L’innovazione ai tempi del Coronavirus: questioni tecniche e non solo

(aggiornato D.L. 18 del 17 marzo 2020)
Contributo già pubblicato in “Diritti & Giurisdizione”- raccolta giuridica curata dai magistrati della Corte di Appello di Napoli a cura della Formazione decentrata della SSMM

di Rossella Marro in collaborazione con il Centro Studi “Nino Abbate” di Unità per la Costituzione

SOMMARIO

1. La legislazione dell’emergenza. – 2. Le prime Buone prassi applicative. – 3. Principali questioni interpretative.

  1. La legislazione dell’emergenza

Il dilagare dell’emergenza Coronavirus sta cambiando in modo repentino le nostre abitudini di vita e lavorative.

Nel distretto di Napoli ci stiamo confrontando ormai da diversi giorni con le norme processuali, destinate a gestire l’emergenza. Alcune di esse involgono l’uso dei sistemi informatici e impongono la modifica dei moduli organizzativi.

Di grande impatto è senza dubbio l’art. 2 comma 7 d.l. 8 marzo 2020 nr.11 [1] che estende il ricorso alla videoconferenza e agli altri sistemi individuati dalla Dgsia (direzione del Ministero della Giustizia sui sistemi informatizzati e automatizzati) a qualsiasi udienza alla quale partecipi un soggetto detenuto, internato o in stato di custodia cautelare.

Con successivo provvedimento del 10.3.2020 la Dgsia, nel dare attuazione alla disposizione sopra indicata, individua due sistemi informatici di collegamento a distanza alternativi, SKYPE for BUSINESS e TEAMS.

Lo stesso CSM nelle linee guida dell’11.3.2020 fornisce una chiara indicazione nel senso della incentivazione del lavoro da remoto o telematico dei magistrati, purché tale modulo organizzativo non sia “di assoluta impossibilità tecnica”, ed assegna ad un successivo intervento del Ministero della Giustizia le modifiche di quelle norme processuali necessarie a tale scopo[2].

Sul medesimo versante si pongono le disposizioni contenute nell’art.2 comma 2 lett. A), B), C) ed E) del citato decreto legge 8 marzo 2020 nr.11, che dispongono che a cura del Capo dell’ufficio giudiziario, di concerto con il dirigente amministrativo, vengano limitati e, in alcuni casi, preclusi gli accessi agli uffici giudiziari[3].

Il recentissimo d.l. cd. Cura Italia, approvato in data 17 marzo 2020, ha mantenuto inalterate le disposizioni sopra indicate.

  • Le prime Buone Prassi applicative

Muovendosi in quest’ambito normativo, gli addetti ai lavori hanno iniziato a delineare i seguenti modelli organizzativi, tutti finalizzati a ridurre per quanto possibile il contatto sociale ed il conseguente pericolo di contagio:

  1. Per le udienze di convalida degli arresti/fermi, gli interrogatori di garanzia in carcere e, in genere, per le udienze con detenuti, è possibile, in base alla legislazione dell’emergenza, utilizzare il collegamento in videconferenza o gli ulteriori due sistemi posti a disposizione dalla Dgsia, SKYPE for BUSINESS e TEAMS. Skype business è già in uso da tempo presso le case circondariali, per i colloqui a distanza tra detenuti e familiari. Gli istituti stanno procedendo in questi giorni a potenziare il numero delle postazioni al fine di utilizzare entrambi gli applicativi. Per utilizzare SKYPE o TEAMS occorre un PC con webcam e altoparlante, accessori quasi mai presenti sui PC FISSI in uso al settore penale, ma presenti sui PC portatili assegnati ai magistrati (oltre che ai dirigenti amministrativi e di carriera penitenziaria) con le ultime forniture. Per i pc portatili che non sono sulla RUG (rete unica per la giustizia) è possibile utilizzare TEAMS o SKYPE for BUSINESS mediante hotspot dal cellulare del magistrato sul quale sono stati configurati i detti applicativi o mediante wifi. E’ possibile accedere a TEAMS o SKYPE anche via WEB.

