Negoziazione assistita in materia civile: casi e questioni

di Michele Ruvolo

Sommario: 1. Cos’è la negoziazione assistita? 2. Come si svolge il procedimento di negoziazione assistita? 3. Casi e particolarità della negoziazione assistita obbligatoria; 4. Le controversie soggette a negoziazione assistita obbligatoria; Cosa deve intendersi per “controversie in materia di…”? 5. Le principali questioni in tema di negoziazione assistita relativa a sinistri stradali; In materia di risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli natanti quali sono i rapporti tra la condizione di procedibilità di cui alla legge 162/14 e la condizione di proponibilità della domanda di cui all’art. 145, commi 1 e 2, D.lgs. 209/2005 (c.d. Codice delle assicurazioni)? Rientra nella negoziazione assistita obbligatoria il caso della domanda risarcitoria per danni derivanti a motociclisti o automobilisti da buche presenti sul manto stradale? Rientra nella negoziazione assistita obbligatoria (in materia di risarcimento del danno da circolazione di veicoli) il caso della domanda risarcitoria per danni derivanti dal contratto di trasporto su mezzi pubblici o privati? Rientrano tra le azioni in materia di risarcimento del danno da circolazione di veicoli e natanti soggette a negoziazione assistita obbligatoria anche le domande relative ai contratti assicurativi? 6. I procedimenti esclusi. 6.1. Negoziazione e procedimenti cautelari; Si deve attivare il procedimento di negoziazione assistita dopo il procedimento ex art. 669 bis e prima del giudizio di merito? È escluso il procedimento sommario di cognizione? È sempre esclusa la domanda monitoria? 7. Gli esiti della negoziazione assistita; 8. I possibili vizi, contenuti e sviluppi della convenzione di negoziazione assistita o dell’accordo. Cosa succede se nella convenzione di negoziazione assistita si prevede un termine di durata della negoziazione superiore ai 3 mesi? Cosa succede se nella convenzione di negoziazione assistita si prevede di negoziare anche su diritti indisponibili? Cosa succede se l’accordo raggiunto a seguito di negoziazione assistita coinvolge anche diritti indisponibili? Che cosa succede se l’accordo raggiunto a seguito di negoziazione assistita è successivo a qualche vizio della procedura di negoziazione? Che efficacia ha una clausola di negoziazione assistita inserita in un contratto per la risoluzione di future controversie? Sono ipotizzabili forme di responsabilità precontrattuale o contrattuale relativamente alla convenzione di negoziazione assistita? 9. Negoziazione assistita e patrocinio a spese dello Stato; 10. Le prospettate questioni di legittimità costituzionale; NEGOZIAZIONE E PROCESSO. 11. Il rilievo dell’improcedibilità da parte del giudice. Cosa succede se gli avvocati delle parti si accordano per evitare la procedura di negoziazione ed adire direttamente il giudice con l’intesa di non eccepire l’improcedibilità dell’azione e confidando nel mancato rilievo officioso del giudice? Nel caso in cui la prima udienza si strutturi materialmente in più udienze il rilievo officioso deve farsi alla prima di queste o anche nelle altre? Cosa deve fare il giudice in caso di mancata certificazione dell’autografia della firma da parte degli avvocati nell’accordo o di mancata certificazione della firma della parte nell’invito? Cosa accade se l’invito è inviato non alla parte ma all’avvocato con il quale era già in corso una corrispondenza informale? Cosa deve fare il giudice se nell’invito manca l’avvertimento che la mancata risposta all’invito entro 30 giorni o il suo rifiuto può essere dal giudice valutato ex artt. 96 e 642 c.p.c.? Quale può essere la valutazione giudiziale del comportamento dell’invitato di accettazione o di rifiuto dell’invito? Il giudice deve verificare che l’invito sia stato regolarmente portato a conoscenza dell’altra parte? Cosa succede se si ritiene non corretta tale comunicazione? Il giudice deve verificare la corrispondenza oggettiva tra la domanda giudiziale e l’oggetto del tentativo di conciliazione? Cosa deve fare il giudice se verifica che le parti non hanno rispettato il termine di 15 giorni da lui concesso per l’invio della comunicazione? Quesito: nei casi in cui la domanda relativa a controversia rientrante nella negoziazione obbligatoria viene formulata con ricorso il giudice che verifica l’assenza della condizione di procedibilità deve fissare udienza senza nulla dire sulla negoziazione o, nel fissare udienza, rileva l’improcedibilità, fissa udienza oltre il termine massimo della procedura di negoziazione e concede il termine di 15 giorni per comunicare l’invito? 12. A quali condizioni può ritenersi adempiuto l’ordine del giudice. Va richiesta la partecipazione effettiva delle parti nella procedura di negoziazione assistita? 13. Negoziazione assistita obbligatoria e domande connesse. Si può disporre una negoziazione assistita ex officio iudicis? Se proposte più domande di cui solo una o alcune soggette a negoziazione assistita obbligatoria? e se riunite cause connesse in cui solo alcune delle domande sono soggette a negoziazione assistita obbligatoria? 14. La durata del procedimento di negoziazione assistita e le conseguenze in ambito processuale; Quesito: cosa succede se il procedimento di negoziazione dura più del termine massimo fissato dalle parti o di quello legale di 3 mesi prorogabili per altri 30 giorni? 15. La riservatezza nel procedimento di negoziazione assistita; La riservatezza del procedimento di negoziazione assistita può limitare il diritto alla prova in sede giudiziale? 16. Sanzioni. Spese. Responsabilità aggravata e provvisoria esecuzione. Quando il giudice può fare ricorso alla responsabilità aggravata o alla provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo? Può valutarsi negativamente la condotta della mancata risposta all’invito alla negoziazione assistita o del suo rifiuto? Può applicarsi alla negoziazione assistita obbligatoria la sanzione prevista per la mancata ed ingiustificata comparizione in sede di mediazione? 17. Negoziazione assistita e contraddittorio. Che cosa succede se non viene garantito il litisconsorzio necessario nella fase della negoziazione assistita? Sussiste la condizione di procedibilità se non viene fatta al proprietario del mezzo danneggiante la comunicazione dell’invito alla stipula della convenzione di negoziazione? Quali sono, con riferimento alla negoziazione assistita ed alla relativa condizione di procedibilità, i rapporti tra il principio della ragionevole durata del processo ed il principio del contraddittorio? 18. La necessità o meno dell’esperimento del procedimento di mediazione in relazione alle domande riconvenzionali ed alle chiamate di terzo; Le riconvenzionali inedite e la negoziazione assistita obbligatoria; La reconventio reconventionis, la chiamata di terzo e le domande trasversali; 19. Altre questioni in tema di negoziazione assistita e processo. Nella negoziazione assistita in tema di sinistri stradali le parti ed i loro avvocati possono avvalersi dell’opera di un esperto? Può prodursi nel giudizio civile la consulenza svolta nel procedimento di negoziazione assistita?
 

Nella Gazzetta ufficiale del 10 novembre è stata pubblicata la legge 162/2014 (che ha convertito in legge il decreto legge 132/2014) ed ha, tra le altre cose, introdotto, quale nuovo ed ulteriore strumento per la risoluzione dei conflitti e delle controversie in via stragiudiziale, la procedura di negoziazione assistita da un avvocato.

Così come è stato per la mediazione, anche in questo caso l’obiettivo è di definire parte delle controversie fuori dalle aule giudiziarie.

1. Cos’è la negoziazione assistita?

La negoziazione assistita è un procedimento che può condurre prima alla sottoscrizione ad opera delle parti di un accordo (c.d. convenzione di negoziazione) mediante il quale esse convengono di cooperare per risolvere in modo stragiudiziale e tramite avvocati una lite che è tra di loro insorta e che riguarda diritti disponibili, nonché, in un secondo momento, alla successiva attività di negoziazione vera e propria, che può sfociare in un altro accordo (compositivo della lite) che, sottoscritto dalle parti e dagli avvocati che le assistono, costituisce titolo esecutivo e per l’iscrizione di ipoteca giudiziale.

Il procedimento di negoziazione assistita può essere facoltativo o obbligatorio. Nel primo caso il ricorso al procedimento in questione viene liberamente scelto dalle parti. Rientra nella negoziazione assistita facoltativa anche quella in tema di famiglia.

La negoziazione assistita è obbligatoriaex lege, invece, nei casi in cui essa è imposta dalla legge.

La disciplina della negoziazione assistita è in molti suoi punti strutturata secondo quanto già previsto nel d.lgs. n. 28 del 2010 in tema di mediazione.

2. Come si svolge il procedimento di negoziazione assistita?

Quando viene conferito l’incarico all’avvocato questi deve informare (e ciò costituisce dovere deontologico, senza comunque conseguenze processuali) il proprio cliente della possibilità di ricorrere alla convenzione di negoziazione assistita. A questo punto se la parte sceglie, nei casi di negoziazione facoltativa, di fare ricorso al procedimento di negoziazione, allora l’avvocato (e può trattarsi anche di cd. avvocato stabilito ai sensi dell’articolo 6 del decreto legislativo 2 febbraio 2001, n. 96, e ciò in ossequio a quanto affermato dalla Corte Giust. UE, Grande Sezione, sentenza 17 luglio 2104) formulerà alla controparte un invito a stipulare una convenzione di negoziazione indicando l’oggetto della controversia (che non può concernere né diritti indisponibili né cause lavoristiche) e avvertendo l’altra parte del fatto che la sua eventuale mancata risposta all’invito entro trenta giorni dalla ricezione o il suo rifiuto potrebbe in futuro essere valutato dal giudice ai fini della determinazione del regime delle spese del giudizio e di quanto previsto dagli artt. 96 (in materia di responsabilità aggravata della parte) e 642, comma 1 (relativo ai casi in cui il giudice deve concedere l’esecuzione provvisoria al decreto ingiuntivo) del codice di procedura civile. Tale ultimo avvertimento è finalizzato a favorire la serietà del tentativo di conclusione dell’accordo.

Inoltre, l’invito in questione deve anche contenere la certificazione dell’autografia della firma apposta all’invito ad opera dell’avvocato che formula l’invito.

In merito agli effetti dell’invito in questione si noti che, che al fine di impedire che il tempo necessario allo svolgimento della procedura in questione possa risultare pregiudizievole per la parte il cui diritto sia prossimo alla prescrizione, è stato previsto che già la semplice comunicazione dell’invito (ma ciò vale anche per la sottoscrizione della convenzione) incide sulla prescrizione in quanto produce, con riferimento ad essa, gli stessi effetti della domanda giudiziale. Inoltre, dallo stesso momento è impedita, per una sola volta, la decadenza. Se però l’invito è rifiutato o non è accettato entro 30 giorni dalla ricezione allora la domanda giudiziale deve essere proposta entro il medesimo termine di decadenza decorrente dall’eventuale rifiuto (in ipotesi di espresso rigetto dell’invito) ovvero dalla mancata accettazione dell’invito nel termine (in caso di mancata risposta) ovvero dalla dichiarazione di mancato accordo certificata dagli avvocati (in ipotesi di convenzione conclusa ma con mancato successivo accordo sul merito della controversia).

Dopo l’invito in questione è quindi possibile stipulare la “convenzione di negoziazione” che, evidentemente, altro non è che un accordo tra le parti tramite il quale queste pattuiscono di “cooperare in buona fede e con lealtà” per risolvere in via amichevole la controversia tramite l’assistenza di avvocati.

In particolare, secondo la definizione normativa “la convenzione di negoziazione assistita da un avvocato è un accordo mediante il quale le parti convengono di cooperare in buona fede e con lealtà per risolvere in via amichevole la controversia tramite l’assistenza di avvocati iscritti  all’albo anche ai sensi dell’articolo 6 del decreto legislativo 2 febbraio 2001, n. 96”.

Tramite l’introduzione di questo tipo di convenzione non si vuole che le parti si obblighino a pervenire ad una definizione stragiudiziale della controversia, ma soltanto che esse si impegnino a “cooperare in buona fede e con lealtà” per tentare di definire bonariamente la loro controversia. Si tratta di un contratto che impegna le parti a negoziare al fine di trovare una composizione della lite.

Il testo legislativo precisa che sono tenute ad affidare la convenzione di negoziazione alla propria avvocatura le amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del d.lgs. 165/2001, e cioè, fra l’altro, tutte le amministrazioni dello Stato, le Regioni, le Province, i Comuni, le comunità montane, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, nonché le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale.

Con riferimento alla natura giuridica della detta convenzione di negoziazione va ora rilevato che essa rientra tra i negozi compositivi della lite e, in particolare, tra le transazioni se si considera che, come tutte le transazioni, la causa della convenzione di negoziazione è quella di porre fine a una controversia relativa a diritti disponibili.

Tuttavia, a differenza delle normali transazioni, la convenzione di negoziazione può essere conclusa anche in assenza di reciproche concessioni. Inoltre, essa richiede sempre l’assistenza di un avvocato (e ne basta anche uno solo, salvo che nella materia della famiglia, visto il definitivo testo del comma 5 dell’art. 2), che gestisce la procedura negoziativa.

Trattandosi, quindi, di un particolare tipo di transazione, risulta applicabile la disciplina in tema di transazione se non espressamente derogata dalle norme sulla negoziazione assistita. Conseguentemente, ad esempio, se viene stipulata una convenzione di negoziazione in materia di dritti indisponibili, allora la convenzione sarà nulla ex  art. 1967 comma II c.c. Chiaramente, infatti, per transigere le parti devono avere la capacità di disporre dei diritti che formano oggetto della lite (art. 1966, comma I, cod. civ.).

Sono poi previsti particolari requisiti formali per la convenzione di negoziazione, la quale deve essere redatta in forma scritta a pena di nullità, deve essere sottoscritta dalla parti e dagli avvocati, i quali certificano l’autografia delle sottoscrizioni, e deve indicare il termine concordato dalle parti per l’espletamento della procedura (termine che non può comunque essere inferiore ad un mese né superiore a tre mesi, prorogabile per ulteriori trenta giorni su accordo tra le parti) nonché l’oggetto della controversia (che non deve riguardare diritti indisponibili, né, come aggiunto in sede di conversione, vertere in materia di lavoro).

Cosa succede se manca uno dei citati requisiti di forma?

Deve ritenersi che in questo caso l’accordo potrà valere, se ne ricorrono comunque i requisiti, come normale transazione (v. sul punto v. G. Buffone, Processo civile:. tutte le novità (d.l. 132/2014, conv. con mod., in l. 162/2014), in Il Civilista, Giuffré, 2014) e ciò anche in considerazione di quanto stabilito dall’art. 1424 cod. civ. Si pensi al caso del difensore che non certifichi l’autografia delle sottoscrizioni o all’accordo concluso senza l’assistenza di un avvocato iscritto all’albo o all’accordo non sottoscritto dai difensori che le hanno assistite.

Tuttavia, tale mancata certificazione, così come l’eventuale mancanza di certificazione in ordine alla conformità dell’accordo alle norme imperative e all’ordine pubblico, potrebbe essere ostativa all’esecutività del patto. In questo caso l’accordo potrebbe non valere come titolo esecutivo ex art. 5 legge 162/14.

Inoltre, se le parti omettono di indicare il termine per lo svolgimento della procedura di negoziazione tale omissione non comporta alcuna nullità dovendosi comunque ritenere applicabile il termine massimo di tre mesi previsto dalla legge.

In ogni caso, è da ritenere che anche le altre irregolarità non impediscono alle parti di andare avanti con la negoziazione.

Inoltre, relativamente alle materiali modalità di stipulazione della convenzione di negoziazione sembra fin troppo evidente che essa, integrando un normale contratto, possa essere redatta o contestualmente dalle parti o tramite lo scambio di proposta e di controproposta ex  art. 1326 c.c. (v. anche Porracciolo-Tona,Guida alla nuova giustizia civile, in Guida al diritto-Il Sole 24 ore, novembre 2014, pag. 12) .

Una volta stipulata la convenzione di negoziazione, si potrà procedere all’espletamento della procedura di negoziazione, che deve essere ovviamente svolta con l’assistenza degli avvocati che, cosi come le parti, sono tenuti a comportarsi con lealtà e devono tenere riservate le informazioni ricevute dall’altra parte. In particolare, le dichiarazioni rese e le informazioni acquisite nel corso del procedimento non possono essere utilizzate nel giudizio avente in tutto o in parte il medesimo oggetto. Inoltre, i difensori delle parti e coloro che partecipano al procedimento non possono essere tenuti a deporre sul contenuto delle dichiarazioni rese e delle informazioni acquisite. La violazione di tali regole di condotta costituisce per l’avvocato illecito disciplinare.

All’esito dello svolgimento del procedimento di negoziazione è possibile che le parti non riescano ad addivenire ad un accordo. In questo caso va redatta la dichiarazione di mancato accordo che gli avvocati designati certificano.

Se, invece, si riesce a raggiungere un accordo compositivo della controversia (che deve essere conforme alle norme imperative e all’ordine pubblico) questo viene sottoscritto dalle parti e dagli avvocati che le assistono e costituisce così titolo esecutivo e per l’iscrizione di ipoteca giudiziale.

In questo contesto di redazione dell’accordo, cosi come in quello precedente di svolgimento del procedimento di negoziazione, è essenziale il ruolo dell’avvocato, il quale, tra le altre cose, certifica la conformità dell’accordo alle norme imperative e all’ordine pubblico e l’autografia delle firme (anche se quando con l’accordo le parti concludono uno dei contratti o compiono uno degli atti previsti dall’articolo 2643 del codice civile, per procedere alla trascrizione dello stesso la sottoscrizione del processo verbale di accordo deve essere autenticata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato).

Inoltre, l’accordo che compone la controversia deve essere integralmente trascritto nel precetto ai sensi dell’articolo 480, comma 2, c.p.c. E poiché le indicazioni che devono essere trasfuse nel precetto in base al citato art. 480 c.p.c. sono previste «a pena di nullità», allora anche la trascrizione dell’accordo che compone la controversia è richiesta ad substantiam.

Visto il rilevantissimo ruolo svolto dall’avvocato in sede di negoziazione, si è previsto che il legale che impugni un accordo alla cui redazione ha partecipato commette illecito deontologico.

3. Casi e particolarità della negoziazione assistita obbligatoria.

In alcuni casi il previo espletamento della procedura di negoziazione assistita costituisce condizione di procedibilità della domanda. Ciò a decorrere dall’11 novembre 2014. Si tratta delle ipotesi di negoziazione assistita obbligatoria, che ricalcano, a livello di disciplina, le previsioni in tema di c.d. mediazione obbligatoria.

Come in quest’ultima, infatti, in relazione a talune fattispecie il procedimento di negoziazione assistita deve essere esperito a pena di improcedibilità della domanda giudiziale.

Sono stati così introdotti altri casi di giurisdizione c.d. condizionata, in cui, cioè, chi vuole fare ricorso al giudice deve prima sperimentare un preliminare ricorso ad un meccanismo alternativo di risoluzione delle controversie, a pena di improcedibilità della domanda giudiziale. È un meccanismo attraverso il quale il legislatore pensa di poter fornire una reale spinta deflattiva (assegnando all’autorità giudiziaria solo le controversie non componibili) e di consentire una rapida definizione delle liti.

Due sono i casi in cui una parte ha l’obbligo, a pena di improcedilità della domanda, di invitare, tramite l’avvocato, l’altra parte a stipulare una convenzione di negoziazione assistita:

1) quando si vuole esercitare in giudizio un’azione in materia di risarcimento del danno da circolazione di veicoli e natanti (non più rientrante tra i casi di mediazione obbligatoria dopo la riforma operata dal d.l. n. 69 del 2013, convertito in l. n. 98 del 2013);

2) quando si vuole proporre in giudizio una domanda di pagamento a qualsiasi titolo di somme non eccedenti 50.000 euro, ad eccezione delle controversie assoggettate alla disciplina della c.d. mediazione obbligatoria[1].

In questi due casi in cui la procedura di negoziazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale la parte, come detto, deve, tramite il suo avvocato, invitare la controparte a stipulare una convenzione di negoziazione assistita. Comunque, la condizione si considera avverata se l’invito non è seguito da adesione o è seguito da rifiuto entro trenta giorni dalla sua ricezione ovvero quando è decorso il periodo concordato dalle parti per l’espletamento della procedura, comprensivo di eventuale proroga.

L’invito a stipulare la convenzione deve indicare l’oggetto della controversia e contenere l’avvertimento che la mancata risposta all’invito entro trenta giorni dalla ricezione o il suo rifiuto può essere valutato dal giudice ai fini delle spese del giudizio e di quanto previsto dagli articoli 96 e 642, primo comma, del codice di procedura civile. È l’avvocato che formula l’invito che certifica l’autografia della firma apposta allo stesso invito.

