Lo “stagismo”: risorsa per gli uffici e/o percorso formativo individuale di Maria Silvia Giorgi

L’introduzione dell'”ufficio del processo” o dell'”ufficio del giudice”, quale modello organizzativo, costituisce una rivendicazione storica della magistratura che prende corpo in un ambito culturale proprio della metà degli anni duemila, grazie alla presentazione del disegno di legge n. 2873 del 5 luglio del 2007 (c.d. d.d.l. Mastella), nel quale, per la prima volta, si delineava sul piano normativo la struttura organizzativa dell”’Ufficio per il Processo“: si trattava di un progetto di legge consapevole della necessità di un approccio organizzativo nuovo all’annoso problema della durata dei processi e della necessità di smaltire l’arretrato, che risolvesse uno dei mali più antichi e radicati della giurisdizione in Italia, quello della solitudine del giudice, chiamato a risolvere problemi giuridici delicati e problemi organizzativi immani, rapporti con terzi qualificati (avvocati, periti, consulenti, ausiliari vari) e rapporti con il pubblico e con i mass media, e contemporaneamente costretto a svolgere una moltitudine di incombenze non particolarmente qualificate, che poco hanno a che vedere con l’essenza della funzione giurisdizionale, potendo confidare sempre e comunque esclusivamente sulle proprie forze. 

Si trattava allora di prevedere una soluzione organizzativa improntata alla creazione di una vera e propria struttura permanente, in grado di affiancare il giudice, assistendolo nell’innovazione e nella semplificazione delle attività, nell’utilizzo di nuove tecnologie, con compiti anche di ricerca dottrinali e giurisprudenziali, figura peraltro già esistente in molti ordinamenti stranieri.

Le nuove strutture, denominate appunto “Ufficio per il processo”, dovevano svolgere ogni funzione di assistenza all’attività giurisdizionale, nell’ottica della semplificazione e dell’innovazione delle attività.

L’art. 3 del d.d.l. n. 2873/2007 apriva poi per la prima volta alla possibilità di inserire praticanti e tirocinanti delle scuole di specializzazione, che si affiancassero al giudice per seguirlo nell’attività di udienza e di studio della causa, per un periodo massimo di un anno, e in forza di specifiche convenzioni siglate dal Capo dell’ufficio, praticanti e tirocinanti che sarebbero quindi stati inseriti nel modulo organizzativo dell’ufficio del processo, mediante una serie di previsioni normative che preannunziano chiaramente quelle che verranno introdotte ben sette anni dopo.

Non potendo ricorrere, per ragioni finanziarie, a figure “professionali” di assistenti, si immaginava di sperimentare l’ufficio del processo stipulando convenzioni per stages e tirocini presso gli uffici giudiziari con Università e Consigli dell’Ordine degli Avvocati, che assicurassero la possibilità di utilizzare “tirocinanti” in affiancamento al lavoro dei magistrati.

Quindi, quello che nella previsione dell’impianto generale di tale disegno di legge costituiva un aspetto ancillare del progetto, seppur importante, ovvero l’affiancamento di tirocinanti, diventava il pilastro e lo strumento di realizzazione delle prime sperimentazioni sull’Ufficio per il Processo.

