L’udienza penale da remoto al tempo dell’emergenza: il d.l. 28/2020

di Marcello De Chiara in collaborazione con il Centro Studi “Nino Abbate” di Unità per la Costituzione

1. La partecipazione a distanza al processo penale ai tempi del Covid-19.

1. La consapevolezza, nel tempo progressivamente maturata, che l’emergenza epidemiologica si sarebbe protratta ben oltre le iniziali ottimistiche previsioni ha inevitabilmente modificato le coordinate del dibattito sugli interventi da adottare in materia di processo penale: se da un lato è evidente, infatti, che l’innovazione tecnologica, in ambito processuale, come in altri settori della vita sociale, può essere un importante alleato per neutralizzare il rischio di contagio che la comparizione nell’aula di tribunale, come da sempre l’abbiamo intesa, necessariamente comporta, dall’altro le ondivaghe soluzioni adottate dal legislatore ripropongono più che mai lo scottante tema del se ed in che misura la partecipazione “a distanza” rappresenti una modalità compatibile con i principi costituzionali del giusto processo.

Questione non certo nuova, se è vero che le prime esperienze di partecipazione mediante videoconferenza risalgono agli anni novanta; allora come ora, figlie di un’emergenza, vennero presentate (e ben presto digerite) come rimedi eccezionali ad una situazione temporanea – erano i primi grandi processi alla criminalità organizzata – ma finirono, poi, per confluire in una disciplina organica che, oggetto di plurime modifiche tutte in senso ampliativo, è ancora oggi in vigore ed anzi sembra godere di ottima salute: parliamo ovviamente degli artt. 146 bis e 147 bis, disp. att. c.p.p., introdotti dalla l. 07.01.1998, n. 11, rispettivamente in tema di partecipazione a distanza dell’imputato ed esame a distanza degli operatori sotto copertura, dei collaboratori di giustizia ed imputati in reato connesso. Sottoposta inizialmente ad un termine di efficacia (previsto dall’art. 6, l. 07.01.1998, n. 11), non solo tale disciplina è divenuta successivamente definitiva per effetto della l. 23.12.2003, n. 279 in ragione degli sperimentati benefici ottenuti, per la verità di natura più che altro economica, ma poco prima dell’inizio dell’emergenza, la partecipazione dell’imputato, a qualsiasi titolo detenuto per gravi reati, è diventata addirittura obbligatoria (l. 23.06.2017, n. 103). Sembra passato così tanto tempo!

1.2. Nell’epoca del Covid-19, il nemico da battere è diverso, ma non meno insidioso, perché l’unica arma finora conosciuta nei suoi confronti è il distanziamento sociale: il pericolo investe, infatti, non più soltanto particolari figure di parti o dichiaranti, ma indistintamente tutte le persone, togate o meno, il che per un’attività umana, come il processo penale, che fa dell’oralità un requisito fondamentale del contraddittorio, rappresenta qualcosa di potenzialmente destabilizzante.

In tale mutevole contesto, già l’art. 83, co. 12, d.l. 17 marzo 2020, n. 18 (decreto c.d. Cura Italia) aveva previsto che, nel periodo dal 09 marzo al 30 giugno, la partecipazione a qualsiasi udienza delle persone detenute, internate o in stato di custodia cautelare, fosse assicurata, ove possibile, mediante videoconferenze o con collegamenti da remoto individuati e regolati con provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia, applicate, in quanto compatibili, le disposizioni di cui ai commi 3, 4 e 5 dell’articolo 146-bis disp. att. c.p.p.

A distanza di poco più di un mese, però, definitivamente abbandonata la prospettiva di un celere ritorno alla normalità, la “partecipazione da remoto” oltrepassa per la prima volta l’ambito soggettivamente circoscritto delle persone ristrette ed assurge a modalità tendenzialmente generale di partecipazione al procedimento penale nel tempo dell’emergenza.

Ecco, dunque, che si parla di processo penale da remoto, perché i commi 12 bis, 12 ter, 12 quater e 12 quinquies dell’art. 83, cit., introdotti dalla legge di conversazione 24 aprile 2020, n. 24 (pubblicata nella Gazzetta ufficiale del 29.04.2020), non riguardano più soltanto la partecipazione del detenuto, ma investono ogni fase del procedimento penale.

