo stesso modo di quello di separazione) e, quindi, la garanzia della pretesa continuità dello status economico non può essere considerata espressione della persistenza del rapporto personale di matrimonio, una volta che questo è stato definitivamente sciolto” (cfr. Cass. Sezioni Unite, Sent. n. 11490/1990).
Il diverso rilievo che può assumere il miglioramento delle condizioni economiche della persona obbligata conferma la perfetta autonomia tra le due forme di corresponsione; nella determinazione dell’assegno divorzile, infatti, occorre tenere conto degli eventuali miglioramenti della situazione economica del coniuge nei cui confronti si chiede l’assegno, soltanto qualora costituiscano sviluppi naturali e prevedibili dell’attività svolta durante il matrimonio, mentre non possono essere valutati i miglioramenti che scaturiscano da eventi autonomi, non collegati alla situazione di fatto e alle aspettative maturate nel corso del matrimonio e aventi carattere di eccezionalità, in quanto connessi a circostanze ed eventi del tutto occasionali ed imprevedibili, con la conseguenza che non sono valutabili evoluzioni imprevedibili dall’attività lavorativa (come, ad esempio, il passaggio dalla condizione di lavoratore dipendente a quella di libero professionista: cfr. Cass. Sez. I, Sent. n. 20204/2007; si vedano anche, nello stesso senso, Cass. Sez. I, Sent. n. 19446/2005, che – in applicazione di tale principio – ha confermato la sentenza di merito, la quale aveva ritenuto computabili, ai fini della determinazione della situazione economica della famiglia al momento della cessazione della convivenza, i compensi percepiti per lavoro straordinario e i premi di presenza e di produttività;Cass.Sez. I, Sent. n. 1487/2004, la quale – semprein applicazione del medesimo principio – ha cassato la sentenza di merito, la quale aveva ritenuto computabile l’indennità percepita per una carica elettiva assunta dal coniuge onerato successivamente alla separazione, senza motivare in ordine al ritenuto carattere di ordinarietà e prevedibilità dell’incremento economico; Cass. Sez. I, Sent. n. 1379/2000, secondo cui -al fine della determinazione dell’assegno divorzile – il Giudice di merito deve determinare, sulla base delle prove offerte, la situazione economica familiare esistente al momento della cessazione della convivenza matrimoniale, raffrontandola con quella del coniuge richiedente al momento della pronuncia di divorzio, al fine di stabilire se quest’ultima sia tale da consentire al richiedente medesimo di mantenere un tenore di vita analogo a quello corrispondente alla indicata situazione economica della famiglia; questa va valutata, peraltro, anche con riferimento ai miglioramenti reddituali dell’ex coniuge dovuti al prevedibile sviluppo di situazioni e aspettative già presenti durante la convivenza matrimoniale, in quanto collegati alla sua attività lavorativa, e non aventi carattere di eccezionalità, in quanto non connessi a circostanze ed eventi del tutto occasionali ed imprevedibili; nella fattispecie, la Suprema Corte ha cassato la decisione della Corte di merito, la quale aveva escluso che si potesse prendere in considerazione, ai fini della liquidazione dell’assegno divorzile, l’incremento reddituale dell’ex coniuge funzionario di banca, la cui promozione non era dovuta ad automatismi di carriera, ma alle sue personali capacità, senza fornire alcuna motivazione in ordine al ritenuto carattere eccezionale ed imprevedibile della progressione di cui si trattava).
Peraltro, ad ulteriore riprova della radicale differenza dei relativi presupposti, il Giudice, nella fase di determinazione dell’assegno divorzile, non è minimamente vincolato dall’assegno di mantenimento determinato in sede di separazione (cfr., però, Cass. Sez. I, Sent. n. 22500/2006, per la quale, se è vero che in tema di divorzio la congruità dell’assegno ad assicurare al coniuge il mantenimento del tenore di vita goduto durante il matrimonio deve essere valutata alla luce dell’art. 5 della legge n. 898 del 1970 (e succ. modif.), al contempo anche l’assetto economico relativo alla separazione può rappresentare un valido indice di riferimento, nella misura in cui appaia idoneo a fornire utili elementi di valutazione relativi al tenore di vita goduto durante il matrimonio e alle condizioni economiche dei coniugi; cfr. anche Cass.Sez. I, Sent. n. 15728/2005, secondo cuila determinazione dell’assegno di divorzio, alla stregua dell’art. 5 della legge 1 dicembre 1970, n. 898, modificato dall’art. 10 della legge 6 marzo 1987, n. 74, è indipendente dalle statuizioni patrimoniali operanti, per accordo tra le parti e in virtù di decisione giudiziale, in vigenza di separazione dei coniugi, costituendo effetto diretto della pronuncia di divorzio, con la conseguenza che l’assetto economico stabilito all’atto della pregressa separazione personale costituisce solo un elemento utile di valutazione nel contesto degli ulteriori dati presuntivi emersi, suscettibili di essere apprezzati in favore della parte richiedente l’assegno, per il principio di acquisizione presente nel vigente ordinamento processuale – in base al quale le risultanze istruttorie comunque ottenute concorrono alla formazione del convincimento del Giudice – anche in assenza della prova da parte del richiedente stesso della sussistenza delle condizioni richieste dalla Legge per l’attribuzione dell’assegno in questione; Cass. Sez. I, Sent. n. 11575/2001).