Peraltro, a partire dalla metà degli anni duemila, si era già assistito ad un crescente aumento di sottoscrizioni di convenzioni con enti locali, per lo più Ordini Avvocati e Università, per lo svolgimento presso i Tribunale di tirocini e stages.Si era partitidaconvenzioni stipulate dagli Uffici giudiziari con gli enti pubblici territoriali (Regioni, Province e Comuni) per l’utilizzo, a fini di formazione professionale, di lavoratori socialmente utili, di cassintegrati e di disoccupati, di giovani iscritti in cooperative appositamente costituite, utilizzati per lo più per rimpinguare i vuoti progressivamente determinati nelle Cancellerie dai fisiologici pensionamenti del personale amministrativo. Poi sono intervenute altre tipologie di convenzioni, meno destinate all’orientamento professionale dei giovani o alla (ri)collocazione sul mercato dei disoccupati, e più specificamente indirizzate alla formazione professionale in ambito giudiziario. Vanno in particolare ricordate: le Convenzioni con le Scuole di Specializzazione delle Professioni Forensi introdotte dall’art. 16 d.lgs 17 novembre 1997 n. 398, che prevedono la possibilità che gli studenti svolgano, in modo obbligatorio, una parte della loro formazione presso gli uffici giudiziari (150 ore); le Convenzioni con le Università, previste dall’art. 18 della legge 24 giugno 1997 n. 196 (c.d.legge Treu), ed attualmente art. 1, comma 32, della legge 92/2012 (legge Fornero),checonsentono agli studenti universitari di effettuarestagepresso aziende e Pubbliche Amministrazioni, compresa l’amministrazione giudiziaria; le Convenzioni con gli Ordini degli Avvocati, con le Università e con le SSPL, disciplinate dall’art. 37 legge 111/2011, che consentono la possibilità di un tirocinio presso gli uffici, di durata sino ad un anno, sostitutivo dei percorsi formativi dell’ente sottoscrittore (pratica forense, dottorato di ricerca e tirocinio pressola SSPL). Ora, con l’art. 73 d.l. 21 giugno 2013 n. 69 (conv. in legge 9 agosto 2013 n. 98),  si è introdotta la possibilità di svolgimento di tirocini formativi da parte di laureati in giurisprudenza presso gli uffici giudiziari in affiancamento a magistrati con compiti di studio, ricerca e redazione di bozze, senza richiedere, necessariamente, ma senza escluderla, la stipula di una convenzione, in quanto il laureato può direttamente rivolgere la domanda al dirigente dell’ufficio giudiziario.

L’idea di fondo, non esplicitata ma nitida, era che, senza attendere provvedimenti legislativi, e di normazione secondaria, fosse possibile dare comunque un segnale di cambiamento, avviando un circolo virtuoso che, con costi limitati, valorizzasse la professionalità del giudice, ne incrementasse la produttività, e contribuisse allo smaltimento progressivo dei procedimenti pendenti.

Non è un caso, dunque, che, recependo gli esiti di un dibattito culturale ormai risalente, l’art. 37 del d.l. n. 98 del 2011 sia stato inserito nel corpo di “Disposizioni per l’efficienza del sistema Giudiziario e la celere definizione delle controversie“, e che l’art. 73 del d.l. 21 giugno 2013 n. 69, che qui in particolare interessa, sia stato inserito all’interno di “Misure per l’efficienza del sistema giudiziario e la definizione del contenzioso civile”; e neppure è un caso che, con la risoluzione del 29.4.2014, il CSM abbia individuato nei programmi di gestione annuali di cui all’art. 37 legge 111/2011, e nei Documenti Organizzativi Generali che accompagnano i progetti tabellari per gli uffici giudicanti, lo strumento di controllo e di valutazione della gestione dei tirocini.

Sebbene la risoluzione consiliare del 29.4.2014 l’abbia formulata timidamente, a mo’ di suggerimento, l’idea di fondo cui ispirare l’organizzazione dei tirocini formativi è chiaramente quella della loro valorizzazione in vista della costituzione di un primo nucleo dell’ufficio del giudice, o dell’ufficio del processo.

In realtà, oggi si tratta di un atto dovuto, alla luce del disposto di fonte primaria di cui all’art. 50 d.l. 24 giugno 2014, n. 90, conv. in L. 11 agosto 2014, n. 114, recante: «Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari.», che ha finalmente istituito l’Ufficio del processo, presso gli uffici di primo e di secondo grado, utilizzando a tali fini, insieme con cancellieri, giudici ausiliari e got, anche quanti svolgono i tirocini formativi.

Il tirocinio formativo, dunque, è chiaramente proiettato dal legislatore verso il soddisfacimento delle esigenze organizzative degli uffici giudiziari.

Ciononostante, i tirocini di cui all’art. 73 del  decreto-legge  21  giugno  2013,  n.  69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98 hanno incontrato il largo favore dei neolaureati, che vi fanno ricorso in misura significativa.

