Misure cautelari ed esigenze cautelari

di Matilde Brancaccio

Rel. n.  23/16

Roma, 7 aprile 2016

Orientamento di giurisprudenza

OGGETTO:  664008   – MISURE CAUTELARI – PERSONALI- DISPOSIZIONI GENERALI – ESIGENZE CAUTELARI -Legge n. 47 del 2015 – “Attualità” del pericolo di commissione di ulteriori reati – Nozione – Orientamento di giurisprudenza.

RIF. NORM.: Cod. proc. pen. art. 274; Legge 16 aprile 2015, n. 47.

1.   La legge n. 47 del 2015 ed il requisito di attualità delle esigenze cautelari.

La legge 16 aprile 2015, n. 47, ultimo atto legislativo, in ordine di tempo, tra i numerosi interventi di modifica normativa attinenti alla materia cautelare succedutisi negli ultimi tre anni, ha, come noto, introdotto una serie di novità di non poco momento nella disciplina della fase di valutazione, applicazione e impugnazione delle misure cautelari.

In particolare, si sono previste significative modulazioni delle disposizioni riferite alle esigenze cautelari (art. 274 cod. proc. pen.), una rilevante rivisitazione degli automatismi nell’applicazione della misura specifica della custodia in carcere (artt. 275 comma 3, 276 comma 1-ter, 284 comma 5-bis cod. proc. pen.), un più incisivo onere motivazionale per l’ipotesi in cui si ritenga inidonea l’applicazione degli arresti domiciliari con braccialetto elettronico (in ragione, probabilmente, della constatazione che tale misura costituisce losteplogico immediatamente precedente al determinarsi del convincimento del giudice circa l’adozione della custodia intramuraria, escluso il quale, quest’ultima si individua come unica misura capace di soddisfare le esigenze cautelari), diverse novità in materia di misure interdittive (artt. 289, 308), caratteri ed elementi della motivazione dell’ordinanza cautelare (artt. 292, 309), procedimento di riesame ed appello cautelare, personale e reale (artt. 309, 310, 324).

In tale mutato quadro normativo, che somma le citate modifiche ad altre innovazioni stratificatesi nel corso degli ultimi tre anni[1], una delle questioni che si sta affacciando con maggior frequenza nelle prime interpretazioni delle nuove disposizioni è quella riferita al significato da attribuire all’espressa previsione del requisito dell’attualità , accanto a quello, già indicato, della concretezza, per connotare il pericolo di fuga (lett. b dell’art. 274, comma 1, cod. proc. pen.) ed il pericolo di reiterazione di condotte criminose (lett. c dell’art. 274, comma 1, cod. proc. pen.). Tenuto conto, altresì, del fatto che, se da un lato si è previsto che il pericolo di fuga – come quello di reiterazione – sia non solo “concreto”, ma anche “attuale”; dall’altro, si è escluso che le situazioni di concreto e attuale pericolo, di fuga o di reiterazione, possano “essere desunte dalla gravità del titolo di reato per il quale si procede”, con ciò segnalando la necessità di evitare di ritenere in re ipsa  le esigenze cautelari, in presenza di condotte riferite a reati di particolare o tradizionale allarme sociale, e di ricercare elementi ulteriori dai quali desumere i presupposti applicativi delle misure stesse.

2. La novella del 2015 e gli orientamenti della corte di cassazione: sintesi delle posizioni in campo.

Immediatamente è risultato chiaro che la questione interpretativa riferita all’eventuale significato ulteriore e diverso, rispetto al dettato normativo precedente, della nuova qualificazione “attuale” del “pericolo” quale presupposto applicativo della cautela, imponeva una rimeditazione dell’onere motivazionale del giudice chiamato a pronunciarsi sulle esigenze cautelari.

Se tale rimodulazione delle opzioni valutative del giudice abbia un contenuto di effettiva novità rispetto al passato e, in caso di risposta positiva a tale interrogativo, quali siano gli elementi che compongono tale “nuovo” contenuto, rappresentano le questioni su cui si intende soffermarsi, analizzando le pronunce più significative, intervenute in materia, nel corso di questo primo periodo di applicazione della riforma legislativa di cui alla legge n. 47 del 2015.

Deve segnalarsi che la giurisprudenza di legittimità si è orientata in senso non univoco.

Secondo una prima opzione, deve ritenersi la sovrapponibilità del dato normativo oggi vigente, rispetto a quello passato, ed una sostanziale omogeneità di contenuti ed obblighi motivazionali nell’individuazione del pericolo cautelare ex art. 274 cod. proc. pen. tra la disciplinaantelegge n. 47 del 2015 e quella successiva ad essa: invero, il legislatore parrebbe avere oggi solo espressamente indicato, esplicitandolo, il riferimento al requisito dell’attualità quale contenuto necessario del giudizio cautelare rimesso al giudice, aderendo a quella opzione che, già emersa nella giurisprudenza pregressa, rilevava la necessità di leggere il requisito della “concretezza” anche come “attualità” del pericolo, valutando l’esigenza cautelare specificamente con riguardo ad entrambi i caratteri.