Ciò posto, l’accertamento del diritto all’assegno divorzile si articola necessariamente in due fasi, tra loro nettamente distinte e poste dalla norma di riferimento in ordine progressivo (nel senso che alla seconda può accedersi solo all’esito della prima, ove conclusasi con il riconoscimento del diritto in astratto: cfr., ex multis, Cass. n. 593/2008):
– una prima fase, concernente l’andebeatur, il cui oggetto è costituito esclusivamente dall’accertamento volto al riconoscimento o meno del diritto all’assegno divorzile fatto valere dall’ex coniuge richiedente (storicamente, il parametro di commisurazione veniva fornito dal raffronto col tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio, o che poteva legittimamente fondarsi su aspettative maturate nel corso del matrimonio, tenendo in considerazione il momento del divorzio);
– la fase del quantum debeatur, nella quale il Giudice deve procedere alla determinazione in concreto dell’assegno, tenendo conto di tutti gli elementi indicati dall’art. 5, comma 6 (le “condizioni dei coniugi”, le “ragioni della decisione”, il “contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune”, il “reddito di entrambi”), valutando “tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio”, sulla base delle pertinenti allegazioni, deduzioni e prove offerte, secondo i normali canoni che disciplinano la distribuzione dell’onere della prova.
I criteri richiamati dall’art. 5, comma 6, non possono operare sul piano dell’andella corresponsione dell’assegno divorzile, ma assumono comunque un rilievo fondamentale nella determinazione del quantum. L’applicazione di tali parametri di quantificazione può determinare una diminuzione della somma determinata in astratto o perfino il suo azzeramento (quando la conservazione del tenore di vita assicurata dal matrimonio risulti incompatibile con i criteri in questione: cfr., sul punto, Cass. n. 10210/2005).
Il concetto di “mancanza di mezzi adeguati”, a cui fa riferimento l’art. 5, comma 6, della L. n. 878/70, è stato costantemente interpretato privilegiando la funzione “assistenziale” dell’assegno divorzile (cfr. Cass. Sezioni Unite n. 11490/1990, secondo cui l’inadeguatezza dei mezzi del coniuge istante deve essere intesa come “insufficienza dei medesimi – comprensivi di redditi, cespiti patrimoniali e altre utilità di cui possa disporre – a conservargli un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio, senza cioè che sia necessario uno stato di bisogno, rilevando, invece, l’apprezzabile deterioramento, in dipendenza del divorzio, delle precedenti condizioni economiche, le quali devono essere tendenzialmente ripristinate, per ristabilire un certo equilibrio”; cfr., nello stesso senso, Cass. Sez. I, Sent. n. 2799/1990, per la quale non assumono alcun rilievo lo stato di bisogno o l’autosufficienza economica dell’avente diritto; in senso contrario si veda Cass.Sez. I, Sent. n. 1652/1990, secondo cui – a seguito della riforma introdotta dalla Legge 6 marzo 1987 n. 74 – all’assegno di divorzio è stata riconosciuta dal Legislatore natura eminentemente assistenziale, per cui, ai fini della sua attribuzione, assume valore decisivo l’autonomia economica del richiedente, nel senso che l’altro coniuge è tenuto ad “aiutarlo”, solo se egli non sia economicamente indipendente e nei limiti in cui l’aiuto si renda necessario per sopperire alla carenza dei mezzi conseguente alla dissoluzione del matrimonio, in applicazione del principio di solidarietà “postconiugale”, che costituisce il fondamento etico e giuridico dell’attribuzione dell’assegno divorzile, sicché la valutazione relativa all’adeguatezza dei mezzi economici del richiedente deve essere compiuta con riferimento non al tenore di vita da lui goduto durante il matrimonio, ma ad un modello di vita economicamente autonomo e dignitoso, quale, nei casi singoli, configurato dalla coscienza sociale).
