L’attività del Pubblico Ministero nella fase delle indagini preliminari e le misure straordinarie ed urgenti per contrastare l’emergenza epidemiologica da COVID-19

di Giorgio Orano in collaborazione con il Centro Studi “Nino Abbate” di Unità per la Costituzione

Il Decreto Legge 8 marzo 2020, n.11, adottato in via d’urgenza “per contrastare l’emergenza epidemiologica da COVID-19 e contenere gli effetti negativi sullo svolgimento dell’attività giudiziaria”, come recita il titolo, non dedicava alcuna norma specifica all’attività del pubblico ministero e alla fase delle indagini preliminari.

L’attenzione del legislatore, per quanto riguarda la giustizia penale, nell’immediato si è comprensibilmente concentrata sulla disciplina delle udienze come momento di assembramento “necessario” di magistrati, avvocati, personale amministrativo e parti private, occasioni dunque di possibile massiva diffusione del contagio.

La complessa disciplina dettata dal Decreto, in particolare all’art. 2 comma 2 lett. g), si rivolgeva dunque anche al pubblico ministero, parte necessaria o eventuale delle udienze disciplinate, ma solo quale destinatario nella sostanza passivo delle decisioni del giudice.

Nessuna norma del decreto era specificamente dedicata a disciplinare l’attività del pubblico ministero nella fase delle indagini preliminari, nella quale decorrono termini processuali non legati allo svolgimento di udienze e nel cui ambito le decisioni del magistrato requirente possono avere un impatto anche notevole e dissonante rispetto alle misure di contrasto dell’emergenza epidemiologica.

Il problema non è soltanto il contatto diretto con le parti,  nel caso in cui il pubblico ministero deleghi o svolga direttamente (con l’adozione, comunque, delle previste cautele sanitarie) attività istruttoria, ove questa risulti indifferibile, ma ancor più lo svolgimento sul territorio di operazioni di polizia giudiziaria che richiedano l’impiego di un elevato numero di unità di personale appartenente alle forze dell’ordine e che comportino il contatto, in alcuni casi anche ipoteticamente “conflittuale”, fra gli operanti e i comuni cittadini (si pensi a operazioni di perquisizione su diversi obiettivi o alla esecuzione di ordinanza di misura cautelare a carico di molteplici soggetti). 

Se dunque, attraverso la disciplina del rinvio delle udienze, il legislatore aveva di fatto operato un articolato bilanciamento degli interessi in gioco, prevedendo i casi in cui l’interesse al corretto e tempestivo svolgimento della vicenda giudiziaria dovesse cedere il passo alla prioritaria esigenza del contenimento del contagio, le scelte del pubblico ministero nella fase delle indagini rischiavano di rimanere affidate nella sostanza e in via esclusiva a valutazioni di opportunità.

Non vi è dubbio infatti che il pubblico ministero e le forze dell’ordine possano trovarsi nella necessità, anche improvvisa, di fronteggiare e contenere pericoli per la salute pubblica, e per la privata incolumità, talvolta più gravi rispetto a quello di un ipotetico contagio.

In altri, di più difficile ed incerta valutazione, l’urgenza indifferibile dell’agire del pubblico ministero potrebbe derivare dalla necessità di interrompere azioni delittuose che ledono beni di rango inferiore (es. la sfera patrimoniale) ma di certo importanti, oppure di acquisire importanti elementi di prova che, in difetto di un intervento immediato, andrebbero persi.

Non c’è dubbio che tali valutazioni, cui è necessariamente chiamato il pubblico ministero, sono ancora più complesse e delicate in un momento, quale quello che stiamo vivendo, in cui le gerarchie dei valori sociali di riferimento appaiono in continuo mutamento ed in cui lo stesso significato di “urgenza” di un atto procedimentale è, o dovrebbe essere, oggetto di quasi giornaliera revisione.

Nella vigenza dell’art. 1 comma 2 del citato Decreto Legge n. 11/2020 doveva comunque ritenersi applicabile alla fase delle indagini preliminari la norma generale che prevedeva la sospensione fino al 22 marzo 2020 dei termini per il compimento di qualsiasi atto del procedimento penale, di cui, per l’appunto, quella delle indagini preliminari è una fase.