Secondo, invece, una diversa opzione dovrebbe affermarsi un carattere (parzialmente) innovativo della disciplina oggi vigente; la tesi, muovendo dalla constatazione del rilievo conferito alla motivazione sull’attualità da una parte consistente della giurisprudenza di legittimità, anche precedentemente alla novella, assegna all’espressa previsione della qualificazione del pericolo “attuale” (di fuga o reiterazione del reato) una connotazione più pregnante ed un significato diverso ed ulteriore di certezza ed alta probabilità che all’imputato si presentino effettivamente occasioni per compiere ulteriori delitti, non meramente ipotetiche o astratte, ma probabili nel loro vicino verificarsi.

Pur nella diversità degli accenti interpretativi sopra richiamati, è evidente che entrambi gli orientamenti puntano l’attenzione sul tema degli obblighi motivazionali del giudice nell’individuazione delle esigenze cautelari e, risentendo inevitabilmente delle fattispecie di volta in volta sottoposte a giudizio, soprattutto con riferimento al tempo trascorso dalla commissione del delitto per cui si valuta l’istanza di cautela, modulano la risposta secondo la specificità delle ipotesi concrete esaminate.

E’ innegabile, tuttavia, che, dopo la novella del 2015, l’interpretazione della Corte di cassazione voglia segnare il passo rispetto a prassi motivazionali collegate alla sola, prevalente analisi della gravità del reato o dei reati oggetto del provvedimento, piuttosto che ad una valutazione complessiva dei caratteri normativi del giudizio cautelare, divenuto, per volontà espressa del legislatore, un unico “contenitore” argomentativo che deve tener presente, parimenti, il titolo di reato, le caratteristiche della condotta criminosa, il tempo trascorso dalla sua commissione, la prognosi di reiterazione, ancorata al vissuto del soggetto autore ed alla sua personalità, desunta da comportamenti o atti concreti o dai suoi precedenti penali.

In tale ottica, anche la distinzione tra i due orientamenti sopradetti perde di portata divisiva: ed infatti, da un lato, la prima opzione sottolinea l’obbligo motivazionale continuativo e perdurante riferito sia all’attualità che alla concretezza del pericolo (i due poli attorno ai quali si costruisce il giudizio cautelare), quasi desumendolo da una natura intrinseca ed ineludibile della valutazione sulla cautela e svincolandolo, quindi, dallo stesso dettato legislativo espresso, che diventa una esplicitazione di un carattere (quello dell’endiadi concretezza/attualità) comunque imprescindibile; d’altro canto, il secondo orientamento, ponendo l’accento sulla “vicinanza” o “imminenza” delle occasioni prossime di reato, come contenuto nuovo del giudizio prognostico cautelare, non fa che ribadire l’attitudine “concreta” ed “attuale” del pericolo.

Alcune delle sentenze espressione del primo orientamento tengono ad indicare, inoltre, una strada comune che, correggendo l’affermazione sul carattere “imminente” del pericolo formulata dal secondo orientamento, traccia precisi confini del concetto di attualità, quasi più stringenti del richiamo alla vicinanza del pericolo, nella loro specifica indicazione: il riferimento è alla dimensione di “continuità del periculum libertatis“, apprezzata sulla base della vicinanza ai fatti in cui si è manifestata la potenzialità criminale dell’indagato, ovvero della presenza di elementi indicativi recenti, idonei a dar conto della effettività del pericolo di concretizzazione dei rischi che la misura cautelare è chiamata a neutralizzare (così Sez. 6, n. 3043 del 27/11/2015, Esposito, Rv. 265618).

3. La giurisprudenza che ritiene la continuità tra nuova e vecchia disciplina in tema di esigenze cautelari.

Subito dopo l’entrata in vigore della disciplina modificativa di cui alla legge n. 47 del 2015, numerose pronunce, provenienti da diverse Sezioni della Suprema Corte, hanno optato per una lettura che privilegia la sostanziale continuità normativa tra vecchie e nuove previsioni, pur constatando il mutato dato semantico e l’espressa volontà del legislatore di indicare l’attualità tra i requisiti del pericolo cautelare, e ritenendo, tuttavia, tale intervento additivo sostanzialmente indicativo di un rinnovato monito di attenzione, diretto al giudice, nella valutazione delle esigenze cautelari, cui fa da pendant una ineludibile necessità di compiuta motivazione in ordine ad esse. 

L’orientamento in esame ha spesso richiamato quella giurisprudenza di legittimità[2] formatasi prima della legge n. 47 del 2015, che segnalava, già sotto il vigore della precedente disciplina, la necessità di collegare ai presupposti applicativi dell’art. 274 cod. proc. pen. anche un onere motivazionale che desse conto dell’attualità del pericolo cautelare, quale base della valutata esigenza di applicare una misura, ciò soprattutto in casi nei quali la distanza temporale tra il fatto e la decisione del giudice sulla cautela risultava maggiormente ampia; in tale ottica, si afferma che la novella del 2015 avrebbe solo “normativizzato” un requisito già enucleabile dal precedente assetto delle disposizioni cautelari del codice di procedura penale.