L’esigenza di garantire un colloquio a distanza riservato tra avvocato e assistito può essere garantita, con SKYPE o TEAMS, o lasciando preventivamente in aula il difensore durante il colloquio oppure utilizzando una linea telefonica riservata previo accordo con il carcere (come stanno facendo alcuni uffici giudiziari italiani).

  •  Per quanto riguarda i giudizi per direttissima, laddove l’arrestato non venga condotto in carcere ma nelle camere di sicurezza, occorrerà attrezzare una saletta. Analogamente, nei casi in cui l’arrestato sia stato mantenuto agli arresti domiciliari, dovrà stabilirsi se tradurlo in udienza o presso la Questura/Comando Provinciale Carabinieri per il collegamento a distanza. In questi casi, occorreranno direttive precise da parte delle Procure della Repubblica alle forze dell’ordine.
  • Piena utilizzazione di skype business o TEAMS è possibile per quanto riguarda i colloqui in carcere del magistrato di sorveglianza. Si tratta di una prassi già invalsa in diversi uffici giudiziari, trattandosi di colloqui informali, che oggi deve essere perseguita.
  • Principali questioni interpretative.

Quali sono le principali questioni che si sono poste all’attenzione degli operatori del settore?

Una prima questione riguarda la partecipazione a distanza del difensore e del pubblico ministero

Ci si chiede se sia possibile che l’avvocato partecipi all’udienza da remoto, dal proprio studio legale.

Tecnicamente è assolutamente possibile, in quanto sia SKYPE che TEAMS consentono la partecipazione di estranei alla rete giustizia. 

Deve però chiedersi se alla luce della normativa di emergenza vi sia una copertura alla partecipazione da remoto di difensore e pubblico ministero, in quanto, mentre con riguardo alle udienze civili c’è specifica previsione[4], manca detta previsione con riguardo alle udienze penali.

Orbene, non vi è dubbio che il difensore possa non essere fisicamente presente in udienza, ma presso l’istituto dove è detenuto l’assistito, quando si celebri udienza dibattimentale, in considerazione della previsione del comma 4 dell’art. 146 bis d.a. c.p.p., in materia di videoconferenze. Detta disposizione infatti stabilisce che: “E’ sempre consentito al difensore o a un suo sostituto di essere presente nel luogo dove si trova l’imputato. Il difensore o il suo sostituto presenti nell’aula di udienza e l’imputato possono consultarsi riservatamente, per mezzo di strumenti tecnici idonei”.  Allo stesso modo è possibile in caso di partecipazione ad udienze camerali ai sensi dell’art. 45 bis d.a. c.p.p. (“Nei casi previsti dell’articolo 146-bis, commi 1 e 1-bis, la partecipazione dell’imputato o del condannato all’udienza nel procedimento in camera di consiglio avviene a distanza”). Il comma 3 dell’art. 45 bis d.a. c.p.p. richiama espressamente il comma 4 dell’art. 146 bis d.a. c.p.p. e, pertanto, anche in udienza camerale, il difensore può non essere presente fisicamente in udienza per essere presente presso il luogo di detenzione dell’assistito.

Ciò premesso, ci si chiede se sia giuridicamente ammissibile che il difensore si colleghi da remoto dallo studio legale e che il pubblico ministero si colleghi da remoto dall’ufficio di Procura.

Va evidenziato che il d.l. 8 marzo 2020 nr.11, così come la bozza circolata dell’ultimo d.l. (cd.salva Italia) in via di pubblicazione alla data in cui si scrive, non prevede nulla in merito con riguardo al settore penale, laddove la disciplina generale di contrasto al dilagare del contagio, che prevede estreme limitazioni alla libertà di spostarsi sul territorio nazionale e di accesso agli uffici giudiziari, è contenuta in DPCM, di rango inferiore alle norme di disciplina processuale.

Minori problemi alla presenza dell’avvocato da remoto dal proprio studio legale e del pubblico ministero dall’ufficio di Procura, presenta la partecipazione alle udienze dibattimentali, trattandosi di udienze alle quali è ammessa la presenza del pubblico e i cui verbali non devono essere sottoscritti dalle parti presenti (art.483 comma 1 c.p.p.)[5].

