Mozione congressuale, assemblea generale del 15 giugno 2025. Tutela dei diritti e principio di uguaglianza alla prova delle riforme in corso.

All’esito di due giorni di articolato dibattito, nel corso del quale sul tema dell’incidenza delle riforme costituzionali si sono confrontate, nelle loro diverse sensibilità, Accademia, Politica, Avvocatura, Libera Stampa e Magistratura, permane la preoccupazione di un possibile pregiudizio al principio di uguaglianza dei cittadini dinnanzi alla legge.

Come già emerso dalla relazione introduttiva, si è ribadito con forza che i valori della giurisdizione sono già pienamente iscritti nell’ attuale Carta costituzionale, figlia del patto sociale tra le forze antifasciste e repubblicane: soggezione soltanto alla legge, terzietà e imparzialità, inamovibilità, autonomia e indipendenza, pari dignità delle funzioni, sono prerogative attribuite al magistrato – giudice e pubblico ministero –   nell’esclusivo interesse dei cittadini.

Tali valori costituiscono chiara espressione di un ordinamento democratico retto dal principio di legalità, senza i quali non può esistere uno Stato di diritto.

Il giudice è soggetto solo alla legge e ne è anche interprete.

In un ordinamento multilivello, l’interpretazione non può ridursi a mera operazione meccanica, delegabile ad algoritmi di incerta origine, ma impone un continuo bilanciamento tra diritti e principi, necessitato dalla evoluzione della società e dall’esigenza di garantire il principio di uguaglianza sostanziale.

È questa l’attività oggetto dell’attacco politico che non si è limitato alla critica dei singoli provvedimenti giudiziari, espressi anche dalla Suprema Corte nel suo massimo consesso, ma ha assunto la fisionomia di attacco diretto alla persona del magistrato, anche con la prospettazione di iniziative disciplinari ministeriali.

Desta preoccupazione che si invochi non la figura di un magistrato imparziale e che tale appaia, ma quella di un magistrato gradito e allineato allo “spirito politico del tempo”.

I lavori congressuali hanno evidenziato allarmanti scenari per l’imminente approvazione in “unica lettura e priva di emendamenti” di una riforma costituzionale sulla separazione delle carriere, espressione solo formale di osservanza dell’art. 138 Cost.

In particolare, segnaliamo:

  • la mortificazione della dignità del magistrato ordinario, privato dell’elettorato attivo mediante la previsione di un sorteggio che sterilizza il principio costituzionale della rappresentatività dell’organo di autogoverno, che deve essere espressione di pluralismo culturale;
  • la deprivazione del ruolo costituzionale del Csm – organo di autogoverno dell’ordine unitario della magistratura giudicante e requirente – sdoppiato e reso mero gestore amministrativo delle carriere dei giudici e dei pubblici ministeri, cui viene sottratta la funzione disciplinare;
  • l’allontanamento del pm dalla comune cultura della giurisdizione e l’inevitabile isolamento del giudice: è forte il pericolo di una rottura costituzionale del ruolo di equilibrio del pubblico ministero, disegnato quale mero avvocato dell’accusa e, come tale, non più orientato alla ricerca anche delle prove a favore dell’indagato e dell’imputato;
  • l’incertezza sulla titolarità dell’azione disciplinare nei confronti di giudici e pubblici ministeri che, per Costituzione, è attribuita solo al Ministro;
  • la costituzione di un’Alta Corte disciplinare prevista solo per la magistratura ordinaria le cui decisioni paiono essere sottratte alla verifica di legittimità.

Il nostro gruppo prende atto con rammarico del rifiuto dell’attuale maggioranza politica a confrontarsi effettivamente sulla riforma costituzionale e, non per questo, smetterà di esistere e rivendicare la sua funzione di garanzia dei diritti di tutte le persone, nessuna esclusa.

A fronte di una riforma che investe la sola magistratura ordinaria e non risponde alle reali necessità del comparto giustizia, Unicost chiede interventi normativi strutturali in grado di garantirne l’efficacia.  Personale, mezzi, attenzione alle misure preventive di cura del disagio sociale, sono necessari per fare fronte ad una domanda di giustizia che non ha eguali. Assistiamo invece a continui interventi legislativi di segno opposto espressione di scelte di politica criminale che hanno introdotto nuove figure di reato e la previsione di condizioni ostative per l’accesso alle misure alternative al carcere. Questi interventi aggravano ancora di più la già critica situazione di sovraffollamento delle carceri che oltre ad essere contraria ai principi di civiltà, pregiudica evidentemente l’attuazione del principio di rieducazione della pena, previsto dall’art. 27 della Costituzione, con il conseguente concreto rischio di recidiva nel reato, a danno non solo del singolo ma di tutta la collettività.

Unità per la Costituzione invita tutti i magistrati, che si identificano nei valori costituzionali fondanti il gruppo, ad attivarsi sul territorio stimolando la partecipazione e il dibattito pubblico sulla tutela dei diritti e delle garanzie.

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