Le “cose” e i loro nomi

di Giuseppe RanaPresidente di sezione del Tribunale di Trani

SOMMARIO: 1- Premessa. 2- Renzo Renzi e Guido Aristarco: chi erano costoro? 3- Aria nuova. 4- Unità per la Costituzione. 5- Un nome, una stagione.

1- Premessa

Da qualche tempo in Unità per la Costituzione si discute se il nome del raggruppamento associativo debba essere mantenuto o cambiato; anzi si discute anche se esso debba chiamarsi corrente, movimento o gruppo.

Anche nella Magistratura associata ci sono cose e nomi; spesso i secondi sono precisa e logica  conseguenza di come si sono formate ed evolute le prime e del tempo in cui ciò è avvenuto.

Così ho ripreso in mano alcune vecchie letture e perfino la mia tesi di laurea in diritto penale militare ed ho provato a guardare un poco all’indietro.

Non essendo uno storico di professione, sarò lieto di essere corretto in caso di errore.

2- Renzo Renzi e Guido Aristarco: chi erano costoro?

Renzo Renzi era un uomo di cinema: al principio degli anni ’50 scrisse un soggetto cinematografico intitolato “L’armata s’agapò”, nel quale si narrava delle vicende -più romantiche che militaresche- dei militari italiani in Grecia durante il secondo conflitto mondiale; per la cronaca s’agapò significa “ti amo”.

Il Giornalista Guido Aristarco la recensì sulla rivista ‘Cinema Nuovo’, da poco fondata.

La tematica non dovette piacere troppo in certi ambienti: per farla breve, entrambi i malcapitati, benché non appartenenti ad alcun corpo militare, finirono inquisiti dalla Procura militare e tradotti nel carcere militare di Peschiera con l’accusa di vilipendio alle Forze Armate.

Il film non si fece mai.

Impossibile? Niente affatto: accadde davvero, invece, in un Paese dove molte disposizioni della Costituzione appena entrata in vigore (comprese quelle a tutti note sul giudice naturale precostituito per legge, sulla libertà di opinione e sulla giurisdizione militare) erano da considerarsi secondo alcuni puramente programmatiche e si potevano perciò attuare, per così dire, senza troppa fretta.

Senza troppa fretta, infatti, si provvide ad istituire la Corte Costituzionale ed il Consiglio Superiore della Magistratura (quest’ultimo solo nel 1958).

Nel frattempo l’Associazione Nazionale Magistrati, ricostituita dopo la caduta del Regime, aveva visto fuoriuscire la sua parte più conservatrice concentrata soprattutto nella Corte di Cassazione e nella cosiddetta “alta magistratura”: nel 1960 fu fondata l’Unione Magistrati Italiani, prendendo spunto dalla tematica dell’abolizione della progressione in carriera per esami, all’epoca fortemente contestata.

Invero i magistrati più aperti e di nuova generazione giustamente pretendevano che l’applicazione del principio di indipendenza -anche interna dei magistrati- imponesse detta riforma: non tutti, a quanto pare, la pensavano così ed ecco che per la prima volta nella storia d’Italia due associazioni di magistrati si contendevano il campo. L’una cercava di dare attuazione ai precetti costituzionali e di conformare ad essi la Giustizia e la Magistratura; l’altra riteneva invece che tutto il sistema, carriera compresa, dovesse essere saldamente e gerarchicamente controllato dalla Corte Suprema. 

Per comprendere ciò di cui si sta parlando, diciamo che fino agli ’60 -grazie ad alcuni decisivi interventi dell’autogoverno- la mobilità orizzontale dei magistrati non era gestita attraverso graduatorie controllabili, ma con sistemi a dir poco opachi; perfino la scelta delle sedi di prima nomina non avveniva contestualmente in pubblica riunione, come avviene oggi. Il meccanismo legislativo del passaggio a funzioni (e retribuzioni) più elevate, poi, restò legato fino agli anni ’80 ad un concorso gestito da una commissione: meglio non pensare a ciò che poteva succedere ai magistrati non troppo omologati.

3- Aria nuova

Nel frattempo all’interno dell’ANM cominciarono a formarsi le “correnti”, raccordando, raccogliendo e talvolta contrastando istanze riformatrici centrate essenzialmente proprio sui temi dell’attuazione della Costituzione, del rapporto tra la Magistratura e una società in vorticosa trasformazione, del  pluralismo interno e della riforma della Giustizia.

Le correnti ‘Magistratura Indipendente’ e ‘Terzo Potere’ si contendevano il campo, quando nel 1964 accadde un primo fatto destinato -assieme ad altri di cui parleremo tra poco- a cambiare per sempre le dinamiche associative della Magistratura.

