L’emergenza Covid-19, una cartina di tornasole dell’erosione dei valori costituzionali?

di Giuseppe Sassone

“Dico adunque che già erano gli anni della fruttifera Incarnazione del Figliuolo di Dio al numero pervenuti di milletrecento quarantotto quando, nella nobilissima città di Firenze, pervenne una “mortifera pestilenza” la quale “o per operazion de’ corpi superiori o per le nostre inique opere da giusta ira di Dio a nostra correzione mandata sopra i mortali, alquanti anni davanti  orientali incominciata , quelle d’innumerabile quantità di viventi avendo private, senza ristare  d’un luogo  in un altro continuandosi inverso l’Occidente miserabilmente s’era ampliata”. Fu così che, come Boccaccio racconta nel suo Decamerone, siccome “a cura delle quali infermità né consiglio del medico né vertù di medicina alcuna pareva che valesse o facesse profitto”, un gruppo di sette ragazze e tre ragazzi si rinchiude in campagna e vi trascorre dieci giorni tra canti, balli, preghiere e raccontando, ciascuno di loro, una storia al giorno.

L’arte di uno dei padri della nostra lingua trasforma questo doloroso contesto in un libro dai colori intensi, dal tono goliardico, pieno di ironia e di vitale umanità[1].

Invero queste ore non spingono a rassicuranti pensieri.

A fronte della diffusione sempre più rapida dell’ormai famigerato virus COVID -19, dopo un’iniziale smarrita e incauta sdrammatizzazione, il nostro Paese ha reagito con misure draconiane. Chiusura dei negozi, degli uffici, in parte dei Tribunali, divieto di uscire da casa, obbligo di auto quarantena al comparire dei sintomi della malattia che essa induce.

Tali misure si sono susseguite in un climax ascendente drammaticamente improvviso.

Queste misure così gravi sono indotte, a quanto sembra, non tanto e non solo dalla effettiva pericolosità della malattia causata dal virus, quanto dalla incapacità del nostro sistema sanitario di reggere all’onda d’urto dei numerosissimi malati che potrebbero affollare gli ospedali e che potrebbe costringere a decidere chi curare e chi abbandonare ad un esiziale destino, come ormai senza pudore si afferma.

Il nostro Stato ha così dismesso il suo volto umano ed ha assunto atteggiamenti, e sovente toni, per nulla dissimili da quelli della autoritaria Cina dove il virus in un primo tempo si è sviluppato e che ha “insegnato” per tal ragione all’Occidente come questo può essere fermato.

Sembra assistere ad una compressione di alcune libertà fondamentali che la Costituzione garantisce. A queste si contrappone uno Stato che ora si dà una dimensione forte e autoritaria, che speriamo possa essere bilanciata da una capacità di gestione del rischio. La Cina ha privato i suoi cittadini di , in verità già compresse, libertà fondamentali, ma ha offerto a tutti un sostegno pubblico. E’ negli occhi di  tutti la costruzione in dieci giorni di un gigantesco ospedale, la messa in opera di titanici mezzi economici e materiali.

Tutto questo è necessario per la salute pubblica, diritto anch’esso di indubbia rilevanza costituzionale.  Ed è altresì condivisibile che allo Stato competa il dovere di scegliere, quando diritti costituzionali sono in conflitto ed è razionale la scelta di comprimere il diritto di muoversi ed aggregarsi per tutelare il diritto alla salute individuale e collettiva. Non è questo il punto.

Certamente crea perplessità che per limitare fortemente libertà fondamentali si sia ricorso a fonti di rango secondario che si sottraggono al vaglio del Parlamento, ancora oggi centro degli assetti ordinamentali.  Certamente questo non è riconducibile alle mere ragioni di urgenza, posto che il decreto legge è strumento pensato proprio a tal fine. Mette disagio, altresì, che molti  Enti territoriali, emblematici i provvedimenti della Regione Campania,  abbiano avviato una gara a rendere  ancor più restrittive tali limitazioni con atti dalla legittimità fortemente dubbia, ma contro i quali la tutela immediata è vieppiù difficoltosa.

