Ne bis in idem transnazionale di Eugenia Serrao

IL PRINCIPIO EUROPEO DEL NE BIS IN IDEM DOPO LA CARTA DI NIZZA

Abstract

Il contributo tratta dell’incidenza dell’entrata in vigore dell’articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (Carta di Nizza) sulla c.d. condizione di esecuzione del ne bis in idem transnazionale precedentemente introdotta dall’articolo 54 della Convenzione di Applicazione dell’Accordo di Schengen, anche in relazione al criterio interpretativo della «fiducia reciproca» tra Stati membri espresso nella giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea ed all’impatto sul Diritto dell’Unione Europea dell’interpretazione del ne bis in idem offerta dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo

Il ne bis in idem può essere considerato senza tema di smentita un principio fondamentale del diritto penale dell’Unione Europea, che protegge i cittadini dal doppio processo, anche in situazioni transnazionali. Eppure, dall’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, tale principio è diventato un parametro dell’impatto sistemico della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea sul diritto secondario dell’UE. Una ragione di ciò è rinvenibile nel fatto che il principio del ne bis in idem espresso nell’articolo 50 della Carta di Nizza differisce, nella sua formulazione, dal principio stabilito nella Convenzione di Applicazione dell’Accordo di Schengen (1990), alla quale si deve ricondurre l’introduzione del principio del ne bis in idem transnazionale nell’ordinamento giuridico europeo. In particolare, la Carta di Nizza non prevede la «clausola di esecuzione» (articolo 54 CAAS), né le eccezioni previste dall’articolo 55 della CAAS, come l’eccezione di sicurezza nazionale. In base alla clausola di esecuzione, il ne bis in idem transnazionale esclude la possibilità che una persona sia sottoposta ad ulteriori procedimenti per il medesimo fatto a patto che, se è stata imposta una sanzione: a) sia stata applicata, b) sia effettivamente in corso di esecuzione o c) non possa più essere eseguita secondo le leggi dello Stato contraente. Poiché nessuna di queste condizioni di applicazione è menzionata dall’articolo 50 della Carta di Nizza, è emersa la domanda, quando la Carta è diventata fonte del diritto primario dell’UE, se le condizioni limitative della CAAS fossero compatibili con la Carta, tenendo conto che quest’ultima è lex superior e posterior.

Nel caso Spasic (C-129/14, 27 maggio 2014), la Grande Camera della Corte di Giustizia (CGUE) ha fornito una risposta parziale e in una certa misura sorprendente a questa domanda. Il signor Spasic è un cittadino serbo che, al momento della pronuncia pregiudiziale dinanzi alla CGUE, era stato perseguito in Germania per una frode commessa in Italia contro un cittadino tedesco. Era già stato condannato in Italia per questa frode alla pena di un anno di reclusione e della multa. Al momento del processo tedesco, la condanna italiana era divenuta definitiva ed esecutiva. Tuttavia, solo la multa era stata pagata spontaneamente dal signor Spasic; la parte detentiva della sentenza era rimasta ineseguita. Due domande preliminari sono state presentate dal giudice tedesco alla CGUE. In primo luogo: la clausola di esecuzione contemplata dall’articolo 54 della CAAS è compatibile con l’articolo 50 della Carta di Nizza? Secondo: questa condizione è soddisfatta dal fatto che una sola parte della pena sia stata scontata, quando la condanna sia composta da due pene indipendenti? Al fine di rispondere alla prima domanda, la Corte di Giustizia ha qualificato la condizione di esecuzione della CAAS come una «limitazione» del diritto (ossia del divieto di bis in idem) sancito dall’articolo 50 della Carta di Nizza ed ha effettuato un’analisi di proporzionalità, conformemente all’articolo 52, paragrafo 1 della Carta ed all’approccio «Hauer» (C-44/79, Hauer, 13 settembre 1979). La Corte ha deciso che la limitazione fosse effettivamente proporzionata, basandosi sui seguenti argomenti:

– la condizione di esecuzione dell’articolo 54 della CAAS non rimette in discussione l’essenza del ne bis in idem in quanto tale principio è sancito dall’articolo 50 della Carta; 

– la condizione persegue un obiettivo di interesse generale che è connaturato al comune spazio di libertà, sicurezza e giustizia (AFSJ), vale a dire prevenire l’impunità di persone condannate e condannate in via definitiva (vedi anche C-288/05, Kretzinger, 18 luglio 2007).