Le pronunce che si iscrivono, con differenti accenti, nell’opzione interpretativa che ritiene la sostanziale sovrapponibilità della disciplina previgente con quella oggi in vigore sono, tra quelle massimate o più rilevanti, le seguenti:

Sez. 4, n. 28153 del 18/6/2015, Cassano, Rv. 264043; Sez. 5, n. 43083 del 24/9/2015, Maio, Rv. 264902, Sez. 6, n. 44605 del 1/10/2015, De Lucia,Rv. 265350; Sez. 6, n. 50027 del 29/10/2015, Aurisicchio;Sez. 6, n. 3043 del 27/11/2015, Esposito, Rv. 265618; nonché, tra quelle non massimate, Sez. 4, n. 24865 del 28/5/2015, Cuscinà e Sez. 1, n. 5787 del 21/10/2015, dep. 2016, Calandrino. Afferma il principio incidentalmente, ragionando di reati con presunzione cautelare di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., anche Sez. 6, n. 42630 del 18/9/2015, Tortora, Rv. 264984.

La giurisprudenza espressione di tale orientamento tiene sovente conto, in motivazione, di quanto affermato da Sez. U, n. 40538 del 24/9/2009, Lattanzi, Rv. 244377, con riferimento al rapporto “distanza dal reato/esigenza di motivazione cautelare”, là dove le Sezioni unite avevano rilevato come, in tema di misure cautelari, il riferimento al “tempo trascorso dalla commissione del reato” di cui all’art. 292, comma 2, lett. c), cod. proc. pen., impone al giudice di motivare, sotto il profilo della valutazione della pericolosità del soggetto, in proporzione diretta al tempo intercorrente tra tale momento e la decisione sulla misura cautelare, giacché ad una maggiore distanza temporale dai fatti corrisponde un affievolimento delle esigenze cautelari (la fattispecie sottoposta al giudizio delle Sezioni unite si riferiva, peraltro, ad ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa in relazione a fatti commessi più di tre anni prima).

E’ utile analizzare specificamente alcuni passaggi motivazionali più significativi di alcune delle pronunce richiamate, al fine di comprendere i termini del ragionamento giuridico condotto.

La sentenza Cassano ha sottolineato che il requisito dell’attualità era già stato “recepito quale presupposto implicito della misura cautelare dalla giurisprudenza di legittimità nel vigore della precedente normativa”, richiamando espressamente Sez. 6, n. 52404 del 26/11/2014, Alessi, Rv. 261670, che, in tema di associazione ex art. 74 D.P.R. n. 309 del 1990, aveva rilevato come, con riferimento a condotte risalenti nel tempo, era necessario desumere la sussistenza delle esigenze cautelari da specifici elementi di fatto idonei a dimostrarne l’attualità.

Analogamente, le sentenzeTortora e Maio hanno affermato che il difetto del requisito di attualità della misura cautelare era già rilevabile in base alla preesistente previsione di cui all’art. 292, lett. c), cod. proc. pen.

La sentenza Maio, in particolare, ha chiarito che la legge 16 aprile 2015, n. 47, introducendo nell’art. 274, lett. c), cod. proc. pen. il requisito dell’attualità del pericolo di reiterazione del reato, ha evidenziato la necessità che tale aspetto sia specificamente valutato dal giudice emittente la misura, avendo riguardo alla sopravvivenza del pericolo di recidivanza al momento della adozione della misura in relazione al tempo trascorso dal fatto contestato ed alle peculiarità della vicenda cautelare, segnalando che la sussistenza di un onere motivazionale sull’attualità delle esigenze cautelari era già desumibile, nell’assetto normativo previgente, dall’art. 292, comma secondo, lett. c), cod. proc. pen., nella lettura che di esso avevano offerto, tra le altre, le pronunceSez. 6, n. 28618 del 5 aprile 2013, Vignali, Rv. 255857; Sez. 1, n. 25214 del 3 giugno 2009, Pallucchini, Rv. 244829.

La portata innovativa del dettato normativo di nuova formulazione dell’art. 274 lett. c) cod. proc. pen., pertanto, non può essere enfatizzata oltre misura, secondo quanto espressamente affermato dalla sentenza in commento, che, infatti, annullando la motivazione perché “lacunosa” sotto il profilo della esplicitazione del requisito di attualità dell’esigenza cautelare, sottolinea come a tale risultato si sarebbe dovuti pervenire anche se la modifica del 2015 non vi fosse stata.

Insiste sulla “normativizzazione” di un principio giurisprudenziale preesistente alla novella del 2015 anche la sentenza De Lucia.