Nella sua originaria conformazione, tale radicalmente innovativa disciplina, aspramente criticata ancor prima di nascere tanto dagli organismi forensi, che da voci qualificate della magistratura, è sopravvissuta per poche ore soltanto, perché il giorno successivo alla pubblicazione della legge di conversazione, compariva in Gazzetta Ufficiale, il d.l. 30.04.2020, nr. 28, che, recependo alcuni dei rilievi espressi, ha fortemente ridimensionato l’ambito di applicazione delle nuove disposizioni, pur spostando la fine del periodo emergenziale fino al 31 luglio.

1.3. Fermo restando, dunque, che le nuove disposizioni troveranno applicazione non oltre il 31 luglio, salvo poco auspicabili ulteriori proroghe, si può dire, che, per ciò che concerne le udienze penali, aspetto sul quale in questa sede ci soffermeremo, l’esito di tale convulsa produzione normativa è l’introduzione di un duplice binario dell’emergenza, in base al quale possiamo distinguere:

a) le udienze penali che possono essere sempre trattate “da remoto”;

b) le udienze penali che possono essere trattate “da remoto” solo con il consenso delle parti.

Tale differenziato regime è previsto in funzione dell’attività da svolgere nell’udienza, ma presuppone una comune premessa di carattere generale, pudicamente sottaciuta, ma gravida di conseguenze per le scelte operate dal Legislatore: l’attuale limitata disponibilità degli impianti per il servizio di multi-video conferenza, quelli, cioè, che già da tempo siamo abituati ad utilizzare nei processi di criminalità organizzata (il c.d. servizio “mvc”). Ciascuno dei suddetti impianti si compone di una infrastruttura di comunicazione audio-video che connette più aule di udienza a più postazioni remote attrezzate presso le case circondariali (ecco perché “multi” davanti a videoconferenza) ed una linea telefonica sicura per le conversazioni private tra avvocato-cliente[1]. La disponibilità di un numero limitato di tali impianti ha, infatti, comportato la necessità di ammettere l’uso di altre tipologie di collegamento da remoto (Sky for business e Teams), sì agevolmente reperibili sul mercato, ma sprovviste delle peculiari caratteristiche di un servizio concepito e conformato per rispondere alle particolari esigenze del processo penale.

Senza addentrarci nel troppo complesso tema della compatibilità di tale disciplina con i principi costituzionali, che, in questa sede, può essere soltanto sfiorato, l’impressione è che il “nocciolo” del problema risieda anche nella capacità che gli applicativi utilizzabili in alternativa ai tradizionali strumenti di videoconferenza, tenuto conto delle attuali, effettive, dotazioni informatiche in uso agli uffici giudiziari, possano garantire modalità di partecipazione all’udienza realmente equiparabili a quelle tradizionali.

La disciplina in esame fa espressamente salvo quanto previsto dal comma 12, in tema di partecipazione delle persone detenute, internate o in stato di custodia cautelare, la quale, come già detto, può avvenire alternativamente o mediante videoconferenza o mediante l’uso degli applicativi individuati dal Ministero. Tale duplice alternativa non vale per gli altri soggetti del processo penale, per i quali, invece, la partecipazione a distanza può avvenire solo mediante Sky for Business o Teams, dato che gli impianti per la videoconferenza sono attualmente dislocati soltanto nelle aule di giustizia e nelle aule degli istituti penitenziari a ciò dedicate, sicché, in ipotesi, non può escludersi l’eventualità di un’udienza in cui uno o più imputati, siccome detenuti in carcere, partecipino mediante videoconferenza (con conseguente applicazione delle disposizioni di cui all’art. 146 bis, disp. att. cit.) e le altre parti partecipino da remoto secondo le particolari modalità regolate dall’art. 83, co. 12 bis.

2. Le condizioni necessarie per la trattazione delle udienze da remoto.

2.1.Una prima considerazione da fare è che il “processo penale da remoto”, a dispetto del clamore mediatico che ne ha accompagnato l’introduzione, rappresenta una modalità di trattazione, oltre che temporanea, anche meramente facoltativa, in quanto subordinata ad un duplice ordine di valutazioni preliminari.