– la condizione è necessaria, poiché nessuna delle alternative meno restrittive previste dagli strumenti di riconoscimento reciproco (come la Decisione Quadro 2002/584 / GAI sul mandato di arresto europeo o la Decisione Quadro 2008/909 / GAI sul riconoscimento reciproco delle pene detentive per la loro applicazione transfrontaliera) potrebbe essere «egualmente efficace» nel garantire l’obiettivo di prevenire l’impunità.

Per quanto riguarda la situazione del signor Spasic, la Corte, a quanto pare, ha considerato che la possibilità di avviare un secondo procedimento giudiziario per gli stessi fatti fosse più efficace nel perseguire l’obiettivo di sicurezza nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia dell’Unione rispetto al ricorso al MAE o all’applicazione transfrontaliera delle sanzioni mediante il riconoscimento reciproco. Inoltre, la Corte ha affermato che, con uno strumento di reciproco riconoscimento, esiste un rischio intrinseco di impunità nella scelta discrezionale dello Stato membro che ha emesso la decisione finale di applicarla o meno (articolo 69).

Questo argomento è in realtà abbastanza sorprendente, perché la CGUE sembra riconsiderare il ruolo e l’importanza della fiducia reciproca (mutual trust), che è stato sin dall’origine un caposaldo teoretico della giurisprudenza sul principio del ne bis in idem nell’Unione europea, e che è anche uno dei capisaldi dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia. Per contro, l’opinione dell’Avvocato Generale appare molto più in linea con la tradizionale filosofia della fiducia reciproca nel contesto dell’UE; anche se gli Stati membri dispongono di discrezionalità sui mezzi per far rispettare le sentenze pronunciate dai loro tribunali e anche se la legge dell’Unione non obbliga uno Stato membro a emettere un mandato d’arresto europeo per prevenire l’impunità, l’Avvocato G   enerale Jääskinen ricorda che «il principio secondo cui ogni pena deve essere eseguita fa parte dello stato di diritto» il cui rispetto è una caratteristica comune a tutti gli Stati membri dell’Unione. Con questo approccio più «fiducioso», la necessità della condizione di esecuzione avrebbe probabilmente ricevuto un peso diverso nel bilanciamento degli interessi. Per quanto riguarda la seconda questione, la CGUE ha concluso che l’esecuzione di una sola parte della condanna (in questo caso, la multa) non soddisfa la condizione di esecuzione in alcuna delle sue forme. Anche questa conclusione della Corte merita riflessione perché, mentre è indiscutibile che un’esecuzione parziale non possa essere considerata come una piena esecuzione, è anche vero che l’articolo 54 della CAAS prevede l’ipotesi che la sanzione sia «effettivamente in procinto di essere eseguita». Affermando che un’applicazione parziale di una parte autonoma di una pena composta non possa soddisfare la condizione di esecuzione, la CGUE ha considerevolmente esteso la portata della condizione e limitato la protezione offerta dal principio del ne bis in idem. Sebbene nel caso Spasic l’esecuzione parziale riguardasse la componente pecuniaria della sanzione composta, un’applicazione indiscriminata dell’approccio della Corte potrebbe minare la funzione protettiva del ne bis in idem, che costituisce, in termini di proporzionalità, parte della sua essenza. La decisione della Grande Camera, in effetti, dovrebbe essere testata in una situazione inversa, in cui sia già stata eseguita la pena detentiva ma la multa non sia stata ancora pagata. Un individuo, in questa ipotesi, potrebbe essere soggetto ad un altro processo ed, eventualmente, a un secondo, ancora più lungo, periodo di prigionia per gli stessi fatti? Un risultato del genere potrebbe essere considerato «proporzionale» nel contesto di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia?