Sul piano strettamente formale la Costituzione è stata rispettata: le OPCM e i DM trovano fondamento del DL n 6/2020, anche se lo integrano allargandone i confini in maniera significativa, e in tal modo rispettano la riserva di legge ma, nella sostanza, ci troviamo di fronte ad una sorta di sospensione della Costituzione? Come siamo arrivati a tutto questo?

La nostra Costituzione era riuscita nel delicato compito di creare un equilibrio tra la tutela delle libertà individuali in una cornice di solidarietà ed aveva disegnato uno Stato che mette l’Uomo al centro, nella sua relazione con gli altri,  una sofisticata socialdemocrazia in cui convivevano diritti individuali e diritti sociali, quelli che richiamano lo Stato ad un facere per la loro realizzazione, volti a rendere effettivo il principio di uguaglianza sostanziale, mirabilmente sancito nel secondo comma dell’articolo 3.

E’ superfluo soffermarsi sul forte impianto ideale e morale  su cui la nostra Carta fondamentale si poggiava, mentre è urgente  porre in evidenza come quel terreno si stia sgretolando mettendo a rischio tutte le conquiste  e le garanzie in essa contenute.

Con il declino dell’idea di solidarietà, di legame sociale, che tanto sta a cuore alla nostra Costituzione, si è scatenata la corsa ad allargare, a volte anche con il concorso della giurisprudenza, il diffuso armamentario dei diritti individuali a discapito di quelli sociali. Il gigantismo di questi diritti ha contribuito, nel più ampio processo di declino morale, all’indebolimento dei “doveri inderogabili di solidarietà” così chiaramente iscritti nell’art. 2 della Carta.  La globalizzazione ha fatto il resto. Un diritto senza territorio, uno spazio di consumo, ma solo per chi possiede. Gli altri,  i reietti, devono restare confinati alla periferia del mondo o venire a trovarci per svolgere tutte quelle incombenze che non vogliamo o non sappiamo più fare.

Daniel P. Moynhian ha scritto che gli esseri umani hanno una limitata capacità di sopportazione verso le persone che si discostano dagli standard condivisi. Quando le regole non scritte vengono violate ripetutamente,  le società hanno la tendenza a derubricare  la devianza, modificandone lo standard: quello che prima era  considerato anormale diventa la normalità. Così in Italia, lentamente, grazie ad un progressivo uniformarsi dei media ad un unico modello ideologico, il consumatore si è sostituito al cittadino, l’individuo ha prevalso sulla relazione, la finanza sui diritti, il pòlemos sull’agapè.

E così, senza  grandi differenze in ragione delle diverse compagini governative che si sono alternate, si sono inseguite in via prioritaria le esigenze di bilancio, si è avuta maggiore attenzione ai creditori che ai cittadini,  si è indebolito quello stato sociale  che, solo, poteva essere la cornice di una società veramente meritocratica, sostituendolo con modelli familistici.

Sono state istanze meritocratiche, coniugate con le esigenze di bilancio, a prevedere i numeri chiusi per l’accesso alle facoltà di medicina con l’effetto di  formare giovani medici, forse meglio  preparati, ma certamente in numero inferiore al necessario  e soprattutto di inoculare nei giovani, adolescenti smarriti, il virus della competitività, in dispregio, ancora una volta, di ogni  pulsione alla relazione solidale.

Così oggi accade che restiamo chiusi in casa, magari spaventati dai gravi sintomi della malattia che percepiamo nei nostri famigliari, sintomi che però non assurgono a quel livello che  lo Stato richiede per somministrare  il test per la verifica del virus, mentre, peraltro, è inibito ai laboratori privati di fare queste verifiche anche a pagamento.

Il punto è, dunque, che lo Stato, che legittimamente comprime altri diritti per tutelare quello prioritario alla salute,  potrebbe non avere risorse sufficienti per attrezzare posti letto negli ospedali e allora la soluzione è non ammalarsi e per non  ammalarsi sacrificare le libertà costituzionali come quella di movimento e di aggregazione. Se in questi anni non si fosse eroso il sistema del welfare, oggi la crisi avrebbe altra risposta.