Affinché il giudice possa ritenere correttamente formata la condizione di procedibilità basta che i difensori producano in causa la dichiarazione di mancato accordo, certificata dai difensori medesimi, ovvero che l’avvocato che introduce la lite provi l’avveramento della condizione di procedibilità producendo, quindi, un invito contenutisticamente idoneo.

Evidentemente, invece, risulta ostativo al formarsi della procedibilità della domanda un invito che non indichi l’oggetto del controversia o che non contenga gli avvertimenti previsti dalla legge o che non sia stato correttamente comunicato al destinatario.

Come nel caso di mancato previo esperimento del procedimento di negoziazione assistita, anche il non idoneo svolgimento dello stesso comporta l’improcedibilità della domanda giudiziale, che deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d’ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza (che nel rito ordinario di cognizione è l’udienza di cui all’art. 183 c.p.c.), al termine della quale il giudice assegna alle parti il termine di 15 giorni per la comunicazione dell’invito a stipulare la convenzione e, contestualmente, fissa la successiva udienza (nella cui determinazione egli deve evidentemente tenere conto della possibilità che le parti utilizzino per intero il termine massimo di tre mesi nonché la proroga di 30 giorni).

Diversa è l’ipotesi in cui alla prima udienza il giudice verifica che la negoziazione assistita è già iniziata, ma non si è conclusa, ipotesi nella quale il giudice fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine previsto dalle parti nella convenzione stessa per la durata della procedura di negoziazione e che, come detto, non può essere inferiore a un mese né superiore a tre mesi.

Comunque, la condizione di procedibilità si considera avverata se l’invito non è seguito da adesione o è seguito da rifiuto entro 30 giorni dalla sua ricezione ovvero quando è decorso il periodo di tempo previsto dalle parti nella convenzione per la durata della procedura di negoziazione.

In ogni caso la negoziazione non è condizione di procedibilità della domanda giudiziale quando la parte può stare in giudizio personalmente così come non lo è per le controversie concernenti obbligazioni contrattuali derivanti da contratti conclusi tra professionisti e consumatori (art. 3 legge 162/14).

Va ora evidenziato che la disciplina sopra esposta non si applica con riferimento ad alcuni procedimenti, che sono:

a) i procedimenti per ingiunzione, inclusa l’opposizione;

b) i procedimenti di consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite di cui all’articolo 696bisdel codice di procedura civile;

c) i procedimenti di opposizione o incidentali di cognizione relativi all’esecuzione forzata;

d) i procedimenti in camera di consiglio;

e) i procedimenti riguardanti l’azione civile esercitata nel processo penale.

Inoltre, l’obbligatorietà dell’esperimento del procedimento di negoziazione assistita “non preclude la concessione di provvedimenti urgenti e cautelari, né la trascrizione della domanda giudiziale”.

4. Le controversie soggette a negoziazione assistita obbligatoria.

La prima, e forse più importante, questione interpretativa che si deve affrontare è quella relativa all’ambito di estensione della negoziazione assistitaobbligatoria. In proposito è doveroso ricordare che l’art. 3, comma 1, della legge 162/2014 prevede la negoziazione assistitaobbligatoria (e, quindi, il previo esperimento del tentativo di conciliazione tra le stesse parti assistite da avvocatiquale condizione di procedibilità della domanda giudiziale) ogni qual volta si voglia far valere in giudizio una pretesa afferente ad una certa (e legislativamente individuata) materia.

La formula impiegata è quella per cui “chi intende esercitare in giudizio un’azione relativa ad una controversia in materia di risarcimento del danno da circolazione di veicoli e natanti” e “chi intende proporre in giudizio una domanda di pagamento a qualsiasi titolo di somme non eccedenti cinquantamila euro” devono, tramite il loro avvocato, “invitare l’altra parte a stipulare una convenzione di negoziazione assistita”.

Analogamente a quanto fa l’art. 5, comma 1bis, del d.lgs. 28/10 con riferimento alla mediazione obbligatoria, anche l’art. 3 della legge 162/14 prevede con riferimento ai sinistri stradali una condizione di procedibilità in caso di esperimento giudiziale di “un’azione relativa a una controversia in materia di…”.

Quesito: cosa deve intendersi per “controversie in materia di…”?

Tale formula è identica a quella impiegata dall’art. 447bisc.p.c. per il rinvio a talune disposizioni del rito lavoro in relazione alle “controversie in materia di locazione e di comodato di immobili urbani e di affitto di aziende”.

Ora, è pacifico in giurisprudenza che la formula “controversie in materia di” è più ampia della formula “controversie di”. Una controversia in materia di locazione può riguardare anche liti non strettamente dipendenti dal contratto di locazione, ma in qualche modo collegate allo stesso. Ecco che, ad esempio, è una “controversia in materia di locazione” anche quella (ex art. 2932 c.c.) relativa al preliminare di locazione o alla responsabilità precontrattuale connessa alla stipula di un contratto di locazione (v. Cass. 581/03; 4873/2005 e 15110/2007).

Giurisprudenza rilevante

“Tra le controversie ‘in materia di locazione’, attribuite dagli artt. 21 e 447-bis c.p.c. alla competenza territoriale inderogabile del giudice in cui si trova l’immobile, devono ritenersi comprese, data l’ampiezza della nozione di “materia”, tutte le controversie comunque collegate alla materia della locazione, e quindi anche quelle nelle quali si controverte in ordine ad un rapporto ancora da costituire, ma di cui si invoca la costituzione ai sensi dell’art. 2932 c.c. sulla base di un contratto preliminare” (Cass., sez. I, ord. 16 gennaio 2003, n. 581; v., analogamente,  Cass., sez. III, ord. 7 marzo 2005, n. 4873, in materia di domanda volta a “far dichiarare l’opponibilità, all’aggiudicatario di un immobile destinato ad albergo, del contratto d’affitto di azienda stipulato tra il proprietario originario ed un precedente dante causa dell’attuale affittuario”; v. anche Cass., sez. III, ord. 4 luglio 2007, n. 15110).

È comunque ora opportuno osservare che le disposizioni che prevedono condizioni di procedibilità, costituendo deroga all’esercizio del diritto di agire in giudizio, garantito dall’art. 24 Cost., non possono essere interpretate in senso estensivo (v. Cass. 967/04).

Giurisprudenza rilevante

Sez. L, Sentenza n. 967 del 21/01/2004 (Rv. 569540)

Premesso che le disposizioni che prevedono condizioni di procedibilità, costituendo deroga all’esercizio del diritto di agire in giudizio, garantito dall’art. 24 Cost., non possono essere interpretate in senso estensivo, deve ritenersi che, ai fini dell’espletamento del tentativo di conciliazione, il quale ai sensi dell’art. 412 cod. proc. civ. costituisce condizione di procedibilità della domanda, sia sufficiente, in base a quanto disposto dall’art. 410-bis cod. proc. civ., la presentazione della richiesta all’organo istituito presso le Direzioni provinciali del lavoro, considerandosi comunque espletato il tentativo di conciliazione decorsi sessanta giorni dalla presentazione, a prescindere dall’avvenuta comunicazione della richiesta stessa alla controparte. Tale comunicazione è invece necessaria, ai sensi dell’art. 410, comma secondo, cod. proc. civ., perché si verifichi la interruzione della prescrizione e la sospensione, per il periodo ivi indicato, di ogni termine di decadenza.

Ora, poiché il primo comma dell’art. 3 della legge 162/14 è una disposizione che prevede una condizione di procedibilità, anche per tale primo comma va esclusa un’interpretazione estensiva.

Bisogna, quindi, tenere conto, da un lato, dell’ampiezza della locuzione “controversie in materia di” e, dall’altro lato, dell’impossibilità di operare un’ampia interpretazione di tale locuzione.

5. Le principali questioni in tema di negoziazione assistita relativa a sinistri stradali.

La disciplina normativa della negoziazione assistita quale condizione di procedibilità delle domande giudiziali in materia di sinistri stradali pone a livello processuale molte questioni, alcune delle quali simili a quelle che sono state già affrontate con riferimento al procedimento di mediazione.

Quesito

In materia di risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli natanti quali sono i rapporti tra la condizione di procedibilità di cui alla legge 162/14 e la condizione di proponibilità della domanda di cui all’art. 145, commi 1 e 2, D.lgs. 209/2005 (c.d. Codice delle assicurazioni)?

Anche l’attività precontenziosa prevista dal Codice delle assicurazioni mira ad evitare la causa ed incide sull’azione (rendendo la domanda improponibile anche se non improcedibile come invece accade con la disciplina sulla negoziazione assistita).

Tuttavia, i due istituti sembrano potere convivere.

La raccomandata con la quale si chiede il risarcimento del danno alla compagnia di assicurazioni è sì imposta normativamente (così come è imposta l’attesa di 60 o 90 giorni prima di potere proporre la domanda giudiziale), ma non è affatto diversa da tutte quelle altre raccomandate contenenti le più svariate richieste che normalmente precedono l’instaurazione di un giudizio.

Come queste ultime (se relative a materie rientranti tra quelle assoggettate a negoziazione assistita obbligatoria), anche quella in tema di sinistri stradali dovrà essere seguita, in caso di silenzio o di risposta negativa del destinatario della richiesta extragiudiziale, dal procedimento di negoziazione assistita prima di potere (eventualmente) pervenirsi alla lite giudiziale.

Peraltro, un supporto testuale alla soluzione appena indicata si rinviene nell’art. 3, comma 5 del decreto legge, che prevede, con riferimento al caso dei rapporti tra negoziazione assistita c.d. obbligatoria ed altri procedimenti conciliativi, che “restano ferme le disposizioni che prevedono speciali procedimenti obbligatori di conciliazione e mediazione, comunque denominati”; disposizione così modificata in sede di conversione nella legge 162/14: “restano ferme le disposizioni che prevedono speciali procedimenti obbligatori di conciliazione e mediazione, comunque denominati. Il termine di cui ai commi 1 e 2, per materie soggette ad altri termini di procedibilità, decorre unitamente ai medesimi”.

In questo modo si è voluto evitare che la proposizione della domanda giudiziale potesse subire eccessivi rallentamenti a causa della necessità di attendere, per il ricorso alla negoziazione assistita, che fossero prima decorsi i termini di procedibilità previsti da altre normative. Certo, è vero che l’art. 145, commi 1 e 2, D.lgs. 209/2005 (c.d. Codice delle assicurazioni) contempla un condizione di proponibilità e non di procedibilità. Tuttavia, ricorrendo la medesima ratio sopra indicata, la soluzione normativa sulla contestuale decorrenza dei termini deve ritenersi valevole anche per il caso di specie.

In altri termini, sembra possibile, nello stesso periodo di tempo, inviare una raccomandata alla Compagnia di assicurazioni contenente la richiesta risarcitoria e inviare al contempo l’invito per la stipula della convenzione di negoziazione. Non essendo richiesto che le due condizioni (di proponibilità e di procedibilità) debbano sussistere in sequenza l’una rispetto all’altra, è quindi forse da credere che ciò che importa è che si verifichi la sussistenza delle stesse, a prescindere dal loro sviluppo temporale. Ed è verosimile che spesso, per evitare perdite di tempo, si intrecceranno le due procedure se anche si considera che la citazione non può essere notificata prima del decorso dei 60 o 90 giorni previsti per la condizione di proponibilità di cui all’art. 145 Cod. ass. mentre può essere notificata anche prima dell’instaurazione del procedimento di negoziazione assistita o anche prima del decorso del termine di 3 mesi (prorogabile di 30 giorni) di durata massima del procedimento di negoziazione assistita.

Il problema che può porsi è quello relativo al possibile rifiuto da parte della Compagnia di Assicurazioni di stipulare la convenzione di negoziazione assistita motivato alla luce della mancata decorrenza dello spatium deliberandi previsto per la condizione di proponibilità di cui all’art. 145 Cod. ass.

Quesito

Rientra nella negoziazione assistita obbligatoria il caso della domanda risarcitoria per danni derivanti a motociclisti o automobilisti da buche presenti sul manto stradale?

Al riguardo va ricordato quell’orientamento giurisprudenziale che si è formato in merito alla competenza del giudice di pace per le cause, sostanzialmente identiche a quelle cui fa riferimento la legge 162/14 in tema di “risarcimento del danno da circolazione di veicoli e natanti”.

Si è affermato che la controversia relativa ai c.d. danni da buca non è una “causa di risarcimento del danno prodotto dalla circolazione di veicoli” visto che la c.d. “insidia stradale” si ricollega alla circolazione solo tramite un nesso di occasionalità e non di causalità efficiente.

Ed invero, perché si possa ritenere applicabile la disciplina di cui all’art. 7, comma 2, c.p.c. (sulla competenza del giudice di pace per le cause di risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti con valore non superiore ad € 20.000) occorre uno specifico nesso causale tra il fatto della circolazione stradale ed il danno, nel senso che il primo elemento deve essere causa efficiente del secondo e non costituirne, invece, semplice occasione (come accade invece nel caso delle buche, dove il danno è conseguenza dell’omessa manutenzione delle strade e solo occasionalmente connesso alla circolazione stradale .- v. Cass. 14564/2002).

Analogamente, il caso dei danni “da buca” non può essere fatto rientrare nella materia, rientrante tra le fattispecie di negoziazione assistita obbligatoria, «di risarcimento del danno da circolazione di veicoli e natanti».

Quesito

Rientra nella negoziazione assistita obbligatoria (in materia di risarcimento del danno da circolazione di veicoli) il caso della domanda risarcitoria per danni derivanti dal contratto di trasporto su mezzi pubblici o privati?

Spesso nei giudizi relativi a responsabilità da trasporto viene fatto valere il c.d. concorso della responsabilità contrattuale ed extracontrattuale (tipicamente e classicamente configurabile proprio in materia di trasporto).

In proposito è noto che in tema di trasporto di persone la scelta tra l’azione di risarcimento del danno da responsabilità contrattuale e quella da responsabilità extracontrattuale, fondata la prima sull’inadempimento delle obbligazioni nascenti dal contratto di trasporto e la seconda sulla violazione del principio generale del neminem laedere, e la scelta del loro esercizio cumulativo nel processo rientra nel potere dispositivo della parte, senza alcun possibile intervento del giudice (cfr. Cass. 6233/1999; 8656/1996; 1593/1979; 11766/2002).

Rientra invero nel potere dispositivo della parte proporre cumulativamente azione contrattuale ed azione extracontrattuale quando si ritiene che, con un unico comportamento, siano stati violati i doveri derivanti dal contratto concluso ed i doveri derivanti dal generale principio del neminem laedere  (Cass. 6233/1999; 8656/1996; 418/1996; 8090/1994).

Ciò chiarito, va ora precisato che l’art. 7, comma 2, c.p.c. riguarda sia i fatti illeciti prodotti dalla circolazione stradale di veicoli (arg.exCass. 746/2002; 15573/2000) che le ipotesi di responsabilità contrattuale.

Per “cause di risarcimento del danno prodotto dalla circolazione di veicoli e natanti” devono invero intendersi, oltre a quelle in cui si fa valere una responsabilità aquiliana, anche quelle in cui l’attore fa valere la responsabilità contrattuale del vettore, magari insieme a quella extracontrattuale.

Pure quando la parte attrice chiede il risarcimento del danno contrattuale e fa valere un illecito contrattuale va ritenuta ricorrente una causa “di risarcimento del danno prodotto dalla circolazione di veicoli e natanti”.

Vista l’ampiezza di tale ultima formula normativa, deve infatti reputarsi che nella formula in questione rientri, oltre al fatto illecito prodottosi nella circolazione di veicoli o natanti, anche l’inadempimento del contratto di trasporto determinativo di un danno, posto che anche in questo caso si tratta di un “danno prodotto dalla circolazione di veicoli e natanti”.

Ora, considerato che la legge 162/14 fa rientrare nella negoziazione assistita obbligatoria le cause in tema di “risarcimento del danno da circolazione di veicoli e natanti”, formula sostanzialmente identica a quella di cui all’art. 7, comma 2, c.p.c., allora anche la controversia in cui si fa valere una responsabilità contrattuale da trasporto dovrebbe farsi rientrare nelle ipotesi di negoziazione assistita obbligatoria sottoposte al meccanismo della condizione di procedibilità.

A tale conclusione deve poi pure pervenirsi se si considera, tra le altre cose, l’orientamento giurisprudenziale formatosi a proposito della condizione di proponibilità della domandaexart. 22 della previgente legge n. 990/1969.

È noto, invero, che tale ultima disposizione prevedeva: «l’azione per il risarcimento di danni causati dalla circolazione dei veicoli o dei natanti, per i quali a norma della presente legge vi è obbligo di assicurazione, può essere proposta solo dopo che siano decorsi sessanta giorni da quello in cui il danneggiato abbia chiesto all’assicuratore il risarcimento del danno, a mezzo di lettera raccomandata con avviso di ricevimento».

La ratio della norma (analoga all’attuale art. 145, D.lgs. n. 209/2005, Codice delle assicurazioni) è chiara, in quanto finalizzata alla deflazione del contenzioso e ad agevolare una composizione stragiudiziale di ogni questione risarcitoria sorta a seguito della circolazione di veicoli.

L’esigenza sottesa all’invio della richiesta di risarcimento in questione è invero individuabile in quella di fornire all’assicuratore un congruo spazio di tempo per esperire accertamenti e decidere se opporsi alla pretesa o avanzare proposte transattive.

È il caso di sottolineare come, in tema di assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli, l’assicurazione medesima con riguardo ai danni alla persona trasportata si riferisce tanto al caso in cui detta responsabilità venga invocata a titolo extracontrattuale, per violazione del precetto del neminem laedere, quanto al caso in cui venga fatta valere a titolo contrattuale, sicché, anche in questa seconda ipotesi (responsabilità contrattuale), la proponibilità della domanda, sia diretta contro il responsabile civile o l’autore materiale del fatto, è soggetta al decorso di un termine da quello in cui il danneggiato ha chiesto il risarcimento per mezzo di lettera raccomandata all’assicuratore (cfr. Cass. 1128/1985; 3242/1982; 6847/1982).

La preventiva messa in mora dell’assicuratore come condizione di proponibilità dell’azione di risarcimento contro il preteso responsabile è richiesta quindi anche relativamente all’azione di responsabilità contrattuale per danni alla persona subìti da viaggiatori a bordo di veicoli adibiti al trasporto pubblico.

Un’impostazione giurisprudenziale così rigorosa trova, d’altra parte, fondamento anche nella rationormativa di deflazionare il contenzioso mediante una tempestiva comunicazione del fatto all’assicuratore, in modo tale che il medesimo possa stragiudizialmente operare per una composizione della controversia.

Se, quindi, la Suprema Corte ha interpretato la locuzione contenuta nell’art. 22, L. 990/1969(«l’azione per il risarcimento di danni causati dalla circolazione dei veicoli o dei natanti, per i quali a norma della presente legge vi è obbligo di assicurazione») come relativa anche al caso in cui si faccia valere una responsabilità contrattuale, pure l’analoga locuzione (che più ci interessa) di controversie in materia di “risarcimento del danno da circolazione di veicoli e natanti” di cui alla legge 162/14 deve essere intesa come comprensiva anche dei casi di responsabilità contrattuale.

Quesito

Rientrano tra leazioni in materia di risarcimento del danno da circolazione di veicoli e natanti soggette a negoziazione assistita obbligatoria anche le domande relative ai contratti assicurativi?

Rientra nell’ambito della negoziazione assistita (riguardando il risarcimento del danno conseguente al sinistro stradale e non attenendo al contratto assicurativo) la domanda risarcitoria formulata nei confronti del proprietario del mezzo antagonista (e/o dell’autore dell’illecito) e della sua compagnia di assicurazione (nei confronti della quale l’attore agisce in forza di un’azione non scaturente da alcun contratto ma prevista ex lege), nonché quella esperita nei confronti della propria compagnia di assicurazione in forza del principio dell’indennizzo diretto (posto che anche in questo caso lacausa petendinon risiede nel contratto assicurativo).

Sono invece semplici eccezioni (e non richiedono, quindi, la condizione di procedibilità pretesa per le domande giudiziali) quelle formulate dalla Compagnie in ordine alla copertura assicurativa (esistenza o meno, eventuale scadenza, superamento del massimale, ecc.).

Infine, la riposta al quesito della sottoponibilità a negoziazione assistita delle azioni di rivalsa fatte valere dalle Compagnie di Assicurazione nei confronti dell’assicurato danneggiato è fortemente collegata alla risposta che si fornisce alla questione relativa all’invio in negoziazione assistita delle domande riconvenzionali (questione che si tratterà in un successivo paragrafo).

