L’introduzione del delitto di femminicidio e gli altri interventi normativi per il contrasto alla violenza nei confronti delle donne e per la tutela delle vittime. Intervista di Alessandro Andronio a Raffaele Piccirillo

La Redazione della Rivista è lieta di intervistare Raffaele Piccirillo, Sostituto procuratore generale presso la Corte di cassazione, particolarmente esperto in materia di reati contro la persona, sul cammino e i contenuti della riforma legislativa volta a introdurre nell’ordinamento il delitto di femminicidio, con una previsione invocata da più voci, ma oggetto di numerose critiche da parte di autorevoli esponenti della dottrina e della magistratura.

Per inquadrare il dibattito sul progetto, si possono sinteticamente richiamare due approcci opposti nel contrasto alla violenza di genere.

Il primo, culturale, sostiene che puntare solo sulla repressione penale è inefficace quando il comportamento criminale nasce da una subcultura radicata: la forza deterrente della pena viene infatti annullata dal contesto sociale che legittima il reato.

Il secondo, penalistico, afferma invece che, quando una cultura diffusa viola i diritti umani, lo Stato deve comunque intervenire con sanzioni: affidarsi soltanto al lento cambiamento culturale significherebbe non proteggere le vittime e permettere agli autori di giustificarsi con il richiamo a comportamenti radicati in retaggi di prevaricazione di tipo tradizionalista-patriarcale.

Lo scopo di questa intervista è provare a comprendere in che misura tali orientamenti, che in linea teorica sembrano partire entrambi da premesse valide, possano integrarsi, a fronte di un fenomeno criminale, che caratterizza da sempre la patologia dei rapporti sociali sotto il profilo del genere, e che ha assunto negli ultimi anni una particolare rilevanza, anche mediatica. Particolare attenzione sarà dedicata alla formulazione delle disposizioni, alla loro rispondenza ad obblighi internazionali, alla loro compatibilità con il sistema costituzionale interno, al loro inserimento nel sistema penale e processuale.

Le domande sono di Alessandro Andronio, che ringrazia Raffaele Piccirillo della disponibilità ad impegnare la sua particolare competenza, anche a nome della redazione.

A che punto è l’iter di approvazione della riforma? Quali sono state le sue fasi e in cosa si differenziano le varie versioni del progetto di legge?

L’iter di approvazione della riforma si è concluso con l’approvazione della Legge n. 181 del 2 dicembre 2025 (Introduzione del delitto di femminicidio e altri interventi normativi per il contrasto alla violenza nei confronti delle donne e per la tutela delle vittime), che è entrata in vigore il 17 dicembre. La legge contiene dodici articoli. L’articolo 3 reca modifiche del codice di procedura penale, in tema di: attribuzione al giudice monocratico della competenza a decidere sul delitto di maltrattamenti; avvisi spettanti alla persona offesa; comunicazioni dovute alla persona offesa per i casi di evasione e scarcerazione dell’autore del reato; diritti e facoltà delle associazioni rappresentative degli interessi lesi dal reato; intercettazioni telefoniche e ambientali; presunzioni cautelari; allontanamento dalla casa familiare e divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa; procedura di riesame e appello cautelare; sequestro conservativo; assunzione di informazioni dalle persone offese dei reati in oggetto; patteggiamento; regole dell’esame testimoniale; statuizioni risarcitorie del giudice penale; esecuzione delle pene detentive; informazioni e trasmissione di atti al giudice civile e al tribunale per i minorenni. L’art. 5 reca modifiche all’ordinamento penitenziario, nel senso dell’irrigidimento dei requisiti per accedere alle misure alternative e ai permessi premio.

Altri articoli sono dedicati ai temi della formazione specialistica degli operatori (magistrati, medici), alla sensibilizzazione dei cittadini e degli studenti, alle linee guida per il contrasto al fenomeno, quando collegato alla tossicodipendenza, all’accesso delle vittime minorenni ai centri anti-violenza, all’accesso delle vittime al patrocinio a spese dello Stato.

La legge riflette, sostanzialmente, i contenuti del disegno di legge AC n. 2528 che modifica la proposta originaria presentata con AS n. 1433.

Come anticipato, il DDL 2528, approvato dal Senato nella seduta del 23 luglio 2025, è il risultato di una modifica del precedente DDL 1433 del 2025. Quali erano le criticità del precedente disegno di legge? L’attuale formulazione della fattispecie di reato è idonea ad eliminare tali criticità?