Un gruppo di magistrati, in parte proveniente da raggruppamenti preesistenti, decise di fondare un’aggregazione del tutto nuova e alquanto variegata, ma accomunata dalla volontà di confrontarsi con le trasformazioni culturali e politiche del Paese e di ridimensionare il potere della cd. “Alta Magistratura”; così nel 1964 nacque Magistratura Democratica.

Il secondo fatto decisivo fu certamente il congresso dell’ANM tenutosi a di Gardone Riviera nel 1965. Avere oggi contezza della qualità e del prestigio degli studiosi e delle personalità, che assieme ai magistrati ebbero a dibattere temi cruciali legati alle trasformazioni all’epoca in corso, non può che fare impressione se si guarda al tono del dibattito associativo di oggi e alla difficoltà con cui ci si deve confrontare pubblicamente con una politica non sempre disposta ad un dialogo costruttivo.

Narrano le cronache, tra l’altro, che l’intervento di Lelio Basso, il quale rievocò lo spirito del padri costituenti e denunciò la mancata attuazione di larga parte della Costituzione anche attraverso un’interpretazione troppo conservatrice della legge penale, provocò la rumorosa reazione di taluni magistrati e l’oratore non poté proseguire l’intervento.

Ancora oggi la mozione finale di quel congresso, approvata all’unanimità a dispetto delle vivaci discussioni e delle innegabili differenze culturali, è ricordata come uno dei punti più alti della vita dell’ANM e delle sue correnti, dopo il quale nulla sarebbe stato più come prima.

Edmondo Bruti Liberati (https://www.associazionemagistrati.it/allegati/cento-anni-di-associazione-magistrati.pdf) ricordava che la mozione finale, di cui furono presentatori Benvenuto, Beria di Argentine e Principe, muoveva dal rifiuto della «concezione che pretende di ridurre l’interpretazione ad una attività puramente formalistica indifferente al contenuto e all’incidenza concreta della norma nella vita del paese», per rilevare che «Il giudice, all’opposto, deve essere consapevole della portata politico-costituzionale della propria funzione di garanzia, così da assicurare, pur negli invalicabili confini della sua subordinazione alla legge, un’applicazione della norma conforme alle finalità fondamentali volute dalla Costituzione». Inoltre «afferma che spetta pertanto al giudice, in posizione di imparzialità ed indipendenza nei confronti di ogni organizzazione politica e di ogni centro di potere: 1) applicare direttamente le norme della Costituzione quando ciò sia tecnicamente possibile in relazione al fatto concreto controverso; 2) rinviare all’esame della Corte costituzionale, anche d’ufficio, le leggi che non si prestino ad essere ricondotte, nel momento interpretativo, al dettato costituzionale; 3) interpretare tutte le leggi in conformità ai principi contenuti nella Costituzione, che rappresentano i nuovi principi fondamentali dell’ordinamento giuridico-statuale».

Insomma, ciò che oggi ci pare scontato e naturale, non lo era solo una o due generazioni fa.

Ma il fatto forse più traumatico e gravido di conseguenze, anche in relazione alla nascita di Unità per la Costituzione, avvenne tre anni più tardi, in un Paese ormai agitato dal tumultuoso biennio 1968/69.

L’assemblea nazionale di MD, tenutasi a Bologna il 30 novembre del 1969, approvò un ordine del giorno in cui si faceva evidente riferimento all’ordine di cattura -disposto dal sostituto procuratore romano Vittorio Occorsio nei confronti di Francesco Tolin- per i reati di apologia e istigazione a delinquere, in relazione ad un articolo comparso sul periodico ‘Potere operaio’, di cui egli era direttore responsabile.

Ancora oggi si discute sulla legittimità politica, sul senso e sul valore di quell’ordine del giorno (in verità generico) e sul fatto che il vero tema all’ordine del giorno fosse non tanto il processo in particolare, quanto piuttosto quello del rapporto tra Magistratura e reati di opinione. Sta di fatto che, almeno per quanto riportato dalle cronache di oggi, detto ordine del giorno fu letto dai difensori del Tolin davanti ai giudici e ciò mise in moto un clamore mediatico che fornì, se non la motivazione profonda, certamente l’occasione per portare alle estreme conseguenze una divaricazione già chiara da tempo all’interno di Magistratura Democratica.