Nel fare richiamo ai “procedimenti indicati al comma 1” doveva ritenersi, infatti, che il riferimento fosse a tutti i “procedimenti  civili  e  penali  pendenti  presso  tutti  gli  uffici giudiziari” – con le sole eccezioni indicate all’articolo 2 comma 2 lettera g) – e non soltanto ai procedimenti le cui udienze fossero rinviate d’ufficio, interpretazione, quest’ultima, contrastante sia con la lettera della disposizione, sia con la stessa ratio posta a base della decretazione d’urgenza.

Tale panorama normativo è radicalmente mutato con l’approvazione del Decreto Legge 17 marzo 2020 n. 18, il cui articolo 83 ha abrogato (comma 22) gli articoli 1 e 2 del Decreto Legge n.11/2020 e dettato una nuova disciplina, la quale espressamente richiama la fase delle indagini preliminari, pur non dissolvendo del tutto – come si vedrà – ogni dubbio concernente l’attività investigativa.

A fronte del rischio che i diversi uffici giudiziari potessero accogliere interpretazioni difformi – interpretazioni che, benché in misura minoritaria, erano state effettivamente avanzate – il nuovo Decreto Legge ha stabilito nel comma 2 dell’art. 83 che “dal 9 marzo 2020 al 15 aprile 2020 è sospeso il decorso dei termini per il compimento di qualsiasi atto dei procedimenti civili e penali. Si intendono pertanto sospesi, per la stessa durata, i termini stabiliti per la fase delle indagini preliminari, per l’adozione di provvedimenti giudiziari e per il deposito della loro motivazione, per la proposizione degli atti introduttivi del giudizio e dei procedimenti esecutivi, per le impugnazioni e, in genere, tutti i termini procedurali.” Da tale sospensione sono esclusi i casi previsti nel successivo comma 3, relativi fra l’altro – per quanto di specifico interesse per l’attività di indagine – ai “procedimenti di convalida dell’arresto o del fermo, procedimenti nei quali nel periodo di sospensione scadono i termini di cui all’articolo 304 del codice di procedura penale, procedimenti in cui sono applicate misure di sicurezza detentive o è pendente la richiesta di applicazione di misure di sicurezza detentive” nonché – ma solo nel caso in cui l’interessato o il suo difensore espressamente richieda che si proceda – i procedimenti nei quali sono applicate misure cautelari (la norma non distingue fra misure personali e reali, né fra misure detentive e non detentive) o di sicurezza e i procedimenti di prevenzione.

Si è così espressamente chiarito, al di là di ogni dubbio, che è ricompresa nella sospensione anche la fase delle indagini preliminari, la quale del resto, come già osservato, è a pieno titolo una fase del “procedimento”.

Dalla applicazione di tale norma può ricavarsi, innanzitutto, la sospensione dei termini delle indagini preliminari di cui agli artt. 405, 406, 407 e 408 c.p.p. che, dunque, non decorreranno nell’arco temporale indicato dal decreto e in quelli che saranno eventualmente indicati in futuri, ulteriori provvedimenti legislativi, qualora l’emergenza sanitaria non virasse verso una rapida risoluzione.

Può ritenersi altrettanto pacifico che nei periodi di cui sopra siano sospesi anche i termini a disposizione della parte e dei difensori per lo svolgimento delle eventuali attività difensive conseguenti alla notifica dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari, previste dall’art. 415 bis commi 2 bis e 3 c.p.p. e quelli altresì previsti per il P.M. dai commi 4 e 5 del medesimo articolo.

Del resto, in questa direzione interpretativa si sono orientate, già nel vigore del precedente Decreto Legge n. 11/2020, le circolari di alcuni Procuratori della Repubblica. A questo proposito, la circolare interna del Procuratore della Repubblica di Milano prevede che” al fine di adeguare la procedura ex 415 bis c.p.p. alle disposizioni delle circolari 5/2020 e 7/2020 di questa Procura, i termini a difesa vengono sospesi sino al 3 aprile 2020.

La sospensione dei termini di indagine, dunque, sembra autorizzare ed in qualche modo imporre – ancorché implicitamente – una sospensione delle attività di indagine che determinino contatti fra le persone, spostamenti sul territorio, ed eccessivo affollamento degli uffici giudiziari. In tal senso la recente circolare del Procuratore della Repubblica di Roma prevede che “i sostituti procuratori cureranno di sospendere ogni atto d’indagine che implichi la presenza nei locali della Procura di terze persone, salvo che si versi in ipotesi di assoluta indifferibilità (da indicarsi nel relativo verbale con sommaria indicazione dei motivi)”.

