L’intervento delle Sezioni Unite in tema di forme dei contratti bancari e finanziari: la fine dei vecchi contrasti o una nuova frontiera del contenzioso?

di Roberto Notaro

Negli ultimi anni abbiamo assistito ad un profondo rinnovamento della teoria generale del contratto. Attraverso l’opera paziente della dottrina e della giurisprudenza si sono consolidati nel nostro ordinamento alcuni principi innovativi in tema di validità ed efficacia del negozio giuridico. Non c’è alcun dubbio che i contratti bancari abbiano contribuito in maniera determinate alla formazione dei nuovi orientamenti, inducendo le Sezioni Unite della Cassazione ad intervenire a più riprese per comporre i forti contrasti che animavano la giurisprudenza.

Basti pensare alle fondamentali sentenze gemelle Rordorf nn. 26724 e 26725 del 2007 con le quali le Sezioni Unite affermarono il principio della distinzione norme di validità e regole di comportamento, stabilendo che “unicamente la violazione di norme inderogabili concernenti la validità del contratto è suscettibile di determinarne la nullità e non già la violazione di norme, anch’esse imperative, riguardanti il comportamento dei contraenti la quale può essere fonte di responsabilità”.

Tale principio, costituente oramai un cardine essenziale della teoria generale del contratto e, come tale, applicabile a qualsiasi negozio, è stato pronunciato dalle Sezioni Unite proprio in tema di intermediazione finanziaria. In quella sede la Cassazione precisò che la violazione dei doveri di informazione del cliente e di corretta esecuzione delle operazioni che la legge pone a carico dei soggetti autorizzati alla prestazione dei servizi di investimento finanziario (nella specie, in base all’art. 6 della legge n. 1 del 1991) può dar luogo a responsabilità precontrattuale, con conseguenze risarcitorie, ove dette violazioni avvengano nella fase antecedente o coincidente con la stipulazione del contratto di intermediazione destinato a regolare i successivi rapporti tra le parti; può dar luogo, invece, a responsabilità contrattuale, ed eventualmente condurre alla risoluzione del contratto suddetto, ove si tratti di violazioni riguardanti le operazioni di investimento o disinvestimento compiute in esecuzione del “contratto quadro”; in ogni caso, deve escludersi che, mancando una esplicita previsione normativa, la violazione dei menzionati doveri di comportamento possa determinare, a norma dell’art. 1418, primo comma, cod. civ., la nullità del cosiddetto “contratto quadro” o dei singoli atti negoziali posti in essere in base ad esso.

Qualche anno dopo le Sezioni Unite con le sentenze Travaglino nn. 26242 e 26243 del 2014 sono state nuovamente chiamate a pronunciarsi sul tema della nullità del contratto ed in particolare sui rapporti tra la nullità, le domande delle parti e la rilevabilità d’ufficio del vizio. In questo caso, nonostante il giudizio riguardasse specificamente un contratto di rendita vitalizia, la Cassazione ha comunque sentito il bisogno di rendere alcuni chiarimenti in ordine ai rapporti tra le nullità speciali “di protezione” (di cui ai contratti bancari, finanziari e con i consumatori) e la rilevabilità d’ufficio della nullità. Ciò in quanto, la particolare rilevanza che aveva assunto il contenzioso bancario e finanziario rendeva opportuno cogliere quell’occasione per enunciare alcuni principi utilizzabili anche in tale ambito.

Ebbene, in tali pronunce è stato definitivamente chiarito che la natura relativa delle nullità di protezione è compatibile con il rilievo d’ufficio da parte del giudice. Infatti, il potere del giudice, in questi ambiti, rafforza l’intensità della tutela accordata alla parte che, in ragione della propria posizione di strutturale minor difesa, potrebbe non essere in grado di cogliere le opportunità di tutela ad essa accordata. Rivisitando l’affermazione contenuta nella sentenza 14828/2012, secondo la quale dovrebbe ritenersi vietato al giudice l’indagine in ordine a una nullità protettiva, le SSUU hanno sostenuto che l’inammissibilità del rilievo officioso di una nullità speciale, in difetto di una espressa disposizione legislativa in tal senso, condurrebbe a conseguenze incongrue accordando alla parte debole una tutela minore di quella prevista per le nullità ordinarie.