La sentenza Aurisicchio ha ribadito l’indirizzo giurisprudenziale secondo cui l’attualità doveva ritenersi requisito già insito nella previgente nozione di concretezza, poiché “riesce difficile immaginare delle esigenze cautelari di prevenzione rispetto al rischio di recidiva che, nell’essere concrete, non siano anche attuali”; di conseguenza, la valenza innovativa riconducibile alla legge n. 47 “non consiste nella necessità di ricercare una «attualità» che vada oltre quella richiesta dalla giurisprudenza citata, ma nel fatto che non è più consentita la misura secondo la interpretazione restrittiva della «concretezza».

La stessa sentenza, peraltro, ha significativamente messo in luce la distinzione tra “attualità” ed “immediatezza”, che costituisce, sostanzialmente, il punto di frizione tra i due orientamenti presenti nella giurisprudenza; si è detto, infatti, che “Il codice continua a distinguere tra «esigenze cautelari» ed «eccezionali esigenze cautelari», a dimostrazione che l’attualità non è «nell’immediatezza»”.

Infine, la sentenza Esposito, con un’ampia motivazione che sviluppa proprio tale ultimo argomento, ha enunciato il principio secondo cui, in tema di presupposti per l’applicazione delle misure cautelari personali, il requisito dell’attualità del pericolo di reiterazione del reato, introdotto nell’art. 274, lett. c), cod. proc. pen. dalla legge 16 aprile 2015, n. 47, non va equiparato all’imminenza del pericolo di commissione di un ulteriore reato.

La sentenza, premesso che il tempo trascorso dalla commissione del reato, anche alla luce della recente novella legislativa n. 47 del 2015, non ne esclude automaticamente l’attualità e la concretezza del pericolo di reiterazione e, quanto al concetto di “attualità” espressamente introdotto dalla novella del 2015, afferma:

–      che la sussistenza di un onere motivazionale sull’attualità delle esigenze cautelari era già desumibile, nell’assetto normativo previgente, dalla lettura dell’art. 292, comma secondo, lett. c), cod. proc. pen. (si citano, a conferma, le pronunce Sez. 6, n. 28618 del 05/04/2013, Vignali, Rv. 255857; Sez. 4, n. 18851 del 10/04/2012, Schettino, Rv. 253864; Sez. 1, n. 25214 del 03/06/2009, Pallucchini, Rv. 244829);

–      che la ratio dell’intervento legislativo, individuata nell’avvertita necessità di richiedere al giudice un maggiore e più compiuto sforzo motivazionale quanto all’individuazione delle esigenze cautelari di cui all’art. 274, lett. c), cod. proc. pen., impone oggi uno specifico vaglio non più solo del requisito della concretezza, ma anche, allo stesso modo, di quello del connesso profilo dell’attualità.

Nella citata pronuncia -svolgendo un’affermazione che si pone idealmente in contrapposizione con quanto affermato dall’altro orientamento in tema di significato della novella in tema di attualità e che cita, espressamente aderendovi, il principio stabilito dalla sentenza Maio- si ritiene che le esigenze cautelari volte ad impedire la reiterazione del reato devono avere riguardo alla sopravvivenza del pericolo di recidiva al momento della sua adozione, in relazione al tempo trascorso dal fatto contestato ed alle peculiarità della vicenda cautelare in esame (Sez. 5, n. 43083 del 24/09/2015, Maio, Rv. 264902), poiché il requisito dell’ attualità non può assumere significato equivalente a quello di imminenza del pericolo di commissione di un ulteriore reato, ma sta invece ad indicare la continuità del periculum libertatis nella sua dimensione temporale, che va apprezzata sulla base della vicinanza ai fatti in cui si è manifestata la potenzialità criminale dell’indagato, ovvero della presenza di elementi indicativi recenti, idonei a dar conto della effettività del pericolo di concretizzazione dei rischi che la misura cautelare è chiamata a neutralizzare.[3]

La sentenza Cuscinà punta l’attenzione sulla necessità di un rigoroso obbligo di motivazione sia in relazione all’attualità sia in relazione alla scelta della misura, poiché la distanza temporale tra i fatti e il momento della decisione cautelare può costituire, tendenzialmente, un elemento “dissonante” con l’attualità e l’intensità dell’esigenza cautelare; la legge n. 47/2015 aggiunge, in tale prospettiva, una precisa indicazione normativa in detta direzione e conforta, quindi, l’interpretazione che già in precedenza chiedeva al giudice, anche in rapporto al giudizio di sussistenza del pericolo di recidiva, di “esplorare la dimensione dell’attualità del pericolo di reiterazione dell’illecito”[4].