Il Procuratore della Repubblica di Napoli, nella sua circolare, in analogia con quanto disposto dall’art. 2 comma 2 lett. g) n. 3) del Decreto Legge n. 11/2020 a riguardo del rinvio delle udienze, lega la nozione di “indifferibilità” ad un preciso riferimento normativo stabilendo che: “durante il periodo di sospensione legale in parola, il pubblico ministero può procedere ad atti di interrogatorio, ispezione, individuazione di persona o di confronto cui deve partecipare la persona sottoposta ad indagini ricorrendo le condizioni di cui all’art. 392 c.p.p.” e dunque richiamando i presupposti dell’incidente probatorio. Come vedremo di qui a poco, tale parametro normativo è stato fatto proprio dal nuovo Decreto.

Una tale sospensione dell’attività di indagine “ordinaria”, cioè dell’attività non connotata da carattere d’urgenza, è coerente, del resto, con la ratio di tale eccezionale intervento normativo e con il potere-dovere dei capi degli Uffici – ivi compresi i Procuratori della Repubblica – di adottare, nel periodo di sospensione dei termini e limitatamente all’attività giudiziaria non sospesa (si veda il comma 5), le speciali misure organizzative oggi previste dall’art. 83 comma 7, lettere da a) a f) e h) del Decreto Legge 17 marzo 2020 n. 18 .

Secondo l’originaria formulazione del Decreto Legge n. 11/2020, dalla norma generale (oggi abrogata) di cui all’art. 1 comma 2 del Decreto – la quale faceva riferimento ai “termini per il compimento di qualsiasi atto” del procedimento penale – non poteva invece farsi discendere anche una sospensione del decorso, durante la fase delle indagini preliminari, dei termini di prescrizione, sospensione che era infatti prevista specificamente solo con riferimento al caso di rinvio delle udienze. L’art. 83 comma 4 del Decreto Legge 17 marzo 2020 n. 18 ha invece posto rimedio a tale discrasia, stabilendo che “nei procedimenti penali in cui opera la sospensione dei termini ai sensi del comma 2 sono altresì sospesi, per lo stesso periodo, il corso della prescrizione”, nonché “i termini di cui agli articoli 303 e 308 del codice di procedura penale”. Il riferimento al comma 2 non lascia dubbi sul fatto che tale sospensione operi anche nella fase delle indagini preliminari.

Problema sicuramente più delicato è quello della decorrenza dei termini previsti per le misure cautelari. Il Decreto Legge 17 marzo 2020 n. 18, a differenza del precedente (che legava la sospensione di detti termini al rinvio delle udienze sulla base dei criteri esposti dall’art. 2 comma 2 della lett. g), nell’art. 83 comma 4 stabilisce infatti, come già osservato, che sono sospesi i termini di cui agli artt. 303 e 308 del codice di procedura penale nei casi in cui operi la sospensione dei termini prevista dal comma 2. Resta invece intatto il termine massimo previsto dall’art. 304 comma 6 cpp, articolo non richiamato da quella disposizione.

Secondo il dato normativo, dunque, il decorso dei termini cautelari di fase, a differenza di quanto previsto nelle abrogate disposizioni del Decreto Legge n. 11/2020, è sospeso anche nel corso delle indagini preliminari. Il rigore di tale previsione è mitigato, comunque, dalla possibilità, per il soggetto sottoposto alla misura, di chiedere espressamente che si proceda, così derogando alla sospensione. Quest’ultima opera, invece, nel caso in cui, pur in assenza di richiesta del soggetto sottoposto alla misura, il pubblico ministero e la polizia giudiziaria ritengano di dovere comunque svolgere attività di indagine ritenuta urgente e magari proprio diretta a definire la posizione processuale dei soggetti colpiti dalla misura custodiale.

Nel caso di procedimenti nei quali siano state applicate misure cautelari personali, del resto, gli effetti di una sospensione dell’attività investigativa possono essere molto più incisivi, posto che lentezze e ritardi nel completamento delle attività istruttorie impediscono la chiusura delle indagini preliminari, con il rischio di protrazione del termine ordinario di fase previsto dall’art. 303 lett a) c.p.p.