La spiegazione, probabilmente, è nella scarsa attrattiva esercitata dalle Scuole di Specializzazione per le Professioni Legali, istituite con il d.lgs. n. 398/97, con l’ambizione dichiarata di delegare all’Università un modello formativo per il giurista pratico, quale percorso privilegiato per l’accesso alla magistratura e all’avvocatura, marginalizzando le sempre più diffuse scuole “private” per la preparazione al concorso per uditore giudiziario.

Orbene, la frequenza biennale delle Scuole è indispensabile per accedere al concorso in magistratura, ma le Scuole ripropongono insegnamenti, talvolta addirittura con l’istituzione di vere e proprie “cattedre”, che non riescono a sintetizzare le finalità didattiche del completamento dell’istruzione universitaria, della preparazione al concorso, e della dimensione tirocinante vera e propria, posto che utilizzano contenuti e metodiche mutuati pedissequamente dall’insegnamento universitario, per di più affidati spesso, per ragioni non sempre apprezzabili, a figure professionali (magistrati, avvocati, notai) poco capaci di ripetere il modello d’insegnamento universitario.

La condivisibile ispirazione alla formazione di una comune cultura della giurisdizione tra gli operatori del diritto (giudici, avvocati, notai) è stata fraintesa, ed ha portato a perseguire, per tutti i neolaureati frequentanti, percorsi formativi indifferenziati e comuni a quanti aspirino alle diverse professioni, per tutta la durata de biennio. E poiché le Scuole forensi e le Scuole notarili attraggono ovviamente quanti anelano alla professione forense e a quella notarile, le SSPL finiscono con l’essere frequentate soprattutto da quanti aspirino al concorso per l’accesso alla magistratura, sicchè quei frequentanti sono i soli a dover seguire percorsi indifferenziati, comuni a tutte le professioni forensi.

Una delle conseguenze è che le Scuole universitarie non sono riuscite a sostituire quelle private, per cui i neolaureati che aspirino al concorso in magistratura sono costretti alla doppia fatica delle frequenza della Scuola di Specializzazione, obbligatoria per legge, e di quella privata, indispensabile per acquisire una preparazioni idonea alla difficoltà del concorso. Il che, attesi gli alti costi di entrambe le scuole, sta nuovamente rendendo l’accesso alla magistratura un fenomeno elitario e censuario, legato com’è alle capacità economiche della famiglia di appartenenza dei neolaureati. Senza contare che l’età media di accesso alla magistratura (ormai intorno ai 33-34 anni), cresciuta per la durata quinquennale del corso di laurea universitario e per la necessaria frequenza biennale delle Scuole di Specializzazione, appare poco congrua, alla luce della riduzione dell’età pensionabile dei magistrati.

Il legislatore è intervenuto nella materia, e, con la disposizione dell’art. 50, co. II, d.l. 24 giugno 2014, n. 90, conv. in L. 11 agosto 2014, n. 114, ha previsto che l’esito positivo dello stage costituisce titolo per l’accesso al concorso per magistrato ordinario.

Sicchè, è stata prevista un’ulteriore modalità per l’accesso al concorso in magistratura, che prevede un percorso apparentemente più appetibile, perché più breve (18 mesi, invece dei due anni della Scuola di specializzazione).

Ovvio, peraltro, che, così operando, sul tirocinio di cui all’art. 73 sono finite per gravare in larga parte le aspettative di formazione post universitaria, di preparazione al concorso e di preparazione al lavoro, proprie dei neolaureati.

Sicchè, occorre vagliare se l’impianto dell’istituto delineato dall’art. 73 citato, sia capace di far fronte ad entrambe le esigenze ad esso sottese: da un lato, quella di contribuire al recupero di efficienza del sistema giustizia, dall’altra, quella di far fronte alle esigenze di preparazione al concorso in magistratura, proprie dei giovani che vi anelano.

Domanda di ammissione

L’art. 73 prevede che la domanda dell’interessato debba essere presentata direttamente ai Capi degli uffici giudiziari con allegata la documentazione comprovante il possesso dei requisiti di ammissione:  allo stagista è richiesto un profilo personale molto elevato (voto non inferiore a 27 negli esami più importanti del corso di laurea e voto finale di laurea non inferiore a 105).