Sul piano delle determinatezza, il testo approvato («chiunque cagiona la morte di una donna quando il fatto è commesso come atto di odio o di discriminazione o di prevaricazione o come atto di controllo o possesso o dominio in quanto donna, o in relazione al rifiuto della donna di instaurare o mantenere un rapporto affettivo o come atto di limitazione delle sue libertà individuali è punito con la pena dell’ergastolo») rappresenta indubbiamente un miglioramento rispetto a quello originariamente proposto («chiunque cagiona la morte di una donna, quando il fatto è commesso come atto di discriminazione o di odio verso la persona offesa in quanto donna o per reprimere l’esercizio dei suoi diritti o delle sue libertà o, comunque, l’espressione della sua personalità, è punito con l’ergastolo»). In buona sostanza, si recepiscono alcuni suggerimenti formulati da quella parte della dottrina che ha manifestato maggiori aperture verso l’intervento[1]. Intervento che ha, invece, incontrato nette chiusure in altri commentatori, a partire da Giovanni Fiandaca[2], autore di un vero e proprio appello ai colleghi, con i quali li invita a insorgere contro quello che ha definito «un intervento ansiolitico sociale…simbolico promozionale», improntato ad una declinazione in chiave «psicologistica e moraleggiante», malfermo sul piano dell’affidabile possibilità probatoria. È significativo che, tra i critici più severi, si siano schierate anche decine di professoresse di diritto penale, firmatarie di un manifesto (redatto, invero, quando si discuteva della proposta originaria), ove si manifestano perplessità sulla scommessa che «la minaccia della pena dell’ergastolo sia in grado di far desistere dall’azione criminosa colui che non abbia interiorizzato il valore della libertà femminile e il principio del rispetto della persona»[3]. Detto questo, è indubbio che il riferimento alla relazione tra l’atto violento e il «rifiuto della donna di instaurare o mantenere un rapporto affettivo», presenti un coefficiente di comprensibilità e provabilità più alto della generica formula «quando il fatto è commesso come atto di discriminazione o di odio verso la persona offesa in quanto donna o per reprimere l’esercizio dei suoi diritti o delle sue libertà o, comunque, l’espressione della sua personalità». Analoga osservazione si può formulare per il riferimento all’esercizio della violenza come «atto di controllo, possesso o dominio» che recepisce un suggerimento della prof. Massaro, audita dalla Seconda Commissione Giustizia del Senato il 20 maggio 2025. Più difficile da comprendere è come la soppressione di una donna possa non integrare «un atto di limitazione delle sue libertà individuali»; e dal fatto che questo requisito è declinato in termini alternativi rispetto alle altre tipologie di condotta discendono una scarsa capacità selettiva della fattispecie rispetto all’omicidio comune e una più debole giustificazione del divario sanzionatorio.

Quali sono le altre principali disposizioni sostanziali, che vengono in rilievo? Come si collocano nel contesto generale della riforma?

Con il primo comma dello stesso art. 572 c.p., il legislatore stronca un dibattito giurisprudenziale in corso sul tema della possibilità di configurare il delitto di maltrattamenti tra coniugi o conviventi separati che hanno però dei figli in comune, estendendo esplicitamente la configurabilità del reato all’ipotesi del soggetto «non più convivente, nel caso in cui l’agente e la vittima siano legati da vincoli nascenti dalla filiazione».

Le altre disposizioni sostanziali consistono essenzialmente nell’incremento del già lungo elenco di aggravanti ad effetto speciale che caratterizza i delitti considerati.

La nuova aggravante colpisce i maltrattamenti commessi «come atto di odio o di discriminazione o di prevaricazione o come atto di controllo o possesso o dominio in quanto donna, o in relazione al rifiuto della donna di instaurare o mantenere un rapporto affettivo o come atto di limitazione delle sue libertà individuali». Nella frettolosa opera di trasformazione in aggravante delle caratteristiche del delitto di femminicidio, il legislatore ha incluso il caso della reazione al rifiuto di instaurare una relazione affettiva che, in verità, difficilmente si ambienta in una fattispecie di maltrattamenti che, almeno nella sua dimensione familiare, presuppone un rapporto di convivenza, la cui necessità e lettura restrittiva è fortemente sottolineata dalla giurisprudenza più recente. Confrontata con l’ordinaria manifestazione di questo delitto, colpisce la circostanza che «atti di controllo o possesso o dominio» costituiscono statisticamente le forme più frequenti di integrazione del reato che, per effetto della nuova disposizione, divengono aggravate.

Nei medesimi termini sono declinate nuove aggravanti ad effetto speciale per i delitti di lesioni (art. 585 c.p.), interruzione di gravidanza non consensuale (art. 593-ter c.p.), violenza sessuale (art. 609-ter c.p.), atti persecutori (art. 612-bis c.p.) e diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti (art. 612-ter c.p.).

Anche rispetto agli atti persecutori può pronosticarsi l’ampia applicazione delle nuove aggravanti, posto che la finalizzazione al controllo/possesso/dominio rappresenta statisticamente un’evenienza quasi ordinaria nella manifestazione criminologica e nella contestazione giudiziaria di questi tipi di reato.

Quali sono le principali disposizioni processuali?

L’art. 3 contiene le innovazioni processuali, che sono raggruppabili intorno ai seguenti nuclei[4].