 Sulla base di queste considerazioni, la sentenza Cuscinà prospetta il superamento del diffuso indirizzo interpretativo, esistente nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui il pericolo di reiterazione “può essere desunto anche dalla molteplicità dei fatti contestati, in quanto la stessa, considerata alla luce delle modalità della condotta concretamente tenuta, può essere indice sintomatico di una personalità proclive al delitto, indipendentemente dall’attualità di detta condotta e quindi anche nel caso in cui essa sia risalente nel tempo” (in tal senso Sez. 3,  n. 3661 del 17/12/2013, dep. 2014, Tripicchio, Rv. 258053). [5]

La pronuncia Calandrino afferma che il richiamo espresso operato dal legislatore del 2015 alla attualità ha natura “simbolica” rispetto all’osservanza di una norma già presente nel sistema.

Sullo stesso piano si muove Sez. 4, n. 24861 del 21/5/2015, Iorio, Rv. 263727 che ha sottolineato come la nuova formulazione dell’art. 274, lett. c, cod. proc. pen. imporrebbe, in relazione al requisito dell’attualità, solo “una più puntuale motivazione sul punto”Peraltro, la sentenza in esame ha ritenuto non applicabile all’ipotesi ad essa sottoposta la nuova disciplina cautelare, sul presupposto che in materia opera il principio del tempus regit actum.

L’opzione è conforme a quanto indicato sul punto dalla giurisprudenza costante delle Sezioni unite (cfr., in particolare, Sez. U, n. 27919 del 31/3/2011, Ambrogio, Rv. 250195 e Sez. U, n. 44895 del 17/7/2014, Pinna, Rv. 260927  che hanno stabilito la necessità di valutare la legittimità dell’ordinanza alla luce delle norme vigenti al tempo della sua emissione, la prima avuto riguardo al fenomeno della successione di leggi nel tempo, la seconda anche in relazione alla dichiarazione di incostituzionalità di una norma incidente sul trattamento sanzionatorio e, quindi, sulla durata dei termini di fase).

4. La giurisprudenza che rileva caratteri di “novum” nella espressa previsione di “attualità”  introdotta dalla novella del 2015.

Nella giurisprudenza di legittimità, all’indomani della novella del 2015, si è fatto strada, parallelamente all’indirizzo sopra esaminato, altro orientamento che, come anticipato, ritiene più significativo il dato di novità derivante dall’inserimento del requisito espresso dell’attualità nel testo dell’art. 274, lett. c) cod. proc. pen.

Numerose sentenze, infatti, hanno rappresentato la necessità, alla luce della modifica normativa, di leggere il carattere “attuale” dell’esigenza di cautela, con riferimento specifico al pericolo di reiterazione del reato, in chiave di “nuovo” obbligo motivazionale previsto per il giudice, il quale dovrà d’ora innanzi rilevare la concreta possibilità che un’ulteriore occasione per compiere reati possa verificarsi non più solo secondo un astratto giudizio ipotetico (“qualora se ne ripresentasse l’occasione”), ma effettivamente e, addirittura, sulla base di una valutazione di “vicina” probabilità di verificazione.

In tal senso si orientano Sez. 3, n. 37087 del 19/5/2015, Marino, Rv. 264688; Sez. 3, n. 43113 del 15/9/2015, K, Rv. 265653; Sez. 3, n. 45280 del 13/10/2015, D.L., nonché, da ultimo, Sez. 3,  n. 49318 del 27/10/2015, Barone, Rv. 265623; Sez. 2, n. 50343 del 3/12/2015, Capparelli, Rv. 265395; Sez. 3, n. 50454 del 10/11/2015, Altea, Rv. 265695; Sez. 6, n. 1406 del 2/12/2015, dep. 2016, Pmt ed altro, in corso di massimazione;tra quelle non massimate e più recenti, si segnala Sez. 2, n. 9908 del 3/3/2016; Sez. 6, n. 1405 del 2016; mentre, in precedenza, Sez. 3, n. 37089 del 2015.

Tali pronunce, lette nel loro complesso, attribuiscono alla modifica dell’art. 274 lett. c) una valenza innovativa di particolare rilievo, pur se ciascuna con accenti diversi e non sempre con eguale approfondimento motivazionale (alcune di esse soltanto aderendo ai principi “segnati” dalla sentenza Marino).

Si tiene presente, senza dubbio, l’orientamento già citato, rinvenibile nella giurisprudenza di legittimità precedente alla novella del 2015, circa la sussistenza del requisito dell’attualità, come presupposto cautelare applicativo e valutativo, anche prima della sua espressa previsione normativa, poiché insito in quello della “concretezza”; tuttavia non si propende per una mera “normativizzazione” del carattere “attuale” del pericolo cautelare da parte della legge n. 47, bensì si vuol leggere, nell’espresso inserimento di tale requisito nella disposizione processuale, la necessità di indicare un oggetto più ampio di valutazione, ai fini del giudizio sulle esigenze cautelari: non soltanto la certezza o alta probabilità che l’imputato tornerebbe a delinquere, qualora se ne presentasse l’occasione, ma anche la necessità di prevedere (negli stessi termini di certezza o alta probabilità) che una ulteriore occasione per compiere nuovi delitti si presenti effettivamente (così espressamente la sentenza Marino).