Nella domanda può essere espressa una preferenza, ai fini dell’assegnazione, per uno o più magistrati dell’ufficio incaricati della trattazione di affari in specifiche materie, di cui si deve tenere conto compatibilmente con le esigenze dell’ufficio: la  disposizione  pare  consentire  l’espressione  di preferenza rispetto a singoli magistrati, solo in quanto “incaricati della trattazione di affari in specifiche materie”. L’electio sarebbe cioè consentita e valutata solo funzionalmente all’interesse espresso dallo stagista per la trattazione di specifiche materie.

Uffici giudiziari interessati

E’ stato normativizzato un orientamento favorevole alla tendenziale applicazione generalizzata degli stages, dal 2014 anche agli uffici inquirenti, e addirittura agli uffici di legittimità, cui non è stata estranea la considerazione dei vantaggi che lostageassicura al magistrato affidatario: da un lato, il contributo di assistenza fornito dal giovane laureato; dall’altro, e soprattutto, lo specifico titolo professionale, per espressa previsione della legge rilevante sia in sede di valutazione di professionalità, sia ai fini del conferimento di incarichi direttivi e semidirettivi.

La scelta del magistrato affidatario

Gli ammessi allo stage sono affidati a un magistrato che ha espresso la disponibilità ovvero, quando è necessario assicurare la continuità della formazione, a un magistrato designato dal Capo dell’ufficio. Dunque, in linea con esperienze già collaudate, il Capo dell’ufficio è tenuto a diramare un interpello preventivo per l’acquisizione delle disponibilità da parte dei magistrati a ricoprire l’incarico di affidamento dello stagista.

Ciascun magistrato non può rendersi affidatario di più di due ammessi: non è chiarito, ma è ragionevole ritenere, che la norma si riferisca al contestuale svolgimento dello stage.

Limiti dello stage e conflitto d’interessi

Lo stage può essere effettuato dalla stessa persona per una sola volta nella vita.

Esso consiste in un periodo di formazione teorico-pratico della durata complessiva di diciotto mesi.

Gli ammessi assistono e coadiuvano il magistrato nel compimento delle ordinarie attività. Gli stagisti hanno accesso ai fascicoli processuali, partecipano alle udienze del processo, anche non pubbliche e dinanzi al collegio, nonché alle camere di consiglio, salvo che il giudice ritenga di non ammetterli.

L’ampiezza della tenore della norma sembra esprimere la volontà di estendere,  quanto  più possibile, l’area di intervento degli stagisti a supporto del magistrato affidatario.

In tale direzione, sembrerebbe consentita la partecipazione del giovane laureato a tutte le attività dell’ufficio, senza esclusioni aprioristiche.

L’apporto viene implicitamente consentito sia con riferimento a compiti di studio, sia con riguardo ad attività processuali orali, anche ipoteticamente, di tipo istruttorio, sia con riguardo alla redazione della minuta degli atti processuali da compiere.

Peraltro, pare troppo generica la previsione del potere-dovere del giudice di non ammettere il giovane alla partecipazione a singoli atti o attività. Infatti, rimangono imprecisati i presupposti di questa facoltà ad excludendum, esercitabile di volta in volta dal magistrato, tenuto conto che la norma, contrariamente alla impostazione della materia invalsa in sede consiliare (che escludeva gli atti coperti da segreto, ed anche quelli ove apparivano prevalenti le esigenze di tutela della privacy), non limita la partecipazione dello stagista ad alcun atto, se non ai fascicoli inerenti ai procedimenti rispetto ai quali esso versa in conflitto di interessi per conto proprio o di terzi.

Invero, il comma 7 impone il divieto per gli ammessi di esercitare attività professionale presso l’ufficio.

Il comma 10, d’altra parte, ammette lo svolgimento del tirocinio legale contestualmente allo stage e consente espressamente all’avvocato affidatario del tirocinante-stagista di esercitare l’attività professionale innanzi al magistrato formatore, presupponendo, all’evidenza, che il magistrato, in relazione ai procedimenti di cui sia titolare detto avvocato, abbia esercitato lo ius excludendi nei confronti del tirocinante.