Maggiori problemi pone, invece, la partecipazione da remoto di avvocato e pubblico ministero alle udienze di convalida dell’arresto/fermo e agli interrogatori di garanzia, in quanto da un lato si tratta di momenti processuali nei quali non è prevista la presenza di terze persone, dall’altro si richiede la sottoscrizione del verbale da parte di tutte le parti presenti, compreso difensore e pubblico ministero (art.137 c.p.p.). La prima problematica, ricorrente per tutte le ipotesi di udienze camerali (anche preliminari), nel caso di interrogatorio di garanzia e udienza di convalida dell’arresto/fermo, assume evidentemente una pregnanza maggiore.

Come potrebbero essere superati i predetti ostacoli procedurali? L’esigenza di riservatezza potrebbe essere garantita da una dichiarazione di impegno delle parti a collegarsi da un ambiente riservato, in assenza di persone non legittimate. La disciplina processuale che prevede la sottoscrizione del verbale ad opera delle parti presenti (verbale di udienza di convalida e verbale di interrogatorio di garanzia) potrebbe, invece, essere superato, o invocando la previsione dell’art. 137 II comma c.p.p., intesa come impossibilità di sottoscrizione, dandone atto a verbale, oppure inviando all’avvocato e al pubblico ministero via mail il verbale che, dopo essere stato sottoscritto, dovrebbe essere dai predetti inviato nuovamente al giudice.

L’interrogativo che a questo punto occorre porsi è se, in assenza di normativa derogatoria da parte della legislazione di emergenza (disciplina derogatoria invece presente, come abbiamo visto, con riguardo alle udienze alle quali partecipa il soggetto detenuto, sottoposto a misura di sicurezza o a custodia cautelare) che consenta anche all’avvocato e al pubblico ministero di partecipare all’udienza in videocollegamento rispettivamente dallo studio legale e dall’ufficio di Procura,  l’adozione di protocolli con il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati e con le Camere Penali, che disciplinino il procedimento, consenta di derogare alla disciplina codicistica, senza incorrere in nullità processuali.

A ben vedere anche in questo caso, l’attenta adozione del protocollo potrebbe scongiurare rischi di nullità. Se anche volesse ipotizzarsi nel caso di specie una nullità dell’udienza, si tratterebbe di una nullità rientrante nell’ipotesi prevista dall’art. 178 lett. C) c.p.p., attenendo alla assistenza e rappresentanza dell’indagato. In quanto nullità a regime intermedio, opererebbe in ogni caso la sanatoria prevista dall’art.183 lett. A) e lett. B) c.p.p. Sarebbe pertanto sufficiente prevedere nel protocollo che l’avvocato dichiari a verbale, prima di procedere al compimento dell’atto, che aderisce al protocollo e rinuncia, ai sensi dell’art.183 lett. a) c.p.p., ad eccezioni connesse alla modalità di partecipazione all’udienza mediante collegamento da remoto. Peraltro, la stessa partecipazione all’atto in videocollegamento integrerebbe la sanatoria prevista dall’art.183 lett. b) c.p.p.

Va infine chiarito che il protocollo non può essere vincolante per il singolo avvocato e per il singolo pubblico ministero e che, pertanto, è in facoltà degli stessi non aderirvi, partecipando fisicamente all’udienza in Tribunale. Anche questo profilo concorre nella valutazione che alcuna lesione al pieno esercizio del diritto di difesa potrebbe realizzarsi dalla adozione di detto sistema in periodo di emergenza sanitaria.

Possibilità per il giudice penale di operare da remoto.