Grazie a tale intervento deve ritenersi oramai consolidato l’orientamento secondo il quale il giudice ha sempre il potere-dovere di rilevare d’ufficio una nullità di protezione, sollevando alla parte la relativa questione, lasciando a quest’ultima la scelta se avvalersi o meno della causa di invalidità.

Nell’ultimo anno per ben due volte si è reso necessario l’intervento nomofilattico della Cassazione la quale è stata chiamata a pronunciarsi sul tema della forma del contratto finanziario e della rilevanza dell’usura sopravvenuta nei mutui. Non a caso ho indicato ho indicato l’oggetto preciso delle due decisioni (contratti finanziari e mutui) in quanto, già all’indomani della pronuncia delle due decisioni si è aperto un acceso dibattito sulla possibilità di estendere i principi espressi in tali sentenze anche ai contratti bancari in generale.

Ma procediamo con ordine.

Con la Sentenza n. 898 del 16/01/2018 le S.U. hanno affermato che, in tema d’intermediazione finanziaria, il requisito della forma scritta delcontratto-quadro, posto a pena di nullità dall’art.23 del d.lgs. n. 58 del 1998, va inteso non in senso strutturale, mafunzionale, avuto riguardo alla finalità di protezione dell’investitore assuntadalla norma, sicché tale requisito deve ritenersi rispettato ove il contratto siaredatto per iscritto e ne sia consegnata una copia al cliente, ed è sufficienteche vi sia la sottoscrizione di quest’ultimo, e non anche quelladell’intermediario, il cui consenso ben può desumersi alla stregua dicomportamenti concludenti dallo stesso tenuti.

Secondo le SU, la formulazione letterale della norma rende ben chiara la ratio della stessa, essendo la nullità posta nell’interesse del cliente, come pure a tutela di quest’ultimo è prevista la consegna del contratto-quadro, il cui contenuto, disciplinato negli elementi essenziali dall’art. 30 del regolamento Consob n. 11522 del 1998, deve essere messo a sua totale disposizione. La previsione della nullità è, dunque, funzionale ad assicurare la piena indicazione al cliente degli specifici servizi forniti, della durata e delle modalità di rinnovo del contratto e di modifica dello stesso, delle modalità con cui si svolgeranno le singole operazioni, oltre che dei termini e modi della rendicontazione, perché è l’investitore ad avere bisogno di conoscere e di verificare, nel corso del rapporto, il rispetto delle modalità di esecuzione e le regole che riguardano la vigenza del contratto.

La Corte ha affermato che il vincolo di forma imposto dall’art. 23 del d.lgs. n. 58 del 1998 è composito, in quanto vi rientra, per specifico disposto normativo, anche la consegna del documento contrattuale. Tale vincolo deve essere inteso non in senso strutturale, ma funzionale, tenendo conto dell’evidenziata finalità protettiva dell’investitore. Da ciò consegue che il contratto-quadro deve essere redatto per iscritto, che il medesimo contratto deve essere sottoscritto dall’investitore, a cui ne deve essere consegnata una copia, ma il consenso dell’intermediario non deve necessariamente risultare dalla sottoscrizione, ben potendo ricavarsi da comportamenti concludenti di quest’ultimo.