In primo luogo, resta fermo che nella c.d. fase 2, oggi destinata a protrarsi fino al 31 luglio, la finalità di contenere gli effetti dell’emergenza epidemiologica è demandata alle misure organizzative che i capi di ciascun ufficio giudiziario debbono adottare all’esito della particolare procedura di cui all’art. 83, comma 6. Tali misure sono indicate nel comma 7 e tra di esse è prevista “l’adozione di linee guida vincolanti per la fissazione e la trattazione delle udienze” (lett. d), sicché la possibilità di trattare le udienze penali da remoto è senz’altro uno degli aspetti che possono essere disciplinati nell’esercizio di tale potere organizzativo sulla base delle specifiche condizioni del singolo ufficio giudiziario.

La seconda valutazione compete al giudice: dato che la trattazione da remoto non è obbligatoria e tantomeno rappresenta un diritto delle parti, il giudice valuterà la possibilità di adottarla e l’effettiva necessità della stessa in rapporto alle specifiche finalità che hanno ispirato la relativa disciplina ovvero il contrasto dell’emergenza epidemiologica.

2.2. A questo punto, ma solo nel caso in cui si tratti di udienza di discussione finale (in pubblica udienza o in camera di consiglio) o debbano essere esaminati testimoni, parti, consulenti o periti, la trattazione da remoto è possibile in presenza di un’ulteriore indispensabile condizione: il consenso delle parti; non solo dunque dell’imputato e del pubblico ministero, ma anche di tutte le altre parti eventualmente costituite, come la parte civile, il responsabile civile, l’ente giuridico responsabile per gli illeciti commessi dai suoi rappresentanti o dirigenti.

La facoltà di acconsentire alla trattazione da remoto non è stata dalla legge riservata all’imputato, sicché il consenso potrà essere certamente manifestato anche dal suo difensore, senza necessità della procura speciale.

a) Il consenso delle parti è necessario, anzitutto, per le udienze di discussione finale.

Tale formula, non avente precisi omologhi nella terminologia del codice, riproduce quasi integralmente la rubrica del capo V del titolo II del libro VII dedicato al giudizio (artt. 523 – 524 c.p.p.), sicché non c’è dubbio che il consenso delle parti, in caso di collegamento da remoto, sia, anzitutto, necessario per la discussione nel giudizio ordinario e per quella nel giudizio di appello, posto che l’art. 523 c.p.p. è espressamente richiamato dall’art. 602, co. 4, c.p.p.

Per quanto concerne il giudizio abbreviato, sebbene l’art. 442, co. 1, c.p.p. parli semplicemente di discussione senza ulteriori aggettivazioni, così riecheggiando la terminologia adoperata in materia di udienza preliminare, la cui disciplina è del resto richiamata dall’art. 441, co. 1, c.p.p., deve ritenersi che anche in questo caso si tratti di discussione finale nel senso particolare che qui interessa, essendo il momento in cui le parti, alla stregua del dibattimento, illustrano le proprie ragioni allo scopo di convincere il giudice chiamato a decidere sulla fondatezza dell’imputazione. In caso di giudizio abbreviato, la discussione delle parti non può, dunque, avvenire da remoto senza il consenso delle parti; ciò anche se l’imputato, essendo sottoposto a misura detentiva, partecipi all’udienza mediante videoconferenza a norma dell’art. 83, co. 12; resta fermo, che, in tale ultimo caso, l’udienza possa essere trattata nell’aula a ciò deputata, quindi con le consuete modalità, allorquando il termine di cui all’art. 304, co. 6, c.p.p. scada nel periodo di sospensione o nei sei mesi successivi o comunque l’imputato detenuto abbia avanzato espressa richiesta di trattazione. Nel corso della c.d. fase 2, la trattazione con le modalità ordinarie deve ritenersi possibile anche in caso di misura scadente oltre il suddetto termine di mesi sei, sempre che, però, ciò sia consentito dalle misure organizzative adottate dal capo dell’ufficio.

Qualche perplessità può destare l’udienza preliminare, considerato che una delle attività maggiormente salienti di questa fase processuale è proprio la discussione delle parti, la quale è anche oggetto di una disciplina particolarmente dettagliata (art. 421, c.p.p.). Deve, tuttavia, osservarsi che il riferimento alle udienze di discussione finale, contenuto nell’ultimo periodo del comma 12 bis (introdotto dal d.l. 30.04.2020, n. 28), esprime una scelta semantica ben precisa, che non può essere svalutata attraverso un’interpretazione che equipari la discussione dell’udienza preliminare a quella del dibattimento o che addirittura ritenga preclusa, in assenza del consenso delle parti, la trattazione da remoto di qualsiasi udienza nella quale le parti vengono sentite ed in cui, pertanto, abbia luogo un’attività di discussione in senso lato (si pensi ad esempio alle udienze previste a seguito di opposizione alla richiesta di archiviazione).