  1. Ci si chiede innanzitutto se sia possibile autorizzare il giudice ad accedere ad esempio al TIAP o al SIUS dal proprio PC di casa. Analogo quesito si pone con riguardo alla possibilità di accesso da parte del cancelliere ai sistemi presenti sulla RUG dal PC di casa. Questa possibilità deve ritenersi da escludere, in assenza di una disposizione della DGSIA, che è responsabile della sicurezza della rete giustizia. Sicuramente il singolo Capo dell’ufficio giudiziario non potrà autorizzare detto accesso da remoto, in quanto pur essendo titolare dei dati dei registri, non è responsabile della sicurezza. Peraltro, mentre per quanto riguarda il settore civile, l’architettura del PCT prevede un accesso esterno alla rete giustizia su portali in grado di schermare e proteggere i dati che viaggiano sulla RUG, analoga architettura non è presente per il settore penale.
  2. Ci si chiede ancora se il giudice penale possa (tenendo l’eventuale udienza a mezzo TEAMS) apporre la firma digitale sui provvedimenti da casa, inviando gli stessi al cancelliere che si trova in Tribunale, il quale potrebbe stamparli e, attestando la conformità, renderli analogici, ai sensi del CAD (copia analogica di originale digitale). Allo stato questa possibilità trova ostacolo nella circostanza che nel settore penale manca un fascicolo digitale nel quale “ricoverare” l’atto firmato con firma digitale. Nel processo penale abbiamo avuto negli ultimi anni un massiccio ricorso alla dematerializzazione degli atti, attraverso l’utilizzo di TIAP, ma in ogni caso nel fascicolo processuale deve essere presente l’originale cartaceo dell’atto, dal quale allo stato non si può prescindere.
  3. Ci si chiede, infine, se sia possibile che il giudice penale possa (tenendo l’eventuale udienza a mezzo TEAMS) adottare il provvedimento da casa, firmandolo, scansendolo e inviandolo al cancelliere che si trova in Tribunale (copia informatica di documento analogico). In questo caso il deposito dell’originale dell’atto avverrebbe in un secondo momento. Non vi sarebbero ostacoli operativi, in quanto nella prassi il cancelliere, nel portare ad esecuzione i provvedimenti dei magistrati, utilizza le copie, basti pensare ad una scarcerazione che viene portata in esecuzione generalmente inviando agli istituti carcerari il provvedimento del giudice via mail.

Va evidenziato che, con argomento spendibile con riguardo ad entrambe le ipotesi di cui ai punti b) e c) suindicati, l’obbligo per il magistrato di depositare l’originale in cancelleria trova un addentellato codicistico nell’art. 128 c.p.p.[6]. Il cancelliere nell’apporre il depositato attesta la provenienza dell’atto ed il momento del deposito, rendendo il provvedimento ostensibile ai terzi legittimati. Quindi, il cancelliere è tenuto ad apporre il depositato sull’originale dell’atto e allo stesso non potrebbe essere imposto di operare l’adempimento su una copia. Pertanto, per disporre l’adozione generalizzata di uno dei due suindicati sistemi di deposito degli atti giudiziari, in deroga alla disciplina processuale ed in considerazione della situazione di emergenza sanitaria, sarebbe auspicabile una espressa autorizzazione normativa, analoga a quella prevista dall’art.2 comma 2 lett. f) del d.l.11 marzo 2020 nr. 11 con riguardo a determinate categorie di giudizi civili.

In caso di autorizzazione normativa, gli aspetti relativi alla certezza della provenienza e del momento del deposito in cancelleria potrebbero essere garantiti con riguardo all’ipotesi indicata al punto b) dall’utilizzo della CMG (carta multiservizi della giustizia) che potrebbe essere richiesta dai giudici penali che ne siano sforniti all’amministrazione, secondo la procedura già esistente (CMG – Carta Multiservizi della Giustizia – Modello AT elettronico con firma digitale), e con riguardo alla ipotesi indicata al punto c) dall’utilizzo di PEC da assegnare ai giudici penali sempre a cura dall’amministrazione.

Resta l’ovvia considerazione che l’eventuale urgente modifica normativa ben difficilmente potrebbe prevedere tale modalità di lavoro (telelavoro) per i magistrati e non anche per il personale amministrativo, in quanto facendo parte l’attività giudiziaria dei servizi pubblici essenziali, le modalità con le quali tutti gli operatori del comparto garantiscono il presidio del servizio dovrebbero essere prescritte secondo criteri di omogeneità.