Questa conclusione è tratta dalla considerazione delle funzioni che tradizionalmente sono attribuite alla sottoscrizione del contratto: una rilevante sul piano della formazione del consenso delle parti, l’altra su quello dell’attribuibilità della scrittura. Nell’impianto del codice civile, tale duplice funzione è raccordata alla normativa di cui agli artt. 1350 e 1418 c.c., che pone la forma scritta sul piano della struttura, quale elemento costitutivo del contratto e non prettamente sul piano della funzione. Tuttavia, secondo le S.U., la specificità della disciplina in esame consente di scindere i due profili, quello del documento, come formalizzazione e certezza della regola contrattuale, e quello dell’accordo, rimanendo assorbito l’elemento strutturale della sottoscrizione dell’intermediario che – una volta raggiunto lo scopo della norma, con la sottoscrizione del cliente, sul modulo contrattuale predisposto dall’intermediario e con la consegna all’investitore di un suo esemplare – non verrebbe a svolgere alcuna specifica funzione.

L’interpretazione in esame, d’altronde, è in linea con le disposizioni dell’ordinamento europeo, il quale – nell’art. 19, par. 7, della direttiva 2004/39/CE del Parlamento e del Consiglio del 21 aprile 2004 (Mifid 1), recepita dal d.lgs. n. 164 del 2007, così come nell’art. 25, par. 5, della direttiva 2014/65/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 15 maggio 2014 (Mifid 2), a cui è stata data attuazione con il d.lgs. n. 129 del 2017 pone l’accento sul perseguimento degli obiettivi di trasparenza e di tutela degli investitori.

La decisione delle Sezioni Unite è certamente apprezzabile in quanto ha l’indubbio merito di aver composto definitivamente e in maniera chiara un contrasto tra i diversi orientamenti delle sezioni semplici, ma soprattutto tra i giudici di legittimità e quelli di merito. Pochi Tribunali, infatti, si erano adeguati all’orientamento espresso da Cass. Sez. 1, Sentenza n. 5919 del 24/03/2016 (secondo la quale “In tema di contratti per i quali la legge richiede la forma scritta “ad substantiam”, la produzione in giudizio dellascrittura da parte del contraente che non l’ha sottoscritta realizza un equivalente della sottoscrizione, conconseguente perfezionamento del contratto con effetti “ex nunc” e non “ex tunc”, essendo necessaria laformalizzazione delle dichiarazioni di volontà che lo creano; ne consegue che tale meccanismo non opera sel’altra parte abbia “medio tempore” revocato la proposta, ovvero se colui che aveva sottoscritto l’atto incompletonon sia più in vita nel momento della produzione”) e soprattutto a quello più radicale di Cass. Sentenza 27 aprile 2016, n. 8395 che aveva introdotto il concetto di “nullità selettiva” sostenendo che “Nel contratto di intermediazione finanziaria, la produzione in giudizio del modulo negoziale relativo al contratto quadrosottoscritto soltanto dall’investitore non soddisfa l’obbligo della forma scritta “ad substantiam” imposto, a pena di nullità,dall’art. 23 del d.lgs. n. 58 del 1998 e, trattandosi di una nullità di protezione, la stessa può essere eccepita dall’investitoreanche limitatamente ad alcuni degli ordini di acquisto a mezzo dei quali è stato data esecuzione al contratto viziato”.

Pur rispettando le motivazioni della sentenza, nella convinzione che il senso della nomofilachia risieda nell’obbligo per il giudice di merito di conformarsi alla decisione plenaria, può essere utile eseguire alcune considerazioni sull’impostazione seguita dalle S.U.

Dalla lettura della sentenza emerge con evidenza che la Corte, per sostenere il proprio ragionamento, ha ritenuto di dover riconoscere alla forma del contratto finanziario una natura speciale, definita espressamente come “neoformalismo o formalismo negoziale”. Tale specialità risiederebbe nel fatto che il vincolo di forma imposto dal legislatore sarebbe composito in quanto vi rientrerebbe, oltre la redazioneper iscritto, anche la consegna del documento contrattuale. L’affermazione non è di poco conto ed ha conseguente rilevanti sul piano sostanziale e processuale. In tal modo, infatti, la consegna entra nella forma del contratto e da mero comportamento successivo alla conclusione dell’accordo si trasforma in elemento della struttura del contratto.