  1. Attribuzione al giudice monocratico della cognizione dei reati di maltrattamenti aggravati dalla cd. violenza assistita o in danno di minori (oggi assegnata al tribunale collegiale) e dalla nuova aggravante di genere; dei reati di revenge porn, sebbene la pena risultante dall’applicazione della nuova aggravante ad effetto speciale possa assurgere ad anni dieci di reclusione. Sul punto, sembra essere stata recepita una proposta dall’Associazione Nazionale Magistrati[5] che aveva rilevato come l’incremento sanzionatorio avrebbe determinato un aggravio del carico dei collegi. La ragione organizzativa sembra aver avuto la meglio sulla preoccupazione, a mio parere fondata, sollevata dall’Avvocatura per l’assegnazione al giudice monocratico della responsabilità di irrogare pene potenzialmente assai elevate. Per altro verso, è singolare che la manovra di incremento delle attribuzioni monocratiche non abbia interessato il delitto di atti persecutori, sebbene l’impatto statistico della nuova aggravante sul carico di lavoro dei collegi possa presumersi assai rilevante.
  2. Interventi sulla fase delle indagini preliminari, con svilimento della previsione, a mio parere opportuna, di assicurare l’audizione della persona offesa da parte del Pubblico ministero entro tre giorni dall’iscrizione. L’intervento si muove nel senso della formalizzazione di una prassi di delegabilità dell’audizione in parola con decreto motivato, non meglio specificato nei suoi presupposti e contenuti, con la sola eccezione del delitto di atti persecutori corredato della nuova aggravante di genere. Anche sul punto sembrano recepite le proposte dell’Associazione Nazionale Magistrati, con svuotamento di senso di una disposizione che era intesa ad assicurare l’immediato contatto del dominus delle indagini con la vittima e la formazione di un primo convincimento sui margini di sviluppo della notitia criminis. Sul tema interviene pure l’art. 10 della nuova legge, che estende le ipotesi di revoca dell’assegnazione del fascicolo da parte del Procuratore della Repubblica al caso del sostituto che, nelle indagini su reati da Codice rosso, non osserva le disposizioni dell’art. 362, c. 1-ter, c.p.p.
  3. Interventi sulla disciplina delle intercettazioni, con inclusione dei reati da codice rosso, aggravati ai sensi delle nuove disposizioni, tra le eccezioni alla regola generale della durata massima di 45 giorni, salva l’emersione di elementi specifici e concreti che rendano assolutamente indispensabile la prosecuzione. Correttamente si è rilevata la costruzione di un nuovo “binario”, intermedio tra i reati comuni, assoggettati alla disciplina cd. Zanettin e i reati di criminalità organizzata, per i quali la deroga alla disciplina ordinaria è più articolata.
  4. Interventi sul sistema delle misure cautelari personali con: inserimento dei delitti di cui agli artt. 572, 612-bis e 612-ter c.p. nel catalogo delle disposizioni derogatorie rispetto al divieto di applicazione della misura nel caso di prognosi sanzionatoria infra-triennale e tra le fattispecie per le quali vige una presunzione relativa di esclusiva adeguatezza delle misure custodiali, superabile soltanto nel caso di comprovata sufficienza di altre misure a presidiare i pericoli per la vita e l’incolumità della persona offesa; incremento della distanza minima da osservare nel caso di applicazione del divieto di avvicinamento alla persona offesa da cinquecento a mille metri; previsione dell’obbligo di comunicare alla persona offesa i provvedimenti giudiziali che autorizzano il distacco provvisorio del braccialetto elettronico e i provvedimenti di revoca o annullamento delle misure impugnate innanzi al Tribunale della libertà in sede di riesame o di appello.
  5. Interventi sul sequestro conservativo, con attribuzione al pubblico ministero della legittimazione ad attivarsi anche a tutela dei crediti risarcitori delle vittime dei reati da codice rosso, con incremento della legittimazione già riconosciuta nel 2018 per i crediti dei figli delle vittime di omicidio commesso dal partner o ex-partner.
  6. Interventi sul patteggiamento, con la previsione dell’onere della parte istante di notificare, a pena di inammissibilità, la richiesta extra-giudiziale alla persona offesa e dell’obbligo per l’ufficio giudiziario di informare la stessa dell’udienza fissata per la definizione del patteggiamento in corso di indagini: previsione oggi (opportunamente) depurata, su sollecitazione della Magistratura e dell’Avvocatura, dell’obbligo per il giudice di dar conto delle ragioni di scostamento dalle deduzioni della persona offesa relative alla qualificazione giuridica del fatto e al bilanciamento tra circostanze; obbligo che avrebbe rappresentato un rischio di interferenza in ambiti riservati all’esclusivo esercizio del potere pubblico.
  7. Interventi sulle regole dell’esame testimoniale in dibattimento, con precisazione, circoscritta ai reati di genere, del divieto di domande o contestazioni potenzialmente lesive della dignità e del decoro della persona offesa o suscettibili di determinarne la vittimizzazione secondaria. Una norma di orientamento culturale degli attori del processo – si è detto – da un lato simbolica (poste le potenzialità del già vigente art. 499 c. 6 c.p.p.), dall’altro necessitante di contemperamento con la previsione dell’art. 194 c. 2 c.p.p., che consente domande sulla personalità della vittima quando il fatto dell’imputato debba essere valutato in relazione al comportamento di questa.

