Esecuzione
Pignoramento dello stipendio: resta fermo il limite del quinto
E’ in parte inammissibile, in parte infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 545 c.p.c., nella parte in cui non prevede l’impignorabilità assoluta di quella parte della retribuzione necessaria a garantire al lavoratore i mezzi indispensabili alle sue esigenze di vita.
Corte costituzionale, sentenza 3 dicembre 2015, n. 248
In sintesi, i principi enunciati dalla Corte costituzionale sono i seguenti.
Per le pensioni, la regola era quella del limite del quinto, ma a seguito di pronunce della Corte costituzionale, è stata sottratta alla pignorabilità la parte necessaria a soddisfare le esigenze minime di vita del pensionato, la cui individuazione è riservata alla discrezionalità del legislatore. Il d.l. n. 83 del 2015 ha, quindi, aggiunto all’art. 545 c.p.c. un comma in virtù del quale le pensioni non possono essere pignorate per un ammontare corrispondente alla misura massima mensile dell’assegno sociale, aumentato della metà, mentre la parte eccedente tale ammontare è pignorabile nei limiti previsti dal terzo, quarto e quinto comma di detta norma, nonché dalle speciali disposizioni di legge. Inoltre, con l’ottavo comma, è stato posto rimedio ad una anomalia che si verificava in passato, conseguente al fatto che, qualora la pensione fosse confluita nel conto corrente o postale, diveniva pignorabile senza alcun limite, in quanto ritenuta una disponibilità liquida fungibile.
Gli stipendi, in relazione ai crediti diversi da quelli alimentari, sono invece pignorabili nella misura del quinto, salvo che si tratti di esecuzione concorsuale, perché in quest’ultima ipotesi è affidata al giudice la fissazione della parte di esso che può comunque essere percepita dal fallito. Inoltre, il d.l. n. 83 del 2015 ha introdotto nell’art. 545 c.p.c. l’ottavo comma, sopra richiamato, che riguarda specificamente la disciplina dello stipendio, nel caso di accredito su conto corrente bancario o postale.
Per i crediti inerenti alle imposte sul reddito, l’art. 72-ter del d.P.R. n. 602 del 1973 stabilisce che le somme dovute a titolo di stipendio o di pensione possono essere pignorate nella misura specificamente indicata da detta norma.
Delineato il quadro normativo di riferimento, la sentenza enuncia tre importanti principi.
Il primo è che il bilanciamento dell’esigenza del debitore-lavoratore, di avere, attraverso una retribuzione congrua, un’esistenza libera e dignitosa, con quella di non vanificare la garanzia del credito, conservando un senso al principio della responsabilità patrimoniale, è stato ragionevolmente realizzato, fissando un limite (del quinto) congruo a detto scopo. E’ vero infatti che nel caso degli stipendi di importo più basso quest’ultima esigenza può essere messa a rischio anche da un tale limite. Tuttavia, in tale ipotesi l’obbligo della solidarietà sociale non può essere posto a carico del solo creditore e va invece fronteggiato mediante gli strumenti dello specifico settore dell’assistenza sanitaria o attraverso quelli dell’assistenza generale.
Il secondo principio, enunciato ribadendo la precedente giurisprudenza costituzionale, è che non è possibile operare un parallelismo tra la pignorabilità delle retribuzioni e quella delle pensioni – neppure a seguito delle modifiche realizzate dal d.l. n. 83 del 2015, che hanno assimilato la pignorabilità di stipendi e pensioni nel solo caso di somme accreditate su conto corrente bancario o postale – e resta, quindi, preclusa la possibile estensione del criterio del “minimo vitale” a crediti diversi da quelli pensionistici.
Il terzo principio è, infine, che la disciplina della riscossione coattiva delle imposte sul reddito, siccome condizionata dal peculiare carattere del credito, neppure è idonea a fondare una comparazione con il pignoramento per crediti diversi e, quindi, a fare emergere una violazione del principio di eguaglianza.