La differenza è del tutto evidente.

Qualificare la consegna del contratto come regola di comportamento, voleva dire attribuire alla mancata consegna rilevanza limitata alla fase esecutiva del contratto, il che poteva dare luogo solo alla risoluzione del contratto o al risarcimento del danno, secondo l’impostazioneseguita dalle sentenze gemelle nn. 26724 e 26725 del 2007 in precedenza citate.

Viceversa, se la consegna entra nella struttura del contratto, la sua mancanza non può che incidere sulla validità del negozio. Secondo questa ricostruzione, quindi, l’art. 23 del TUF rappresenterebbe un’eccezione normativa a tale regola (insieme all’art. 117 TUB e all’art. 67-septiesdecies Codice del Consumo).

In realtà, seguendo l’interpretazione strettamente letterale delle norme sopra indicate, sembra che la Cassazione si sia spinta un po’ oltre il dato normativo.

Ed infatti, solo l’art. 67-septiesdecies Cod. Cons. (norma applicabile solo alla commercializzazione a distanza di servizi finanziari ai consumatori) espressamente afferma che qualora l’intermediario finanziario violi gli obblighi di informativa precontrattuale il contratto è nullo. Differentemente, un’analoga sanzione non è espressamente prevista né dall’art. 23 TUF, né dal 117 TUB, norme che collegano la nullità del contratto solo all’ipotesi di mancata redazione in forma scritta, mentre nulla dicono in caso di mancata consegna del documento.

Proprio per tale ragione la giurisprudenza di merito (e tra questa anche il Tribunale e la Corte di Appello di Napoli), già prima della decisione delle SSUU, avevano sostenuto la tesi della validità del contratto contenente la sottoscrizione del solo investitore, lasciando la consegna al di fuori della struttura del contratto.

Questa conclusione si basava essenzialmente su due ordini di considerazioni: una riguardante la funzione della sottoscrizione, l’altra la funzione della norma di protezione.

Dal primo punto di vista si affermava che, a ben vedere, la sottoscrizione non è un elemento essenziale dell’atto scritto in quanto tale. L’art. 2702 c.c., infatti, non stabilisce che la scrittura privata è quella redatta per iscritto e sottoscritta dalle parti, limitandosi a prevedere solo che la scrittura privata fa piena prova, sino a querela di falso, della provenienza delle dichiarazioni da chi l’ha sottoscritta, se colui contro il quale la scrittura è prodotta ne riconosce la sottoscrizione ovvero se questa è legalmente considerata come riconosciuta. Ne consegue che solo il firmatario dell’atto, non anche la controparte, può togliere la piena efficacia alla scrittura, disconoscendola. D’altronde, quando la Cassazione affermava che la produzione in giudizio del documento non sottoscritto valeva a determinare la conclusione del contratto, sia pure con effetti ex nunc, riconosceva implicitamente l’esistenza comportamenti concludenti che potessero sostituire la sottoscrizione, ferma restando la necessità di un documento scritto.

In secondo luogo,vi sarebbeun’ulteriore ostacolo alla dichiarazionedi nullità del contratto.

Poichè la prescrizione della forma scritta nei contratti bancari dà luogo ad una nullità di “protezione”, non vi è dubbio che la tutela vada accordata solo al soggetto in cui favore essa è stata prevista. E dunque, considerato che il cliente ha certamente avuto la possibilità di leggere il testo contrattuale, tanto da poterlo sottoscrivere, non potrebbe certo dolersi del fatto che non l’avesse sottoscritto la banca. Quest’ultima, infatti, non solo non è destinataria della norma di protezione, ma ha concluso un contratto su propri moduli, dandoneesecuzione per anni.