In ogni caso, e come detto, il tirocinante dovrà affiancare il giudice assistendolo nell’innovazione e nella semplificazione delle attività, nell’utilizzo delle nuove tecnologie, in particolare in vista dell’entrata in vigore del PCT (che prevede espressamente la figura dell’assistente del giudice) e con compiti anche di ricerca dottrinali e giurisprudenziali.

Il panorama dei moduli sperimentali adottati dai Capi degli uffici giudiziari in proposito varia molto, anche se, in ogni caso, il dato comune di ogni sperimentazioni sembra essere il tentativo di unificare l’aspetto organizzativo dello stage con quello dell’innovazione tecnologica del processo civile telematico (donde la necessità di uno stretto raccordo tra il ruolo della formazione decentrata e quello dei magistrati referenti informatici, sul quale il CSM sarà chiamato  riflettere).

Si è poi detto che l'”ufficio del processo” coinvolge ormai non solo stagisti e tirocinanti ma implica anche una diversa modalità di utilizzo dei giudici ausiliari in appello e dei GOT, che, inseriti in un vero e proprio staff in modo stabile, e facendo riferimento ad un unico giudice, possono contribuire ad un reale smaltimento dei ruoli: anche in questo caso, il CSM è chiamato dalla norma di fonte primaria a delineare il rapporto di queste figure all’interno dell’ufficio del processo. E’ opportuno, peraltro, che il CSM eviti pretese di dirigismo, e si limiti a dettare una cornice di formazione secondaria all’interno della quale i Capi degli uffici debbono poter adattare le singole soluzioni alle caratteristiche concrete degli uffici diretti.

In tutte le esperienze, dopo le prime difficoltà iniziali nel lavorare con accanto uno stagista o un tirocinante e nel dettare ritmi e compiti, è emerso che la buona riuscita dei progetti si realizza solo se i tirocinanti si succedono senza soluzione di continuità, in affiancamento al giudice; altrimenti lo sforzo richiesto al giudice per ripartire ogni volta con un nuovo tirocinante fa perdere fiducia nella sperimentazione stessa, e rischia di incidere negativamente sull’organizzazione del lavoro giudiziario.

La continuità è un nodo problematico che può essere risolto solo assicurando una presenza continua di tirocinanti, e quindi uno stretto coordinamento con gli enti con i quali sono stipulate le convenzioni, al fine di trovare un modulo il più possibile continuo per dare ingresso ai tirocinanti. E’ dunque evidente che, nell’elaborare il modulo informativo da allegare al programma di gestione, il Capo dell’Ufficio deve avere un’idea di organizzazione dell’ufficio che comprenda, tenuto conto delle indicazioni provenienti dal coordinatore, anche l’utilizzo dei tirocinanti, e quindi il numero dei tirocinanti, i compiti loro affidati, la loro assegnazione presso i singoli giudici, o presso i gruppi di giudici (o le intere sezioni), che si siano dichiarati disponibili a fungere da affidatari, e quindi il modo in cui strutturare il singolo ufficio del processo o la pluralità degli uffici del processo,nell’ambito dell’Ufficio giudiziario.

Qualche difficoltà in questo senso può rinvenire da ciò che, mentre i tirociniexart. 37 sono retti  da una convenzione che in qualche modo rende prevedibili alcuni dei dati indicati, quelliexart. 73 non poggiano sul modulo convenzionale, in quanto il laureato può direttamente rivolgere la domanda al dirigente dell’ufficio giudiziario, e non si richiede che l’interessato sia iscritto alla pratica forense o alla scuola di specializzazione delle professioni legali.

Si adotti o no il bando, con la conseguente procedura unitaria e periodica  di ammissione dei tirocinanti, il vero punto, tuttavia, è che si individui e si faccia fronte al fabbisogno organizzativo in modo scadenzato, sì da assicurare quella continuità di presenza di stagisti nell’Ufficio che è garanzia di efficienza del modulo organizzativo adottato.