6. I procedimenti esclusi.

6.1. Negoziazione e procedimenti cautelari.

Si è già osservato che si può iniziare un procedimento cautelare anche in assenza del tentativo di conciliazione.

Il quarto comma dell’art. 3 della legge 162/14 prevede, infatti, che “l’esperimento del procedimento di negoziazione assistita nei casi di cui al comma1” (e quindi nei casi di negoziazione obbligatoria) “non preclude la concessione di provvedimenti urgenti e cautelari, né la trascrizione della domanda giudiziale”.

Peraltro, il fatto che il procedimento cautelare non sia inibito dall’esistenza di un tentativo obbligatorio di conciliazione era già un dato acquisito in giurisprudenza (v. anche C. Cost. 22 ottobre 2007, n. 355 e C. Cost. 30 novembre 2007, n. 403).

Invero, la tutela cautelare costituisce uno strumento d’azione necessario per l’effettiva tutela del diritto controverso, costituzionalmente rilevante ai sensi degli art. 24 e 111 Cost., quando si prospetti una situazione di pericolo nel ritardo, che, in quanto tale, non tollera attese e necessita di una risposta di tutela a volte immediata.

La negoziazione, infatti, non può andare a discapito della parte che ha interesse a ottenere un provvedimento urgente o cautelare. Imporre una sospensione in tali ipotesi significherebbe precludere l’accesso alla giurisdizione rispetto a situazioni che richiedono una decisione in tempi molto ristretti.

La questione forse meno pacifica è quella relativa all’ambito dei procedimenti di natura urgente in relazione ai quali non occorre il previo tentativo di conciliazione.

Sul punto risulta parecchio rilevante il tenore testuale della norma, la cui ampia formulazione  consente di includervi diverse fattispecie, come quelle relative ai provvedimenti volti a fronteggiare stati di bisogno, la cui qualificazione è incerta in giurisprudenza e dottrina. Si pensi, ad esempio, all’ordinanza provvisionale ex articolo 147 del codice delle assicurazioni private.

Quesito

Si deve attivare il procedimento di negoziazione assistita dopo il procedimento ex art. 669 bis e prima del giudizio di merito?

Anche l’accertamento tecnico preventivo finalizzato alla conciliazione di cui all’art. 696 bis c.p.c. è stato escluso dall’ambito della negoziazione obbligatoria. Questa modifica normativa non ha fatto altro che recepire l’orientamento che si era formato sul punto nella giurisprudenza di merito in tema di mediazione obbligatoria. In proposito, infatti, aveva stabilito il Tribunale di Varese, sez. I, 21 aprile 2011 (in Guida al diritto 2011, 44, 8 e in Il civilista 2011, 11), che la consulenza tecnica preventiva (art. 696 bis c.p.c.) e la mediazione (d.lgs. 28/2010) perseguono la medesima finalità, introducendo entrambi gli istituti un procedimento finalizzato alla composizione bonaria della lite, così da sembrare tra loro alternativi e, quindi, apparendo le norme di cui al d.lgs. 28/2010 incompatibili logicamente e, dunque, non applicabili quando la parte proponga una domanda giudiziale per una c.t.u. preventiva. Invero, la prevalente giurisprudenza di merito aderisce, vuoi implicitamente vuoi esplicitamente, alla tesi dottrinaria che inscrive l’istituto dell’art. 696 bis c.p.c. nell’alveo della alternative dispute resolution, valorizzando la tensione della norma verso la composizione della lite, l’intervento di un terzo neutrale e le agevolazioni fiscali. Pertanto, in caso di c.t.u. preventiva, non sussiste la condizione di procedibilità di cui all’art. 5, comma 1, d.lgs. 28/2010 e il difensore non è obbligato alla comunicazione di cui all’art. 4, comma 3, d.lgs. 28/2010[2].

Il problema che si pone è se sia necessario attivare, con riferimento alle materie oggetto di negoziazione obbligatoria, il procedimento di negoziazione assistita dopo l’espletamento di un accertamento tecnico preventivoexart. 696bise prima del giudizio di merito. Su tale questione si è pronunziato il Tribunale di Roma (Sezione XIII, 16.12.2014) in relazione alla mediazione obbligatoria accogliendo l’eccezione di improcedibilità della domanda e inviando le parti in mediazione sulla base della considerazione per cui non poteva estendersi al giudizio di merito ciò che era previsto per il procedimento ex art. 669 bis c.p.c. in quanto “il rischio di duplicazione di un’attività conciliativa in contrasto con i principi di ragionevole durata del procedimento si paleserebbe recessivo rispetto alla evidente e più grave elusione della condizione di procedibilità di cui all’art. 5, comma 1 bis, del d.lgvo n. 28/2010… con il sostanziale generalizzato azzeramento dell’auspicata efficacia deflattiva sul complessivo sistema giudiziario”.        

Quesito

È escluso il procedimento sommario di cognizione?

Non è escluso dalla negoziazione obbligatoria il processo sommario di cognizione (art. 702 bis c.p.c.) e ciò sia perché esso è, secondo l’impostazione preferibile, un processo a cognizione piena che non ha natura urgente o cautelare, sia perché, se fosse stato escluso, sarebbe stato facile eludere il procedimento di negoziazione obbligatoria instaurando processualmente la controversia con il sommario di cognizione (sul punto v., in materia di mediazione obbligatoria, Trib. Palermo, sezione distaccata di Bagheria, 16 agosto 2011, in Guida al diritto 2011, 43, 18; Trib. Genova 18 novembre 2011; Trib. Varese, 20 gennaio 2012 e Trib. Firenze 22 maggio 2012).

Pertanto, per iniziare un procedimento sommario di cognizione in relazione alle materie rientranti nella negoziazione obbligatoria occorre la condizione di procedibilità del previo esperimento del procedimento di negoziazione).

Quesito

È sempre esclusa la domanda monitoria?

A differenza di quanto previsto per la mediazione obbligatoria (con riferimento alla quale si stabilisce che la norma sul previo esperimento del procedimento di mediazione quale condizione di procedibilità non si applica “nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l’opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione”), la legge 162/14 esclude che si debba effettuare l’invito alla stipula della convenzione di negoziazione assistita “nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l’opposizione”. Quindi, anche dopo l’emissione di provvedimenti sulla provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo (o sulla sospensione della stessa) non dovranno inviarsi le parti in negoziazione.

Tuttavia, non si comprende il motivo del diverso trattamento della stessa fattispecie nelle due normative in tema di mediazione obbligatoria e di negoziazione assistita obbligatoria[3]. Probabilmente potrebbe ritenersi non rispettato l’art. 3 Cost. per violazione del principio di ragionevolezza nella previsione del diverso trattamento normativo. Invero, anche in caso di negoziazione assistita dovrebbero valere le medesime argomentazioni che si leggono nella relazione illustrativa del d.lgs. 28/10[4]. Peraltro, molti potrebbero optare per chiedere l’emissione di un decreto ingiuntivo in modo da non dovere instaurare la procedura di negoziazione assistita.

7. Gli esiti della negoziazione assistita.

Se viene stipulata la convenzione di negoziazione assistita i possibili esiti sono: 1) il mancato accordo (e la dichiarazione di mancato accordo è certificata dagli avvocati ex art. 4 comma 3 legge 162/14); 2) il raggiungimento di un accordo.

Secondo l’art. 5 della legge 162/14 l’accordo che compone la controversia, sottoscritto dalle parti e dagli avvocati che le assistono, costituisce titolo esecutivo e per l’iscrizione di ipoteca giudiziale. Nell’accordo gli avvocati certificano l’autografia delle firme e la conformità dell’accordo alle norme imperative e all’ordine pubblico.

I difensori che sottoscrivono l’accordo raggiunto dalle parti a seguito della convenzione sono tenuti a trasmetterne copia al Consiglio dell’ordine circondariale del luogo ove l’accordo è stato raggiunto, ovvero al Consiglio dell’ordine presso cui è iscritto uno degli avvocati (art. 11, c. 1, legge 162/14).

Sempre secondo l’art. 5 della legge 162/14 se con l’accordo le parti concludono uno dei contratti o compiono uno degli atti soggetti a trascrizione, per procedere alla trascrizione dello stesso la sottoscrizione del processo verbale di accordo deve essere autenticata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato.

Costituisce poi illecito deontologico per l’avvocato impugnare un accordo alla cui redazione ha partecipato.

8. I possibili vizi, contenuti e sviluppi della convenzione di negoziazione assistita o dell’accordo.

Quesito

Cosa succede se nella convenzione di negoziazione assistita si prevede un termine di durata della negoziazione superiore ai 3 mesi?

Probabilmente niente. Opera comunque, con una sostituzione automatica di clausolaexart. 1339 c.c., la previsione normativa ed il termine si intenderà ridotto a tre mesi prorogabili per altri 30 giorni.

Quesito

Cosa succede se nella convenzione di negoziazione assistita si prevede di negoziare anche su diritti indisponibili?

In questa parte la convenzione sarà nulla per violazione di norme imperative. Tuttavia, generalmente la convenzione sarà efficace per il resto se non si tratta di clausola essenziale (art. 1419 c.c.)

Quesito

Cosa succede se l’accordo raggiunto a seguito di negoziazione assistita coinvolge anche diritti indisponibili?

Dovrebbe ritenersi nullo l’accordo, almeno in relazione alla parte in cui si dispone di diritti indisponibili. Non dovrebbe quindi tenersi conto di tale parte dell’accordo.

Quesito

Che cosa succede se l’accordo raggiunto a seguito di negoziazione assistita è successivo a qualche vizio della procedura di negoziazione o non risulta in linea con i requisiti formali richiesti dalla legge 162/14?

È da ritenere, insieme al prof. Luiso, che in nessun caso la negoziazione assistita condiziona la validità dell’atto compiuto, nel senso che il mancato rispetto delle regole proprie di essa costituisce ragione di invalidità dell’accordo. Le regole sulla validità dell’accordo sono comunque quelle codicistiche. Tuttavia, non dovrebbe potere avere efficacia di titolo esecutivo ex art. 5 legge 162/14 un accordo privo della forma scritta (se non richiesta ad substantiam da altre norme, quali l’art. 1350 c.c.) o privo della sottoscrizione degli avvocati o della certificazione da parte di questi ultimi dell’autografia delle firme delle parti o della conformità dell’intesa a norme imperative o all’ordine pubblico.

Quesito

Che efficacia ha una clausola di negoziazione assistita inserita in un contratto per la risoluzione di future controversie?

Dalla formulazione letterale dell’art. 2 si desume che la convenzione di negoziazione funziona solo con riferimento ad una controversia in atto e quindi come “compromesso” e non come “clausola compromissoria”. Conseguentemente, una convezione riferita a controversie future non sarebbe vincolante, potendo essere condizione di procedibilità solo se previsto dalla legge. Nel caso della mediazione essa è condizione di procedibilità anche quando è prevista contrattualmente perché così dispone la legge. 

Quesito

Sono ipotizzabili forme di responsabilità precontrattuale o contrattuale relativamente alla convenzione di negoziazione assistita?

Se dopo un’inziale corrispondenza nella quale si manifestava favore alla conclusione della convenzione di negoziazione assistita subentra invece un rifiuto alla stipula della stessa, allora sarebbe ipotizzabile una forma di responsabilità precontrattuale.

E se dopo la stipula della convenzione di negoziazione assistita una delle parti si sottragga, in vario e ripetuto modo, agli impegni presi, non partecipando agli incontri di negoziazione, si potrebbe ritenere configurabile una forma di responsabilità contrattuale. È vero che la convenzione di negoziazione assistita non obbliga le parti a pervenire ad una definizione stragiudiziale della controversia. Tuttavia, con tale convenzione le parti si impegnano a “cooperare in buona fede e con lealtà” per tentare di definire bonariamente la loro controversia. Si tratta di un contratto che impegna le parti a negoziare al fine di trovare una composizione della lite. Esso fa sorgere un obbligo a negoziare.

9. Negoziazione assistita e patrocinio a spese dello Stato.

Quando il procedimento di negoziazione assistita è condizione di procedibilità della domanda, e quindi anche per le controversie relative ai sinistri stradali, all’avvocato non è dovuto compenso dalla parte che si trova nelle condizioni per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato ai sensi dell’articolo 76 del Dpr 115/2002 (T.U. spese di giustizia).

La parte è comunque tenuta in questo caso a depositare all’avvocato un’apposita dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà, la cui sottoscrizione può essere autenticata dal medesimo avvocato, nonché a produrre, se l’avvocato lo richiede, la documentazione necessaria a comprovare la veridicità di quanto dichiarato.

Tuttavia, in relazione alla mediazione obbligatoria, è stato emesso un interessantissimo provvedimento del Tribunale di Firenze del 13.1.2015 (estensore Breggia) che ha riconosciuto la spettanza al difensore dei compensi per il patrocinio a spese dello Stato anche per la fase della mediazione e pure per il caso in cui non si sia arrivato a giudizio avendo la mediazione portato alla stipulazione di un accordo.

Il bravo giudice fiorentino ha valorizzato le fonti europee sull’estensione del patrocinio a spese dello Stato anche in relazione ai sistemi di risoluzione alternativa delle controversie, l’orientamento della Cassazione che riconosce il patrocinio a spese dello Stato anche per le attività extragiudiziali connesse a quelle giudiziali e l’irragionevolezza della soluzione (che peraltro scoraggerebbe la composizione extragiudiziale delle liti) che riconosca il patrocinio a spese dello Stato quando l’attività stragiudiziale non porta all’accordo e che, invece, non riconosca tale patrocinio nel caso in cui il difensore ha, facendo raggiungere l’accordo, svolto al meglio il suo compito.

Aderendo all’impostazione del Tribunale di Firenze, si verrebbe quindi a delineare un diverso (e forse ingiustificato) trattamento tra la mediazione e la negoziazione, il che giustificherebbe i dubbi di legittimità costituzionale di cui si dirà nel prossimo paragrafo.

10. Le prospettate questioni di legittimità costituzionale.

In dottrina sono stati evidenziati alcuni profili di possibile illegittimità costituzionale della nuova disciplina. Sinteticamente si tratta dei seguenti:

1) sovrapposizione di forme di a.d.r. diverse (in possibile contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost.);

2) introduzione di una forma di giurisdizione condizionata economicamente onerosa. È vero, infatti, che, di per sé, introdurre come condizione di procedibilità della domanda un tentativo preliminare di conciliazione comunque disciplinato e denominato non viola la disposizione costituzionale sul diritto di azione se si tratta di un caso di giurisdizione condizionata che non rende troppo difficile l’accesso alla tutela giurisdizionale, come accade nella negoziazione assistita con riferimento alla brevità del tempo entro il quale la condizione di procedibilità viene meno (tra 1 e 3 mesi). Tuttavia, se si tiene conto di alcuni decisioni della Corte costituzionale (cfr. sentenze n. 522 del 2002 e n. 333 del 2001), se al condizionamento nell’esercizio dell’azione si accompagna in costo economico rilevante, allora potrebbe aversi la violazione dell’art. 24 co. 1 Cost. Nel caso della negoziazione assistita le spese che le parti devono affrontare sono piuttosto rilevanti tutte le volte che la procedura si svolge fino in fondo ma non ottiene alcun risultato conciliativo. E sono sicuramente non indifferenti per il futuro attore anche nel caso in cui alla comunicazione dell’invito a negoziare si risponda con un rifiuto o manchi la risposta entro il termine previsto;

3) introduzione di una forma di giurisdizione condizionata che viola l’autonomia privata. Sotto questo profilo si ritiene che ritardare l’avvio del processo obbligando le parti a negoziare e con l’assistenza dell’avvocato sembra collidere con i princìpi fondamentali che tutelano l’autonomia privata (art. 41 Cost.). Poiché le parti sono libere di negoziare dei loro diritti senza obblighi di assistenza alcuna (tantomeno degli avvocati, dei quali si sarebbe potuto prevedere l’intervento – come in mediazione – anche soltanto all’esito dell’accordo ai fini della sua esecutività) anche nella fase patologica del loro rapporto, obbligarle a negoziare (per giunta con l’assistenza dell’avvocato), ritenendo che in alcune controversie tale attività costituisca condizione di procedibilità, mortifica l’autonomia dei privati, senza al contempo offrire alle stesse parti un percorso di ADR eterodiretto che possa in qualche modo giustificare anche il ritardo nell’accesso alla giurisdizione;

4)  reintroduzione del gratuito patrocinio (contrasto con gli artt. 2, 3, 24 e 36 Cost.) con riferimento all’ipotesi di negoziazione assistita quale condizione di procedibilità della domanda ai sensi dell’art. 3, comma 1, quando la parte si trova nelle condizioni per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato. Il comma 6 del medesimo articolo stabilisce, infatti, che in questo caso non è dovuto alcun compenso all’avvocato. Le difficoltà di bilancio determinano qui una reintroduzione surrettizia, per un caso particolare, del patrocinio gratuito, introdotto nel 1923 e soppresso nel 1990 come doveroso ed onorifico compito dell’avvocatura;

5) irragionevole diversa disciplina, rispetto alla mediazione obbligatoria, relativa ai procedimenti monitori ed alla scelta, difficilmente comprensibile, di escludere del tutto la condizione di procedibilità per le cause di opposizione a decreto ingiuntivo (contrasto con l’art. 3 Cost.);

6) insussistenza dei presupposti della necessità ed urgenza (violazione dell’art. 77 Cost.). Invero, il caso straordinario di necessità e urgenza che deve connotare un decreto legge ai sensi dell’art. 77, comma 2, Cost. non sembra qui ravvisabile. In particolare, la disciplina dell’art. 2 è entrata in vigore mesi dopo l’emanazione del decreto del 12 settembre 2014, e ciò in conseguenza dei novanta giorni divacatiodalla pubblicazione della legge di conversione.

NEGOZIAZIONE E PROCESSO

11. Il rilievo dell’improcedibilità da parte del giudice.

Quesito

Cosa succede se gli avvocati delle parti si accordano per evitare la procedura di negoziazione ed adire direttamente il giudice con l’intesa di non eccepire l’improcedibilità dell’azione e confidando nel mancato rilievo officioso del giudice?

In diversi casi può succedere che gli avvocati delle parti si accordino per evitare la procedura di negoziazione assistita (ben sapendo dell’impossibilità o dell’elevata difficoltà di pervenire ad una conciliazione, magari alla luce dei rapporti tra le parti e dell’elevato contenzioso già esistente tra le stesse) ed adire direttamente il giudice con l’intesa di non eccepire l’improcedibilità dell’azione e confidando nel mancato rilievo officioso del giudice.

Tuttavia, questa scelta non sembra poter essere produttiva di esiti positivi. Ad esempio, Trib. Palermo, sezione distaccata di Bagheria (ordinanza del 13 luglio 2011), ha ritenuto, con riferimento alla mediazione obbligatoria, che la rilevabilità dell’improcedibilità è obbligatoria e non discrezionale in quanto, letteralmente, il comma 1 dell’art. 5 del d.lgs. 28/2010 prevede che «l’improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto a pena di decadenza o rilevata d’ufficio dal giudice non oltre la prima udienza». Ed anche nel comma 1 dell’art. 3 della legge 162/14 il “deve” regge sia l’eccezione di parte che il rilievo officioso.

Quesito

Nel caso in cui la prima udienza si strutturi materialmente in più udienze il rilievo officioso deve farsi alla prima di queste o anche nelle altre?

Sembra preferibile configurare il concetto di prima udienza non in relazione alla sua configurazione formale ma a quella sostanziale, ossia a quella di udienzaexart. 183 c.p.c., con la conseguenza che il rilievo d’ufficio potrà essere effettuato, nel caso in cui la prima udienza si sia articolata, formalmente, in più udienze, anche dopo la prima (sul punto cfr., per casi analoghi Cass. (ord.) 19410/2010 e 1167/2007), ma comunque fino al momento in cui il giudice può porre alle parti,exart. 183, comma 4, c.p.c., le questioni rilevabili d’ufficio delle quali ritiene opportuna la trattazione. Ecco che, concessi i termini ex art. 183, comma 6, c.p.c. o ammessi i mezzi istruttori, non può più effettuarsi il rilievo officioso dell’improcedibilità.

Tuttavia, secondo una certa tesi se l’eccezione viene formulata dalle parti tempestivamente ma viene disattesa dal giudice, quest’ultimo può in un secondo momento rilevare l’improcedibilità (dando quindi il termine di 15 giorni per la comunicazione dell’invito a stipulare una convenzione di negoziazione assistita rinviando ad un’udienza fissata ad oltre quattro mesi di distanza). Sempre in quest’ottica sarebbe pure un fondato motivo di appello quello relativo al rigetto dell’eccezione di improcedibilità tempestivamente formulata.