L’orientamento della giurisprudenza di merito appariva più semplice e lineare, oltre ad avere l’indubbio vantaggio di lasciare inalterata la forma del contratto finanziario. La decisione innovativa delle S.U. è, dunque, arrivata un po’ a sorpresa, attribuendo al contratto una forma “speciale” e “composita”. In ogni caso, allo stato degli atti, il dado è tratto, per cui non vi è dubbio che la giurisprudenza dovrà adeguarsi alla decisione delle S.U. Ciò, tuttavia, comporta una duplice rilevante conseguenza sul piano processuale.

Da un lato, infatti, se la consegna è parte della forma negoziale ed entra a far parte della struttura dell’atto, va necessariamente provata in forma scritta, non essendo possibile desumerla da altri elementi indiretti o presuntivi, né tramite prova testimoniale.

Dall’altro lato, non c’è dubbio che la mancata consegna possa essere eccepita dalla parte o sollevata d’ufficio dal giudice in ogni stato e grado del processo, trattandosi di vizio che (alla stregua dell’assenza del documento scritto) determina la nullità per difetto di forma. Ne consegue, sul piano processuale, che il cliente potrà eccepire la nullità del contratto per non aver avuto la consegna del documento scritto senza subire alcuna decadenza e, dunque, anche in quelle cause nelle quali si era limitato, fino ad oggi, a sostenere la nullità solo per l’assenza della sottoscrizione della banca.

Altra questione rilevante che pone l’interpretazione della sentenza delle S.U. riguarda l’applicabilità del principio di diritto ivi espresso anche ai contratti bancari.

All’indomani della pubblicazione della sentenza qualche commentatore ha ipotizzato, con argomentazioni assai poco convincenti, che il cd. neoformalismo negoziale teorizzato dalla Cassazione fosse applicabile solo ai contratti finanziari e non anche a quelli bancari.

Tale teoria si fonda su un duplice ordine di argomentazioni, entrambe facilmente confutabili.

In primo luogo si sostiene che il contratto quadro finanziario, oggetto della decisione in esame, avrebbe caratteristiche del tutto peculiari e differenti da qualsiasi altro contratto bancario, circostanza che escluderebbe la possibilità di estendere ad essi il principio enunciato dalle S.U. In particolare, tale dottrina osserva che solo al contratto quadro finanziario sarebbe sottesa la necessità di assicurare al cliente le informative precontrattuali inerenti lo svolgimento dei futuri ordini di investimento, esigenza che avrebbe spinto la Cassazione a ritenere che la firma del cliente sul modulo negoziale, accompagnata dalla consegna del documento, soddisfacesse l’onere di forma previsto dall’art. 23 TUF. Viceversa nei contratti bancari, mancando il medesimo rapporto tra contratto quadro e contratti esecutivi, non vi sarebbe la medesima esigenza informativa del cliente, per cui la consegna del documento non potrebbe assolvere alla medesima funzione sostitutiva delineata in materia finanziaria.

Tale argomentazione non è per nulla condivisibile tenuto conto che il TUF è nato dall’esperienza del precedente TUB e da esso ha tratto i principi fondamentali. Entrambe le norme, infatti, sono ispirate all’esigenza di garantire la trasparenza nei rapporti con la clientela, obiettivo da raggiungere attraverso precisi obblighi informativi pre e post negoziali, nonché comportamenti improntati alla correttezza e buona fede nell’esecuzione del rapporto. Anche nei contratti bancari, dunque, vi è l’assoluta necessità di fornire al cliente, prima della conclusione del negozio, tutte le informazioni necessarie per valutare le caratteristiche essenziali del rapporto in termini di vicoli e costi negozialie, dunque, la convenienza finale dell’operazione. In tale ottica è facile osservare come l’art. 23 TUF sia assolutamente sovrapponibile al 117 TUB in quanto entrambe le norme prevedono espressamente, oltre alla redazione per iscritto, anche la consegna del contratto ai clienti.