Veniamo ora ai possibili rilievi critici. È vero che l’introduzione del delitto di femminicidio è imposta da obblighi sovranazionali o, invece, le fonti e la giurisprudenza sovranazionali sono neutre rispetto a una tale nuova previsione?

Ho letto alcuni lavori dei sostenitori della riforma[6] e devo dire che, su questo punto, non mi convincono. Le fonti sovranazionali citate sicuramente riconoscono la cosiddetta prospettiva di genere ed elaborano anche delle definizioni incentrate sulla possibile e frequente asimmetria del rapporto tra i sessi. Altrettanto sicuramente da queste fonti può trarsi un’indicazione nel senso della necessaria efficacia e dissuasività delle sanzioni. È silente sul punto la Convenzione di Istanbul del 2011 e non mi pare che la recente Direttiva 2024/1385 del 14 maggio 2024 contenga un espresso obbligo di incriminazione autonoma del femminicidio. La Direttiva menziona il femminicidio unicamente nel Considerando 9 per definire il concetto di violenza contro le donne. Non mi pare pertinente il richiamo della decisione della Corte Edu, 2.3.2027, Talpis c. Italia che richiama, in maniera cursoria e senza alcuna raccomandazione, due disegni di legge del tempo, «intesi a contribuire alla risposta globale alla lotta contro la violenza sessista». Non stabiliscono veri e propri obblighi neppure le raccomandazioni emanate da alcuni organismi internazionali come il Comitato per l’eliminazione della discriminazione contro le donne nel suo Rapporto sull’Italia del 2024. Quanto questa materia sia problematica lo dice il recente intervento della Corte costituzionale in materia di abolizione dell’abuso di ufficio, dove – pure a fronte di un effettivo vuoto di tutela (che non c’è nel caso del femminicidio) – si è escluso che un mero obbligo di considerazione dell’eventualità di punire una condotta, qual è quello contenuto nella Convenzione di Merida sulla corruzione, possa istituire un vero e proprio obbligo di incriminazione, la cui violazione possa essere costituzionalmente rilevante. A maggior ragione, questo discorso vale quando nessuna previsione convenzionale esiste sul punto. Sicuramente lo scenario internazionale può rendere plausibile e non ostacola l’introduzione del nuovo delitto, senza però vincolare lo Stato, né esonerarlo dalla valutazione della sufficienza degli strumenti già esistenti, che rappresenta una misura doverosa di igiene politico-criminale.

A livello di comparazione penale, quali altri ordinamenti nazionali hanno specifiche previsioni (fattispecie di reato, circostanze aggravanti o quant’altro) in materia di femminicidio?

Dal dossier predisposto in sede parlamentare emerge che, in Europa, il termine femminicidio (coniato dalla sociologa americana Diana Russel e sviluppato dall’antropologa Marcela Lagarde) ricorre negli ordinamenti cipriota (dal 2022), maltese (dal 2022), croato (2024), belga (2023). In America Latina vi sono previsioni dedicate nell’ordinamento brasiliano (2015), messicano (2007), costaricano (2007), guatemalteco (2008), cileno (2020), salvadoregno (2010), peruviano (2011), nicaraguense (2012), boliviano (2013). Nell’ambito delle diverse definizioni, ricorrono alcune costanti: il riferimento alla relazione tra vittima e aggressore (partner); la motivazione di genere, qualche volta espressamente estesa alla misoginia e con norme definitorie piuttosto puntuali. Si pensi alla definizione messicana, che fa riferimento alla presenza di segni di violenza sessuale, ad antefatti di violenza familiare, scolastica o in ambito lavorativo, nonché alla preesistenza di una relazione affettiva o fiduciaria o di una condizione di segregazione della vittima; o a quella belga, che annovera quattro diverse ipotesi (femminicidio intimo, femminicidio non intimo, femminicidio indiretto, che è poi un omicidio preterintenzionale scaturito da pratiche di violenza sulla donna, omicidio di genere, che ingloba omicidi discriminatori ad ampio spettro). Le definizioni sudamericane si caratterizzano per elementi strettamente collegati a quei contesti socio-culturali: per esempio, il riferimento alla causa d’onore (che figura anche nella definizione maltese), o alla commissione del fatto nel contesto di “rituali di gruppo” o all’esposizione del corpo della vittima in luogo pubblico (che caratterizza la definizione messicana). Correttamente si è osservato, soprattutto con riferimento alle legislazioni sudamericane, che il livello domestico di gravità del fenomeno, per quanto allarmante, non è tale da giustificare la nuova incriminazione come potrebbe esserlo nei Paesi dell’America del Sud, ove è pure decisamente meno efficiente la risposta punitiva[7]. È interessante – ed è stata da più commentatori richiamata – l’esperienza della Spagna, dove la Ley organica del 2004 si limita a introdurre alcune aggravanti per la violenza di genere, recentemente definita dalla giurisprudenza spagnola come elemento di contesto (reato inquadrato nel contesto di una concezione riprovevole impiantata in ambiti culturali o sociali di predominio maschile sulla donna), facendone conseguire – oltre che incrementi sanzionatori per i delitti di maltrattamenti, lesioni, minaccia – alcune necessarie (e già previste dal nostro ordinamento) condizioni per la sospensione della pena, la revoca della stessa in caso di violazione, limitazioni per la concessione dei lavori di pubblica utilità sostitutivi. Per il resto, l’ordinamento punta su misure di protezione, formazione, informazione, aiuto alle vittime, con investimenti rilevanti che hanno prodotto, secondo le statistiche più recenti, una riduzione del 30% dei casi di femminicidio[8].