Seguirono le dimissioni di molti esponenti di primo piano e, fatto che qui più ci interessa, la fondazione di ‘Impegno Costituzionale’ su iniziativa di molti dei dimissionari. Il 7 marzo del 1970 fu approvata la prima piattaforma programmatica nazionale, che guardava esplicitamente alla piena attuazione della portata innovatrice della Costituzione e al definitivo abbandono dell’assetto gerarchico della Magistratura.

Eligio Resta, ancora nel 2001, ricordava come nel 1970 erano evidenti tre modelli di magistrato del tutto incompatibili tra loro: quello funzionalista ispirato all’UMI; quello un po’ burocratico di ‘Magistratura indipendente’; quello carismatico di ‘Magistratura Democratica’.

‘Impegno Costituzionale’ cercò di percorrere vie nuove e alternative rispetto a questi modelli, senza rinunciare a condividerne le migliori intuizioni, specie quelle di Magistratura Democratica, svolgendo un ruolo di protagonista della vita associativa per tutti gli anni ’70.

4- Unità per la Costituzione

Tra il 17 ed il 18 marzo del 1979, a Roma nel palazzo di Giustizia di Piazzale Clodio, si tenne l’assemblea che sancì la fusione tra ‘Terzo Potere’ e ‘Impegno Costituzionale’.

Il riferimento, ancora una volta, alla Costituzione non era casuale, ma intendeva disvelare la centralità e la persistente attualità della tematica della piena attuazione dei valori costituzionali, ancora largamente disattesa alla fine degli anni ‘70: “la piena realizzazione dei valori costituzionali deve costituire, così come per gli altri organi dello Stato, anche per la Magistratura, l’obbiettivo principale. La Costituzione, nel recepire i valori fondamentali posti dalla Resistenza come cardini del nuovo Stato, ha attribuito agli stessi carattere di norme giuridiche vincolanti, che, nella rispettiva complementarità dei principi di libertà dei singoli e dei gruppi e di promozione della solidarietà democratica, esprimono il tratto più originale e, al tempo stesso, di maggior rilievo del nuovo ordinamento democratico”.

Certo già allora la tematica della Costituzione si stava spostando gradualmente dalla necessità di vincere le tendenze conservatrici anche interne alla Magistratura, per realizzare pienamente il suo statuto costituzionale, allo sforzo di difendere le conquiste già raggiunte pericolosamente minacciate dall’aggressione terroristica e -come sarà evidente dopo pochi anni- dall’insofferenza della politica verso l’indipendenza dei magistrati.

Eppure ancora nel 1979 la progressione delle funzioni e delle retribuzioni era legata a meccanismi opachi e poco aderenti al dettato costituzionale: sul piano della piena attuazione della Costituzione molto lavoro era ancora da fare.

Il riferimento all’unità era altrettanto chiaro e legato al senso dell’operazione politica in corso: due forze si stavano riunendo con un progetto, il quale mirava ad un largo consenso che -secondo gli auspici dei fondatori- si rivelò per molti anni anche prevalente in termini di voti; si rammenta che all’epoca il sistema elettorale del CSM era maggioritario.

D’altra parte da poco l’UMI si era sciolta, confluendo nell’ANM e facendo nascere l’esigenza ulteriore di contrapporre un progetto laico e progressista rispetto ad istanze conservatrici che erano ancora forti e molto ben presidiate.

5- Un nome, una stagione

Raffele Bertoni, intervistato da Mimmo Franzinelli nel 2001, ricordava che molte iniziative facenti a capo ai fondatori di ‘Unità per la Costituzione’ -tra cui Nino Abbate, Adolfo Beria di Argentine e lo stesso Bertoni- facevano riferimento alla parola “Costituzione”: ‘Impegno Costituzionale’, la rivista ‘Giustizia e Costituzione’ e la stessa ‘Unità per la Costituzione’.

Tuttavia, se dovessimo trarre un insegnamento dai fatti raccontati, dovremmo concludere che i riferimenti nominali non hanno lo stesso valore in epoche e contesti diversi: se nei decenni passati la Costituzione era quasi tutta ancora da attuare più che da difendere, oggi le necessità storiche sono inverse. Il rapporto tra Magistratura e politica vive uno dei suoi momenti più controversi e non è ancora spento il ricordo delle copie della Carta Costituzionale esposte dai magistrati in occasione delle inaugurazioni dell’anno giudiziario.

Se dunque bisogna parlare di nomi oltre che di ‘cose’ (ossia di rinnovamento di una organizzazione associativa), bisogna farlo, a mio modesto parere, tenendo conto dei contesti storici e, di conseguenza, dei temi e dei dibattiti legati a quei contesti e della loro attualità.

Beninteso, dopo aver ben rinnovato la “cosa”.

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