Va poi considerato che, leggendo le motivazioni della sentenza 898/2018, più volte vi è il riferimento al 117 TUB, norma definita dalla Suprema Corte come “analoga”al 23 TUF, proprio per sottolineare la similitudine tra le due norme e la conseguente possibilità di applicare ad entrambe i medesimi principi giuridici.

Il secondo elemento che distinguerebbe la norma bancaria da quella finanziaria sarebbe rappresentato dalla circostanza che solo in nella prima il legislatore avrebbe previsto la facoltà del giudice di rilevare d’ufficio la nullità (all’art. 127 TUB), mentre le nullità dell’art. 23 TUF potrebbero essere fatte valere solo dal cliente.

Anche quest’affermazione è facilmente confutabile, tenuto conto che già nelle sentenze Travaglino nn. 26242 e 26243 del 2014 le S.U. avevano precisato che tutte le nullità di protezione possono essere rilevate d’ufficio dal giudice, proprio allo scopo di offrire alla parte debole, protetta dalla norma, una tutela maggiore. Rilevata d’ufficio la nullità, spetterà alla parte decidere se avvalersene o meno. Non vi può quindi essere alcun dubbio che anche le nullità di cui all’art. 23 TUF possano essere rilevate d’ufficio dal giudice, anche in assenza di un’esplicita previsione testuale in tal senso.

D’altronde la stessa sentenza 898/2018 nella sua parte finale esprime l’esigenza di enunciare un principio di carattere generale che possa andare oltre il solo TUF e riguardare ogni tipo di nullità speciale relativa. In tale ottica, infatti, le S.U. precisano che “ove venga istituita dal legislatore una nullità relativa, come tale intesa a proteggere in via diretta ed immediata non un interesse generale, ma anzitutto l’interesse particolare, l’interprete deve essere attento a circoscrivere l’ambito di tutela privilegiata nei limiti in cui viene davvero coinvolto l’interesse protetto dalla nullità, determinandosi altrimenti conseguenze distorte o anche opportunistiche”.Questa affermazione di principio è enunciata in generale per ogni nullità relativa e, quindi, può essere applicata per qualsiasi nullità di protezione, sia essa prevista in materia finanziaria o bancaria. Inoltre, leggendo tra le righe tale parte della motivazione, appare chiara la forte critica a quel concetto di “nullità selettiva”, introdotto da Cass. 8395/2016, che molte critiche aveva suscitato tra gli interpreti.

Un’ultima considerazione va fatta sul rapporto tra la forma scritta prevista per la generalità dei contratti della P.A. e la forma scritta dei contratti di intermediazione finanziaria.

Per le pubbliche amministrazioni l’onere di forma scritta risale al R.D. n. 2440 del 1923, art. 17, e, per i Comuni, al R.D. 3 marzo 1934, n. 383, art. 87. Costituisce principio oramai consolidato che trattasi di forma ad substantiam, rilevabile d’ufficio ed eccepibile anche dallacontroparte della P.A., salvo che sulla validità del contratto sia formato un giudicato (Cass.n. 12880/2010, n. 1702/2006).

Qualora la P.A. sottoscriva un contratto di investimento finanziario, come molto spesso avvenuto in questi anni con la corsa ai derivati da parte di molti Comuni, si è posto il problema di quale sia la norma prevalente e, quindi, se l’eventuale nullità del contratto per vizio di forma possa essere fatta valere solo dalla p.a. o anche dalla controparte negoziale.

La prima opzione è stata seguita da alcuni giudicidi merito, mentre di recente la Cassazione ha aderito alla seconda opzione (Cass. Ordinanza 31 maggio – 27 ottobre 2017, n. 25631).

A sostegno della prima tesi si è osservato che, nella logica del t.u.f., laforma scritta costituisce uno strumento di protezione rispetto ai possibili abusi deglioperatori finanziari professionali e non vi sarebbe ragione per disapplicare questi principi, validinei confronti di tutti i soggetti che intrattengono rapporti con gli intermediari finanziari, nelcaso in cui cliente sia una pubblica amministrazione.