In conclusione, il giudizio Spasic pone un forte accento sul dovere di prevenire l’impunità dei criminali all’interno dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia e, apparentemente, sposta l’equilibrio del ne bis in idem verso un approccio più «orientato alla sicurezza». In tal modo, la CGUE sembra, da un lato, accogliere un nuovo significato (più «diffidente» o, da un altro punto di vista, forse più «realistico») del concetto di mutual trust e, dall’altro, trascura la logica protettiva del ne bis in idem e la logica della sua precedente giurisprudenza.

Il valore dell’articolo 50 della Carta di Nizza, e la sua incidenza sull’acquis in materia di ne bis in idem precedente al Trattato di Lisbona, dovranno essere ulteriormente esaminati e discussi. Nel caso Spasic, in particolare, la Corte di Giustizia ha affrontato solo l’impatto della Carta di Nizza sulla clausola di esecuzione senza esaminare, ad esempio, le eccezioni previste dall’articolo 55 della CAAS, le cui eterogenee finalità non mirano direttamente a prevenire l’impunità e potrebbero porsi in un diverso equilibrio con gli obiettivi dello spazio di sicurezza, libertà e giustizia.

In questo contesto si colloca la sentenza del Tribunale di Milano del 6 luglio 2011 nel caso Walz. Il giudice italiano ha deciso di non procedere ulteriormente nel processo per l’accusa di omicidio a carico di Walz Gordon e Walz Peter perché questi indagati erano già stati condannati dal Tribunale penale di Karlsruhe con pena in corso di esecuzione osservando che, sebbene una parte del reato fosse stata commessa nel territorio italiano, l’entrata in vigore dell’articolo 50 della Carta di Nizza aveva abrogato le eccezioni previste dall’articolo 55 della CAAS, in particolare l’eccezione a norma della quale l’Italia non può rinunciare alla propria giurisdizione per reati commessi nel territorio dello Stato, anche ivi parzialmente commessi. Il giudice ha applicato il principio del ne bis in idem ai sensi dell’articolo 50 della Carta di Nizza, combinato con l’articolo 6 del Trattato UE nella versione consolidata dopo il Trattato di Lisbona. Il giudice ha osservato che il principio del ne bis in idem trova fondamento nella fiducia reciproca tra gli Stati membri e nel reciproco riconoscimento delle sentenze nell’area europea, rivendicato da diversi strumenti del diritto eurounitario (assistenza giudiziaria in materia penale, mandato di arresto europeo e così via).

Dobbiamo, poi, ricordare che la Corte di Giustizia ha stabilito che il principio opera anche in caso di estinzione del procedimento penale (Corte di Giustizia, 11 febbraio 2003 C-187/01 e C-385/01, Gozutok e Brugge): in particolare, la Corte ha affermato che una persona può godere dell’applicazione del principio anche quando una pronuncia non sia formalmente definitiva.

La Corte di Giustizia ha, altresì, affermato che il principio opera anche in caso di prescrizione del reato (Corte di giustizia, 28 settembre 2006, C – 467/05, Gasparini).

Un’altra importante sentenza della Corte di Giustizia è quella emessa da Sezione II, 11 dicembre 2008, C-297/07, Bourquain, che ha esteso il significato del termine «finality» applicato alla sentenza, riguardante anche la decisione in absentia e la condanna non esecutiva.