Un secondo rilievo critico: si può ritenere che la nuova previsione del reato di femminicidio presenti problemi di costituzionalità, per violazione del principio di uguaglianza, attraverso la sostanziale introduzione di un “tipo di autore” e di un “tipo di vittima”, corrispondenti al genere maschile e a quello femminile?

Mi riporto a quanto ho prima osservato. È essenziale per la tenuta costituzionale della fattispecie differenziata che la giustificazione non risieda nel mero genere della vittima. Il dato statistico che vede gli omicidi di donne non interessati dalla riduzione progressiva che caratterizza gli altri omicidi non può giustificare, di per sé, la distinzione sanzionatoria. Neppure può giustificarla la particolare efferatezza di alcuni dei crimini più recenti o la matrice sottoculturale delle condotte che emergono dai processi (valorizzata, per esempio, da C. Pecorella in un suo contributo recente[9]). Diversamente problematico è il riferimento alla vittima «in quanto donna» perché non sempre riflette la realtà fenomenica che si è inteso disciplinare. I femminicidi che hanno avuto maggiore risalto sui mezzi di comunicazione si segnalano per il fatto di avere un bersaglio ben determinato: non la donna in quanto tale, ma quella donna “che mi ha rifiutato o ha interrotto una relazione”. È pure difficile spiegare, in termini costituzionali, perché l’omicidio motivato dal rifiuto di intraprendere e mantenere una relazione debba essere punito più gravemente se commesso nei confronti di una donna. Volendo assecondare una prospettiva di intervento sui flussi contingenti di incidenza del fenomeno e di tutela di soggetti presuntivamente vulnerabili, si può aggiungere un rischio di discriminazione rispetto ad altre categorie esposte, come le vittime omosessuali o LGBTQ.

Un terzo rilievo critico: si può ritenere sproporzionata alla gravità del fatto la previsione dell’ergastolo? L’ordinamento fornisce in concreto i meccanismi per mitigare, eventualmente, tale previsione?

Un segnale importante arriva dalla sentenza della Corte costituzionale n. 197 del 2023 che, dichiarando incostituzionale il divieto per il giudice di dichiarare prevalenti le attenuanti generiche e quella della provocazione sull’aggravante dell’omicidio commesso in contesti familiari, ha affermato che «Il principio della “personalità” della responsabilità penale, sancito dal primo comma dell’art. 27 Cost., richiede che la pena applicata a ciascun autore di reato costituisca una risposta – oltre che non sproporzionata – il più possibile “individualizzata”, e dunque calibrata sulla situazione del singolo condannato» e che «In materia di commisurazione della pena, il divieto di irragionevoli equiparazioni di trattamento tra situazioni tra loro dissimili derivante dall’art. 3 Cost. deve essere letto alla luce del principio di “personalità” della responsabilità penale sancito dall’art. 27, primo comma, Cost., il quale esige che la pena costituisca una risposta il più possibile “individualizzata” rispetto alla situazione del singolo condannato». Più recentemente la Corte (cfr. Corte cost. sent. n. 85, 20 maggio – 20 giugno 2025) è intervenuta sull’art, 583-quinquies c.p., introdotto dalla legge n. 69 del 2019, per affermarne l’illegittimità costituzionale, nella parte in cui non prevede che la pena da esso comminata è diminuita in misura non eccedente un terzo quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell’azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità e nella parte in cui dispone «comporta l’interdizione perpetua», anziché «può comportare l’interdizione». Vero è che la legge n. 181 del 2025 non prevede un divieto di prevalenza delle attenuanti sulle aggravanti previste dagli artt. 576 e 577 c.p. ma soltanto dei limiti di riduzione (non meno di anni 24 nel caso di concorso con un’unica attenuante; non meno di anni quindici nel caso di concorso con più attenuanti). Resta però problematico che, a fronte di casi potenzialmente assai dissimili sul piano dei motivi e delle concrete modalità della lesione, sia previsto l’ergastolo come pena fissa e che le eventuali riduzioni incontrino limiti rigidamente prefissati. Il fatto che l’ordinamento conosca già delitti puniti con l’ergastolo come pena fissa (artt. 630, 613-bis c.p.) non basta a rassicurare di fronte a quello che deve leggersi, al di là del formale ossequio per la discrezionalità legislativa, come un ripetuto monito rivolto dalla Consulta al legislatore, affinché non ostacoli le prestazioni giudiziarie del principio di proporzionalità, che impone ogni sforzo di personalizzazione del trattamento sanzionatorio. Detto questo, l’estremo rigore delle previsioni sanzionatorie dovrebbe suggerire particolare cautela nell’interpretazione dei requisiti di fattispecie, soprattutto quando questi presentano elevati coefficienti di discrezionalità, come la finalità di limitazione delle libertà della vittima, e dovrebbe consigliare una certa apertura nel riconoscimento delle attenuanti generiche, da concepirsi come meccanismo di adeguamento della sanzione alla concreta gravità del fatto: una potenzialità da sfruttare al massimo quando le previsioni edittali suonano indiscriminatamente draconiane.