Tuttavia, è bene evidenziare, come già sopra si è fatto, che l’orientamento giurisprudenziale prevalente è nel senso di ritenere che ove l’improcedibilità dell’azione, ancorché segnalata dalla parte, non venga rilevata dal giudice entro il suddetto termine, la questione non possa essere riproposta nei successivi gradi di giudizio (v., per l’analogo caso del rito del lavoro, Cass. 21797/09; 13591/09; 7871/08; 13708/07; 15956/04; 11629/04; v. Cass. 3022/03, 10089/00 e 4578/96 per l’ipotesi di improcedibilità prevista dall’art. 5 della legge n. 108 del 1990).

Quesito

Cosa deve fare il giudice in caso di mancata certificazione dell’autografia della firma da parte degli avvocati nell’accordo o di mancata certificazione della firma della parte nell’invito?

L’accordo non è certamente nullo per l’assenza di certificazione della firma. Se le parti lo avessero stipulato al di fuori del procedimento di negoziazione assistita sarebbe comunque stato valido anche in assenza di certificazione della sottoscrizione. Forse, però, l’accordo che non rispetti le forme del procedimento di negoziazione assistita (e quindi anche quella della certificazione della firma) non potrà costituire titolo esecutivo ai sensi dell’art. 5 della legge 162/14.

Per divenire esecutivo il verbale d’accordo deve essere, infatti, sottoscritto, oltre che dalle parti, dagli avvocati, che devono anche attestare e certificare la conformità dell’accordo alle norme imperative e all’ordine pubblico[5].

Maggiormente problematica è la questione della mancata certificazione della sottoscrizione della parte nell’invito. Si è in questo caso formata una buona condizione di procedibilità? Forse la risposta preferibile è quella negativa. Per evitare qualunque questione sulla procedibilità della domanda (anche negli eventuali futuri gradi del giudizio) sarebbe il caso di far rinnovare la comunicazione dell’invito assegnando il termine di 15 giorni e rinviando ad oltre quattro mesi. Lo stesso dicasi per l’invito firmato dal solo avvocato, posto che l’art. 4 della legge 162/14 parla di autografia da parte dell’avvocato della firma apposta dalla parte all’invito (che sembra quindi necessaria nonostante l’art. 2 faccia riferimento ad un invito della parte “tramite il suo avvocato”) e per evitare comunque che possano sorgere questioni sulla prova che a quest’ultimo sia stato concesso un mandato prima della redazione dell’invito. L’invito con firma della parte non certificata dall’avvocato non potrà, poi, neppure portare a fare, in caso di suo rifiuto o di sua mancata accettazione, le valutazioni ex artt. 96 e 642, comma 1, c.p.c.

Quesito

Cosa accade se l’invito è inviato non alla parte ma all’avvocato con il quale era già in corso una corrispondenza informale?

In assenza dell’instaurazione di un rapporto processuale in forza del quale le comunicazioni alla parte possono farsi al suo procuratore, l’invito va comunicato alla parte personalmente.

Quesito

Cosa deve fare il giudice se nell’invito manca l’avvertimento che la mancata risposta all’invito entro 30 giorni o il suo rifiuto può essere dal giudice valutato ex artt. 96 e 642 c.p.c.?

Si potrebbe ritenere che, poiché le conseguenze della mancata risposta o del rifiuto sono previste dalla legge, allora non occorre che il giudice disponga che la parte effettui un nuovo invito nei confronti dell’altra parte. In altri termini, la mancanza dell’avvertimento nell’invito potrebbe non sembrare un vizio tale da comportare che la domanda non è munita di procedibilità e che il giudice debba concedere il termine di 15 giorni per inviare nuovamente un invito alla parte chiamata.

In realtà, pare preferibile adottare un’interpretazione maggiormente garantista che applichi la medesima soluzione prevista dall’art. 164 c.p.c. per la mancanza in citazione dell’avvertimento circa le decadenze ex artt. 38 e 167 c.p.c. Si dovrebbe fare comunicare un nuovo invito, così pure evitando eventuali motivi di appello fondati sull’improcedibilità della domanda dell’attore.  

Quesito

Quale può essere la valutazione giudiziale del comportamento dell’invitato di accettazione o di rifiuto dell’invito?

Secondo il comma 2 dell’art. 3 della legge 162/14, nei casi di negoziazione assistita obbligatoria la condizione di procedibilità si considera avverata quando nei 30 giorni dalla comunicazione dell’invito vi è stato rifiuto dell’invito o non vi è stata adesione.

Se, invece, la parte chiamata aderisce all’invito entro 30 giorni dalla sua comunicazione si potrà allora concludere la convenzione di negoziazione assistita, con la conseguenza che dovrà poi verificarsi se vi è stato o meno l’accordo e se sia o meno decorso il termine massimo concordato (tra uno e tre mesi, con possibile proroga di altri 30 giorni) dalle parti (al fine di stabilire se fissare nuova udienza dopo il decorso del termine massimo in caso di trattative ancora in corso).

Se il chiamato ha aderito all’invito dopo il decorso del termine di 30 giorni allora dovrà ritenersi comunque possibile la conclusione della convenzione di negoziazione assistita e sarà bene concedere un rinvio a dopo la scadenza del termine massimo legale (3 mesi + 1).

Infine, poiché (venendo qui in questione una condizione di procedibilità e non di proponibilità della domanda) la citazione può essere notificata anche prima della comunicazione dell’invito alla stipula della convenzione di negoziazione assistita (o in assenza di tale invito, caso nel quale il giudice concede il termine di 15 giorni per provvedere), il giudice dovrebbe pure accertarsi, qualora la comunicazione sia stata fatta e manchino un esplicito rifiuto o un’esplicita adesione, se siano decorsi i 30 giorni per potere accettare o rifiutare l’invito.

Quesito

Il giudice deve verificare che l’invito sia stato regolarmente portato a conoscenza dell’altra parte? Cosa succede se si ritiene non corretta tale comunicazione?

È da credere che, dovendo il giudice accertare la ricorrenza della condizione di procedibilità (condizione che è costituita dallo “esperimento del procedimento di negoziazione assistita”), il giudice possa sindacare la correttezza o meno della comunicazione in questione, con la conseguenza che (qualora il convenuto eccepisca di non avere ricevuto comunicazione del procedimento di mediazione) egli può richiedere la produzione della comunicazione dell’invito alla stipula della convenzione di negoziazione assistita e, qualora non ritenga idoneo il mezzo impiegato (es. mail non certificata), dovrebbe considerare insussistente la condizione di procedibilità ed assegnare il termine di 15 giorni per la comunicazione dell’invito.

Sarebbe quindi preferibile avvalersi dello strumento, particolarmente attendibile, della notificazione.

Quesito

Il giudice deve verificare la corrispondenza oggettiva tra la domanda giudiziale e l’oggetto del tentativo di conciliazione?

In caso di controversia rientrante tra le ipotesi di negoziazione assistita obbligatoria il giudice deve accertare che le domande formulate dalla parte attrice o ricorrente siano le stesse intorno alle quali il tentativo di conciliazione si è svolto (o si sarebbe dovuto, comunque, svolgere ove avesse avuto luogo) – cfr., in materia di contratti agrari, Cass. 15802/2005; 10497/2001; 10322/97; 6295/95.

Qualora la domanda giudiziale abbia ad oggetto rivendicazioni non menzionate nel procedimento di negoziazione il tentativo obbligatorio di conciliazione, in ragione di tale non corrispondenza del petitum, non risulta ritualmente esperito e si deve assegnare un termine per il rinnovo del tentativo obbligatorio di conciliazione (v., con riferimento alla materia lavoristica, Tribunale Roma, 26 settembre 2006).

Tuttavia, deve anche rilevarsi che non sussiste contraddizione tra la domanda anticipata nell’invito o nella convenzione di negoziazione e la domanda come formulata in sede giudiziaria qualora in entrambe le occasioni la parte istante abbia sollecitato la condanna delle controparti al pagamento di tutte le somme dovute, sebbene quantificate in modo diverso nel procedimento di conciliazione e nella domanda giudiziale.

Non è infatti rilevante che la pretesa ricavabile dal procedimento di conciliazione sia di contenuto quantitativo meno ampio di quella formulata in sede giudiziaria. Non si dubita, infatti, che la diversa quantificazione o specificazione della pretesa, fermi i fatti costitutivi di essa, non comporta prospettazione di una nuova causa petendim a integra una mera emendatio che come è ammissibile nel corso del giudizio di primo grado o di appello così, a maggior ragione, deve ritenersi consentita nei rapporti tra la richiesta come formulata nel procedimento di conciliazione e la successiva articolazione in sede giudiziaria (cfr. Cass. 9266/2010). 

Un problema può porsi quando nell’invito o nella convenzione di negoziazione manchi o sia indicato in modo molto generico “l’oggetto della controversia” (requisito richiesto dagli artt. 2 e 4 della legge 162/14[6]). In questi casi sembra preferibile ritenere che solo laddove l’invito o la convenzione di negoziazione non contenga alcuna specificazione dell’oggetto della controversia (o laddove tale elemento sia assolutamente incomprensibile) si potrà considerare il tentativo di conciliazione come non regolarmente instaurato.

Certo, sarebbe bene che gli avvocati effettuassero un controllo attento sul punto.

Va comunque precisato che è bene esaminare, al fine di valutare la coincidenza tra l’oggetto del procedimento di negoziazione e la domanda giudiziale, sia l’invito e la convenzione di negoziazione che il verbale di mancato accordo, posto che anche nel corso del procedimento si possono modificare le domande.

Quesito

Cosa deve fare il giudice se verifica che le parti non hanno rispettato il termine di 15 giorni da lui concesso per l’invio della comunicazione?

Quando il giudice verifica che non è stato esperito il tentativo di conciliazione, assegna il termine di 15 giorni per inviare l’invito alla stipula della convenzione di negoziazione assistita, fissando già l’udienza successiva dopo la scadenza del termine massimo stabilito dalle parti o, in sua assenza, del termine massimo di tre mesi (oltre i 15 giorni concessi per l’invio dell’invito).

Se, invece, la negoziazione risulta iniziata ma non ancora conclusa, allora il giudice non dovrà, evidentemente, concedere il termine di 15 giorni per la comunicazione dell’invito, ma fisserà solo la successiva udienza dopo la scadenza del termine massimo previsto per la durata del procedimento di negoziazione.

Bene ha fatto il legislatore, ad avviso di chi scrive, a non prevedere, come invece nell’art. 412bisc.p.c. in tema di rito del lavoro, la sospensione del processo. In questo caso si ha un mero differimento della trattazione della causa. Viene effettuato un mero rinvio.

In maniera condivisibile non si prevede che il processo si sospenda e che siano poi le parti a riassumerlo dopo la scadenza del termine massimo. Si stabilisce, invece, che sia il giudice a fissare già l’udienza di prosecuzione del giudizio In tal modo si sono evitati tempi, spesso lunghi, collegati alla redazione ed al deposito del ricorso in riassunzione, alla fissazione dell’udienza ed alla notificazione del provvedimento di fissazione dell’udienza. Si sono pure evitate tutte quelle questioni (comunque risolte negativamente dalla giurisprudenza) relative alla proponibilità di una domanda nuova con l’atto di riassunzione. Si sono anche eliminate le spese collegate alla riassunzione.  

All’udienza fissata il giudice accerterà (in caso di comparizione delle parti) se è stato espletato il procedimento di negoziazione e, se verificherà che la comunicazione dell’invito non è stata inviata (in caso di mancata previa comunicazione dell’invito), allora dichiarerà l’improcedibilità della domanda giudiziale con sentenza (v. Cass. 6326/04). Non convince la tesi di chi ritiene possibile un rinvio con concessione di un altro termine per comunicare l’invito in quanto se il giudice concede un rinvio nonostante la comunicazione dell’invito non sia stata fatta non solo entro i 15 giorni concessi, ma neppure prima dell’udienza di rinvio, allora dovrebbe concedere un altro rinvio se tale eventualità si verifica nuovamente alla successiva udienza. E non si potrà dire se l’improcedibilità andrà dichiarata al secondo, terzo o quarto inadempimento.

In caso, invece, di accertato invio della comunicazione, il giudice verificherà se sia stata raggiunta o meno la conciliazione e se la negoziazione sia ancora in corso. In caso di accertato accordo dovrà emanarsi sentenza di declaratoria della cessazione della materia del contendere. In caso di mancato accordo e di effettuazione della comunicazione il giudizio andrà avanti (e ciò anche in caso di conciliazione parziale, ipotesi nella quale la cessazione della materia del contendere riguarderà le sole questioni oggetto di conciliazione).

Si può anche verificare che la comunicazione dell’invito sia stata sì presentata ma non entro il termine di giorni 15 fissato dal giudice. In questo caso è preferibile la tesi per cui, non trattandosi di termine perentorio (non essendo così qualificato dalla legge; v. art. 152 c.p.c.), andrebbe fissata una nuova udienza a data successiva rispetto alla scadenza del termine massimo (negoziale o, assenza, legale) di durata della procedura (per casi analoghi risolti in modo simile v. Cass. 26849/10; 26039/05; 420/98; 1571/96; 9288/95). Certo, è comunque anche noto il principio per cui la proroga, anche d’ufficio, dei termini ordinatori è consentita dall’art. 154 c.p.c., soltanto prima della loro scadenza, sicché il loro decorso senza la presentazione di un’istanza di proroga, determinando gli stessi effetti preclusivi della scadenza dei termini perentori, impedisce la concessione di un nuovo termine (v. Cass. 1064/05; 3406/04; 808/99; 11774/98). Non può comunque non considerarsi che in caso di mancato rispetto del termine di 15 giorni nessun problema si porrà quando l’udienza risulterà fissata a data successiva rispetto a quella in cui il procedimento di negoziazione si è esaurito o è comunque già decorso il termine massimo della procedura. E pare difficile discriminare tale caso da quello in cui l’udienza cada prima della scadenza di tale termine.

Inoltre, può pure verificarsi il caso (ed è verosimile che non sarà ipotesi rara, soprattutto in caso di negoziazione con molte parti) in cui all’udienza fissata dal giudice si accerti che, nonostante sia decorso il termine massimo, il procedimento di negoziazione non sia ancora concluso. Viene quindi da chiedersi se il procedimento debba necessariamente chiudersi nel termine massimo e cosa succeda qualora questo non accada.

Sembra preferibile ritenere che il termine massimo convenuto o legale non abbia natura perentoria (non essendo così previsto per legge), con la conseguenza che le parti potranno validamente concludere una conciliazione anche oltre tale termine ovvero richiedere un allungamento dei tempi per la negoziazione con un rinvio dell’udienza. Ciò che importa è, secondo chi scrive, che prima dell’udienza fissata sia stata effettuata la comunicazione dell’invito.

E non dovrà attendersi la fine del procedimento di negoziazione per riattivare il giudizio. Il decorso del termine massimo comporta che il processo può iniziare o (nel nostro caso) proseguire.

Quesito: nei casi in cui la domanda relativa a controversia rientrante nella negoziazione obbligatoria viene formulata con ricorso il giudice che verifica l’assenza della condizione di procedibilità deve fissare udienza senza nulla dire sulla negoziazione o, nel fissare udienza, rileva l’improcedibilità, fissa udienza oltre il termine massimo della procedura di negoziazione e concede il termine di 15 giorni per comunicare l’invito?

Meno semplice è la questione del possibile rilievo d’ufficio già in sede di decreto di fissazione dell’udienza.

Non sembra comunque condivisibile l’impostazione per cui il rilievo officioso sia esercitabile già con il decreto di fissazione dell’udienza di discussione[7]. Certo, è vero che in tal modo si mira ad assicurare una più celere definizione del procedimento, dando attuazione al principio costituzionale della ragionevole durata del processo, ma è anche vero che non sembra ben rispettato il prevalente principio del contraddittorio (v. Cass., sez. un., 20604/08; sez. un. 9962/10). Occorre dare alle parti del giudizio la possibilità di interloquire sulla necessità o meno di instaurare un procedimento di negoziazione (che potrebbe non essere necessario in relazione a casi che non rientrino pacificamente in una delle categorie indicate dal legislatore). Senza considerare che il procedimento di negoziazione potrebbe pure essere stato posto in essere senza che, però, la parte ricorrente abbia allegato al suo fascicolo processuale il verbale negativo di conciliazione o la comunicazione dell’invito. In relazione ad un caso di questo tipo il detto rilievo officioso già in sede di decreto di fissazione di udienza comporterebbe addirittura, invece che una riduzione dei termini processuali, un allungamento degli stessi.

12. A quali condizioni può ritenersi adempiuto l’ordine del giudice.

Quesito

Va richiesta la partecipazione effettiva delle parti nella procedura di negoziazione assistita?

Per rispondere a tale quesito occorre innanzitutto ripercorrere il dibattito giurisprudenziale che si è formato in materia di mediazione.

Il ricordato provvedimento del Trib. Firenze, sez. II civile, 19.3.2014 chiarisce le condizioni verificatesi le quali può ritenersi correttamente eseguito l’ordine del giudice e può quindi considerarsi formata la condizione di procedibilità. Esse sono: 1) che vi sia stata la presenza personale delle parti; 2) che le parti abbiano effettuato un tentativo di mediazione vero e proprio.

Ed anche per Trib. Firenze, sez. spec. impresa, 17.3.2014 occorre la comparizione personale delle parti. Ecco che, avendo nel caso di specie i difensori delle parti, all’uopo delegati, manifestato al mediatore la mera volontà dei deleganti di non procedere all’esperimento della mediazione, il Tribunale di Firenze ha rimesso le parti di nuovo davanti al mediatore. In altri termini, secondo il Tribunale di Firenze nel caso in cui il giudice disponga la mediazione la condizione di procedibilità non è soddisfatta quando i difensori si recano dal mediatore e, ricevuti i suoi chiarimenti su funzione e modalità della mediazione, dichiarano il rifiuto di procedere oltre. In caso di mediazione ex officioè necessario che le parti compaiano personalmente (assistite dai propri difensori come previsto dall’art. 8 d.lgs. n. 28/2010) e che la mediazione sia effettivamente avviata.

Nel suo articolato e ben strutturato ragionamento il giudice fiorentino (ord. 19.3.2014) parte dalla considerazione per cui l’art. 5 e l’art. 8 del d.lgs. 28/10 sono formulati in modo ambiguo, posto che nell’art. 8 sembra che il primo incontro sia destinato solo alle informazioni date dal mediatore ed a verificare la volontà di iniziare la mediazione (l’art. 8 prevede, infatti, che “durante il primo incontro il mediatore chiarisce alle parti la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione. Il mediatore, sempre nello stesso primo incontro, invita poi le parti e i loro avvocati a esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione e, nel caso positivo, procede con lo svolgimento”). Tuttavia, nell’art. 5, comma 2bis, si parla di “primo incontro concluso senza l’accordo”. Sembra dunque che il primo incontro non sia una fase estranea alla mediazione vera e propria. Non avrebbe molto senso, secondo il Tribunale di Firenze, parlare di ‘mancato accordo’ se il primo incontro fosse destinato non a ricercare l’accordo tra le parti rispetto alla lite, ma solo la volontà di iniziare la mediazione vera e propria. Ciò a prescindere dalle difficoltà di individuare con precisione scientifica il confine tra la fase c.d. preliminare e la mediazione vera e propria (difficoltà ben nota a chi ha pratica della mediazione), data la non felice formulazione della norma.

Pertanto, il Tribunale di Firenze ha ritenuto necessario, al fine di spiegare la detta ambiguità interpretativa, ricostruire la regola avendo presente lo scopo della disciplina, anche alla luce del contesto europeo in cui si inserisce (direttiva 2008/52/CE).