Per quanto sopra, vi sono spazi per ritenere che il bilanciamento degli interessi in gioco, specie nel caso in cui il procedimento riguardi indagati in custodia cautelare, porti a soluzioni differenti. Se in linea generale appare corretto, in situazione di emergenza sanitaria, prevedere una sostanziale stasi di tutte le attività investigative che necessariamente comportino interscambi e contatti umani e dunque favoriscano il diffondersi del contagio, le attività medesime potrebbero invece essere considerate indifferibili se riferite a procedimenti con soggetti detenuti, ancorché in assenza di richiesta dell’interessato e dunque in assenza di deroga al regime di sospensione dei termini.

Nella già richiamata circolare del Procuratore della Repubblica di Napoli, il problema è affrontato mediante il richiamo alle disposizioni previste nel Decreto Legge n. 11/2020 per il rinvio delle udienze e dunque con la valorizzazione della volontà della persona ristretta; vi si legge infatti: “la sospensione legale dei termini deve ritenersi non operante per i procedimenti pendenti nella fase delle indagini preliminari nei quali sono state richieste o applicate misure cautelari o di sicurezza, se la persona sottoposta ad indagini o il suo difensore ne fanno espressa richiesta[1]”, così ragionevolmente anticipando la soluzione normativa poi adottata col nuovo Decreto Legge 17 marzo 2020 n. 18.

In realtà, il senso concreto di questa disciplina si coglie soltanto con riferimento ad una udienza cui l’indagato e il suo difensore debbano partecipare, o nel caso in cui vi sia stata la discovery; al di fuori di tali contesti è ben difficile che nel corso delle indagini preliminari possa pervenire dall’indagato detenuto, o dal suo difensore, una siffatta manifestazione di volontà, se non altro in quanto i suddetti non hanno conoscenza delle attività investigative, anche ulteriori,  in corso (o meno) nei loro confronti.

Rimarrà dunque verosimilmente aperto nella prassi – e affidato alla sensibilità e al buon senso della magistratura requirente – il problema se – nel bilanciamento delle diverse esigenze e indipendentemente dal tema della sospensione dei termini procedurali – considerare indifferibili attività investigative confliggenti con le misure di contenimento del contagio, laddove le stesse riguardino soggetti in custodia cautelare, soprattutto qualora il mancato o ritardato compimento delle stesse possa comportare la mancata tempestiva chiusura delle indagini e la conseguente protrazione dei termini cautelari di fase. Viene da chiedersi,  ad esempio,  se sia corretto da parte del pubblico ministero rimandare, in nome dell’emergenza sanitaria, l’assunzione di sommarie informazioni del testimone oculare di un delitto le cui dichiarazioni potrebbero incidere sulla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza posti a base di una misura cautelare personale detentiva in atto.

Resta però il problema se eventuali atti compiuti dal P.M. nel periodo di sospensione legale dei termini previsto dal Decreto in commento possano essere censurati e se comunque se ne possa sostenere l’invalidità o l’inutilizzabilità: la questione potrebbe porsi, in particolare, per quegli atti per i quali il codice impone un termine (ad esempio, gli interrogatori e forse anche le consulenze tecniche ex art. 360 cpp).

Se l’art. 83 comma 3 lett. c) del Decreto Legge 17 marzo 2020 n. 18 prevede che il giudice, ove ricorra la necessità di assumere prove indifferibili, nei casi di cui all’art. 392 cpp, su richiesta di parte dichiari l’urgenza con provvedimento motivato, così derogando alla sospensione dei termini, analoga disposizione non è prevista per gli atti del pubblico ministero: alle attività del P.M. non è imposto espressamente alcun divieto né sono dettate disposizioni concernenti la validità degli atti dallo stesso posti in essere nel procedimento nel periodo di sospensione, a meno che tale divieto non voglia desumersi – quanto agli atti per i quali un termine è previsto – dal regime di sospensione, espressamente derogato nei soli casi previsti dal comma 3 dell’art. 83.

In particolare, nessun richiamo viene fatto alla Legge 7 ottobre 1969 n. 742 sulla sospensione dei termini processuali nel periodo feriale, la cui disciplina dunque non appare direttamente utilizzabile per regolare le attività del pubblico ministero in questo periodo di emergenza sanitaria.