Il criterio di quantificazione del “contributo personale ed economico dato da ciascuno” dei coniugi “alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune”, al contempo, ha una funzione “compensativa”, perché consente di valorizzare qualsiasi tipo di apporto da cui siano derivati vantaggi economici per l’altro coniuge (cfr. Cass. Sez. I, Sent. n. 1110/1985, secondo cui- al fine del riconoscimento e della determinazione dell’assegno di divorzio – secondo il criterio cosiddetto “compensativo”, le attività svolte dalla moglie nell’ambito del consorzio familiare, consistenti nella conduzione domestica, nell’allevamento e nell’educazione dei figli, nell’assistenza del marito, sono valutabili anche quando presentino connotati non di eccezionalità, ma di normalità, alla stregua delle condizioni sociali e morali dei coniugi, in considerazione dell’apporto spirituale o materiale che le suddette attività sono comunque in grado di dare alla famiglia; Cass.Sez. I, Sent. n. 4228/1980, per la quale -a norma dell’art 5 della Legge 1 dicembre 1970 nr. 898 sullo scioglimento del matrimonio – il Giudice, sotto il profilo del criterio compensativo, deve tener conto, tra l’altro, dell’apporto personale ed economico dato da ciascuno dei coniugi alla formazione o all’incremento del patrimonio comune o di quello di appartenenza esclusiva dell’altro coniuge e tale criterio spiega rilievo anche quando il contributo presenti carattere di normalità e non di eccezionalità; nella specie il Giudice del merito aveva ravvisato l’incremento del patrimonio personale di un coniuge nel fatto di avere abitato per molti anni nell’alloggio di proprietà dell’altro; si veda anche Cass. Sez. I, Sent. n. 3081/1978, per la quale: a) il criterio compensativo per la determinazione dell’assegno di divorzio riguarda non soltanto il contributo che il coniuge può dare alla conduzione della famiglia (educazione dei figli, cure dedicate alla casa, etc.) sotto il profilo etico, ma il concorso che il coniuge può dare alla formazione del patrimonio comune mediante prestazioni personali valutabili economicamente; b) la funzione compensativa dell’assegno presuppone che il coniuge, il quale ha contribuito personalmente ed economicamente all’andamento ordinato e prospero della vita familiare, trovi in esso il compenso per i sacrifici spesi per assicurare il benessere della famiglia; c) non si può ravvisare il presupposto necessario per l’applicazione del criterio compensativo ai fini dell’attribuzione dell’assegno nell’aver il coniuge diretto e sorvegliato lavori domestici ed aver concorso all’allevamento ed all’educazione dei figli, giacché tale attività, che potrebbe avere rilevanza per ciò che attiene all’aspetto soltanto etico del contributo, concreta solo il mero assolvimento di normali ed elementari doveri, e non integra, in sé e per sé particolari sacrifici e benemerenze, ove nulla sia stato evidenziato circa la sussistenza di un contributo apprezzabile del coniuge sotto l’aspetto economico).
Quanto poi alla durata del matrimonio, deve escludersi il riconoscimento dell’assegno divorzile nei casi di convivenze brevissime, di vincoli matrimoniali contratti per motivi palesemente utilitaristici ovvero nelle ipotesi in cuiil rapporto matrimoniale risulti (per volontà e colpa del richiedente) solo formalmente istituito e non abbia dato luogo alla formazione di alcuna comunione materiale e spirituale fra i coniugi, sfociando dopo breve tempo in una domanda di divorzio (cfr. Cass.Sez. I, Sent. n. 8233/2000 e, nello stesso senso, Cass. Sez. I, Sent. n. 4809/1998).
Il criterio che fa riferimento alle “ragioni della decisione”, invece, ha funzione chiaramente risarcitoria, in quanto impone al Giudice di valutare tutti i comportamenti che hanno cagionato la rottura della comunione spirituale e materiale della famiglia (cfr. Cass. Sezioni Unite, Sent.n. 11490/1990).
Guardando ai più recenti arresti giurisprudenziali, il Giudice del divorzio, richiesto dell’assegno di cui all’art. 5, comma 6, della l. n. 898 del 1970:
– nella fase dell’andebeatur deve verificare se la domanda dell’ex coniuge richiedente soddisfa le relative condizioni di legge (mancanza di «mezzi adeguati» o, comunque, impossibilità «di procurarseli per ragioni oggettive»), non con riguardo ad un “tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio”, ma con esclusivo riferimento all’“indipendenza o autosufficienza economica” dello stesso, desunta dai principali “indici” (salvo altri, rilevanti nelle singole fattispecie) del possesso di redditi di qualsiasi specie e/o di cespiti patrimoniali mobiliari ed immobiliari (tenuto conto di tutti gli oneri lato sensu imposti e del costo della vita nel luogo di residenza dell’ex coniuge richiedente), della capacità e possibilità effettive di lavoro personale (in relazione alla salute, all’età, al sesso e al mercato del lavoro dipendente o autonomo), della stabile disponibilità di una casa di abitazione; ciò sulla base delle pertinenti allegazioni deduzioni e prove offerte dal richiedente medesimo, sul quale incombe il corrispondente onere probatorio, fermo il diritto all’eccezione ed alla prova contraria dell’altro ex coniuge;
– nella fase del quantum debeatur deve tener conto di tutti gli elementi indicati dalla norma («condizioni dei coniugi», «ragioni della decisione», «contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune», «reddito di entrambi») e valutare «tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio», al fine di determinare in concreto la misura dell’assegno divorzile, sulla base delle pertinenti allegazioni, deduzioni e prove offerte, secondo i normali canoni che disciplinano la distribuzione dell’onere della prova (cfr. Cass. Sez. I, Sent. n. 11504/2017: c.d. sentenza Grilli).