La popolazione della Germania supera di un terzo quella italiana, ma il numero di posti di terapia intensiva negli ospedali tedeschi è più del quintuplo di quelli italiani[2].

Noi siamo arrivati a questo punto perché  la Costituzione è stata sempre più percepita come “vecchia” e si è tentato più volte di stravolgerla in maniera radicale.

Falliti, fortunatamente, questi tentativi, la strada imboccata è stata diversa.

Si è lavorato ad una corrosione della Costituzione materiale. Questa erosione culturale rischia di arrivare alla Grundnorm di kelseniana memoria. Fu “contro l’idea della Costituzione come pietra angolare di tutto il sistema della nostra legalità, che cominciarono, sin dai primi anni ottanta, a scagliarsi tutti quelli che avevano interessi, singolari o di gruppo, a farsi una loro legalità. Fu così che da più parti e ad ogni livello istituzionale  si parlò della Costituzione come di un “ferro vecchio” e si instaurarono prassi corrosive non solo della moralità , ma anche di ogni  forma di regola stabile della civile convivenza… col pretesto della semplificazione e del decisionismo venne insinuata sempre più l’idea  che tutti i mali della nostra società derivavano da un assetto costituzionale dal quale  occorreva liberarsi, proprio come condizione preliminare  di ogni risanamento etico e giuridico”. Con queste parole già nel 1995 Giuseppe Dossetti[3], metteva in guardia sulla crescente insofferenza istituzionale, poi trasformatasi in questa spinta  contro la Costituzione.

Dopo la crisi dei Corpi intermedi è cominciata la delegittimazione degli Organi di garanzia. Questa si è accompagnata alla erosione della tolleranza reciproca e della temperanza istituzionale[4].

Basti pensare, quanto a quest’ultima, al degenerare della dialettica politica, secondo modelli ispirati alla lezione di Newt Gingrich[5], ed al proliferare di haters sulle reti social.

Eppure il principio di sussidiarietà vuole che lo Stato intervenga laddove i corpi intermedi, dalla famiglia alle comunità locali, professionali, di cultura religiose, non riescano ad assolvere compiti ulteriori a quelli loro propri nella regolazione della vita sociale.

Forse non tutti sanno che Dossetti voleva inserire in Costituzione il “diritto di resistenza” . L’articolo 3 delle sue proposte era del seguente tenore “La resistenza, individuale e collettiva agli atti dei pubblici poteri, che violino le libertà fondamentali e i diritti garantiti dalla presente Costituzione, è diritto e dovere di ogni cittadino”, articolo modellato sul corrispondente della Costituzione francese del ’46.

Abbiamo tanto da imparare da quanto sta accadendo.

La prima cosa su cui dovremo mobilitarci è risolvere la debolezza manifestata al nostro tessuto istituzionale. Si è di fatto realizzata una Costituzione dell’emergenza[6].

Bene sarebbe, anche in considerazione di questo precedente, che per il futuro potrebbe essere pericoloso, prevedere una sorta di procedimentalizzazione dell’emergenza, sulla base del modello che l’art. 78 disegna per lo stato di guerra, con una decisione del Parlamento che rimanga investito della totalità dei poteri di controllo e di determinare la cessazione dello stato di crisi.

In secondo luogo, è lecito sperare che questa emergenza possa avere, quale ricaduta positiva,  quella di darci l’occasione di aprire gli occhi sul mutamento genetico in atto del nostro assetto costituzionale materiale e per capire come l’abbandono delle politiche sociali, di welfare, la costruzione di uno Stato davvero vicino ai cittadini costituiscano un baluardo della democrazia. L’emergenza dovrebbe, inoltre, insegnare che il Mezzogiorno d’Italia è altrettanto essenziale al benessere del Paese. Una reciprocità per lungo tempo disconosciuta, ignorando il bisogno e  il vantaggio dell’unione fra le due parti, essenziale in tutti i sensi: nel senso dell’apporto umano, culturale, sociale e politico, ma non meno, nel senso dello stesso apporto economico.