Diversi strumenti dell’UE sottolineano l’importanza della fiducia reciproca tra gli Stati membri:

a) il Programma di misure per la realizzazione del principio del riconoscimento reciproco delle decisioni penali (Gazzetta ufficiale delle Comunità Europea C 12/10 del 15.1.2001);

b) l’articolo 82, comma 1, lettera b) del TFUE del Trattato UE, che indica il campo di applicazione per prevenire e risolvere i conflitti di giurisdizione tra Stati membri;

c) l’articolo 52, n. 3, della Carta di Nizza, che prevede la corrispondenza tra i diritti garantiti dalla Carta e quelli garantiti dalla CEDU come interpretati dalla Corte di Strasburgo, ai sensi dell’articolo 5 della Carta.

Il principio del ne bis in idem deve essere considerato, come detto, un diritto fondamentale dall’entrata in vigore dell’articolo 50 della Carta di Nizza e dell’articolo 6 del Trattato UE e, secondo il Trattato di Lisbona, come tale può essere direttamente individuato negli Stati membri dai giudici nazionali in quanto giudici dell’Unione Europea.

Riguardo a questo argomento non possiamo dimenticare la sentenza della Corte di Giustizia Europea 3 settembre 2008, caso Kadi, C.402/05 e 415/05: in questa decisione la Corte europea ha affermato che i diritti fondamentali fanno parte dei principi generali del diritto dei quali la Corte deve garantire la conformità e che gli accordi internazionali non possono essere interpretati in pregiudizio dei principi fondamentali del Trattato UE.

E’, dunque, evidente l’importanza di ciò che l’Avvocato Generale Colomer ha affermato nel caso Bourquain sulla fiducia reciproca come pietra angolare proprio in relazione all’articolo 52 della Carta. Ha specificato che ciascuno Stato membro deve accettare l’attuazione della legge penale da parte degli altri Stati, anche se la sua legge condurrebbe a una diversa soluzione del caso.

Un’importanza analoga deve essere attribuita alle conclusioni presentate il 12 giugno 2012 dall’Avvocato Generale Villalòn nel caso Aklagaren c. Fransson C-617/10, relativo all’imposizione di sanzioni amministrative e penali in relazione allo stesso reato: «L’evoluzione della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo dimostra che, al momento, l’articolo 4 del protocollo n. 7 della CEDU osta a misure per l’imposizione di sanzioni sia amministrative che penali in relazione agli stessi atti, ed impedisce l’avvio di una seconda serie di procedimenti, sia amministrativi che penali, quando la prima sanzione è diventata definitiva ».

Argomenti simili si possono trovare nel caso Corte di Giustizia, Grande Stevens c. Italia, 4 marzo 2014; Sez. IV, 20 maggio 2014, Nykänen c. Finlandia; Sez. V, 27 novembre 2014, Lucky Dev c. Svezia.

Rimane, dunque, aperta la questione se la condizione di esecuzione prevista dall’articolo 54 della CAAS sia ancora oggi coessenziale alla stessa definizione del principio o se non debba piuttosto essere definita un’eccezione al principio. Ed è proprio alla luce del principio di proporzionalità che occorrerà approfondire se, attualmente, la condizione di esecuzione sia ancora applicabile, in un sistema giuridico europeo profondamente cambiato da quando l’articolo 54 della CAAS entrò in vigore.

In sostanza, l’obbligo di rispettare il principio del ne bis in idem, comune alla CEDU, nei termini in cui è interpretato dalla Corte di Strasburgo ed i nuovi strumenti di cooperazione in materia penale, in primo luogo il MAE ma anche la mutua assistenza legale, suggeriscono un serio ripensamento sulla necessità che la condizione di esecuzione sia conservata in uno spazio transnazionale, ma ancor più in uno spazio europeo fondato sulla fiducia reciproca e in cui il concetto di sicurezza significa, non solo garanzia da assenza di impunità ma anche, certezza per il condannato che solo la prima condanna sarà applicata e scontata.

Per un approfondimento: N. Recchia, Il principio europeo del ne bis in idem tra dimensione interna ed internazionale, Dir. Pen. Contemporaneo, 3, 2015, 71 ss.