Sempre il Capo dell’Ufficio dovrà invece attivarsi presso il Ministero della Giustizia per l’apprestamento tempestivo delle risorse informatiche e materiali da mettere a disposizione dei tirocinanti. E’ poi di immediata intuibilità come l’ufficio del processo implichi l’utilizzazione di adeguate risorse materiali, nonché, più banalmente, di spazi, e di tavoli, da destinare agli stagisti ed ai tirocinanti.

Il ruolo del magistrato assegnatario

Nel corso degli ultimi sei mesi del periodo di formazione il magistrato può chiedere l’assegnazione di un altro degli ammessi allo stage al fine di garantire la continuità dell’attività di assistenza e ausilio.

L’attività di magistrato formatore è considerata ai fini della valutazione di professionalità di cui all’art. 11, comma 2, del decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160, nonché ai fini del conferimento di incarichi direttivi, e sul punto occorre rilevare che l’attuale normativa secondaria del Consiglio,  già  contempla le attività formative come esperienze di rilievo da valutarsi ai fini della valutazione di professionalità, come pure  dello svolgimento delle funzioni direttive o semidirettive di merito.

Obblighi di riservatezza

L’attività degli ammessi allo stage si svolge sotto la guida ed il controllo del magistrato e nel rispetto degli obblighi di riservatezza e di riserbo riguardo ai dati, alle informazioni e alle notizie acquisite durante il periodo di formazione, con obbligo di mantenere il segreto su quanto appreso in ragione della loro attività e di astenersi dalla deposizione testimoniale.

Per quest’ultimo profilo, pare che il decreto intenda alludere all’obbligo di astensione degli stagisti nei giudizi di qualunque specie su ciò di cui siano venuti a conoscenza nell’esercizio dell’attività di collaborazione, così come analogamente previsto per gli avvocati e tirocinanti dal comma 3, dell’art. 6 della legge n. 247/2012.

In questa direzione, sarebbe stato più nitido un precetto imperniato sull’applicabilità dell’art. 15 del T.U. n. 3/1957, come del resto fa l’art. 37, comma 5, citato.

D’altro canto non può non rilevarsi che, mancando il riferimento alla normativa speciale sopra indicata, il mancato rispetto degli obblighi di riservatezza non è in alcun modo  sanzionato, restando quale unica sanzione per la grave infrazione la mera possibilità di un’eventuale esclusione dal tirocinio.

Incompatibilità ed esclusività

Sul piano delle incompatibilità la disciplina in esame prevede che il contestuale svolgimento del tirocinio per l’accesso alla professione forense non impedisce all’avvocato presso il quale il tirocinio si svolge di esercitare l’attività professionale innanzi al magistrato formatore, salvo il limite costituito dal divieto di assegnare al formando praticante fascicoli trattati dall’avvocato medesimo. Gli ammessi allo stage non possono esercitare attività professionale presso l’ufficio ove lo stesso si svolge, né possono rappresentare o difendere, anche nelle fasi o nei gradi successivi della causa, le parti dei procedimenti che si sono svolti dinanzi al magistrato formatore, o assumere da costoro qualsiasi incarico professionale.

Non è previsto che, oltre ad un dovere di denunzia dei conflitti da parte dei formando, gli sia imposto di indicare preventivamente, all’atto della domanda, lo studio di appartenenza e il nominativo di tutti gli avvocati che ad esso appartengono, in modo da consentire al magistrato affidatario di esercitare il necessario controllo, a tutela della immagine di imparzialità della magistratura.

Secondo la disciplina in esame, lo stage può essere svolto contestualmente ad altre attività, compreso il dottorato di ricerca, il tirocinio per l’accesso alla professione di avvocato o di notaio e la frequenza dei corsi delle scuole di specializzazione per le professioni legali, purché con modalità compatibili con il conseguimento di un’adeguata formazione.

Non è quindi prevista la esclusività dell’attività prestata presso gli uffici giudiziari.

Il legislatore stabilisce, tuttavia, che le modalità dello stage siano “compatibili con il conseguimento di una adeguata formazione”.

Ferma restando l’assenza di esclusività, lo stagista dovrà, quindi, assicurare all’ufficio giudiziario una porzione significativa della sua attività lavorativa quotidiana, a pena di revoca dell’ammissione.