Sei sono gli argomenti che hanno portato il Tribunale di Firenze a ritenere necessaria, per la formazione della condizione di procedibilità della domanda giudiziale dopo la mediazione ex officio iudicis, la presenza effettiva delle parti nel procedimento di mediazione e l’effettivo avvio di un sostanziale tentativo di mediazione:

1) i difensori, definiti mediatori di diritto dalla stessa legge, hanno sicuramente già conoscenza della natura della mediazione e delle sue finalità. Se così non fosse non si vede come potrebbero fornire al cliente l’informazione prescritta dall’art. 4, comma 3,  del d.lgs 28/2010, senza contare che obblighi informativi in tal senso si desumono già sul piano deontologico (art. 40 codice deontologico ). Non avrebbe dunque senso imporre l’incontro tra i soli difensori e il mediatore solo in vista di un’informativa;

2) la natura della mediazione esige che siano presenti di persona anche le parti: l’istituto mira a riattivare la comunicazione tra i litiganti al fine di renderli in grado di verificare la possibilità di una soluzione concordata del conflitto: questo implica necessariamente che sia possibile una interazione immediata tra le parti di fronte al mediatore. L’assenza delle parti, rappresentate dai soli difensori, dà vita ad altro sistema di soluzione dei conflitti, che può avere la sua utilità, ma non può considerarsi mediazione. D’altronde, questa conclusione emerge anche dall’interpretazione letterale: l’art. 5, comma 1 bis e l’art. 8 prevedono che le parti esperiscano il (o partecipino al) procedimento mediativo con l’assistenza degli avvocati, e questo implica la presenza degli assistiti;

3) ritenere che la condizione di procedibilità sia assolta dopo un primo incontro in cui il mediatore si limiti a chiarire alle parti la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione vuol dire in realtà ridurre ad un’inaccettabile dimensione notarile il ruolo del giudice, quello del mediatore e quello dei difensori. Non avrebbe ragion d’essere una dilazione del processo civile per un adempimento burocratico del genere. La dilazione si giustifica solo quando una mediazione sia effettivamente svolta e vi sia stata un’effettivachancedi raggiungimento dell’accordo alle parti. Pertanto occorre che sia svolta una vera e propria sessione di mediazione. Altrimenti, si porrebbe un ostacolo non giustificabile all’accesso alla giurisdizione;

4) l’informazione sulle finalità della mediazione e le modalità di svolgimento ben possono in realtà essere rapidamente assicurate in altro modo: 1. Dall’informativa che i difensori hanno l’obbligo di fornire ex art. 4 cit., come si è detto; 2. dalla possibilità di sessioni informative presso luoghi adeguati (v. direttiva europea) e, per quanto concerne il Tribunale di Firenze, presso l’URP (v. articolo 11 del protocollo  Progetto  Nausicaa2 ) e  da ultimo, sempre nell’ambito di tale Progetto, presso l’ufficio di orientamento gestito dal Laboratorio Unaltromodo dell’Università di Firenze;

5) l’ipotesi che la condizione si verifichi con il solo incontro tra gli avvocati e il mediatore per le informazioni appare particolarmente irrazionale nella mediazione disposta dal giudice: in tal caso, infatti, si presuppone che il giudice abbia già svolto la valutazione di ‘mediabilità’ del conflitto  (come prevede l’art. 5 cit.: che impone al giudice di valutare ”la natura della causa, lo stato dell’istruzione e il comportamento delle parti”), e che tale valutazione si sia svolta nel colloquio processuale con i difensori. Questo presuppone anche un’adeguata informazione ai clienti da parte dei difensori; inoltre, in caso di lacuna al riguardo, lo stesso giudice, qualora verifichi la mancata allegazione del documento informativo, deve a sua volta informare la parte della facoltà di chiedere la mediazione. Come si vede, dunque, sono previsti plurimi livelli informativi e non è pensabile che il processo venga momentaneamente interrotto per un’ulteriore informazione anziché per un serio tentativo di risolvere il conflitto;

6) l’art. 5 della direttiva europea 2008/52/CE distingue le ipotesi in cui il giudice invia le parti in mediazione rispetto all’invito (sempre da parte del giudice) per una semplice sessione informativa: un ulteriore motivo per ritenere che nella mediazione disposta dal giudice viene chiesto alle parti (e ai difensori) di esperire la mediazione e cioè l’attività svolta dal terzo imparziale finalizzata ad assistere due o più soggetti nella ricerca di un accordo amichevole (secondo la definizione  data dall’art. 1 del d.lgs. n. 28/2010) e non di acquisire una mera informazione e di rendere al mediatore una dichiarazione sulla volontà o meno di iniziare la procedura mediativa.

Alla luce delle considerazioni che precedono il giudice fiorentino ha considerato quale criterio fondamentale la ragion d’essere della mediazione, che ruota attorno all’esigenza di tentare realmente di pervenire ad una soluzione non giudiziale della controversia, ed ha affermato la necessità che le parti compaiano personalmente (assistite dai propri difensori come previsto dall’art. 8 d.lgs. n. 28/2010) e che la mediazione sia effettivamente avviata.

Un’altra strada interpretativa è quella seguita (allo stato) dal Tribunale di Milano (strada, però, inaugurata prima della presa di posizione di Firenze): la condizione di procedibilità è soddisfatta anche quanto sia tenuto solo il primo incontro di mediazione senza accordo (l’incontro di cui all’art. 8 comma I d.lgs. 28/2010). Le differenze non sono di scarsa rilevanza. Nel primo incontro il mediatore chiarisce alle parti la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione. Il mediatore, sempre nello stesso primo incontro, invita poi le parti ed i loro avvocati ad esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione e, nel caso positivo, procede con lo svolgimento. Si tratta, dunque, secondo il Tribunale di Milano, dell’incontro dedicato alla cd. valutazione di mediabilità e, cioè, dell’anticamera del procedimento mediativo.

Secondo il primo indirizzo illustrato (Tribunale di Firenze), per soddisfare la condizione di procedibilità questo primo incontro non basta: occorre dare effettivamente inizio alla procedura. Per il secondo indirizzo segnalato (Tribunale di Milano) questa prima relazione al tavolo di mediazione è già sufficiente.

La lettura che conferisce maggiore razionalità all’istituto è certamente quella fiorentina e ciò almeno per quanto riguarda l’effettivo tentativo di mediazione, considerato che è invece difficile sostenere che le parti debbano essere personalmente presenti, essendo loro diritto conferire eventualmente una procura di carattere sostanziale ad un altro soggetto (che può pure essere l’avvocato difensore).

Sussiste, però, un nodo interpretativo da risolvere. Il Legislatore ha espressamente regolato il regime giuridico sotteso alla condizione di procedibilità e previsto, all’art. 5 comma 2 bis, che «quando l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l’accordo». La disposizione, dunque, sembra richiamare espressamente “il primo incontro” di cui all’art. 8 comma I cit.

Il giudice non potrebbe quindi esigere, al fine di ritenere correttamente formata la condizione di procedibilità, che le mediazione sia stata tentata anche oltre il primo incontro.

Tuttavia, egli può comunque richiedere che in questo primo incontro il tentativo di mediazione sia stato effettivo.

Certo, è vero che può sembrare che in questo primo incontro il mediatore potrebbe non avere neppure la possibilità di tentare un accordo se le parti non vogliono che ciò accada. Infatti, secondo quanto previsto dall’art. 8 del nuovo d.lgs. 28/10, “durante il primo incontro il mediatore chiarisce alle parti la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione. Il mediatore, sempre nello stesso primo incontro, invita poi le parti e i loro avvocati a esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione e, nel caso positivo, procede con lo svolgimento”.

Una prima lettura delle disposizioni normative pare giustificare un’interpretazione per cui se le parti e i loro avvocati non vogliono effettuare un vero tentativo di conciliazione (magari per non pagare il compenso all’organismo di mediazione) ben possono esprimere in questa prima parte del primo incontro, di natura preliminare, la loro volontà contraria all’inizio di una mediazione e il tuto finisce lì. La disposizione normativa in questione, così interpretata, sarebbe molto discutibile in quanto rischierebbe di rendere la mediazione di fatto facoltativa. Il mediatore potrebbe pure pensare, alla luce di tale disposizione normativa, di non potere neppure tentare di verificare se effettivamente le posizioni delle parti sono inconciliabili. Se, infatti, in quest’ultimo caso si può parlare di un fallimento della mediazione, nel caso teoricamente consentito dal legislatore di manifestazione (anche ad opera di una sola delle parti) della sua volontà contraria alla mediazione vi sarebbe un aborto legale della mediazione. Peraltro, se si ritiene che ogni parte può impedire fin dall’inizio l’effettivo svolgimento del procedimento di mediazione, ognuno dei partecipanti sarebbe titolare di un diritto potestativo alla chiusura del procedimento e gli altri sarebbero tutti in una posizione di soggezione. Ed è da credere che tale diritto potestativo verrebbe spesso esercitato se si considera che, come accennato, è stato aggiunto il comma 5 ter dell’art. 17 del d.lgs. 28/10, secondo cui nel caso di mancato accordo all’esito del primo incontro nessun compenso è dovuto per l’organismo di mediazione.

Tuttavia, una corretta interpretazione (in linea con la ratio della direttiva europea – ed è noto che gli operatori nazionali sono tenuti, secondo la Corte di giustizia UE, a tentare un’interpretazione delle disposizioni nazionali conforme alle norme europee – che mira ad agevolare il più possibile la soluzione delle controversie in modo alternativo a quello giudiziario) è quella che ritiene che il mediatore, nell’invitare le parti e i loro procuratori a esprimersi sulla “possibilità” di iniziare la procedura di mediazione, deve verificare se vi siano i presupposti per poter procedere nell’effettivo svolgimento della mediazione (il cui procedimento comunque già inizia con il deposito dell’istanza di mediazione). Tali presupposti sono, ad esempio, l’esistenza di una delibera che autorizza l’amministratore di condominio a stare in mediazione (così come previsto dalla legge 220/12) o l’esistenza di un’autorizzazione del giudice tutelare se a partecipare alla mediazione deve anche essere un minore ovvero la presenza di tutti i litisconsorti necessari. Il mediatore non dovrebbe chiedere, come invece ritenuto da molti, se le parti vogliono andare avanti. Egli non deve verificare la “volontà” delle parti e dei procuratori, ma li invita ad esprimersi sulla “possibilità ” di iniziare la procedura di mediazione. E nel punto in cui la norma dice che “nel caso positivo, procede con lo svolgimento” essa non va intesa nel senso che se gli avvocati dicono che c’è tale possibilità si va avanti, mentre se dicono che non sussiste questa possibilità non si procede oltre. È il mediatore che, tenuto conto di quello che dicono le parti e gli avvocati, valuta se sussiste questa possibilità (nella norma, infatti, non si legge “nel caso di risposta positiva”, ma “nel caso positivo”). Si comprende, quindi, il motivo per cui il comma 5terdell’art. 17 del d.lgs. 28/10 contempla (come il comma 2 bisdell’art. 5) la possibilità di un accordo tra le parti in sede di primo incontro (prevedendo che in caso di mancato incontro non è dovuto compenso all’organismo).

Questa interpretazione è stata fatta propria nel 2014 dal Tribunale di Palermo (I Sezione civile), che, sulla base degli argomenti sopra indicati, ha affermato che la mediazione disposta dal giudice in corso di causa deve svolgersi in modo effettivo durante il primo incontro tra le parti e il mediatore, pena l’improcedibilità sopravvenuta del giudizio.

Con questa ordinanza del 16 luglio 2014, resa in una causa in materia di responsabilità sanitaria nella quale disposta ed effettuata la CTU, il giudice ha ritenuto di formulare in primo luogo una proposta conciliativa ai sensi dell’articolo 185 bis c.p.c. (con effetti ex articolo 91 c.p.c.

La proposta formulata dal giudice siciliano ha recepito sostanzialmente la CTU ed ha invitato le parti a riflettere sui rispettivi “vantaggi” di tale possibile soluzione negoziale, evidenziando sia per l’attore sia per il convenuto le diverse opportunità derivanti dall’adesione alla proposta conciliativa giudiziale. Il tribunale ha motivato brevemente le ragioni che erano alla base della proposta e le ragioni che dovevano indurre le parti a valutare con attenzione l’opportunità di una loro adesione.

Nell’ordinanza in questione il Tribunale di Palermo, dopo aver formulato la proposta conciliativa, ha preannunciato alle parti che in caso di mancata conciliazione in conseguenza della proposta formulata sarebbe stata disposta dal giudice la mediazione ex officio (ritenendola possibile per i processi già pendenti all’entrata in vigore della riforma del 2013 e precisando che, anzi, nelle materie già selezionate dal legislatore per la mediazione obbligatoria ex lege ,come la responsabilità medico-sanitaria di cui al giudizio in questione, poteva ritenersi sussistente una “presunzione semplice” di opportunità, avendo già la normativa formulato ex ante una prognosi favorevole quanto all’efficacia del procedimento di mediazione). Nel preannunciare questo tipo di provvedimento sono stati pure richiamati espressamente gli orientamenti del Tribunale di Milano e del Tribunale di Firenze.

Il giudice palermitano ha nella sostanza condiviso la sostanza dell’impostazione fiorentina, ritenendo che la mediazione debba effettivamente svolgersi (aggiungendo qualche argomento al riguardo, tratto da una interpretazione della lettera dell’art. 8 d.lgs. 28/2010, da leggere nel senso dell’impossibilità che il mediatore si accontenti dell’accertamento della volontà delle parti di procedere oltre, dovendo invece verificare l’effettiva possibilità del tentativo di conciliazione), ma discostandosi dall’interpretazione del giudice fiorentino sotto il profilo della presenza personale delle parti (“considerato che è invece difficile sostenere che le parti debbano essere personalmente presenti, essendo loro diritto conferire eventualmente una procura di carattere sostanziale ad un altro soggetto”).

Nell’ordinanza palermitana si precisa, quindi, che secondo la normativa vigente il mediatore al primo incontro non debba verificare la “volontà” delle parti e dei procuratori, ma debba accertare la “possibilità” di iniziare la procedura di mediazione. Aderire all’orientamento milanese che ritiene sufficiente per la condizione di procedibilità un primo incontro destinato alla informativa ed a una formale valutazione della mediabilità condurrebbe, peraltro, ad un “aborto legale della mediazione”.

In conclusione, il Tribunale di Palermo formula alle parti una proposta conciliativa e fissa per la verifica della posizione delle parti sulla proposta conciliativa un’udienza riservandosi di disporre in tale udienza, in caso di mancata accettazione della proposta conciliativa, l’esperimento del procedimento di mediazione ex officio iudicis quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale, condizione che si riterrà formata soltanto se nel primo incontro il tentativo di mediazione sia stato effettuato dalle parti in modo effettivo[8].

Richiamando in particolar modo quest’ultimo provvedimento del Tribunale di Palermo e tutte gli altri argomenti già fatti valere per la mediazione ex officio, di recente il Tribunale di Firenze ha ritenuto necessario l’espletamento effettivo del tentativo di conciliazione (alla presenza personale delle parti) anche nella mediazione obbligatoria ex lege (ordinanza del 26.11.2014, est. Breggia).

E sono ormai numerosi i provvedimenti dei giudici di merito che richiedono la presenza effettiva delle parti quale presupposto per la formazione di una valida condizione di procedibilità sia nella mediazione ordinata dal giudice che nella mediazione obbligatoria ex lege [9].

Ciò posto con riferimento alla materia della mediazione, va ora osservato che la negoziazione assistita è una procedura in cui “le parti convengono di cooperare… per risolvere in via amichevole la controversia tramite l’assistenza di avvocati”. Quindi, sarebbe possibile estendere alla negoziazione assistita le medesime argomentazioni utilizzate per la mediazione prevedendo nel provvedimento che rileva l’attuale improcedibilità della domanda e invia le parti in negoziazione la necessaria presenza delle parti alla procedura di negoziazione in caso di stipula della convenzione di negoziazione assistita. Anche qui occorre riattivare un’effettiva comunicazione tra le parti ed anche qui le parti partecipano alla procedura con la sola “assistenza” degli avvocati. Senza la presenza effettiva delle parti dopo la stipula della convenzione di negoziazione si rischierebbe di considerare la negoziazione assistita un tipo di ADR operante quale ingiustificabile ostacolo all’accesso alla giurisdizione.

13. Negoziazione assistita obbligatoria e domande connesse.

Quesito

Si può disporre una negoziazione assistitaex officio iudicis?

Con riferimento all’istituto della mediazione la legge 98/13 ha tra le altre cose stabilito che il giudice può – anche in grado di appello e valutata la natura della causa, lo stato dell’istruzione ed il comportamento delle parti – disporre l’esperimento del procedimento di mediazione a pena di improcedibilità della domanda. Ovviamente si tratta dei casi in cui la mediazione non è già obbligatoria per legge, essendo stato già il legislatore a configurare l’espletamento del procedimento di mediazione come condizione di procedibilità della domanda giudiziale.

È stato pure previsto un limite temporale all’emissione del provvedimento del giudice che invia le parti in mediazione. Esso deve essere adottato prima dell’udienza di precisazione delle conclusioni ovvero, quando tale udienza non è prevista, prima della discussione della causa. Insieme al provvedimento che dispone la mediazione ex officio il giudice fissa (senza sospendere il processo, trattandosi di mero differimento) la successiva udienza dopo la scadenza del termine massimo di durata della procedura di mediazione (fissato dal nuovo art. 6 del d.lgs. 28/10 in tre mesi e non più in quattro) e, quando la mediazione non è già stata avviata, assegna anche contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione.

Ecco che la legge 98/13 attribuisce al giudice il potere di imporre alle parti di intraprendere un procedimento di mediazione nel corso del processo (in passato, invece, il giudice poteva solo invitarle a svolgere un tentativo stragiudiziale di mediazione, attendendo l’eventuale risposta positiva delle parti), in tal modo creando una nuova condizione di procedibilità (sopravvenuta) per ordine del giudice.

Si tratta di una norma che rimette al giudice l’effettività di tale canale di accesso alla mediazione (che opera non quale filtro preventivo alle liti, ma successivo e non per questo meno utile ed efficace) e può operare in ogni lite, purché abbia ad oggetto diritti disponibili.

Un ruolo centrale nella rinnovata mediazione è quindi assegnato, oltre che all’avvocato (la cui assistenza è ormai obbligatoria), anche al giudice, il quale può ordinare alle parti di tentare la mediazione (ma senza indicare l’organismo di mediazione come era invece previsto in una disposizione del Decreto “del fare” poi opportunamente eliminata nella legge di conversione 98/13, che ha quindi lasciato spazio all’autodeterminazione delle parti nella relativa scelta).

Sono quindi due le possibili fonti dell’obbligatorietà della mediazione: 1) la prima è normativa e introduce un obbligo ex lege, limitato ad alcune materie e circoscritto nel tempo per una fase di sperimentazione; 2) l’altra si affida alla valutazione discrezionale del giudice e, per questo motivo, non è vincolata nella sua operatività né ad alcune materie né ad un determinato lasso temporale.

Nessun potere analogo è stato però previsto per il giudice dalla legge 162/14 con riferimento alla negoziazione assistita. Non è stata infatti introdotta una negoziazione assistita ex officio iudicis.

Quesito

Se proposte più domande di cui solo una o alcune soggette a negoziazione assistita obbligatoria? e se riunite cause connesse in cui solo alcune delle domande sono soggette a negoziazione assistita obbligatoria?

Molto interessante è il caso della negoziazione che risulti obbligatoria soltanto in relazione ad una delle domande o delle cause connesse.

Dopo le modifiche apportate dalla legge 98/13, che ha trasformato la mediazione ex officio in obbligatoria prevedendo che il provvedimento del giudice che invia le parti in mediazione faccia sorgere una condizione di procedibilità della domanda giudiziale, la soluzione è quella di non separare le domande ed inviare in negoziazione assistita le parti con riferimento alle domande oggetto di negoziazione assistita obbligatoria, invitandole a trattare in negoziazione anche le domande non rientranti nella mediazione obbligatoria.

Né eviterebbe la negoziazione assistita l’invioex officioin mediazione dell’intera causa, comprese le domande che non sono soggette a negoziazione assistita obbligatoria. Infatti, esclude la negoziazione obbligatoria soltanto la soggezione di una delle domande a mediazione obbligatoriaex legee non a mediazione obbligatoria ex officio iudicis (l’art. 2, comma 1, della legge 162/14 rinvia al comma 1bisdell’art. 5 del d.lgs. 28/10 e non al comma 2 del medesimo articolo).

Se, invece, in giudizio viene proposta una domanda soggetta a negoziazione obbligatoria ed un’altra che, di contro, è soggetta a mediazione obbligatoria ex lege (es. domanda relativa a contratto assicurativo e connessa domanda di risarcimento di somma inferiore a 50.000 euro per una fideiussione o domanda di condanna o accertamento di un diritto reale connessa ad una domanda risarcitoria inferiore ad € 50.000), allora occorrono due diverse condizioni di procedibilità per le due diverse domande (v. art. 3, comma 5, legge 162/14). Ciò ha portato qualcuno in dottrina a sospettare della legittimità costituzionale di una normativa che assoggetta alcuni casi a più forme di condizione di procedibilità.