La sentenza Barone aggiunge che il significato del riferimento all’attualità delle esigenze specialpreventive introdotto nell’art. 274, lett. c, cod. proc. pen. deve cogliersi nell’obbligo di motivare (sia in ordinanza applicativa che confermativa della misura) specificamente al riguardo, segnalando la “riconosciuta esistenza di occasioni prossime favorevoli alla commissione di nuovi reati. Occasioni, quindi, non meramente ipotetiche ed astratte, ma probabili nel loro vicino verificarsi”.

Deve segnalarsi, peraltro, come, nella pronuncia richiamata, si colgano aspetti di sovrapposizione con l’orientamento contrapposto, forse nella consapevolezza che unico appare il fine verso cui entrambi tendono: richiamare il compito di motivazione del giudice ad una verifica sempre più attenta e completa, condotta in concreto, sulla reale sussistenza delle esigenze cautelari in chiave prognostica, soprattutto là dove sia trascorso un tempo considerevole tra la (richiesta di) applicazione della misura e il fatto di reato commesso.

E difatti, si afferma che l’indagine sul requisito di attualità «assume poi rilievo ancora maggiore quanto più ampio sia lo spettro cronologico che divide i fatti contestati dall’ordinanza cautelare», sottolineando espressamente come «già ben prima della novella del 2015» la Corte di cassazione «aveva comunque affermato che il riferimento al “tempo trascorso dalla commissione del reato”, di cui all’art. 292, comma 2, lett. c) cod. proc. pen., impone al Giudice di motivare sotto il profilo della valutazione della pericolosità del soggetto in proporzione diretta al tempo intercorrente tra tale momento e la decisione sulla misura cautelare, giacché ad una maggiore distanza temporale dai fatti corrisponde un affievolimento delle esigenze cautelari» (citandosi, al riguardo, Sez. U, n. 40538 del 24/9/2009, Lattanzi, Rv. 244377 e, successivamente, tra le altre, Sez. 4, n. 24478 del 12/3/2015, Palermo, Rv. 263722).

Tali principi, secondo la pronuncia Barone, sono “all’evidenza, da confermare con ancora più forte rigore nell’attuale contesto normativo”.

La sentenza Altea, infine,si muove in un contesto di revoca o sostituzione di misura cautelare personale: il giudice richiesto dell’istanza -si dice- deve esaminare anche gli eventuali ulteriori elementi “medio tempore” acquisiti nel corso dell’istruttoria dibattimentale, al fine di valutare l’attualità del pericolo di reiterazione del reato mediante un giudizio che, per effetto delle modifiche apportate all’art. 274, comma primo lett. c), cod. proc. pen. dalla legge n. 47 del 2015, investe anche la prognosi di certezza o di alta probabilità che si riproponga l’occasione di delitto; ciò facendo aderendo esplicitamente, in motivazione, alla sentenza Marino e mutuandola sul principio.

5. Attualità del pericolo e reati a presunzione relativa di adeguatezza ai sensi dell’art. 275 cod. proc. pen..

Per completare l’analisi degli atteggiamenti della giurisprudenza di legittimità all’indomani dell’esplicito inserimento del requisito dell’attualità nel testo dell’art. 274 cod. proc. pen., occorre segnalare alcune pronunce riferite al tema della valutazione di attualità vista dall’orizzonte dei reati per i quali vige la presunzione (relativa) di sussistenza delle esigenze cautelari, ai sensi dell’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. (come modificato, da ultimo, anch’esso dalla predetta legge n. 47 del 2015), presunzione prevista in ragione della natura delle condotte ad essi riferibili.

Anche in tale ambito paiono riscontrarsi opzioni interpretative non del tutto sovrapponibili, benché le distanze tra le differenti tesi siano meno rilevanti di quelle che potrebbero apparire: si evidenzia, in quest’ottica, l’opportunità di leggere le pronunce in parallelo, evitando una lettura parcellizzata di esse.

Ebbene, secondo una prima tesi, non è necessario che l’ordinanza cautelare motivi anche in ordine alla rilevanza del tempo trascorso dalla commissione del fatto, così come richiesto dall’art. 292, comma secondo, lett. c), dello stesso codice, in quanto per tali reati vale la presunzione di adeguatezza di cui al predetto art. 275, che impone di ritenere sussistenti le esigenze cautelari salvo prova contraria. Tuttavia, la stessa tesi sottolinea il carattere “relativo” della presunzione normativa e la necessità che il giudice cautelare verifichi “se tale presunzione non possa essere vinta proprio dal distacco temporale intervenuto dai fatti laddove lo stesso, per la sua significativa durata e per la combinazione con altri fattori soggettivi ed oggettivi, possa dare dimostrazione della insussistenza delle esigenze cautelari” (così Sez. 3, n. 33037 del 15/7/2015, G., Rv. 264190)[6].