Questa osservazione, che fa leva sulla finalità protettiva dell’art. 23 t.u.f., non tiene conto, però, delle ragioni di fondo della forma scritta ad substantiam dei contratti dellapubblica amministrazione. La quale non è volta a tutelare gli interessi sia pure pubblici, masettoriali (cioè inerenti all’ambito delle attribuzioni) di un determinato ente pubblico,quanto gli interessi generali della collettività che soverchiano quelli dell’ente pubblico cheè parte in causa, quale strumento di garanzia del regolare svolgimento dell’attivitàamministrativa e di tutela delle risorse pubbliche, in attuazione dei principi costituzionalidi imparzialità e buon andamento della P.A., a norma dell’art. 97 Cost. (Cass.n. 6555/2014, n. 1702/2006).

Per queste ragioni la Cassazione, nell’ordinanza dell’ottobre 2017,ribadisce che i contrattidella P.A. (ancorchè essa agisca iure privatorum) debbano essere stipulati mediante attiformali, redatti per iscritto dall’organo rappresentativo esterno dell’ente pubblico, munitodei poteri necessari per vincolare l’amministrazione, e dall’altro contraente. Per la medesima ragione, la nullità del contratto privo della forma ad substantiam è rilevabile d’ufficio dal giudice ed è insuscettibile di qualsiasi forma disanatoria, senza possibilità di ravvisarne la stipulazione per facta concludentia o in modoimplicito da singoli atti (Cass. n. 1236/2015, 21477/2013) o di desumere laforma scritta dall’emanazione di una delibera autorizzativa che è atto interno, di naturapreparatoria, inidoneo ad impegnare l’ente (Cass. n. 1167/2013, n. 4532/2008).

Alla luce di tali considerazioni si deve riconoscere la prevalenza del regime della forma scritta ad substantiam che è propria deicontratti della Pubblica amministrazione – con consequenziale rilevabilità d’ufficio dellanullità ed eccepibilità dalla controparte contrattuale –anche quando essa sia parte di un contrattostipulato con un intermediario o operatore finanziario, per il quale il t.u.f. preveda la formascritta, non trovando applicazione l’art. 23, comma 3, t.u.f. secondo il quale la nullità puòessere fatta valere solo dal cliente.

Tuttavia, la forma scritta può dirsiosservata anche con lo scambio di distinte scritture formalizzate e inscindibilmente collegate,entrambe sottoscritte, così da evidenziare inequivocabilmente la formazione dell’accordo.Quest’orientamento – seguito dalla giurisprudenza di legittimità in tema di formazione deinegozi a forma scritta ad substantiam (Cass. n. 15993/2014, n. 7747/1993, n. 12411/1991)e spesso confermato anche con riferimento ai contratti della P.A., nonchè in materia finanziaria e bancaria (Cass. n. 6559/2017, n. 5919/2016) è coerente con la lettera del R.D. n. 2440 del 1923, art. 17, che non prevede che ilvincolo contrattuale sia espresso in un unico documento sottoscritto daentrambi i contraenti.

In conclusione è possibile affermare che, ad eccezione dei contratti sottoscritti da una p.a., il principio di diritto espresso dalle S.U. sia applicabile a qualsiasi contratto bancario o finanziario, la cui forma composita richiede la redazione di un documento scritto, sottoscritto almeno dal cliente e a costui consegnato. L’eventuale nullità per vizio di forma potrà essere fatta valere, in mancanza di uno qualsiasi dei tre elementi, solo “nei limiti in cui viene davvero coinvolto l’interesse protetto dalla nullità”, ossia se il difetto di forma abbia realmente pregiudicato l’interesse del cliente/investitore alla corretta informazione negoziale.