14. La durata del procedimento di negoziazione assistita e le conseguenze in ambito processuale.

Si è già detto che nella convenzione di negoziazione assistita le parti stabiliscono il termine di durata massima della procedura, termine che comunque non può essere inferiore ad un mese né superiore a tre mesi, prorogabili di altri 30 giorni.

Orbene, è innanzitutto anomalo avere previsto un termine minino, posto che un buon accordo tra le parti può concludersi anche in poco tempo.

Talvolta poi tre mesi possono risultare troppo pochi (si pensi alle controversie con numerose parti o ai casi in cui occorre una consulenza di un esperto).

L’autonomia del procedimento di negoziazione assistita (avente comunque una finalità conciliativa) rispetto al giudizio contenzioso porta a ritenere che l’eventuale sospensione del giudizio pendente non determina la sospensione del procedimento di negoziazione e non sembra pertanto poter risentire delle sorti del processo (v., con riferimento alla mediazione, Tribunale Verona 27/1/2014).

Data la natura non processuale del procedimento di mediazione, il termine in questione non è soggetto alla sospensione feriale dei termini e ciò neppure quando il procedimento di mediazione trovi origine da una rimessione dovuta al giudice. Tale soluzione è anche funzionale ad impedire ulteriori ritardi nell’eventuale accesso al giudice.

Sempre per la sua natura non processuale, potrebbe ritenersi che il detto termine non rilevi neppure ai fini della valutazione della ragionevole durata del processo e della consequenziale applicazione della legge 89/2001 (c.d. legge Pinto) per la richiesta di risarcimento danni allo Stato (come previsto dall’art. 7 del d.lgs. 28/10 nella mediazione obbligatoria).

Tuttavia, se si considera che nelle ipotesi di negoziazione obbligatoria con conciliazione fallita il processo subisce inevitabilmente un oggettivo slittamento e che risulta prolungato il tempo complessivo per ottenere il provvedimento giudiziale, pare possibile ritenere non del tutto certa la conformità alla Costituzione ed alla CEDU della disposizione contenuta nell’art. 7, che sembra aggirare o limitare gli obblighi assunti dall’Italia a livello internazionale.

Inoltre, qualche dubbio sembra sorgere anche con riferimento all’eventuale mancata considerazione ai fini della legge Pinto del termine di almeno tre mesi che intercorre tra la prima udienza del giudizio civile e quella fissata dal giudice che si accorge che non vi è stato o che non si è concluso il procedimento di negoziazione.

Non può, invero, non evidenziarsi la differenza tra il caso della negoziazione posta in essere prima del giudizio ed il caso della negoziazione effettuata a processo in corso.

Infatti, non bisogna dimenticare che per la Corte europea dei diritti dell’uomo la pendenza del giudizio ai fini della determinazione della ragionevole durata del processo si ha dal momento del deposito del ricorso o dalla notificazione della citazione.

Quesito: cosa succede se il procedimento di negoziazione dura più del termine massimo fissato dalle parti o di quello legale di 3 mesi prorogabili per altri 30 giorni?

Anche considerato che le disposizioni che prevedono condizioni di procedibilità, costituendo deroga all’esercizio del diritto di agire in giudizio, garantito dall’art. 24 Cost., non possono essere interpretate in senso estensivo (v. Cass. 967/04), deve ritenersi che se il procedimento di negoziazione dura più di 3 mesi le parti sono libere di iniziare il giudizio di merito. Infatti, l’art. 3, comma 2, della legge 162/14 prevede che la condizione di procedibilità si considera avverata anche se è decorso il termine massimo negoziale o legale.

Se il procedimento di negoziazione è iniziato ma non ancora concluso il giudice non sospende il giudizio in attesa del termine del procedimento e di un’istanza di riassunzione del processo, ma fissa un’udienza in data successiva alla scadenza del termine massimo. Scaduto quest’ultimo termine si è liberi di adire (o continuare ad adire) il giudice per l’affermazione giudiziale dei propri diritti. Ma se questo è già scaduto il giudice non è tenuto a fissare una nuova udienza anche se il procedimento è iniziato ma non si è concluso (salvo che non vi sia una concorde richiesta delle parti) e ciò denota che l’aspetto limitativo per il processo non è l’esaurimento del procedimento di mediazione ma la scadenza del termine massimo.

Si ricordi che con sentenza del 26 ottobre 2007 n. 355 la Corte costituzionale ha dichiarato manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 410 bis comma 2 c.p.c., censurato, in riferimento all’art. 111 comma 2 Cost., nella parte in cui prevede che, nel processo del lavoro, trascorso inutilmente il termine di sessanta giorni dalla presentazione della richiesta del tentativo obbligatorio di conciliazione, esso si considera comunque espletato ai fini di cui all’art. 412 bis c.p.c. La Consulta ha pure rilevato (con la sentenza della Corte costituzionale 19 dicembre 2006 n. 436) che questione analoga era già stata dichiarata inammissibile sulla base del rilievo che il legislatore può imporre condizioni all’esercizio del diritto di azione se queste, oltre a salvaguardare interessi generali, costituiscono, anche dal punto di vista temporale, una limitata remora all’esercizio del diritto stesso, mentre la pretesa secondo la quale “gli interessi generali” dovrebbero comunque prevalere impedendo l’esercizio del diritto di azione fino a quando il tentativo di conciliazione non sia stato effettivamente espletato, oltre ad essere contraddittoria rispetto al parametro costituzionale evocato, si risolve nel contrapporre una soggettiva valutazione al bilanciamento degli interessi, imposto dai valori costituzionali implicati.

L’imposizione di limiti all’accesso alla giustizia ordinaria non può tradursi in una sostanziale preclusionesine diedella tutela giurisdizionale. Una ragionevole limitazione all’esercizio del diritto di accesso alla giustizia richiede una compressione temporalmente limitata dello stesso, con la conseguenza che, trascorsi i tre mesi, si sarà liberi di adire il giudice.

Il tentativo di conciliazione deve quindi considerarsi come espletato decorso il termine massimo convenzionale o, in sua assenza, di quello legale.

15. La riservatezza nel procedimento di negoziazione assistita.

Quesito

La riservatezza del procedimento di negoziazione assistita può limitare il diritto alla prova in sede giudiziale?

L’art. 9 della legge 162/14 prevede che “è fatto obbligo agli avvocati e alle parti di comportarsi con lealtà e di tenere riservate le informazioni ricevute. Le dichiarazioni rese e le informazioni acquisite nel corso del procedimento non possono essere utilizzate nel giudizio avente in tutto o in parte il medesimo oggetto. I difensori delle parti e coloro che partecipano al procedimento non possono essere tenuti a deporre sul contenuto delle dichiarazioni rese e delle informazioni acquisite. A tutti coloro che partecipano al procedimento si applicano le disposizioni dell’art. 200 c.p.p. [segreto professionale] e si estendono le garanzie previste per il difensore dalle disposizioni dell’art. 103 c.p.p. [garanzia di libertà del difensore – ispezioni e perquisizioni] in quanto applicabili. La violazione delle prescrizioni di cui al comma 1 e degli obblighi di lealtà e riservatezza di cui al comma 2 costituisce per l’avvocato illecito disciplinare”.

Quest’obbligo di riservatezza comporta che ciò che si è saputo in sede di negoziazione assistita (es. che la controparte guidava senza casco) non può mai costituire oggetto di prova in giudizio (tramite interrogatorio formale o prova testimoniale)?

Iniziando da un’ipotesi esemplificativa, si pensi al caso in cui in negoziazione una parte ammetta che non indossava il casco protettivo al momento in cui si è verificato il sinistro stradale. In questo caso la riservatezza del procedimento di negoziazione impedirà di articolare interrogatorio formale o prova testimoniale su questa circostanza?

La risposta preferibile è quella negativa in quanto l’art. 9 della legge 162/14 impedisce di articolare prove sulle dichiarazioni rese o sulleinformazioni acquisite nel corso del procedimento di mediazione, ma non impedisce anche di articolare prove sui fatti oggetto di queste dichiarazioni. Diversamente opinando si verrebbe a compromettere eccessivamente il diritto alla prova. Inoltre, sarebbe ben possibile dire tutto in negoziazione per evitare alla controparte di provare in giudizio quelle circostanze.

16. Sanzioni. Spese. Responsabilità aggravata e provvisoria esecuzione.

Quesito

Quando il giudice può fare ricorso alla responsabilità aggravata o alla provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo?

Stabilisce l’art. 4 della legge 162/14 che “l’invito a stipulare la convenzione deve indicare l’oggetto della controversia e contenere l’avvertimento che la mancata risposta all’invito entro trenta giorni dalla ricezione o il suo rifiuto può essere valutato dal giudice ai fini delle spese del giudizio e di quanto previsto dagli articoli 96 e 642, primo comma, del codice di procedura civile”.

Analogamente a quanto previsto dagli artt. 91, comma 1, e 420, comma 1, c.p.c. e dagli artt. 8 e 13 d.lgs. 28/10 sulla mediazione si prevedono conseguenze negative per chi tiene un comportamento non collaborativo.

Con riferimento alla provvisoria esecuzione ci si chiede se il decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo possa essere concesso sulla sola base della mancata risposta all’invito a stipulare la convenzione di negoziazione assistita (o del rifiuto della stessa). Poiché il riferimento è al primo comma (e non al secondo comma) dell’art. 642 c.p.c., sembra da ritenere possibile l’emissione di un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo fondato solo sulla detta mancata risposta o sull’indicato rifiuto. Probabilmente il legislatore ha ritenuto che potesse valere quale sostanziale ammissione della fondatezza della pretesa avversaria il semplice rifiuto o la semplice mancata risposta all’invito a stipulare la convenzione di negoziazione assistita. Poiché però si tratta di circostanza da valutare caso per caso ha attribuito al giudice la facoltà di concedere la provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo. Invero, secondo l’art. 4 della legge 162/14 il giudice “può” valutare quel determinato comportamento ai sensi dell’art. 642, comma 1, c.p.c. (e ciò nonostante questa disposizione non concede poteri discrezionali al giudice). Pertanto, quando il creditore non è munito di cambiale o di assegno o di documentazione sottoscritta dal debitore comprovante il diritto fatto valere potrà ritenere per lui conveniente proporre invito alla stipula della convenzione di negoziazione assistita al fine di avere maggiori possibilità di ottenere la concessione della provvisoria esecuzione (con il solo sacrificio di attendere appena un mese). È quindi preferibile per il debitore che voglia ottenere una dilazione nel pagamento di quanto dovuto rispondere all’invito alla stipula della convenzione di negoziazione.

Va ora aggiunto che, poiché il citato art. 4 la norma lascia al potere discrezionale del giudice la decisione in merito alle dette conseguenze, pare eccessivo fare ricorso alla responsabilità aggravata o alla provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo quando il rifiuto abbia alla base un giustificato motivato.

Analogamente un rifiuto giustificato (così come un silenzio per i 30 giorni) difficilmente saranno posti a base della concessione della provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo e ciò in quanto tale rifiuto o tale silenzio non sembrano idonei a supportare la fondatezza delle ragioni creditorie.

Il problema è l’individuazione dei casi in cui può ritenersi ricorrente un giustificato motivo.

Si ripropone qui una questione analoga a quella che si è posta in materia di mediazione, questione in relazione alla quale il caso maggiormente discusso è stato quello del motivo legato all’infondatezza della pretesa avversaria, motivo spesso non ritenuto giustificato poiché alla base di qualunque controversia, senza la quale non esisterebbero i sistemi di ADR.

Quesito

Può valutarsi negativamente la condotta della mancata risposta all’invito alla negoziazione assistita o del suo rifiuto? Può applicarsi alla negoziazione assistita obbligatoria la sanzione prevista per la mancata ed ingiustificata comparizione in sede di mediazione?

È noto che il d.lgs. 28/10 prevede, al comma 4 bis dell’art. 8, che “dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione, il giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi dell’articolo 116, secondo comma, del codice di procedura civile. Il giudice condanna la parte costituita che, nei casi previsti dall’articolo 5, non ha partecipato al procedimento senza giustificato motivo, al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio“.

La prima disposizione prevede un particolare regime probatorio, che non sembra applicabile analogicamente al caso della negoziazione assistita in considerazione del divieto, sancito dall’articolo 14 delle disposizioni sulla legge in generale (disp. prel. c.c.), non è possibile l’applicazione analogica per le norme che derogano a principi generali (c.d. norme eccezionali).

E l’art. 8, comma 4 bis, del d.lgs. 28/10 deroga proprio ad un principio generale, che è quello per cui “il giudice può desumere argomenti di prova… dal contegno delle parti… nel processo” (art. 116 c.p.c.) e non dal comportamento tenuto delle parti fuori dal processo.

E l’altra disposizione contenuta nel citato comma 4bisdell’art. 8 del d.lgs. 28/10 contempla una misura sanzionatoria (tanto che la somma di denaro va corrisposta in favore dello Stato e non della controparte processuale) che, in quanto tale, deve soggiacere al principio di legalità, richiedendo una previsione esplicita e specifica.

Conseguentemente, se l’invito alla stipula della convenzione di negoziazione non è seguito da adesione o è seguito da rifiuto entro trenta giorni dalla sua ricezione l’unica conseguenza è quella che sarà possibile instaurare il giudizio essendosi formata la condizione di procedibilità (in base al comma 2 dell’art. 3 della legge 162/14). Non vi è però spazio per alcuna sanzione.

17. Negoziazione assistita e contraddittorio.

Quesito

Che cosa succede se non viene garantito il litisconsorzio necessario nella fase della negoziazione assistita? Sussiste la condizione di procedibilità se non viene fatta al proprietario del mezzo danneggiante la comunicazione dell’invito alla stipula della convenzione di negoziazione?

Oltre a verificare la detta corrispondenza oggettiva, il giudice deve anche accertare che esista coincidenza soggettiva fra coloro che hanno partecipato al tentativo di conciliazione e quanti hanno assunto, nel successivo giudizio, la qualità di parte.

Certo, nessun problema si porrà se tale coincidenza soggettiva non sussiste solo perché la domanda giudiziale viene avanzata nei confronti di uno solo dei più soggetti chiamati in negoziazione laddove non ricorra un caso di litisconsorzio necessario.

Invece, considerato che nei giudizi a litisconsorzio necessario (come sono quelli relativi ai sinistri stradali) non può prescindersi dalla presenza delle parti necessarie, non può iniziarsi un giudizio ritenendo che vi sia la condizione di procedibilità per alcune e non per altre. La condizione di procedibilità deve ricorrere per tutte le parti necessarie. E nelle cause sui sinistri stradali litisconsorte necessario è il proprietario del mezzo danneggiante e non il conducente (v., da ultimo, Cass. 13671/14 e 3875/14, v. anche Cass. 11885/07) Se la negoziazione è stata svolta senza la comunicazione dell’invito al proprietario del mezzo danneggiante il giudice dovrà ritenere assente la condizione di procedibilità.

Conseguentemente, il giudice dovrebbe assegnare il termine di 15 giorni per la comunicazione dell’invito alla negoziazione nei confronti di tutti (comprese le parti che già vi hanno partecipato).

Tuttavia, per quanto si dirà meglio sulla prevalenza del principio del contraddittorio sul principio della ragionevole durata del processo, si dovrebbe disporre l’integrazione del contraddittorio per l’udienza successiva e, solo dopo che il contraddittorio sarà stato regolarmente instaurato e tutte le parti avranno potuto interloquire sulle condizioni per svolgere la negoziazione, assegnare il termine per la nuova proposizione del procedimento di negoziazione nei confronti di tutti i litisconsorti.

Quesito

Quali sono, con riferimento alla negoziazione assistita ed alla relativa condizione di procedibilità, i rapporti tra il principio della ragionevole durata del processo ed il principio del contraddittorio?

Per rispondere a tale domanda può essere utile ricordare ciò che è stato deciso con riferimento alla mediazione obbligatoria, in relazione alla quale particolare rilievo al principio del contraddittorio ha dato il Tribunale di Palermo. Infatti, in un caso in cui non era andata a buon fine la notificazione dell’atto di citazione ad uno dei convenuti in un giudizio relativo ad una controversia in materia di diritti reali non preceduto dal procedimento di mediazione il Tribunale di Palermo (sezione distaccata di Bagheria, ordinanza del 30 dicembre 2011) non ha assegnato il termine di 15 giorni per la presentazione della domanda di mediazione (con rinvio della causa ad un’udienza successiva alla scadenza del termine, di 4 mesi, di durata massima della mediazione), ritenendo che dovesse prima instaurarsi correttamente il contraddittorio tra le parti. Si è ritenuto, in generale, che non può disporsi la rinnovazione della citazione o della notificazione della stessa o l’integrazione del contraddittorio per una successiva udienza con contestuale assegnazione del termine per la proposizione dell’istanza di mediazione. Come detto, è infatti necessario garantire a tutte le parti del giudizio la possibilità di interloquire sulla necessità o meno di instaurare il procedimento conciliativo (con riferimento, ad esempio, alla circostanza della sussumibilità della specifica controversia in quelle soggette per legge alla mediazione obbligatoria).

L’invio delle parti in mediazione (o, analogamente, in negoziazione assistita) contestualmente all’imposizione degli adempimenti per la regolare instaurazione del contraddittorio sarebbe sì una soluzione attuativa del principio costituzionale della ragionevole durata del processo, ma impedirebbe alle parti ancora non presenti in giudizio di evidenziare le ragioni per cui non andrebbe effettuata la mediazione obbligatoria e potrebbe comportare, in caso di presentazione davanti al mediatore del chiamato in mediazione, la sopportazione di costi ad opera di quest’ultimo soggetto ancora non costituito in giudizio e la necessità per lo stesso chiamato, in caso di sua contumacia nel procedimento di mediazione, di dover motivare il giustificato motivo della sua assenza qualora decidesse di costituirsi poi in giudizio e ciò al fine di evitare le conseguenze negative previste dall’art. 8, comma 5, d.lgs. 28/10 (nello stesso senso del Tribunale di Palermo anche Trib. Como, sez. distaccata di Cantù, 2 febbraio 2012, che, prima di invitare le parti alla mediazione giudizialmente sollecitata, ha ritenuto di dovere integrare il contraddittorio). Per il Tribunale di Palermo è vero che più volte la Corte di Cassazione ha evidenziato che l’ordinamento vigente impone la necessità di interpretare ed applicare la normativa processuale in armonia con il principio di cui all’art. 111 Cost. sulla ragionevole durata del processo come principio che conduce ad escludere che il mancato compimento di adempimenti processuali che si siano appalesati del tutto superflui possa condurre ad una conseguenza di sfavore per il processo, ma che è anche vero che ciò vale sempre che siano rispettati il principio del contraddittorio ed il diritto di difesa (v. Cass., sez. un., 20604/08; sez. un. 9962/10; sull’incidenza sulle regole processuali del principio della ragionevole durata del processo solo dopo la regolare instaurazione del contraddittorio v. anche, in materia di decisioni della c.d terza via, Cass., sez. III, 6051/10).

18. La necessità o meno dell’esperimento del procedimento di mediazione in relazione alle domande riconvenzionali ed alle chiamate di terzo.

È innanzitutto del tutto evidente che se in un giudizio vi sono più attori tutte le domande di questi richiedono la condizione di procedibilità se concernono controversie sottoposte a negoziazione assistita obbligatoria, con la conseguenza che se solo per alcune domande sussiste la condizione di procedibilità, allora talune domande potrebbero essere separate dalle altre (per evitare di allungare i tempi per tutti) purché ricorra (e non è semplice) un caso di litisconsorzio facoltativo. Certo, sarà difficile procedere ad una separazione delle domande in caso di loro connessione.

Più complessa è la questione dei rapporti tra negoziazione assistita obbligatoria e domanda riconvenzionale.

Al riguardo va in primo luogo chiarito che sicuramente non occorre il previo espletamento del procedimento di negoziazione assistita se la riconvenzionale amplia solo ilpetitumma non anche l’oggetto della controversia (v, in tema di controversie sui contratti agrari, Cass. 27255/08 e Cass. 2388/02, 1897/02 e 4982/01. Sull’onere, ai fini della proponibilità della domanda, del preventivo esperimento del tentativo di conciliazione anche nei confronti del convenuto che proponga una domanda riconvenzionale v. pure Cass. 830/06; 15802/05; 10993/03; 14900/02).