Lo status normativo dello stagista

Lo svolgimento dello stage non dà diritto ad alcun compenso e non determina il sorgere di alcun rapporto di lavoro subordinato o autonomo, né di obblighi previdenziali e assicurativi.

Quanto al compenso, nulla quaestio, visto che la natura mista dello schema tipologico proprio della stage, imperniato sullo scambio tra prestazione formativa ed energie lavorative, garantisce comunque la tenuta ordinamentale della figura, pur se priva di corrispettivo.

Quanto alla qualificazione giuridica del rapporto, è noto che la realtà prevale sul nomen juris, sicchè occorre molta attenzione nel disciplinare l’andamento concreto del tirocinio.

Più dubbia risulta la previsione di assenza di copertura assicurativa a favore dei formandi. Invero, l’art. 18 della legge n. 196/1997, al comma 1, lett. e) impone l’obbligo “da parte dei soggetti promotori di assicurare i tirocinanti mediante specifica convenzione con l’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL)”.

A propria volta, l’art. 3, co. I, D.M. 25 marzo 1998, n. 142, Regolamento recante norme di attuazione dei principi e dei criteri di cui all’articolo 18 della l. n. 196/1997, sui tirocini formativi, ribadisce l’imprescindibilità delle “garanzie assicurative”, chiarendo che “i soggetti promotori sono tenuti ad assicurare i tirocinanti contro gli infortuni sul lavoro presso l’INAIL nonché presso idonea compagnia assicuratrice per la responsabilità civile verso terzi”.

In assenzadi una qualche forma di copertura assicurativa, l’Amministrazione potrebbe trovarsi a sostenere la responsabilità per gli eventuali danni subiti dallo stagista in occasione dello svolgimento della formazione o da costui provocati  a terzi in occasione od in conseguenza del rapporto di tirocinio.

Le vicende dello stage

Lo stage può essere interrotto in ogni momento dal capo dell’ufficio, anche su proposta del magistrato formatore, per sopravvenute ragioni organizzative o per il venir meno del rapporto fiduciario, anche in relazione ai possibili rischi per l’indipendenza e l’imparzialità dell’ufficio o la credibilità della funzione giudiziaria, nonché per l’immagine e il prestigio dell’ordine giudiziario.

Correttamente, si è dunque ritenuto che lo stagista non vanta alcun diritto o interesse pretensivo in ordine al completamento del periodo di formazione, dato che la sua posizione è considerata dalla legge recessiva rispetto alle oggettive esigenze dell’amministrazione della giustizia.

La formazione del tirocinante

Anche l’esecuzione del tirocinio, ed in particolare la formazione dei tirocinanti, sono affidati alla cura del Capo dell’Ufficio, che ovviamente potrà delegare queste attività al coordinatore, ma che dovrà comunque curare, se del caso mediante convenzioni, un’adeguata formazione intranea, stimolando le strutture della formazione decentrata, e coordinando la formazione intranea con quella resa dalla Scuola Forense o dalla SSPL, al fine di evitare duplicazioni e sovrapposizioni, qualora i tirocinanti siano iscritti anche a quelle istituzioni.

Quanto alle metodiche, non deve mai dimenticarsi che i tirocinanti “devono fare e, facendo, devono imparare e, facendo, devono dare una mano all’amministrazione della Giustizia”.

La norma prevede che gli stagisti sono ammessi ai corsi di formazione decentrata organizzati per i magistrati dell’ufficio ed ai corsi di formazione decentrata loro specificamente dedicati e organizzati almeno con cadenza semestrale.

Non è chiaro se per corsi specificamente destinati ai tirocinanti si debbano intendere quelli immediatamente orientati al loro migliore inserimento nell’ufficio del processo, ovvero se la formazione decentrata possa occuparsi anche del completamento della formazione post universitaria del tirocinante: questa seconda opzione pare preferibile, sia perchè la norma non pone alcuna limitazione, sia perchè il completamento della formazione universitaria è anch’esso funzionale al miglior inserimento del tirocinante nell’ufficio del processo.