Con la sentenza n. 18287/2018, le Sezioni Unite hanno chiarito che il riconoscimento dell’assegno di divorzio in favore dell’ex coniuge – cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa – richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equiordinati di cui alla prima parte dell’art. 5, comma 6, della L. n. 898 del 1970, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell’assegno. Il giudizio dovrà essere espresso, in particolare, alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all’età dell’avente diritto.
L’intervento delle Sezioni Unite si è reso necessario, dopo che, come già anticipato, la Suprema Corte di Cassazione, ribaltando il precedente ed ormai consolidato orientamento ermeneutico, nel 2017 aveva deciso di ancorare il diritto all’assegno divorzile all’accertamento dell’autosufficienza economica del coniuge richiedente (cfr. Cass. Sez. I, Sent. n. 11504/2017 cit., per la quale: a) la fase concernente l’andebeatur è informata al principio dell’auto-responsabilità economica di ciascuno dei coniugi quali persone singole; b) la fase riguardante il quantum debeatur è improntata al principio della solidarietà economica dell’exconiuge obbligato alla prestazione dell’assegno nei confronti dell’altro quale persona economicamente più debole in applicazione degli artt. 2 e 23 della Carta costituzionale).
Prima della pronuncia delle Sezioni Unite, l’applicazione del nuovo indirizzo aveva portato talvolta a decisioni innovative, come quella di ridurre l’assegno nei confronti della ex moglie percettrice di assegno sociale o nei confronti di quella tornata a vivere con i genitori; in altri casi, al contrario, la Giurisprudenza (di merito) aveva preferito continuare ad utilizzare il criterio del tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio.
La sentenza n. 18287/2018 – intervenuta a dirimere ogni contrasto giurisprudenziale – chiarisce (definitivamente ?) i principi applicabili in materia; in essa si afferma che all’assegno divorzile deve essere riconosciuta una funzione non soltanto “assistenziale”, ma anchecompensativa e perequativa rispetto ad eventuali sacrifici e rinunce (professionali e reddituali) indirizzate dal coniuge più debole al menage familiare.
In effetti, le decisioni (libere e responsabili) prese dai coniugi di comune accordo in relazione alla conduzione della vita familiare possono incidere assai profondamente sul loro profilo economico-patrimoniale dopo la fine del rapporto, per cui va offertauna protezione adeguata all’ex coniuge che, per esempio, abbiarinunciato ad una posizione lavorativa (talvolta di prestigio) per occuparsi della famiglia.
Il Giudice, quindi, non dovrà più fondare la propria decisione (soltanto) sul criterio del tenore di vita, ma, valutate comparativamente le condizioni economico-patrimoniali di ciascun coniuge, dovrà comunque dare rilievo al contributo fornito dal richiedente alla formazione del patrimonio comune e personale, in relazione alla durata del matrimonio, alle potenzialità reddituali future ed all’età dell’avente diritto.
In altri termini, il riconoscimento dell’assegno divorzile richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi o comunque dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, tenuto conto del contributo fornito alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale degli ex coniugi ed avendo riguardo alle circostanze summenzionate.
Il criterio “composito” indicato dalle Sezioni Unite si fonda sui principi costituzionali di pari dignità e di solidarietà, che da sempre permeano l’unione matrimoniale anche dopo lo scioglimento del vincolo (cfr. Cass. Sez. I, Sent. n. 3398/2013, la quale ribadisce chela valutazione della debenza dell’assegno divorzile deve essere incentrata su un criterio assistenziale, che non soffre limitazioni temporali, in quanto l’obbligo di solidarietà post-coniugale non viene meno per il mero decorso del tempo ovvero sulla base della considerazione dell’intervallo temporale intercorso tra la separazione e la domanda di divorzio, ancorché tra le parti non vi sia stato alcun rapporto neanche di natura economica). Rispetto al passato, tuttavia, si riconosce all’assegno di divorzio una funzione (non remunerativa, ma neppure meramente compensativa, bensì) una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, il che consente di riequilibraresituazioni caratterizzate da un dislivello reddituale conseguente alle comuni determinazioni assunte dalle parti nella conduzione della loro vita familiare