Giurisprudenza rilevante

Per Cass. 27255/08 “in tema di controversie concernenti contratti agrari, anche la domanda riconvenzionale deve essere preceduta, a pena di improponibilità, dal tentativo obbligatorio di conciliazione previsto dall’art. 46 della legge 3 maggio 1982 n. 203. Tale regola, tuttavia, non si applica allorché ricorrano due presupposti, ovvero che le parti del giudizio coincidano con le parti del tentativo obbligatorio di conciliazione e che la formulazione della domanda riconvenzionale non comporti alcun ampliamento della controversia già oggetto della tentata conciliazione, perché fondata su questioni già esaminate in quella sede. Ove ricorrano tali presupposti, la domanda riconvenzionale sarà proponibile pur se non preceduta dal tentativo di conciliazione, a nulla rilevando che essa abbia l’effetto di ampliare il “petitum” rispetto alla fase conciliativa”. V. anche Cass. 2388/02, 1897/02 e 4982/01.

Per Cass. 23816/07 “in tema di contratti agrari, la domanda riconvenzionale, al pari di quella proposta dall’attore, deve essere preceduta dal tentativo di conciliazione di cui all’art. 46 della legge 3 maggio 1982, n. 203 e, in mancanza, deve essere dichiarata improponibile; tuttavia, non sussiste la necessità di tale preventivo tentativo qualora il convenuto abbia già dedotto le relative richieste nella procedura di conciliazione sperimentata dall’attore”.

Nessun problema si pone, quindi, quando il tentativo di conciliazione sia stato svolto su tutte le pretese delle parti.

In ipotesi di confronto effettivo e completo tra i litiganti, la procedura di negoziazione assistita poteva già conseguire la finalità deflattiva cui è preordinata. E se le parti non si sono conciliate sulla domanda dell’attore pur avendo trattato dei fatti e delle questioni posti dal convenuto a base della domanda riconvenzionale poi proposta in sede di giudizio, allora è evidente che non si concilieranno se il giudice invia in mediazione la sola domanda riconvenzionale. Venuto meno lo scopo compositivo della lite e deflattivo del contenzioso giudiziario, resta solo l’interesse al celere e sollecito esaurimento della fase processuale. 

Non sussiste quindi la necessità del previo espletamento del procedimento di negoziazione assistita qualora il convenuto abbia già dedotto le relative richieste nella procedura compositiva sperimentata dall’attore.

Ed anche in assenza di una specifica richiesta in fase di negoziazione assistita, certamente basta pure (non rilevando il petitum ma l’oggetto del procedimento di negoziazione assistita) che la questione specifica, oggetto di quella pretesa poi formulata in sede giudiziaria in via riconvenzionale, sia stata trattata nel contraddittorio di tutte le parti interessate alla controversia in occasione del procedimento di negoziazione assistita, ancorché questo si sia svolto su istanza della parte attrice (v. Cass. 14 novembre 2008, n. 27255; Cass. 19436/08; Cass. 16 novembre 2007, n. 23816; Cass. 14 luglio 2003, n. 10993; Cass. 19 febbraio 2002, n. 2388; Cass. 17 gennaio 2001, n. 593; Cass. 8 giugno 1999, n. 5613; Cass. 8 agosto 1995, n. 8685; Cass. 5 ottobre 1995, n. 10447; Cass. 27 aprile 1995, n. 4651). Se in sede di procedimento di negoziazione assistita la questione posta dal convenuto è stata dibattuta tra le parti, allora è sicuramente procedibile la domanda riconvenzionale.

Deve ora pure chiarirsi che va escluso che l’onere del preventivo esperimento del procedimento di negoziazione assistita possa gravare sulla parte che, convenuta in giudizio, ed al fine di resistere alle altrui pretese, si limiti a spiegare, in sede difensiva, delle mere eccezioni in senso proprio, negando fondamento alla pretesa di controparte. È infatti certamente da escludere l’onere del previo esperimento del procedimento di negoziazione assistita quando il giudice accerti che le difese svolte dal convenuto non integrano una domanda riconvenzionale, tenendo conto che l’elemento distintivo della eccezione (anche riconvenzionale) rispetto alla domanda riconvenzionale risiede non già nella natura del diritto fatto valere dal convenuto, ma nel fine che questi si propone, e cioè nel contenuto della sua istanza processuale, dovendosi ravvisare la configurabilità di una domanda riconvenzionale nella sola ipotesi in cui questa tenda ad un risultato concreto ulteriore rispetto al semplice rigetto della domanda avversaria, consistente nella richiesta, con effetto di giudicato di un provvedimento giudiziale a sè favorevole e sfavorevole alla controparte (v. Cass. 10017/03).

Le riconvenzionali inedite e la negoziazione assistita obbligatoria.

Meno semplice è il caso in cui la negoziazione assistita non sia stata svolta anche sui fatti posti dal convenuto a base delle pretese (qualificabili in termini di domanda riconvenzionale) del convenuto. Questa è, quindi, la fattispecie delle riconvenzionali inedite, emerse, cioè, solo nella fase giudiziale della lite ma non anche dinanzi ai soggetti preposti alla negoziazione assistita.

In questi casi la domanda riconvenzionale viene ad ampliare l’ambito della controversia rispetto a quelli che sono stati i confini della stessa in sede di procedimento di negoziazione assistita, investendo aspetti nuovi della lite.

Si pensi al caso della domanda riconvenzionale di regresso formulata dalla Compagnia di Assicurazioni che non aveva aderito alla negoziazione assistita o che non aveva fatto cenno a questa sua richiesta in sede di negoziazione.

In relazione al tema delle c.d. riconvenzionali inedite è bene partire dal testo dell’art. 3 della legge 162/14 che prevede che “chi intende esercitare in giudizio un’azione relativa a una controversia in materia di risarcimento del danno da circolazione di veicoli e natanti deve, tramite il suo avvocato, invitare l’altra parte a stipulare una convenzione di negoziazione assistita. Allo stesso modo deve procedere, fuori dei casi previsti dal periodo precedente e dall’articolo 5, comma 1-bis, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, chi intende proporre in giudizio una domanda di pagamento a qualsiasi titolo di somme non eccedenti cinquantamila euro. L’esperimento del procedimento di negoziazione assistita è condizione di procedibilità della domanda giudiziale”.

Trattasi di formula analoga a quella impiegata per il rito del lavoro, in relazione al quale la giurisprudenza di legittimità non ha avuto modo di pronunciarsi, la dottrina ha in diversi casi sostenuto la tesi della non estendibilità del tentativo di conciliazione alle domande riconvenzionali e la giurisprudenza di merito ha avuto modo di affermare entrambe le tesi.

Giurisprudenza rilevante

Contro l’applicabilità del tentativo di conciliazione alle domande riconvenzionali, v. Trib. Ivrea 22 dicembre 2004 in Giur. it., 2005, 1684 e in Nuova giur. civ. comm. 2006, p. 68, con nota di Demontis; Trib. Taranto ord. 18 aprile 2002, in Giur. it. 2003, 78, con nota di Rascio; Trib. Torino 14 febbraio 2002, in Giur. piem. 2003, 181; Trib. Milano 10 febbraio 2001, in Lav. nella giur., 2001, 997; Trib. Forlì ord 11 maggio 2000, in Lav. nella giur 2000, 979. V anche Trib. Campobasso 8 ottobre 1999, in Giust. civ., 2000, I, 909, ove però si esclude l’applicazione del tentativo obbligatorio di conciliazione sul presupposto che si tratti di una eccezione riconvenzionale. In favore dell’applicabilità del tentativo di conciliazione v. invece Trib. Milano 10 marzo 2005, in Riv. crit. dir. lav., 2005, 634; Trib. Voghera ord 21 dicembre 2004, in Riv. crit. dir. lav., 2005, 315, con nota di Busico; Trib. Pordenone 13 febbraio 2001, in Dir. lav., 2001, 271, con nota di Pamio; Trib. Velletri 7 marzo 2000, in Mass. giur. lav., 2000, 875; Pret. Napoli 31 marzo 1999, in Guida al lav., 1999, fasc. 21, 14; Pret. Milano 9 marzo 1999, in Lav. nella giur., 1999, 575.

Con riferimento al settore dei contratti agrari, settore in relazione al quale è prevista una condizione di proponibilità e non di procedibilità (v. il primo comma dell’art. 46 della legge 3 maggio 1982 n. 203), la Suprema Corte ha invece avuto modo di prendere posizione sostenendo la necessità del tentativo di conciliazione anche per le domande riconvenzionali (v., in materia di contratti agrari, Cass. 19436/08; 23816/07; 830/06; 11192/05; 10993/03; 10017/03; 467/02; 408/02; 12756/01; 10497/01; 7445/01; 593/01).

Riferimenti normativi

Il primo comma dell’art. 46 della legge 3 maggio 1982 n. 203 recita: “chi intende proporre in giudizio una domanda relativa a una controversia in materia di contratti agrari è tenuto a darne preventivamente comunicazione, mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento, all’altra parte e all’ispettorato provinciale dell’agricoltura competente per territorio”.

Analogamente, in tema di responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli e natanti ed in relazione all’abrogato art. 22 della legge 24 dicembre 1969, n. 990, si è affermato che la relativa condizione di proponibilità (e non di procedibilità) dell’azione risarcitoria trova applicazione, “tenendo conto del difetto di espresse limitazioni e della “ratio” della disposizione medesima (favore per il soddisfacimento stragiudiziale delle istanze di risarcimento), anche con riguardo alla domanda riconvenzionale avanzata dal convenuto che assuma a sua volta la responsabilità dell’attore” (Cass. 12189/98. In questo senso v. anche Cass. 2269/06 e 22597/09).

Invece, all’art. 2 del regolamento in materia di procedure di risoluzione delle controversie tra operatori di comunicazioni elettroniche ed utenti, approvato con delibera n. 173/07/CONS. dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, si prevede che “l’utente finale non è tenuto ad esperire il tentativo obbligatorio di conciliazione previsto dall’art. 3 per formulare eccezioni, proporre domande riconvenzionali ovvero opposizione a norma degli articoli 641 c.p.c. e ss.”.

Passando ora all’esame delle domande riconvenzionali formulate nelle controversie relative alle materie soggette a negoziazione assistita obbligatoria in base alla legge 162/14, va in primo luogo osservato che potrebbe sembrare risolutivo il chiaro dettato normativo del comma 1 dell’art. 3, che richiede, come già visto, la condizione di procedibilità del previo esperimento del tentativo in relazione ad ogni domanda che si vuol fare valere in giudizio.

D’altronde, nell’ottica dell’estensione della negoziazione assistita obbligatoria anche alle domande riconvenzionali si può evidenziare che la negoziazione assistita obbligatoria riguarda le domande formulate in giudizio in certe “materie” ed all’interno di queste ultime non può distinguersi in relazione alle modalità di presentazione della domanda.

Senza considerare che, ritenendo diversamente, potrebbe risultare economicamente conveniente, in caso di controversia tra due parti con richieste reciproche, attendere l’iniziativa altrui in sede di negoziazione assistita, non stipulare la convenzione di negoziazione e poi formulare le domande riconvenzionali in giudizio.

Tuttavia, sono diversi gli argomenti che portano a ritenere preferibile la tesi per cui il tentativo obbligatorio di negoziazione non si estende alle domande riconvenzionali in quanto:

1) il suo esperimento non sortirebbe l’effetto di chiudere il giudizio in corso. La conciliazione stragiudiziale, proprio in quanto stragiudiziale, ha lo scopo – nell’intento deflativo perseguito da tutti i sistemi di ADR – di evitare il giudizio, mentre il procedimento di negoziazione assistita sulla domanda riconvenzionale non è generalmente idoneo, dopo il fallimento del procedimento di negoziazione assistita sulla domanda principale, a porre fine al giudizio. Peraltro, difficilmente l’attore, che ha già (vanamente) sperimentato il procedimento di negoziazione assistita sulla sua domanda, si presenterà di nuovo al tavolo della negoziazione;

2) si allungherebbero notevolmente i tempi di definizione del processo (in contrasto con l’art. 111 della Costituzione). Il procedimento di negoziazione assistita, come gli altri sistemi di risoluzione alternativa delle controversie, può produrre effetti positivi se non prolunga i tempi processuali, anche considerato che per C. Cost. 276/00 il diritto di azione può essere limitato con la previsione di procedure di negoziazione se vi è un limite temporale. In proposito è il caso di osservare che la possibile violazione del parametro dell’art. 111 Cost. sulla ragionevole durata del processo non si pone con riferimento ai contratti agrari ed alla materia della responsabilità civile per sinistri stradali (con riferimento alla proponibilità della domanda di cui all’art. 145, commi 1 e 2, D.lgs. 209/2005, c.d. Codice delle assicurazioni)in quanto in questi casi il previo esperimento del procedimento di negoziazione si configura come condizione di proponibilità (e non di procedibilità come nella legge 162/14). Conseguentemente, la domanda riconvenzionale non preceduta dal tentativo di conciliazione viene dichiarata, nei due casi appena indicati, improponibile e non comporta alcun allungamento dei tempi processuali. Diversamente, quando il procedimento di negoziazione viene configurato come condizione di procedibilità, il procedimento va instaurato anche a processo giurisdizionale iniziato, con inevitabile dilatazione dei tempi. Fare rientrare la domanda riconvenzionale nell’ambito della negoziazione assistita obbligatoria rischierebbe di esporre, sotto questo profilo, l’art. 3 della legge 162/14 a possibili censure di incostituzionalità per violazione dell’art. 111 Cost. Occorre invece assolutamente procedere ad un’interpretazione costituzionalmente orientata delle norme della legge 162/14. Peraltro, si consideri che nella realtà dei fatti il giudice, qualora dovesse inviare le parti in negoziazione sulla riconvenzionale, rinvierebbe spesso ad un’udienza di ben oltre tre mesi successiva a quella nella quale ha rilevato l’improcedibilità della riconvenzionale;

3) il tentativo di conciliazione non avrebbe comunque modo di essere esperito in via preventiva (cfr. Tribunale Taranto  sez. III, 18 aprile 2002, inGiur. it. 2003, 78 con nota di Rascio,  inGiur. merito2003, 1394 con nota di Tiscini, inDir. e giur. 2003, 406 con nota di Della Pietra). Non sarebbero invero compatibili, da un lato, una domanda che (come la riconvenzionale) presuppone l’avvenuta instaurazione del processo e, dall’altro, una procedura che, invece, ha l’obiettivo di evitare che il giudizio venga mai ad esistenza;

4) l’art. 3 della legge 162/14 prevede che l’improcedibilità vada eccepita dal “convenuto”, in tal modo evidenziando che l’improcedibilità si riferisce solo alle domande dell’attore. Né varrebbe sostenere che l’attore è da qualificare come convenuto in relazione alla domanda riconvenzionale dell’altra parte. In realtà, il destinatario di una domanda riconvenzionale non è un convenuto. Convenuto è solo chi è chiamato in giudizio, chi riceve una vocatio in ius. Il codice di rito non definisce mai come convenuto l’attore che è destinatario di una domanda riconvenzionale. Anche l’art. 183 c.p.c. parla sempre di attore in relazione a colui nei cui confronti viene formulata una domanda riconvenzionale e che può avanzare una reconventio reconventonis. Se il legislatore parla di “convenuto” deve farsi riferimento al concetto di “convenuto” impiegato dallo stesso legislatore;

5) le disposizioni che prevedono condizioni di procedibilità, costituendo deroga all’esercizio del diritto di agire in giudizio, garantito dall’art. 24 Cost., non possono essere interpretate in senso estensivo (v. Cass. 967/04). Peraltro, questa non è una condizione di procedibilità gratuita ma costosa. E non può non considerarsi, inoltre, che se il giudice manda le parti in negoziazione assistita per la domanda riconvenzionale non è solo il convenuto a pagare il suo avvocato ma vi è anche il fatto che se l’attore accetta di stipulare la convenzione di negoziazione, egli deve pagare il suo legale anche se ha già pagato per la negoziazione assistita sulla domanda principale. E tutto ciò non pare esigibile e sembra lontano dalle effettive esigenze delle parti;

6) occorre evitare che vengano formulate domande riconvenzionali al solo fine di costringere il giudice a mandare le parti di nuovo in negoziazione, allungando così i tempi del giudizio. Né varrebbe osservare che per le riconvenzionali strumentalmente formulate esiste il rimedio previsto dal terzo comma dell’art. 96 c.p.c. come sanzione degli abusi del processo. A parte il fatto che è noto quanto poco sia stata di fatto applicata tale norma (ed è prevedibile che continuerà ad essere scarsamente impiegata anche dopo la sua recente modifica), vi è che, se si fanno rientrare le domande riconvenzionali nell’ambito della negoziazione assistita obbligatoria, intanto tali domande verranno formulate e dovranno essere pure istruite prima di comprendere se sono infondate.

Sarebbe quindi preferibile intendere la locuzione “chi intende esercitare in giudizio un’azione” (art. 3, comma 1, legge 162/14) come “chi intende instaurare un giudizio”. In questo senso, con riferimento alla mediazione obbligatoria, v. Trib. Palermo, sezione distaccata di Bagheria 11 luglio 2011.

Ecco che non sembra condivisibile l’impostazione per cui, in caso di proposizione di domanda riconvenzionale non preceduta dal procedimento di negoziazione assistita, il giudice dovrebbe (eventualmente anche disponendo, quando le domande non sono connesse, la separazione della domanda principale dalla domanda riconvenzionale) concedere il termine di 15 giorni per la comunicazione dell’invito alla stipula della convenzione di negoziazione assistita e rinviare ad un’udienza successiva alla scadenza del termine massimo di durata della negoziazione assistita, fissato dall’art. 2 della legge 162/14 in 3 mesi prorogabile di altri 30 giorni su accordo delle parti (cfr. sul punto, sempre in relazione alla mediazione obbligatoria, anche Tribunale Padova 22 gennaio 2004, inRiv. dir. agr. 2004, II, 136. Vale comunque la pena di precisare che, pur adottando tale prospettiva, l’accertata improcedibilità di una domanda riconvenzionale in conseguenza dell’omesso tentativo di conciliazione non spiegherebbe ipso facto influenza sulla procedibilità della domanda di parte attrice, dovendosi, anche in relazione ad essa, accertare autonomamente se sia stata o meno preceduta dal tentativo in questione – v. Cass. 11374/02).

Il giudice, pertanto, non deve effettuare alcun rinvio e non deve concedere alcun termine per la negoziazione assistita sulla domanda riconvenzionale, la quale va considerata procedibile. Il giudizio deve andare avanti normalmente, in modo da potere avere una durata ragionevole.

Peraltro, si consideri che, se si ritenesse di assoggettare la domanda riconvenzionale al previo espletamento del procedimento di negoziazione assistita, si verificherebbe che il giudice, per non ritardare l’iterprocessuale sulla domanda principale, dovrebbe, se possibile, come già accennato, separare,exart. 103 comma 2 c.p.c., la domanda riconvenzionale da quella principale. Ed è del tutto evidente l’enorme incremento del numero dei fascicoli processuali che discenderebbe da un’operazione di sdoppiamento delle cause effettuata tutte le volte in cui c’è una domanda riconvenzionale.

Ponendosi quindi nell’ottica (che non si condivide) di ricondurre la riconvenzionale nell’ambito della negoziazione assistita obbligatoria, è prevedibile che tale separazione avverrebbe di fatto molto raramente, considerato che verrebbe quasi sempre ritenuto non opportuno né una separata decisione delle due domande, molto spesso connesse (oggettivamente e soggettivamente) tra loro, né una sopportazione ad opera delle parti dei costi e degli oneri di due processi.

Nella pratica succederebbe che il giudice rinvierebbe in negoziazione assistita la domanda riconvenzionale senza separare le domande, rinviando tutta la causa ad un’udienza di almeno 4 mesi (3 mesi prorogabili di altri 30 giorni secondo il citato art. 2 legge 162/14) successiva ed invitando le parti a riportare in negoziazione assistita anche la domanda principale e ciò nella consapevolezza che difficilmente la negoziazione assistita andrebbe a buon fine su una sola parte della materia del contendere e che comunque nella negoziazione assistita sulla riconvenzionale si tratterebbe inevitabilmente anche della domanda principale.

In presenza di una negoziazione assistita obbligatoria sulla riconvenzionale è da credere che si riterrà che il termine di 3-4 mesi per il procedimento di negoziazione assistita in questione non si dovrebbe contare ai fini della legge Pinto (analogamente a quanto previsto dall’art. 7 del d.lgs. 28/2010). Certo, è bene precisare che l’art. 7 del d.lgs. 28/2010 è poco compatibile con la giurisprudenza della Corte EDU che ritiene che il dies a quo della ragionevole durata coincida con il deposito del ricorso o con la notifica della citazione, con la conseguenza che, a giudizio in corso, la sottrazione di tempi per effetto di previsioni normative su subprocedimenti non giurisdizionali (come la mediazione) sembra togliere unospatium temporische per la Corte Edu potrebbe risultare lesivo del principio di cui all’art. 6 CEDU.