Se l’essenza della discussione è quella di persuadere il giudice chiamato alla decisione, il quale, al termine di essa, si ritira per deliberare, può fondatamente ritenersi che discussione finale sia soltanto quella che si caratterizza per essere strumentale ad una decisione, che, vertendo sul merito dell’imputazione, costituisca il momento conclusivo del giudizio. Ne deriva, quindi, che, indipendentemente dalla terminologia adoperata nelle singole disposizioni regolanti l’attività espositiva delle parti, ciò che conta ai fini che qui interessano è il nesso strumentale tra la discussione ed una decisione finale nel particolare significato sopra precisato. Tale conclusione è del resto coerente con l’orientamento giurisprudenziale secondo cui la disciplina di cui all’art. 523 c.p.p., in base alla quale è sempre consentita la replica ed in ogni caso l’imputato e il difensore devono avere la parola per ultimi se lo domandano, mentre è certamente applicabile al giudizio abbreviato, posto che, in questo caso, la discussione è evidentemente correlata ad una decisione sul merito, non lo è applicabile invece nei procedimenti in camera di consiglio (Cass. 02.02.2011, n. 12482).

In conclusione, maggiormente rispondente al significato della formula “udienze di discussione finale”, sembra la conclusione secondo cui la trattazione da remoto è possibile, anche senza consenso delle parti, in tutte le udienze in cui le parti debbano essere sentite, ma il loro intervento non sia correlato ad una decisione sul merito, sicché, volendo procedere un’esemplificazione in alcun modo esaustiva, si potrà in ogni caso procedere con tali modalità per le udienze di convalida, le udienze negli incidenti di esecuzione, le udienze fissate a seguito di opposizione alla richiesta di archiviazione, le udienze nella procedura di correzione di errore materiale e gli interrogatori di garanzia

b) Il consenso delle parti è, invece, necessario per la trattazione da remoto delle udienze in cui bisogna procedere all’esame di testimoni, parti, consulenti o periti. Già, in base al testo originario del comma 12 bis, quello introdotto con la legge di conversione, non era consentito utilizzare il collegamento da remoto per procedere all’esame di testimoni che non rivestissero la qualità di ufficiali o agenti di polizia giudiziaria. A seguito delle modifiche introdotte con il d.l. 30.04.2020, n. 28, l’ambito di applicazione delle modalità da remoto per fini di prova risulta ulteriormente ridimensionato, in quanto, senza il consenso delle parti, non è possibile procedere all’esame di alcuna tipologia di dichiarante, nemmeno dunque degli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria. Dal momento, però, che la norma fa specifico riferimento all’assunzione delle prove dichiarative, deve ritenersi che il giudice, anche senza consenso delle parti,possa adottare tale modalità per l’espletamento di tutte le altre attività, esclusa ovviamente la discussione finale e quindi non solo per la proposizione delle questioni preliminari e la loro decisione, la formulazione delle richieste di prova e l’adozione dei relativi provvedimenti ammissivi, ma anche per il compimento di tutti gli atti istruttori non implicanti l’esame di persone, come, ad esempio, il conferimento di un incarico peritale.

3. Le disciplina dell’udienza da remoto.

3.1. L’art. 83, co. 12 bis, prevede che lo svolgimento dell’udienza da remoto debba avvenire con modalità idonee a salvaguardare il contraddittorio e l’effettiva partecipazione delle parti, ma nulla di più viene specificato al riguardo, sicché sarebbe auspicabile che tali aspetti operativi, implicanti anche il possesso di cognizione tecniche, correlate alle particolari caratteristiche degli applicativi adottati, fossero regolati nel provvedimento del direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia, con il quale saranno individuati i collegamenti da remoto utilizzabili per lo svolgimento delle udienze.

Quel che è certo è che il collegamento deve essere attuato in modo da garantire che ogni soggetto collegato possa per un verso esattamente percepire sia con la vista, che con l’udito ciò che accade in tutte le altre postazioni collegate e per l’altro comunicare con ciascuna delle suddette postazioni. La reciproca, effettiva, possibilità di percepire e comunicare costituisce, infatti, la condizione minima fondamentale che la Corte Costituzionale, chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale degli artt. 1 e 2 della l. 7 gennaio 1998, n. 11, ebbe ad individuare affinché la partecipazione a distanza fosse compatibile con il principio di cui all’art. 24, co. 2, Cost. (Cort. Cost. 22 luglio 1999, n. 342).