Potrebbe essere anche  l’occasione per intraprendere una riflessione collettiva  sul recupero di quei valori smarriti e di cui oggi percepiamo l’importanza.

Occorre capire che, di fronte ad una crisi pur così importante, uno  Stato che non avesse paura di non farcela, ma fosse pronto ad assistere tutti, davvero tutti, legittimerebbe il sacrificio delle libertà individuali oggi  richiesto.

Il rischio è quello che si perda l’occasione, che si attivi quella che sempre Dossetti definiva una mitologia sostitutiva: nell’antico Israele, ogni volta che Dio incominciava a castigare il popolo per la sua apostasia e per il suo falso culto verso gli idoli di Canaan, il popolo interpretava i castighi a rovescio, cioè non li attribuiva a Dio che voleva portarli alla conversione, ma  li attribuiva proprio al suo mancato servizio agli idoli cananei e babilonesi.

Giuseppe Sassone


[1] Ho preferito questo incipit al riferimento, che pure mi era venuto prepotente alla mente, a La mascherata della morte rossa, nel quale Edgar Allan Poe racconta che, in un luogo anonimo e senza un tempo, durante una pestilenza “fatale” e “ atroce”, denominata la “Morte rossa”, il principe Prospero raccoglie mille suoi cortigiani  “sani, spensierati e scelti” e si ritira con loro in una delle sue abbazie fortificate. Il racconto è cupo e angoscioso, secondo i canoni consueti dell’autore, e termina con il notoriamente drammatico finale in cui un misterioso personaggio mascherato si insinua nelle sale festanti. Il principe, irato, lo insegue per ucciderlo con il coltello, ma scopre che sotto la maschera non v’è nulla. In quel momento comprende che la Morte rossa è penetrata  nella fortezza. Troppo tardi, in un attimo muoiono tutti : “E le fiamme dei tripodi si estinsero. E le Tenebre e il Disfacimento e la Morte Rossa ebbero illimitato dominio sopra tutte le cose”.

[2]Cfr. https://berlinomagazine.com/2020-in-germania-al-momento-ci-sono-28mila-posti-letto-in-rianimazione-in-italia-5mila/

[3] G. DOSSETTI, I valore della Costituzione, Napoli, 1995, 25.

[4] Sull’importanza di questi elementi per la tenuta delle democrazie v. con riguardo all’esperienza americana, S. LEVITSKY e D. ZIBLATT, Come muoiono le democrazie, Bari-Roma, 2019, 89.

[5] Newt Gingrich, modesto politico americano che, dopo una carriera di insuccessi elettorali, riuscì a farsi eleggere dopo aver esasperato il suo profilo di destra e seducendo i giovani americani con una visione della competizione politica più schietta e tagliente, invitandoli a “smettere di usare parole da boy scout che in politica sono un disastro… voi state combattendo una guerra … è una guerra per il potere. Questo partito non ha bisogno di un’altra generazione di mezzi leader, prudenti, cauti, guardinghi, blandi, irrilevanti… quello che ci serve davvero sono persone che non abbiano paura di affrontare una battaglia senza esclusione di colpi”. Era il 1978. Sfruttando un nuovo medium, la televisione via cavo, accusando organi dello Stato, quale il congresso, di essere “corrotto e malato”, usando per la prima volta questo nuovo linguaggio violento, creando il GOPAC, un comitato di azione politica che aveva il compito di  diffondere queste tattiche in tutto il partito, producendo oltre duemila “cassette di addestramento” per la “rivoluzione repubblicana” nelle quali si istruivano le reclute ad usare una serie di temine negativi per descrivere i democratici come “patetici, malati, contro la famiglia, traditori, contro la bandiera”, arrivò a diventar Presidente della Camera e ad essere un modello per una generazione di parlamentari repubblicani.

[6] cfr. V. IACOVISSI, Il diritto dell’emergenza  nelle democrazie pluraliste europee , in Gnosis, 3/2016, 61 ss