Deposito telematico delle istanze difensive

Altro ambito con il quale si stanno confrontando gli uffici giudiziari, in tempi di Coronavirus, è quello relativo al deposito telematico delle istanze difensive, settore nel quale si registrano storicamente orientamenti di sostanziale chiusura sia della giurisprudenza di merito che di legittimità[7]

In particolare, accanto ad un orientamento più rigido fondato sul presupposto che nel processo penale non sia consentito alla parte privata l’uso della posta elettronica certificata per la trasmissione dei propri atti alle altre parti né per il deposito presso gli uffici, perché l’utilizzo di tale mezzo informatico – ai sensi dell’art. 16, comma 4, d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito con modificazioni dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221 – è riservato alla sola cancelleria per le comunicazioni richieste dal pubblico ministero ex art. 151 cod. proc. pen. e per le notificazioni ai difensori disposte dall’autorità giudiziaria (Sez. 4, n. 21056 del 23/01/2018, D’Angelo, Rv. 27274101; in senso conforme cfr. Sez. 5, n. 48911 del 01/10/2018, N, Rv. 27416001; Sez. 2, n. 31314 del 16/05/2017, P, Rv. 27070201), si è formato altro orientamento che ispirandosi alla giurisprudenza sviluppatasi per le trasmissioni via fax, ritiene che l’istanza inviata via PEC non è irricevibile o inammissibile, ritenendo tuttavia che solo allorché il Giudice ne abbia preso conoscenza egli è tenuto a valutarla (Sez. 6, n. 35217 del 19/04/2017, C., Rv. 270912 – 01; Sez. 3, n. 923 del 10/10/2017, dep. 2018, Salvo ed altri, n.nn.; Sez. 2, n. 56392 del 23/11/2017, Ishlyamski, n.m.; Sez. 2, n. 47427 del 07/11/2014, Pigionanti, Rv. 260963 cfr. Anche Sez. I, n. 38336 del 1/08/2017, Musolino, in cui è stata affermata la legittimità della celebrazione dell’udienza per la quale era stata inoltrata istanza di differimento via p.e.c. per un impedimento a comparire del difensore che non risultava tra gli atti del processo). La giurisprudenza è risultata invece da sempre compatta nell’escludere la possibilità di proporre atto di impugnazione a mezzo pec essendo previste per esso forme di deposito tassative a pena di inammissibilità[8].

Ciò posto, la legislazione di emergenza da Covid19 e le conseguenti linee guida del CSM invitano i capi degli Uffici ad adottare tutte le misure idonee a ridurre al massimo l’accesso degli avvocati negli uffici giudiziari[9].

A tal fine, molte realtà giudiziarie, facendo evidentemente riferimento, all’orientamento giurisprudenziale più possibilista e alla espressa previsione di legge che equipara il valore legale della posta elettronica certificata alla raccomandata con ricevuta di ritorno (Sez. 4, n. 21056 del 23/01/2018, D’Angelo, Rv. 27274001), si stanno attrezzando per consentire che le istanze difensive vengano inviate a mezzo PEC.

Orbene per gli uffici giudiziari che stanno adottando iniziative volte ad agevolare la presentazione da parte dei difensori di istanze e memorie via pec, va evidenziato che non vi è ostacolo tecnico all’ingresso delle istanze difensive anche tramite gli indirizzi di PEO (posta elettronica ordinaria) in uso agli uffici giudiziari, essendo essi abilitati a ricevere da indirizzi PEC, con conseguente possibilità di verifica della provenienza dell’istanza dall’indirizzo del difensore nominato e di documentazione agli atti della stessa provenienza, mediante allegazione della stampa dell’artefatto.

Ciò posto, è buona regola, al fine superare i rischi di incertezza nella recezione delle istanze più volte evidenziati dalla giurisprudenza, disciplinare nel dettaglio detta modalità di deposito tramite protocolli con il COA e la Camera Penale. A tal fine sarà necessario individuare, da un lato, la tipologia di atti che possono essere inviati (sicuramente tutti gli atti che possono essere trasmessi per giurisprudenza attraverso mezzi idonei di trasmissione; maggiori dubbi per il deposito delle impugnazioni per le quali le forme di deposito sono previste a pena di nullità[10]), dall’altro gli indirizzi esatti cui inviare le PEC con stringenti indicazioni nell’oggetto ai fini della veloce e sicura diramazione tra gli uffici destinatari. E’ altresì opportuno dare indicazioni agli avvocati di inserire l’avviso di lettura, in considerazione della giurisprudenza che ritiene la PEC mezzo idoneo nella misura in cui l’istanza giunga sulla scrivania del giudice (Sez. 2, Sentenza n. 21683 del 15/01/2019 Ud.).