In quarto luogo, si pone un problema di tassatività? La fattispecie è descritta in modo sufficientemente preciso e determinato?

Come osservato dai primi analisti[10], la fattispecie comprende nove tipologie di condotta raggruppate in tre macro-aree alternative. Le meno problematiche sul piano della tassatività sono quelle che sanzionano l’uccisione come atto di odio/discriminazione/prevaricazione/controllo/dominio/possesso della donna “in quanto donna”. Sono meno problematiche perché l’esperienza applicativa dell’aggravante discriminatoria ha contribuito a riempire di contenuto queste categorie, anche se sarebbe bastato, a tal fine, estendere il testo dell’art. 604-ter c.p. per includervi la discriminazione di genere, magari non con esclusivo riferimento alle donne. Chiude il cerchio la terza macroarea, quella dell’uccisione come atto di limitazione della libertà individuale della vittima perché non si comprende come la soppressione possa non implicare detta limitazione. Ed allora, il fatto che tra le condotte alternative integranti il femminicidio rientri un’ipotesi assai scarsamente selettiva mette in crisi tutto il sistema.

Un rilievo critico di carattere più sistematico è quello relativo alla funzione dell’incriminazione del femminicidio. È giusto attribuire al diritto penale una funzione di orientamento dei comportamenti sociali con effetto preventivo?

Il diritto e il processo penale hanno insita anche una funzione simbolica. La prevenzione generale significa, oltre che deterrenza, anche rinsaldamento dei valori lesi dal reato presso la comunità disorientata (cd. prevenzione-integrazione); la pubblicità del processo e i suoi riti rispondono anche a questa finalità. Il problema si pone quando la funzione è soltanto simbolica, quando cioè si affida all’incremento dei delitti e delle pene il compito di risolvere il problema delle cause. Le scelte politico criminali (come e più di altre scelte legislative) dovrebbero essere guidate e suffragate dall’analisi empirica. Il confronto con l’esistente ci dice che esistono già le condizioni normative per punire anche con l’ergastolo i femminicidi più efferati (aggravanti della premeditazione e dei motivi futili o abietti, aggravanti relazionali connesse al rapporto coniugale, di stabile convivenza o affettiva) e che questo accade nella pratica frequentemente. Il fatto che, talvolta, la pena perpetua non venga applicata o, se applicata in primo grado, venga riformata per l’esclusione di determinate aggravanti (per esempio, premeditazione o crudeltà) può disorientare i consociati, che non colgono le tecnicalities ma leggono i concetti nella loro accezione comune. Un altro stimolo di consimili interventi è costituito dalle precomprensioni e pregiudizi rivelati da alcune motivazioni, integralmente o parzialmente assolutorie dei giudici di merito, che peraltro non sempre sono correttamente tradotte dagli organi di informazione e non necessariamente implicano l’ingiustizia delle decisioni, che magari “tengono” anche a prescindere da certi impropri giudizi di valore (da evitare in generale, posta la laica sobrietà che deve ispirare l’esercizio della giurisdizione). Questi fenomeni, a mio parere, non bastano a giustificare continui interventi correttivi del legislatore. Parlando della crescita esponenziale delle incriminazioni riconducibili al terrorismo, che ha accompagnato i diversi attentati di matrice islamica succedutisi dal 2001 al 2015, un autore ha parlato di “reati di assoluzione”, per stigmatizzare la tendenza legislativa a coprire quei comportamenti che, alla resa giudiziaria, si erano rivelati non inclusi nelle fattispecie vigenti per ragioni di determinatezza del precetto o di offensività della condotta. Naturalmente il nostro caso è meno grave perché non comporta anticipazioni delle soglie di tutela. Il metodo però inquina la coerenza e la razionalità del sistema. Aggiungerei una riflessione empirica che riguarda il nostro fenomeno. Molti dei casi assurti agli onori delle cronache vedono protagonisti soggetti che – per estrazione culturale, fragilità psicologica, disturbo ossessivo – non si farebbero dissuadere dall’incrudelimento del messaggio punitivo. Non voglio dire che si tratti di soggetti meritevoli di indulgenza, non imputabili o semi-imputabili o che la gelosia e l’ossessione debbano essere premiate con delle attenuanti. Voglio dire che le modalità maldestre delle condotte omicidiarie rivelano, talvolta con evidenza, la piena accettazione del rischio di essere catturati e severamente puniti, come già accadeva con le previsioni anteriori alla legge in commento. E allora non si comprende quale valore aggiunto possa esprimere sul piano general-preventivo l’incremento sanzionatorio o la tipizzazione autonoma del reato di femminicidio.