Comunque, l’invio in negoziazione assistita delle parti sulla domanda riconvenzionale si risolverebbe, molto spesso, dopo il già accertato fallimento della negoziazione assistita sulla domanda principale, nel fallimento anche della negoziazione assistita sulla domanda riconvenzionale, la quale va quindi tenuta fuori, per tutte le ragioni sopra indicate, dalla negoziazione assistita obbligatoria.

A queste conclusioni è giunto, come già osservato e con riferimento alla mediazione obbligatoria, Trib. Palermo, sezione distaccata di Bagheria 11 luglio 2011.

A soluzione diversa è invece pervenuto, con riferimento alla sola ipotesi delle riconvenzionali inedite e sempre relativamente alla mediazione obbligatoria, il Trib. Firenze 14 febbraio 2012, che – in relazione ad un caso in cui la domanda principale non rientrava, ratione temporis, nelle previsioni dell’art. 5 d.lgs. n. 28/2010, mentre la domanda riconvenzionale era stata proposta il 13.2.2012, quando cioè il primo comma dell’art. 5 in questione era già entrato in vigore relativamente alla materia oggetto del giudizio, ossia quella locatizia – ha affermato che la domanda riconvenzionale c.d. inedita, cioè non inserita prima in sede di mediazione (ad esempio, nella procedura di mediazione iniziata per la domanda principale), deve reputarsi soggetta al tentativo obbligatorio di conciliazione. Il giudice fiorentino ha valorizzato il favor per le soluzioni alternative delle controversie che emerge dalla direttiva europea in tema di mediazione (2008/52/CE), dalla “magna charta of judges” approvata il 17 novembre del 2010 dal Consiglio consultivo dei giudici europei in seno al consiglio d’Europa e dalla Raccomandazione sui giudici approvata dal Comitato dei Ministri degli Stati europei.

Affermando, poi, che il principio della ragionevole durata del processo andava valutato insieme al principio della ragionevole durata della risoluzione della lite, che la mediazione poteva fare venire meno del tutto, e precisando che non andava disposta la separazione delle domande tenuto conto delle finalità compositive della procedura di mediazione e del fatto che la mediazione deve, per sua natura, riguardare il rapporto nella sua interezza, il Tribunale di Firenze ha quindi non soltanto differito l’udienza ex art. 418 c.p.c. in relazione alla domanda riconvenzionale inedita, ma ha anche assegnato il termine per la proposizione della domanda di mediazione relativamente alla medesima riconvenzionale, rinviando la causa ad epoca successiva al periodo previsto dall’art. 6 del d.lgs. n. 28/10 per il procedimento di mediazione.

Molto simile era il caso che si è posto davanti al Trib. Como, sez. distaccata di Cantù, ordinanza 2 febbraio 2012. Si trattava di una domanda principale non soggetta alla mediazione obbligatoria (non ratione temporis, però, ma perché afferente materia diversa da quelle indicate al primo comma dell’art. 5 d.lgs. 28/10) e di una domanda riconvenzionale (di usucapione) ritenuta dal giudice rientrante nella mediazione obbligatoria. Il Tribunale di Como ha affermato che anche le domande riconvenzionali inedite vanno in mediazione obbligatoria (anche per evitare un’ingiustificata disparità di trattamento tra attore, onerato di proporre la domanda di mediazione, e convenuto) e che sulle domande principali, che dovrebbero essere separate per evitare l’irragionevole durata del processo, è bene dare luogo alla mediazione su provvedimento del giudice.

La reconventio reconventionis, la chiamata di terzo e le domande trasversali.

È noto che il codice di procedura civile consente all’attore di proporre, nell’udienza di prima comparizione, domande ed eccezioni in conseguenza della domanda riconvenzionale o delle eccezioni proposte dal convenuto (art. 183, comma V, c.p.c.). La domanda in questione è la c.d.reconventio reconventionis.

È altrettanto noto, poi, che il convenuto può proporre domanda contro altro convenuto già parte del processo, così come può avanzarle verso chi, non essendo ancora parte del processo, venga chiamato a parteciparvi (artt. 106, 167, ultimo comma e 269, 2° comma, c. p. c.). Si tratta delle domande trasversali.

Ora, in relazione alla reconventio reconventionis  possono riproporsi, mutatis mutandis, le stesse argomentazioni sopra esposte con riferimento alla tesi dell’esclusione della necessità del previo procedimento di negoziazione assistita ai fini della procedibilità della domanda riconvenzionale (invece, sostiene, con riferimento ai contratti agrari, la necessità del tentativo di conciliazione anche alla reconventio reconventionis  formulata dall’attore – convenuto in riconvenzionale – Cass. civ., Sez. III, 27 aprile 1995, n. 465). Si può però aggiungere che l’art. 3 della legge 162/14 prevede che l’eccezione di improcedibilità vada formulata dal convenuto entro la prima udienza (in base a quanto previsto dall’art. 3 della legge 162/14 l’improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d’ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza ed in particolare prima della concessione dei termini ex art. 183, comma 6, c.p.c., in quanto rientrante tra le questioni rilevabili d’ufficio, che vanno evidenziate dal giudice, secondo quanto previsto dall’art. 183 c.p.c., prima della concessione dei termini in questione). E pare davvero inverosimile che il legislatore abbia imposto al convenuto di formulare un’eccezione nella stessa udienza in cui può proporsi la reconventio reconventionis  (e lo stesso ragionamento vale, poi, anche per la chiamata del terzo fatta dall’attore). 

Con riferimento alle domande trasversali (verso altro convenuto o verso terzi chiamati in causa) ed alle domande del terzo interveniente (in ipotesi di interventi di terzo c.d. innovativi, ossia quelli che comportano un ampliamento del thema decidendum) si noti che anche in questo caso, al pari delle domande riconvenzionali del convenuto, è bene non richiedere la condizione di procedibilità.

La mediazione sulla domanda da parte del terzo o verso il terzo o altro convenuto non ha, in presenza del fallimento della mediazione sulla domanda principale, quasi nessuna possibilità di evitare la controversia. E valgano, poi, le stesse ragioni sopra esposte in relazione all’esclusione dall’ambito della negoziazione assistita obbligatoria delle domande riconvenzionali.

Di contro, nessun problema si pone, all’evidenza, con riferimento agli interventi di terzo non innovativi, poiché non allargano l’oggetto del giudizio.

Inoltre, non ha senso, in caso di negoziazione assistita già effettuata in modo fallimentare sulla domanda principale, inviare al procedimento di negoziazione assistita solo, ad esempio, una domanda di garanzia senza che sia ancora definito processualmente il rapporto principale. Se la domanda di un convenuto verso altro convenuto presuppone la soccombenza del primo nei confronti dell’attore, non vi è alcuna ragione (né mirante ad una composizione della lite né finalizzata ad una deflazione del contenzioso giudiziario) per inviare in negoziazione assistita dopo l’esito negativo della negoziazione assistita sulla domanda principale e prima della statuizione giudiziale definitiva su tale domanda, la domanda in questione. In questo caso, in cui la domanda trasversale del convenuto dipende dalla domanda dell’attore, la negoziazione assistita non avrebbe la possibilità di evitare la controversia. Il processo deve continuare regolarmente.

Certo, è quantomeno utile che gli avvocati indichino nel verbale eventuali contropretese del convenuto in negoziazione e dispongano la chiamata in negoziazione assistita di terzi (quali le compagnie di assicurazione) verso i quali una delle parti intende avanzare domande. Anche perché, altrimenti, l’eventuale accordo raggiunto tra le parti non potrebbe essere fatto valere nei confronti della compagnia.

Ancora si osservi che se si ritenesse di dovere inviare in negoziazione assistita anche le domande riconvenzionali o di terzi o formulate verso terzi si potrebbe pure verificare che, instaurato da un danneggiato un giudizio per un sinistro stradale dopo il fallimento del procedimento di negoziazione assistita, il giudice debba inviare le parti in negoziazione assistita (e rinviare la causa ad oltre 4 mesi) sia dopo l’eventuale riconvenzionale della compagnia si assicurazione sia (a giudizio ripreso dopo la tentata ulteriore negoziazione assistita) dopo l’intervento di un terzo danneggiato che voglia anch’egli ottenere il risarcimento del danno. Né potrebbe dirsi che a questo punto la negoziazione assistita obbligatoria non si applica. Tutte le domande formulate da terzi intervenienti nel corso del giudizio potrebbero comportare procedimenti di negoziazione assistita ulteriori rispetto a quelli già effettuati sulla domanda principale e sulla domanda riconvenzionale.     

In conclusione, sembra che vadano escluse dall’ambito della negoziazione assistita obbligatoria tutte le domande (riconvenzionale inedita, domanda trasversale, reconventio reconventionis) che siano diverse da quella dell’attore proposta con l’atto introduttivo del giudizio. Lo scopo del legislatore che ha introdotto la negoziazione assistita obbligatoria è quello di aumentare i casi di composizione extragiudiziale della lite e di introdurre una ridotta limitazione del principio della ragionevole durata del processo. Probabilmente le stesse parti non vedrebbero con favore una soluzione giurisprudenziale costruita nel senso di imporre la (comunque costosa) negoziazione assistita anche sulle riconvenzionali, dopo che un procedimento di negoziazione assistita sulla domanda principale è stato già sperimentato senza che sia emersa in quella sede la questione posta dal convenuto alla base della riconvenzionale. Ed è bene che le soluzioni giurisprudenziali, oltre ad essere costituzionalmente ed eurounitariamente conformi, tengano anche conto del loro impatto pratico.

19. Altre questioni in tema di negoziazione assistita e processo.

Quesito

Nella negoziazione assistita in tema di sinistri stradali le parti ed i loro avvocati possono avvalersi dell’opera di un esperto?

È noto a tutti che le controversie in tema di sinistri stradali possono avere concrete possibilità di trovare una soluzione concordata se sussiste un punto di riferimento in termini determinazione dell’entità del danno biologico e dei giorni di inabilità temporanea.

Tuttavia, la legge 162/14 non contiene, a differenza del d.lgs. 28/10 in tema di mediazione (v. art. 8, comma 4), una disposizione normativa che preveda che ci si possa avvalere di esperti iscritti negli albi dei consulenti presso i tribunali.

Nulla però esclude che le parti ed i loro avvocati possano nominare dei comuni consulenti medico-legali.

Certo, mentre il d.lgs. 28/10 prevede che il regolamento di procedura dell’organismo di mediazione disciplini le modalità di calcolo e liquidazione dei compensi spettanti agli esperti, nel caso della negoziazione assistita il compenso del consulente nominato sarà determinato d’intesa tra il professionista e le parti o, in assenza di accordo preventivo, secondo le tariffe vigenti (v. art. 2225 c.c.).

Quesito

Può prodursi nel giudizio civile la consulenza svolta nel procedimento di negoziazione assistita?

Posto, quindi, che si può espletare una consulenza in sede di negoziazione assistita, è possibile ritenere che, stante la riservatezza che caratterizza il procedimento di negoziazione assistita (come gli altri procedimenti conciliativi), per prodursi in giudizio la consulenza espletata nel procedimento di mediazione sembra necessario il consenso di entrambe le parti. E ciò nonostante l’art. 9, comma 2, legge 162/14 preveda l’inutilizzabilità in giudizio delle “informazioni acquisite nel corso del procedimento” senza contemplare una deroga per il caso di “consenso della parte dichiarante o dalla quale provengono le informazioni”, come invece accade per la mediazione ex art. 10, comma 1, d.lgs. 28/10.Con il consenso di entrambe le parti possono, infatti, derogarsi molti limiti processuali.

Occorre poi chiedersi, con riferimento al caso in cui vi sia il consenso delle parti alla produzione della consulenza redatta dall’esperto nominato dal mediatore, se sia utilizzabile in giudizio una tale consulenza.

L’opinione negativa si fonda sul rilievo per cui “il consulente non ha offerto la propria prestazione sotto il vincolo del giuramento di cui all’art. 193 c.p.c. Tale incombente non `e certo una formalità posto che, se svolto senza contraddittorio delle parti (v. Cass. civ., Sez. Un., 29 novembre 1974, n. 3907) o del tutto omesso, determina addirittura la nullità dell’elaborato peritale (in passato, la Corte ha statuito che la nomina del consulente tecnico effettuata dal notaio delegato dal Giudice istruttore per le operazioni divisionali, anziché dal Giudice istruttore che ne deve ricevere il giuramento ai sensi dell’art. 193, c.p.c., è nulla, cfr. Cass. civ. 30 ottobre 1961, n. 2490, in «Mass. Giur. It.» 1961, 763). L’eventuale elaborato potrà, allora, semmai essere acquisito al processo al solo fine di confluire nell’incartamento del CTU nominando per l’espletamento del suo incarico, quale documento ulteriore di ausilio ai fini dell’attività; giammai, invece, il Giudice potrebbe decidere la lite sulla base della sola perizia consegnata ai mediatori” (v. G. Buffone,Risoluzione alternativa delle liti civili e commerciali, in Il civilista, marzo 2010, pag. 24).

A ciò si aggiunga che il valore attribuibile alla consulenza fatta redigere in sede di negoziazione assistita non sarebbe comunque inferiore a quello attribuito dalla giurisprudenza alla consulenza stragiudiziale di parte, con l’aggiunta che la consulenza posta in essere nel procedimento di negoziazione assistita è disposta da un soggetto imparziale (in quanto scelto da tutte le parti) ed è realizzata da un soggetto non legato da vincoli alle parti.

Ora, è vero che la consulenza di parte, ancorché confermata sotto il vincolo del giuramento, costituisce una semplice allegazione difensiva di carattere tecnico, priva di autonomo valore probatorio (non trattandosi di circostanze acquisite alla causa attraverso prove orali o documentali), con la conseguenza che il giudice di merito, ove di contrario avviso, non è tenuto ad analizzarne e a confutarne il contenuto, quando ponga a base del proprio convincimento considerazioni con esso incompatibili e conformi al parere del proprio consulente (v. Cass. 20821/06; 5687/01; 8240/96).

Tuttavia, è anche vero che il giudice di merito può fondare la propria decisione su una consulenza tecnica stragiudiziale, purché fornisca adeguata motivazione di tale sua valutazione (v. Cass. 2574/92; 1416/87; 1504/83; 3882/81)[10].


[1] Sono escluse le controversie concernenti obbligazioni contrattuali derivanti da contratti conclusi tra professionisti e consumatori. Sono anche esclusi i casi in cui la parte può stare in giudizio personalmente (art. 3 comma 7) e le ipotesi già rientranti nella mediazione obbligatoria (art. 3 comma 1).

[2] Alle medesime conclusioni perveniva, anche se sulla base di un diverso ragionamento, il Tribunale di Pisa, ordinanza 3 agosto 2011 (in Foro it., 2012, 1, I, 270) che assumeva consapevole posizione difforme rispetto al Tribunale di Varese sotto il profilo della motivazione. Secondo il Trib. di Pisa la domanda per CTU preventiva ex art. 696 bis c.p.c. va esclusa dalla mediazione in quanto procedimento “urgente”, sottratto alla mediazione in virtù dell’art. 5 comma 3 d.lgs. 28/2010. Il Trib. di Pisa precisa anche che la mediazione va richiesta solo per le controversie che orbitano su “giudizi di merito” e non anche riguardo a quelle che, come la CTU preventiva, sono finalizzate alla raccolta di una prova preventiva. 

[3] Tale diversa disciplina è probabilmente dovuta al fatto che il legislatore ha voluto evitare che si ponesse nella negoziazione assistita la questione (che già si era posta nella mediazione) dell’individuazione del soggetto (opposto o opponente) su cui fare gravare l’onere dell’instaurazione del procedimento stragiudiziale.

[4] Nella quale si legge che “l’esclusione dei procedimenti di ingiunzione e di convalida di licenza o sfratto (lettere a e b) si giustifica per il fatto che in essi ci troviamo di fronte a forme di accertamento sommario con prevalente funzione esecutiva. Il procedimento è caratterizzato da un contraddittorio differito o rudimentale, e mira a consentire al creditore di conseguire rapidamente un titolo esecutivo. Appare pertanto illogico frustrare tale esigenza imponendo la mediazione o comunque il differimento del processo (sulla non applicabilità del tentativo obbligatorio di conciliazione al procedimento ingiuntivo v. del resto Corte cost. 6 febbraio 2001, n. 29; Corte cost. 13 luglio 2000, n. 276). È stato peraltro previsto che la mediazione possa trovare nuovamente spazio all’esito della fase sommaria, quando le esigenze di celerità sono cessate, la decisione sulla concessione dei provvedimenti esecutivi è stata già presa e la causa prosegue nelle forme ordinarie”.

[5] È da ritenere che in qualche caso questa certificazione mancherà in conseguenza della valutazione, da parte di qualche avvocato, della responsabilità connessa alla formulazione di un’errata attestazione.

[6] E che è requisito molto più generico di quello richiesto per la mediazione obbligatoria, in relazione alla quale il comma 2 dell’art. 4 del d.lgs. 28/10 prevede che nella domanda di mediazione siano indicati “l’oggetto e le ragioni della pretesa”.

[7] È questa la soluzione adottata, con riferimento alla mediazione obbligatoria, dal Trib. Modena (sez. II, 5 maggio 2011, in Giur. merito 2011, 7-8, 1820, inGuida al diritto 2011, 44, 8, ed inArch. locazioni 2011, 6, 825) che, in un caso di un ricorsoex art. 447bis c.p.c. contenente una domanda di rilascio di un immobile per detenzione senza titolo e di condanna del resistente al pagamento dei canoni di occupazione, ha ritenuto possibile, già in sede di emanazione del decreto di fissazione dell’udienza di discussioneex art. 415 c.p.c., il rilievo d’ufficio relativo al mancato espletamento della procedura obbligatoria di mediazione. Ecco che il Tribunale di Modena ha subito assegnato il termine di quindici giorni per presentare la domanda di mediazione, fissando contestualmente anche l’udienza per la discussione ad una data successiva alla scadenza del termine di quattro mesi di durata massima del procedimento di mediazione. La stessa impostazione è stata seguita da Trib. Prato (decreto del 30 marzo 2011) e dallo stesso Tribunale di Modena (sez. II) in data 22/10/2013.

[8] Analogamente, con l’ordinanza del 16 luglio 2014 il Tribunale di Roma (XIII Sezione civile – Giudice Moriconi) nel corso di un giudizio (in materia di responsabilità medica) nel quale era stata acquisita una CTU disposta nel procedimento ai fini della conciliazione della lite (articolo 696-bis del Cpc.) ed in sede di trasformazione del rito ex articolo 702-ter, comma 3, Cpc, ha formulato una proposta conciliativa ed ha disposto immediatamente per il caso della mancata adesione delle parti la mediazione delegata, con l’avvertenza che è richiesta alle parti l’effettiva partecipazione al procedimento di mediazione demandata e che la mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione demandata dal giudice, oltre a poter attingere alla stessa procedibilità della domanda, è in ogni caso comportamento valutabile nel merito della causa. Principio di effettività della mediazione applicato dunque alla mediazione demandata dal giudice (articolo 5, comma 2, Dlgs 28/2010) ma che già viene ritenuta applicabile anche alla mediazione obbligatoria preventiva ex lege (articolo 5, comma 1-bis, Dlgs 28/2010).

[9] Da ultimo v. Tribunale di Vasto 9.3.2015.

[10] In giurisprudenza ha ritenuto producibile in giudizio, ma con limitato valore probatorio, la perizia espletata in mediazione Trib. Roma, sez. XIII, 17/3/2014, secondo il quale la relazione redatta dal consulente tecnico nel corso di un procedimento di mediazione che si concluda senza accordo può essere prodotta nel successivo giudizio ad opera di una delle parti senza violare le regole sulla riservatezza, in virtù di un equilibrato contemperamento fra l’esigenza di riservatezza che ispira il procedimento di mediazione e quella di economicità e utilità delle attività che si compiono nel corso ed all’interno di tale procedimento. Ne consegue che il giudice potrà utilizzare tale relazione “secondo scienza e coscienza con prudenza, secondo le circostanze e le prospettazioni, istanze, e rilievi delle parti” più che per fondare la sentenza “per trarne argomenti ed elementi utili di formazione del suo giudizio” ovvero anche “per costituire il fondamento conoscitivo ed il supporto motivazionale (più o meno espresso) della proposta del giudice ai sensi dell’art. 185 bis c.p.c.”. Nel caso di specie – un’assunta “malpracrice” medico-sanitaria – il giudice, pur ammettendo la produzione della relazione dell’esperto non ritiene di trarne elementi di utilità, neppure fra le parti fra le quali si è validamente svolto l’esperimento di mediazione.

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