Può essere regolamentata dal protocollo anche la possibilità che tramite PEC siano inviate le richieste degli avvocati di essere ricevuti. Concesso l’appuntamento si invierà una comunicazione all’avvocato che la stamperà e la mostrerà all’ingresso dell’ufficio giudiziario.


[1]Ferma l’applicazione dell’articolo 472, comma 3, del codice di procedura penale, a decorrere dal giorno successivo alla data di entrata in vigore del presente decreto e sino alla data del 31 maggio 2020, la partecipazione a qualsiasi udienza delle persone detenute, internate o in stato di custodia cautelare è assicurata, ove possibile, mediante videoconferenze o con collegamenti da remoto individuati e regolati con provvedimento del direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia, applicate, in quanto compatibili, le disposizioni di cui ai commi 3, 4 e 5 dell’articolo 146 -bis del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271”

[2]il lavoro da remoto o telematico dei magistrati deve essere incentivato quale modalità prioritaria di esercizio delle funzioni giudiziarie, salva l’assoluta impossibilità tecnica, sicché appare necessario invitare il Ministero della Giustizia…… a voler valutare la modifica delle norme processuali allo scopo necessaria, in continuità con quanto già deliberato in data 5 marzo 2020”

[3]Per assicurare le finalità di cui al comma 1, i capi degli uffici giudiziari possono adottare le seguenti misure:      a)   la limitazione dell’accesso del pubblico agli uffici giudiziari, garantendo comunque l’accesso alle persone che debbono svolgervi attività urgenti;      b)   la limitazione, sentito il dirigente amministrativo, dell’orario di apertura al pubblico degli uffici anche in deroga a quanto disposto dall’articolo 162 della legge 23 ottobre 1960, n. 1196, ovvero, in via residuale e solo per gli uffici che non erogano servizi urgenti, la chiusura al pubblico;      c)   la regolamentazione dell’accesso ai servizi, previa prenotazione, anche tramite mezzi di comunicazione telefonica o telematica, curando che la convocazione degli utenti sia scaglionata per orari fissi, nonché l’adozione di ogni misura ritenuta necessaria per evitare forme di assembramento;”

[4] A ben vedere il D.L. 8 marzo 2011 prevede all’art.2 comma 2 lett. f) la possibilità di procedere a udienza mediante collegamenti da remoto, con partecipazione a distanza anche delle altri parti, solo con riferimento alle udienze civili, nei seguenti termini: “la previsione dello svolgimento delle udienze civili che non richiedono la presenza di soggetti diversi dai difensori e dalle parti mediante collegamenti da remoto individuati e regolati con provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia. Lo svolgimento dell’udienza deve in ogni caso avvenire con modalità idonee a salvaguardare il contraddittorio e l’effettiva partecipazione delle parti. Prima dell’udienza il giudice fa comunicare ai procuratori delle parti ed al pubblico ministero, se è prevista la sua partecipazione, giorno, ora e modalità di collegamento. All’udienza il giudice dà atto a verbale delle modalità con cui si accerta dell’identità dei soggetti partecipanti e, ove trattasi di parti, della loro libera volontà. Di tutte le ulteriori operazioni è dato atto nel processo verbale”. Questa precisa indicazione risulta presente nella relazione illustrativa.

[5] Per le udienze pubbliche potrebbe essere prevista, del resto, la partecipazione a distanza anche del pubblico interessato, nell’ottica di gestione della seconda fase dell’emergenza (in alternativa alla adozione di provvedimenti di celebrazione delle udienze a porte chiuse ai sensi dell’art.83 comma 7 lett.e) d.l. cd. Cura Italia, approvato il 17.3.2020), tenuto conto della circostanza che allo stato non è possibile prevedere i tempi per il ritorno ad una attività giudiziaria ordinaria.