Quali sono gli ulteriori rilievi critici che possono essere rivolti alla riforma?

Come osservato dalle Camere penali[11], il principale mi pare risieda nell’art. 14 che contiene la cd. clausola di invarianza finanziaria. Quella clausola vuol dire che, more solito, il legislatore punta tutto sulla reazione repressiva e non prende sul serio le (costose) misure formative e informative pure previste da questa e da altre leggi in tema di cd. Codice rosso. Un atteggiamento antitetico rispetto al modello spagnolo che ha fatto registrare i successi di cui ho detto.

In conclusione, l’approccio penale-punitivo e l’approccio culturale-preventivo sono da considerare alternativi o possono essere conciliati?

Non possono ma devono essere conciliati. Dissento perciò dall’ostilità manifestata da alcuni esponenti della maggioranza di governo per l’incremento dell’educazione sessuale/affettiva nelle scuole, anche a prescindere dal consenso dei genitori, posto che è proprio nelle famiglie dissenzienti che potrebbero annidarsi i residui più pericolosi di cultura patriarcale. Mi pare che, preoccupato dal rischio che si diffonda la cd. cultura gender (che spesso è soltanto una cultura dell’inclusione e del rifiuto della discriminazione fondata sull’orientamento sessuale), il Governo rischi di riconsegnare l’educazione relazionale dei ragazzi alla visione mercificante dei siti pornografici. Correttamente si è osservato che il femminicidio è un crimine di potere, radicato nella cultura della superiorità del maschio o nell’incapacità di accettare il rifiuto e l’autodeterminazione della donna[12]. E allora la risposta, in un contesto normativo già iper-attrezzato sul piano repressivo, non può che essere culturale, non potendosi accettare la rassegnata (ed invero anche scientificamente infondata) visione ministeriale che iscrive la cultura prevaricatoria nel cd. codice genetico del maschio, così alludendo all’irrisolvibilità del problema culturale. Aggiungerei la necessità di captare con immediatezza i segnali della violenza e della sua possibile degenerazione, attraverso la sensibilizzazione delle scuole, delle parrocchie, dei medici di famiglia, degli ospedali, e l’urgenza impellente di attrezzare la sanità territoriale per intercettare tempestivamente e adeguatamente il disagio mentale, che mi pare la vera emergenza dei nostri tempi e che, spesso, concorre a innescare la violenza sulle donne e anche altre manifestazioni estreme.

In un noto recente caso di femminicidio, l’imputato è stato condannato all’ergastolo in via definitiva, sulla base del quadro normativo attuale. In sintesi, quale è, a legislazione vigente – dunque, prima dell’entrata in vigore della riforma – il trattamento penale di una condotta che presenti le caratteristiche del “femminicidio”? Di conseguenza, quali delle nuove previsioni sono realmente innovative e quali, invece, devono essere ritenute sostanzialmente superflue?

C’è uno studio recentemente pubblicato da una ricercatrice milanese[13] che, analizzati dieci casi trattati dalla Corte d’assise di Milano nell’ultimo quinquennio, perviene alla conclusione che in cinque di essi era stata comunque irrogata la pena dell’ergastolo sulla base delle aggravanti introdotte dalla cosiddetta legge sul Codice rosso del 2019; in altri tre, nei quali erano state riconosciute le attenuanti generiche, sono state irrogate pene coincidenti o poco distanti da quelle consentite dalla nuova disposizione; in altri due (dove erano state irrogate pena sensibilmente inferiori) probabilmente non sarebbe stato possibile applicare la nuova fattispecie: si trattava dell’omicidio di una sex worker commesso nell’ambito di un regolamento di conti tra bande criminali e dell’omicidio della suocera determinato da un forte stato depressivo correlato allo stato di invalidità e alla necessità di costante accudimento della vittima e della figlia (moglie dell’imputato): due contesti che paiono estranei sia alla motivazione dell’odio di genere che alla volontà di controllo, possesso, dominio. Più in generale, statistiche recenti rilevano, in Italia, un incremento delle condanne all’ergastolo anche per questi crimini: una pena da tempo bandita da alcuni ordinamenti (per esempio, quello spagnolo) e altamente problematica in rapporto alla funzione rieducativa consacrata dall’art. 27, soprattutto quando si complica l’accesso alla liberazione condizionale e alle misure alternative, come accade con l’ampliamento del catalogo di cui all’art. 4-bis, c. 1-quater, dell’ordinamento penitenziario e con il divieto di concessione delle pene sostitutive ex art. 59 della legge n. 689 del 1981, previsti dalla legge n. 181 del 2025.