La citata disposizione di cui al comma 3 lett. C) dell’art. 83, che peraltro fa riferimento ai presupposti (dice letteralmente nei casi) dell’art. 392 c.p.p. ma non alle relative forme, non nomina il pubblico ministero e inoltre fa riferimento alla acquisizione di prove; la stessa dunque appare inequivocabilmente estranea alla disciplina delle attività del PM nel corso delle indagini preliminari.

Senz’altro più difficile capire se la mancata specifica disciplina dell’attività investigativa, e in particolare l’assenza di norme che prevedano sanzioni di nullità o inutilizzabilità di eventuali atti di indagini compiuti nel periodo di sospensione, sia frutto di una mancanza di approfondimento del tema, peraltro comprensibile in una normazione emergenziale, o della consapevolezza da parte del legislatore della inopportunità di creare appesantimenti o addirittura ostacoli all’attività di un organo, quale quello del pubblico ministero, che proprio in momenti di particolare ed elevatissima tensione sociale, deve essere pronto ad intervenire con tutti i suoi strumenti, sia pure utilizzati, ove e finché possibile, in coerenza con  le misure di contenimento del contagio.

Benché dunque non trovi applicazione, nella situazione presente, il meccanismo previsto dall’art. 2 comma 4 della legge n. 742/1969 per il caso di compimento di attività di atti in deroga alla sospensione, ragioni di trasparenza e opportunità potrebbero comunque consigliare al pubblico ministero, in analogia con quel meccanismo, di dare atto specificamente dei motivi di urgenza che impongono di procedere alle attività di indagine ritenute urgenti, così dando conto delle valutazioni operate, nel bilanciamento fra necessità del procedimento penale ed esigenze di tutela sanitaria, cui sopra si accennava.

Tale soluzione è peraltro coerente con quanto previsto da alcune norme proprie della fase delle indagini preliminari che autorizzano il pubblico ministero al non rispetto dei normali termini previsti per il compimento di un atto; da ricordare ad esempio il disposto del V comma dell’art. 364 c.p.p. che recita: “nei casi di assoluta urgenza, quando vi è fondato motivo di ritenere che il ritardo possa pregiudicare la ricerca o l’assicurazione delle fonti di prova, il pubblico ministero può procedere ad interrogatorio, a ispezione, a individuazione di persone o a confronto anche prima del termine fissato dandone avviso al difensore senza ritardo e comunque tempestivamente.”

Di tale fondato motivo, ovviamente, appare necessario dare conto nel provvedimento.

Non va trascurato, comunque, l’impatto che le misure straordinarie di contrasto dell’emergenza epidemiologica in atto possono avere sulla concreta possibilità delle parti di presenziare alle attività istruttorie del pubblico ministero, con conseguente impossibilità per quest’ultimo di compiere validamente gli atti necessari per l’esercizio dell’azione penale; basti pensare alla richiesta di interrogatorio ex art. 415 bis c.p.p. da parte di indagato poi finito in quarantena o magari assistito di fiducia da legale proveniente da zone ad alta emergenza epidemiologica e quindi del tutto impossibilitato a spostarsi.

Tali situazioni limite potrebbero portare a richieste di differimento, anche sine die, dell’atto basate su un legittimo impedimento, con buona pace del desiderio del pubblico ministero di chiudere rapidamente una indagine in presenza di imminente prescrizione dei reati o avente altri caratteri di urgenza.

Anche in questo difficile e particolare momento, in definitiva, l’attività del pubblico ministero, proprio in quanto caratterizzata da “ordinaria imprevedibilità” nonché dalla molteplicità dei compiti, dei profili e delle responsabilità, si mostra come quella più difficile da regolare, dovendosi tenere conto, come già si osservava, di molteplici esigenze, e fra le prime quella di tutela della salute: esigenza che dovrà indurre a rinviare il compimento degli atti di indagine, siano o meno soggetti a termine, che non siano caratterizzati da speciale urgenza e indifferibilità. Ai magistrati del pubblico ministero dunque l’onere di proseguire nella quotidiana attività di indagine cercando di coniugare il rigore formale e l’efficienza con l’indispensabile senso di umanità e l’elasticità mentale capace di cogliere tutte le sfumature e le anomalie di una situazione di assoluta eccezionalità. Necessari la professionalità, l’esperienza giudiziaria e soprattutto il buon senso.


[1] Così argomentandosi dalle disposizioni date per il giudice dall’art. 2 comma 2 lett. g) n. 2

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