Sul tema, si evidenzia, anche l’affermazione di Sez. 1, n. 45657 del 6/10/2015, Varzaru, Rv. 265419 che, in motivazione, individua, leggendo il testo dell’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., così come modificato nel 2015,un “doppio livello di presunzioni” -di sussistenza delle esigenze e di adeguatezza della custodia in carcere– di natura sempre relativa, quella riferita alla valutazione della sussistenza delle esigenze, e, quanto alla porzione di presunzione riferita all’adeguatezza, di natura relativa per tutti i reati previsti dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., all’esito degli interventi della Corte costituzionale[7], ed assoluta per quei delitti per i quali tale natura residua, al netto degli interventi demolitori del giudice delle leggi. Con riferimento ai caratteri di tali presunzioni, poi, la sentenza afferma che  “l’esistenza di una presunzione relativa ex lege di sussistenza delle esigenze cautelari (art. 275 co. 3 cod. proc. pen.) inverte gli ordinari «poli» del ragionamento giustificativo, nel senso che il giudice che applica o che conferma la misura cautelare non ha un obbligo di dimostrazione «in positivo» della ricorrenza dei pericula libertatis… ma ha un obbligo di apprezzamento delle eventuali «ragioni di esclusione» , tali da smentire, nel caso concreto, l’effetto di detta presunzione”: una sorta di “prova di resistenza” della presunzione, secondo l’espressione utilizzata dalla stessa sentenza. In termini identici si esprime, altresì, la citata sentenza n.5787 del 2016, Calandrino. 

Una differente opzione, invece, ritiene che, anche qualora si proceda per uno dei reati per cui vige una presunzione relativa di adeguatezza della custodia in carcere, “la considerevole distanza temporale tra i fatti contestati e l’applicazione della misura costituisce elemento che impone al giudice di dare adeguata motivazione non solo della sussistenza della pericolosità sociale dell’indagato in termini di attualità, ma anche della necessità di dover applicare la misura di maggior rigore per fronteggiare adeguatamente i pericula libertatis” (Sez. 6, n. 27544 del 10/6/2015, Rechichi, Rv. 263942; conf. sent. n. 27545/2015 e n. 27546/2015, n.m.).

In tale ottica interpretativa si iscrive anche Sez. 6, n. 42630 del 18/9/2015, Tortora, Rv. 264984che delinea i passaggi sequenziali del ragionamento applicativo della misura cautelare nelle ipotesi previste dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., sottolineando come sia preliminare e vincolante, seguendo il percorso tracciato dalle norme, valutare l’attualità delle esigenze e l’andella misura, mentre, solo se risolta positivamente tale verifica, potrà farsi luogo all’operatività della presunzione di adeguatezza della custodia in carcere, sicchè “una volta esclusa, per qualsiasi ragione e quindi anche per il decorso di un significativo lasso temporale (art. 292 lett. c cod. proc. pen.), la sussistenza delle esigenze special-preventive, non residua alcuna necessità di ordine prima logico che giuridico di procedere a valutazioni inerenti la scelta di una misura che si è già escluso di dover applicare”.

Appare plausibile, all’esito di tale analisi, ritenere che non vi sia una rilevante difformità di vedute in punto di verifica del requisito dell’attualità con riferimento ai reati inseriti nel novero di quelli “a presunzione cautelare” di cui all’art. 275, comma 3, bensì, piuttosto, diversi punti di partenza del ragionamento logico, i quali, tuttavia, confluiscono verso un unico risultato. La presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari può essere “vinta”, infatti, sia nell’ottica del primo orientamento che in quella della seconda opzione interpretativa; nel primo caso, si propone un rapporto di “eccezione a regola” (non deve motivarsi sull’attualità, ma devono verificarsi gli eventuali elementi dai quali desumere la non sussistenza delle esigenze cautelari); nel secondo caso, si adotta un canone di ragionamento “unico”, che, simultaneamente, si determina per la sussistenza di esigenze cautelari, verificandone inevitabilmente anche l’attualità, valutati eventuali elementi specifici di segno contrario, così come oggi espressamente previsto dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen.

Il redattore: Matilde Brancaccio

Il vicedirettore

Giorgio Fidelbo


[1] Per una sintesi delle riforme attuate ed un’analisi completa delle ricadute sugli orientamenti della giurisprudenza di legittimità delle numerose novità normative degli ultimi anni in materia cautelare, si rinvia a V. Pazienza, Primi orientamenti sulle nuove disposizioni in materia cautelare, Cap. II, Sez. IV, Terza Parte della Rassegna della giurisprudenza di legittimità – Gli orientamenti delle sezioni penali, Anno 2015, a cura dell’Ufficio del Massimario Penale.

[2]  Il riferimento, in particolare, è – tra le molte ed a partire da Sez. U, n. 40538 del 24/9/2009, Lattanzi, Rv. 244377 – a Sez. 6, n. 28618 del 05/04/2013, Vignali, Rv. 255857; Sez. 4, n. 18851 del 10/04/2012, Schettino, Rv. 253864; Sez. 1, n. 25214 del 03/06/2009, Pallucchini, Rv. 244829.