[1] A. Massaro, Riflessioni sul disegno di legge in materia di femminicidio, in Sist. Pen., 25.6.2025.

[2] G. Fiandaca, Cari Prof. di diritto penale, è ora di protestare contro il delitto di femminicidio, in Sist. Pen., 14.3.2025.

[3] Elena Mattevi, Ilaria Merenda, Kolis Summerer, Silvia Tordini Cagli, Valeria Torre, Cecilia Valbonesi, Maria Virgilio, Anna Costantini, Malaika Bianchi, Lucia Risicato, Valentina Badalamenti, Costanza Bernasconi, Annamaria Peccioli, Mariavaleria del Tufo, Gilda Ripamonti, Monica Tortorelli, Chiara Perini, Sofia Braschi, Licia Siracusa, Debora Provolo, Francesca Rocchi, Margareth Helfer, Caterina Paonessa, Anna Maria Maugeri, Emma Venafro, Francesca Curi, Rosa Palavera, Valentina Masarone, Antonia Menghini, Rosaria Sicurella, Marta Lamanuzzi, Gaetana Morgante, Valeria Scalia, Tiziana Vitarelli, Matilde Botto, Daria Perrone, Stefania Sartarelli, ,Simona Raffaele, Alessandra Szegö, Anna Lisa Maccari Biagi, Francesca Moro, Lucrezia Franceschetti, Sara Riccardi, Maria Federica Carriero, Chiara Silva, Eliana Reccia, Sofia Regini, Antonella Merli, Rebecca Girani, Cristina de Maglie, Claudia Cantisani, Arianna Visconti, Clara Rigoni, Marina Di Lello Finuoli, Simona Tigano, Eliana Greco, Maria Giovanna Brancati, Lucia Maldonato, Alice Ferrato, Marta Bertolino, Sara Prandi, Lara Ferla, Antonella Pirrelli, Maria Teresa Collica, Maria Beatrice Mirri, Maria Teresa Trapasso, Emanuela Fronza, Silvia Massi, Amalia Orsina, Teresa Travaglia, Priscilla Bertelloni, Piacenza Filomena Pisconti, Kelly Mae Smith, Francesca Consorte, Magdalena Cogo, Alice Savarino, Maristella Amisano, Il reato di femminicidio presentato dal Governo: le ragioni della nostra contrarietà, in Sist. Pen., 28.5.2025.

[4] F. Lazzeri, In G.U. la legge 2. Dicembre 2025, n. 181 (cd. legge sul femminicidio): una panoramica dei profili penalistici e processuali, in Sist. Pen., 3.12.2025.

[5] ANM, Parere sul disegno di legge C.2528 in materia di Introduzione del delitto di femminicidio e altri interventi normativi per il contrasto alla violenza nei confronti delle donne e per la tutela delle vittime, in Sist. Pen., 30.5.2025, con il titolo D.d.l. in materia di femminicidio: il parere dell’ANM (Commissione Diritto e Procedura penale).

[6] F. Menditto, Riflessioni sul delitto di femminicidio, in Sist. Pen., 2.4.2025; P. Di Nicola Travaglini, Il femminicidio esiste ed è un crimine del potere, in Sist. Pen., fasc. n. 5/2025.

[7] M. Donini, Perché non introdurre un reato di femminicidio che c’è già, in Sist. Pen., 18.3.2025.

[8] R. Cavaglià, Violenza di genere, cosa possiamo imparare dalla Spagna, inDomani, 14 febbraio 2025.

[9] C. Pecorella, Perché può essere utile una fattispecie di femminicidio, in Sist. Pen., 2.6.2025.

[10] E. Corn, Il reato di femminicidio nel codice penale italiano: cronaca di una controversia annunciata, in Sist. Pen., 12.12.2025.

[11] UCPI, Commissione Giustizia Camera dei deputati, Osservazioni al DDL C2528 intitolato “Introduzione del delitto di femminicidio e altri interventi normativi per il contrasto alla violenza nei confronti delle donne e per la tutela delle vittime.

[12] P. De Nicola, Il femminicidio esiste ed è un crimine del potere, in Sist. Pen., fasc. n. 5/2025

[13] C. Pasini, Il nuovo delitto di femminicidio: alcune riflessioni sulla proposta di legge alla luce di un’indagine empirica sulla recente giurisprudenza dell

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