[6] Il deposito in cancelleria è escluso per i provvedimenti emessi in udienza preliminare e quelli emessi in dibattimento, in quanto accomunati dalla tendenziale pronuncia del provvedimento stesso nel contesto dell’udienza, a differenza di quanto accade nel procedimento camerale, rispetto al quale l’ordinanza decisoria viene a giuridica esistenza solo con il deposito in cancelleria, che ne segna, quindi, il momento perfezionativo.

[7] Cfr. Sez. 1, Sentenza n. 26877 del 20/03/2019 Cc.: “L’utilizzo della posta elettronica certificata nel processo penale non è consentito alle parti private per effettuare comunicazioni, notificazioni ed istanze. (Fattispecie relativa a procedimento di sorveglianza, in cui il difensore di fiducia del detenuto aveva inviato tramite PEC istanza di rinvio per legittimo impedimento)”. Dalla motivazione della sentenza si evince che nel caso di specie l’invio a mezzo pec era avvenutoin assenza di modulo organizzativo e di disposizioni interne di sicura vigenza;Cfr. Sez. 2 – , Sentenza n. 21683 del 15/01/2019 Ud: “La trasmissione della nomina del difensore di fiducia a mezzo posta elettronica certificata, pur individuabile, al pari del telegramma o del telefax, come strumento attraverso il quale detta dichiarazione può essere fatta pervenire alla autorità procedente, comporta l’onere per l’interessato di assicurarsi che l’atto sia pervenuto alla cancelleria del giudice e sia stato tempestivamente portato all’attenzione di quest’ultimo. (In applicazione di tale principio la Corte ha ritenuto infondato il motivo di ricorso con cui veniva dedotta la violazione dell’art. 108 cod. proc. pen. in un caso in cui la dichiarazione di nomina del difensore di fiducia con contestuale revoca del precedente e l’istanza di termine a difesa erano state trasmesse via PEC il giorno prima dell’udienza, ma, a causa del malfunzionamento del sistema, erano pervenute all’ufficio giudiziario dopo la conclusione dell’udienza)”.

[8] Cfr. Sez. 3 -, Sentenza n. 38411 del 13/04/2018 Cc., dep. 09/08/2018: “È inammissibile l’impugnazione cautelare proposta dall’indagato mediante l’uso della posta elettronica certificata (c.d. PEC), in quanto le modalità di presentazione e di spedizione dell’impugnazione, disciplinate dall’art. 583 cod. proc. pen. – espressamente richiamato dall’art. 309, comma 4, che, a sua volta, è richiamato dall’art. 310, comma 2, cod. proc. pen. – sono tassative e non ammettono equipollenti, stabilendo soltanto la possibilità di spedizione dell’atto mediante lettera raccomandata o telegramma, al fine di garantire l’autenticità della provenienza e la ricezione dell’atto, mentre nessuna norma prevede la trasmissione mediante l’uso della PEC”.

[9] Lo stesso Primo Presidente della Corte di Cassazione, con il recente decreto organizzativo del 13.3.2020, ha ammesso, per il periodo di emergenza connesso alla pandemia da Covid19, il deposito telematico di istanze, memorie difensive e motivi aggiunti.

[10] Cfr. Sez. 3 – , Sentenza n. 38411 del 13/04/2018 Cc.  (dep. 09/08/2018): “È inammissibile l’impugnazione cautelare proposta dall’indagato mediante l’uso della posta elettronica certificata (c.d. PEC), in quanto le modalità di presentazione e di spedizione dell’impugnazione, disciplinate dall’art. 583 cod. proc. pen. – espressamente richiamato dall’art. 309, comma 4, che, a sua volta, è richiamato dall’art. 310, comma 2, cod. proc. pen. – sono tassative e non ammettono equipollenti, stabilendo soltanto la possibilità di spedizione dell’atto mediante lettera raccomandata o telegramma, al fine di garantire l’autenticità della provenienza e la ricezione dell’atto, mentre nessuna norma prevede la trasmissione mediante l’uso della PEC. (In motivazione la Corte ha evidenziato che tali previsioni processuali costituiscono le specifiche disposizioni normative che rendono inapplicabile il d.P.R. 11 febbraio 2005, n. 68, regolamento per l’utilizzo della posta elettronica certificata, ai sensi dell’art. 16 del medesimo decreto)”.

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