Ove dunque ricorrano le condizioni per procedere con collegamento da remoto, il Giudice deve, anzitutto, comunicare ai difensori delle parti, al pubblico ministero ed agli altri soggetti di cui è prevista la partecipazione, il giorno e l’ora del collegamento, nonché le modalità con le quali lo stesso verrà attuato. Non è previsto che tali notizie siano comunicate anche all’imputato, il che non può certo sorprendere, considerato che, al fine di evitare i ravvicinati contatti tra persone che la notificazione di atti normalmente comporta, i commi 12 e 13 dell’art. 83 stabiliscono che tutte le comunicazioni e le notificazioni degli avvisi adottati ai sensi di tale articolo debbono essere effettuate mediante invio all’indirizzo di posta elettronica certificata del difensore di fiducia.

3.2. L’art. 83, co. 12 bis non fornisce dettagliate indicazioni in ordine ai luoghi da cui il giudice e le parti debbano collegarsi per la partecipazione all’udienza, salvo porre due condizioni inderogabili:

a) l’ausiliario del giudice partecipa dall’ufficio giudiziario; egli procede alla redazione del verbale di udienza, nel quale deve dare atto delle modalità di collegamento utilizzate, delle modalità con cui si accerta l’identità dei soggetti partecipanti e di tutte le ulteriori operazioni,nonché dell’impossibilità per i soggetti non presenti fisicamente di sottoscrivere il verbale, ai sensi dell’art. 137, co. 2, c.p.p. o di vistarlo, ai sensi dell’art. 483, co.1, c.p.p.

b) l’imputato, ove libero o sottoposto ad una misura cautelare diversa dalla custodia in carcere, deve, invece, partecipare dalla medesima postazione da cui si collega il suo difensore.

Il giudice ed il pubblico ministero possono, dunque, collegarsi dai rispettivi uffici, ma anche da altri luoghi.

Per quanto concerne la postazione del difensore, è prevedibile che normalmente questa sia ubicata presso la sede dello studio professionale, ma non può escludersi che possa trovarsi anche in luoghi diversi. L’unica condizione è che la postazione dell’imputato non detenuto in carcere coincida con quella del difensore. Ciò vale anche nel caso di persona sottoposta agli arresti domiciliari, sicché in ipotesi non può escludersi la singolare eventualità che il collegamento di entrambi, imputato e difensore, abbia luogo dalla stessa abitazione della persona sottoposta agli arresti domiciliari. L’identità del luogo del collegamento è evidentemente funzionale al fatto che il difensore ha il potere di attestare l’identità del proprio assistito, alla stregua dell’ausiliario del giudice nel caso di videoconferenza di cui agli artt. 146 bis e 147 bis, disp. att. c.p.p. In verità in questo caso l’ausiliario non si limita ad attestare l’identità dell’imputato, ma deve anche dare atto che non siano posti impedimenti o limitazioni all’esercizio dei diritti e delle facoltà a lui spettanti.

E’ noto inoltre che le udienze di convalida di arresto o fermo possono essere svolte mediante collegamento da remoto, ciò essendo già previsto dalla prima stesura del decreto c.d. Cura Italia: il comma 12 stabilisce, infatti, che la partecipazione a qualsiasi udienza delle persone detenute, internate o in stato di custodia cautelare è assicurata, ove possibile, mediante videoconferenze o con collegamenti da remoto. Le modifiche introdotte in sede di conversione prevedono adesso che laddove, a seguito dell’arresto o del fermo, il Pubblico ministero disponga che l’arrestato o il fermato sia posto agli arresti domiciliari, a norma dell’art. 386, co. 5, c.p.p., l’indagato ed il suo difensore possono partecipare da remoto all’udienza di convalida dal più vicino ufficio della polizia giudiziaria attrezzato, ove disponibile. E’ stata così recepita una soluzione già largamente prevista dai protocolli adottati in molti uffici giudiziari.


[1] Sul punto cfr. Tecnologie dell’informazione e della comunicazione di Davide Carnevali, Digesto, 2011.

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