[3] In relazione all’inserimento dell’attualità anche nella lett. b) dell’art. 274, si segnala infine Sez. II, 13 ottobre 2015, n. 44526, Castillo Quintana, Rv. 265042, la quale ha riconosciuto a tale modifica una specifica portata innovativa, affermando – in linea con la relazione di accompagnamento al disegno di legge – la necessità che il pericolo di fuga sia non solo concreto, ma anche attuale, “nel senso che il rischio che la persona possa fuggire debba essere imminente”. 

[4] La pronuncia, in applicazione del principio, annulla l’ordinanza cautelare con cui il Tribunale non esplicita in quale modo una condotta tenuta in un tempo risalente al gennaio 2012 e precedenti penali ancor più risalenti possano dare indicazioni sulla condotta di vita del prevenuto al tempo della adozione del provvedimento concernente la richiesta di misura cautelare; la totale mancanza di informazioni in merito alla condotta di vita del soggetto tra il gennaio 2012 e il dicembre 2014 (quasi tre anni) non può essere colmata -si dice- da un giudizio che nega in radice ogni possibilità di mutamento di tale condottae che omette di investigare l’attualità.

[5] Tuttavia, anche successivamente alla novella della legge n. 47 del 2015 e nonostante le argomentazioni contrarie fondate su di essa e sull’esplicito richiamo all’attualità oggi contenuto nell’art. 274 cod. proc. pen., l’orientamento che ritiene la possibilità di una motivazione cautelare basata sulla (anche sola) molteplicità dei fatti contestati è stato ribadito da diverse decisioni (tra queste, Sez. 6, n. 23304 del 12/5/2015, Vecchi; Sez. 3, n. 33423 del 10/7/2015, Accaputo; Sez. F, n. 34287 del 28/7/2015, Abbinante, nonché Sez. 2, n. 9500 del 23/2/2016, con alcune precisazioni sul contenuto del giudizio). Si è anzi ulteriormente precisato, da ultimo, che la motivazione in ordine all’attualità e concretezza del pericolo di recidiva può basarsi “non solo sull’intrinseco disvalore del fatto, ma altresì su un’accertata e immanente proclività al delitto del soggetto attivo (ravvisata, nella specie, sulla base delle modalità particolarmente riprovevoli della sua condotta e della peculiare posizione fiduciaria rivestita rispetto alle persone offese), pur laddove il fatto contestato sia risalente nel tempo e indipendentemente dal fatto che il soggetto attivo non risulti aver posto in essere ulteriori condotte criminose” (Sez. 4, n. 46442 del 5/11/2015, D.V.).

[6]  Deve segnalarsi la specifica declinazione della questione con riferimento al reato di cui all’art. 74 D.P.R. n. 309 del 1990.Ed infatti, mentre Sez. 3, n. 27439 del 1/4/2014, Cetrullo, Rv. 259723 ritiene la non necessità di motivare sulla distanza temporale dai fatti anche nel caso di delitto di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, contra, tuttavia, Sez. 4, n. 26570 del 11/6/2015, Flora, Rv. 263871 e Sez. 6, n. 44129 del 22/10/2015, Vitali, Rv. 265457, che ritengono inapplicabili le regole di esperienza, alla base della presunzione per la fattispecie di cui all’art. 416 bis cod. pen., a quella dell’associazione ex art. 74 t.u.s.: in particolare il riferimento è alla regola della tendenziale stabilità del sodalizio in difetto di elementi contrari attestanti il recesso individuale o lo scioglimento del gruppo; precedentemente alla novella del 2015, nello stesso senso, Sez. 6, n. 52404 del 26/11/2104, Alessi, Rv. 261670; tra le più recenti non massimate sul punto Sez. 6, n. 1406 del 2/12/2015, dep. 2016,

[7] Il riferimento è alle seguenti pronunce: sent. 21 luglio 2010, n. 265, relativa ad alcuni delitti a sfondo sessuale; sent. 12 maggio 2011, n. 164, relativa al delitto di omicidio volontario; sent. 22 luglio 2011, n. 231, riguardo alla associazione finalizzata al narcotraffico; sent. 3 maggio 2012, n. 110, relativa al delitto di associazione per delinquere realizzata allo scopo di commettere i delitti previsti dagli artt. 473 e 474 cod. pen.; sent. 18 luglio 2013, n. 213, concernente il sequestro di persona a scopo di estorsione; sent. 23 luglio 2013, n. 232, concernente la violenza sessuale di gruppo; sent. n. 57 del 2013 relativa alla previsione di custodia carceraria obbligatoria per i reati aggravati a norma dell’art. 7 del decreto-legge n. 152 del 1991; sent. n. 48 del 2015, con riferimento alla presunzione assoluta di adeguatezza operante per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa.

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