Non è chiara l’obbligatorietà o la mera facoltatività della partecipazione ai corsi da parte dei tirocinanti. Sulla base del dato letterale, sembra preferibile la facoltatività della partecipazione, che non può quindi incidere sul rilascio dell’attestato di positivo svolgimento del tirocinio. In questo campo, tuttavia, giocheranno un ruolo sia le convenzioni eventualmente stipulate con le SSPL, sia la proposta formativa pubblicizzata dall’ufficio giudiziario. Probabilmente, questo è un settore in cui è auspicabile l’intervento chiarificatore del CSM, in funzione di omogeneizzazione delle esperienze.

Più problematica la possibilità che la Scuola della Magistratura proponga dei corsi a livello centrale destinati in modo sistematico alla formazione degli stagisti.

La normativa primaria tace sul punto; quella secondaria lo consente, una volta che la formazione decentrata è stata concepita non più come una rete autonoma di autoformazione dei magistrati interna alle Corti territoriali, così come l’aveva concepita il CSM, ma come l’articolazione territoriale della Formazione centralizzata, affidata alla Scuola della Magistratura. E’ quindi evidente che nulla può ostare acchè la Scuola possa curare momenti di riflessione comuni a tutti gli stagisti presenti negli uffici giudiziari, o momenti di confronto su temi che si presentano in modo dialettico nei vari uffici territoriali. E deve sicuramente riconoscersi la possibilità che i corsi destinati alla formazione iniziale, e a quella permanente, dei magistrati, che si svolgono in sede centrale, possano essere aperti anche alla partecipazione di un certo numero (limitato) di stagisti.

Il problema però ha anche una valenza politica, ed induce ad una qualche prudenza il ricordo dell’esperienza che si tentò alla metà degli anni novanta del secolo scorso, allorquando il progetto di istituire la Scuola, intesa anche come istituzione preposta all’accesso alla magistratura, non decollò per le obiezioni della Corte dei conti, in ordine alla mancanza di una norma primaria, che fungesse da copertura normativa per l’erogazione delle spese a quel fine necessarie.

Conclusioni (provvisorie)

Il modello di tirocinante delineato dalla norma è dunque quello di un neolaureato molto preparato, fortemente motivato, chiamato a erogare per un tempo giornaliero significativo, e per la durata di un anno e sei mesi, le proprie prestazioni lavorative in modo gratuito, al solo fine di acquisire tecnicalità e approcci teorico-pratici che gli consentano di partecipare in modo proficuo al concorso per l’accesso in magistratura. Il mansionario richiesto è quanto mai ampio e aperto, suscettibile di ulteriore sviluppo per effetto dell’inglobamento del tirocinante nell’ufficio del processo. Sul tirocinante gravano obblighi di riservatezza e di comportamento leale, nonché incompatibilità professionali, che rassicurano sull’immagine di imparzialità e di indipendenza della giurisdizione, e che lo espongono alla revoca immediata del tirocinio. Su quell’idealtipo, l’ordinamento investe, nella speranze di recuperare al sistema una nuova efficienza organizzativa.

In assenza di retribuzione, di copertura mutualistica ed assicurativa, e persino di sovvenzioni amministrative (borse di studio), la prestazione di una idonea formazione post universitaria, capace, per un verso, di preparare al concorso, per altro verso di fornire competenze utili per l’ottimale inserimento nel mondo del lavoro giudiziario, costituisce il corrispettivo della prestazione di lavoro resa dal tirocinante. Essa impedisce che il tirocinio possa essere visto dai neolaureati come una nuova forma di nexum, che avvince in modo mortificante il tirocinante al magistrato affidatario.

Nel contempo, solo la prestazione di una idonea formazione assicura l’appetibilità dell’istituto e quindi il successo dell’ufficio del processo.

Sicchè, può concludersi nel senso che il recupero di efficienza del sistema giustizia, oggi più che mai, passa anche attraverso la capacità degli uffici giudiziari, della formazione decentrata e della Scuola della Magistratura di fornire ai tirocinanti e agli stagisti un’adeguata preparazione post universitaria.

Maria Silvia Giorgi

 
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