Nota redazionale su “Il giudice in maternità obbligatoria ha diritto alla retribuzione ordinaria: Corte di Giustizia UE, sent, 14.7.2016, n. C-335/15”

Estratto da Il quotidianogiuridico.it – IPSOA

Congedo di maternità

Magistratura, il giudice in maternità obbligatoria ha diritto alla retribuzione ordinaria

venerdì 22 luglio 2016

di Bovino Claudio – Avvocato in Milano

È legittima la previsione della normativa italiana secondo la quale, nel periodo di congedo di maternità obbligatorio anteriore al 1° gennaio 2005, una magistrata ordinaria venga esclusa dal beneficio di un’indennità relativa agli oneri professionali dei magistrati ordinari, a condizione che tale lavoratrice abbia beneficiato durante questo periodo di un reddito di importo equivalente a quello della prestazione, un importo cioè che avrebbe percepito in caso di interruzione delle sue attività per motivi di salute, circostanza che spetta al giudice nazionale verificare. L’importante principio è stato affermato con la sentenza Ornano del 14 luglio 2016.

Corte di Giustizia UE, sentenza 14 luglio 2016, n. C-335/15

La questione verte sulle misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestantipuerpere o in periodo di allattamento. La domanda è stata proposta nell’ambito di una controversia tra la sig.ra Ornano, magistrato ordinario, e il Ministero della Giustizia italiano, il quale le ha negato di beneficiare, con riferimento a periodi di congedo di maternità obbligatorio fruiti anteriormente al 1° gennaio 2005, di un’indennità correlata agli oneri professionali dei magistrati ordinari.

Fatto

Il 23 febbraio 2007, la sig.ra Ornano, giudice presso il Tribunale di Cagliari, ha chiesto al Ministero della Giustizia la corresponsione della speciale indennità giudiziaria relativamente a due periodi di congedo di maternità obbligatorio dei quali aveva beneficiato nel corso degli anni 1997/1998 e 2000/2001.

Con provvedimento del 30 marzo 2007, il Ministero della Giustizia ha respinto l’istanza, considerando che i periodi di congedo di maternità erano anteriori alla data di entrata in vigore della versione modificata dell’articolo 3, primo comma, della Legge n. 27/81, ossia il 1° gennaio 2005, e che la modifica di legge non aveva carattere retroattivo.

Il 30 luglio 2007, la sig.ra Ornano ha impugnato il provvedimento proponendo un ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, sostenendo che la versione modificata dell’articolo 3, primo comma, della Legge n. 27/81 si applicava alle fattispecie verificatesi prima della data di entrata in vigore di quest’ultima e per le quali la prescrizione non si era ancora maturata.

Il 9 ottobre 2007, il Ministero della Giustizia ha escluso l’applicazione retroattiva della normativa.

Successivamnete, con nota del 13 aprile 2015, il Ministero della Giustizia ha trasmesso al Consiglio di Stato un’ordinanza della Corte costituzionale, del 14 maggio 2008, che dichiarava manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della versione iniziale dell’art. 3, primo comma, della Legge n. 27/81 nella parte in cui questa escludeva il diritto alla speciale indennità giudiziaria durante un congedo di maternità obbligatorio. Al riguardo, la Corte Costituzionale affermava che la versione modificata dell’articolo 3, primo comma, della Legge n. 27/81 non poteva trovare applicazione a periodi anteriori all’entrata in vigore della stessa.

Il Consiglio di Stato, richiamando la giurisprudenza, afferma che riguardo la retribuzione, la lavoratrice in congedo di maternità, benché non possa pretendere il mantenimento dell’intera retribuzione, deve conservare, oltre allo stipendio di base, il diritto a percepire le integrazioni che si ricollegano al suo status professionale.

Nel caso in questione, la speciale indennità giudiziaria sarebbe stata implicitamente riconosciuta dal legislatore italiano come una “componente non eventuale” della retribuzione dei magistrati ordinari, e comunque del tutto indipendente dal collocamento in congedo obbligatorio, come enuncia la Finanziaria 2005 (legge del 30 dicembre 2004, n. 311), la quale ha appunto esteso tale indennità ai periodi di servizio trascorsi in congedo di maternità obbligatorio.

Alla luce di quanto sopra, il Consiglio di Stato ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

  • – se il diritto dell’Unione debba essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale, ai sensi della quale, nell’ipotesi di un periodo di congedo di maternità obbligatorio anteriore al 1° gennaio 2005, un magistrato ordinario è escluso dal beneficio di un’indennità relativa agli oneri che i magistrati ordinari incontrano nello svolgimento della loro attività professionale.

Direttiva 92/85

L’art. 11, punto 2, lettera b), della direttiva 92/85 prevede che, in caso di congedo di maternità, debba essere garantito alle lavoratrici il mantenimento di una retribuzione e/o il versamento di un’indennità adeguata.

Il punto 3 del medesimo articolo precisa che la prestazione è ritenuta adeguata se assicura redditi almeno equivalenti a quelli che la lavoratrice interessata otterrebbe in caso di interruzione delle sue attività per motivi connessi allo stato di salute, nei limiti di un eventuale massimale stabilito dalle legislazioni nazionali.

Come precisato dalla giurisprudenza, per “retribuzione” si intendono i vantaggi che il datore di lavoro paga direttamente o indirettamente, durante il congedo di maternità, in ragione dell’impiego della lavoratrice. L’indennità, invece, è qualsiasi reddito la lavoratrice percepisca durante il congedo di maternità e non le sia versato dal datore di lavoro in forza del rapporto di lavoro.

La giurisprudenza precisa, anche, che le lavoratrici non possono evocare il beneficio di cui all’art. 11 della direttiva 92/85 per rivendicare il mantenimento della loro “retribuzione integrale”, durante il congedo di maternità, come se fossero effettivamente presenti sul posto di lavoro, al pari degli altri lavoratori. La direttiva vuole garantire alla lavoratrice di fruire, durante il congedo di maternità, di un reddito di importo perlomeno equivalente a quello della prestazione prevista dalle normative previdenziali nazionali in caso di interruzione dell’attività lavorativa per motivi di salute.

Decisione della Corte Ue

Con la sentenza del 14 luglio 2016, la Corte Ue afferma che la normativa nazionale può prevedere che nel periodo di congedo di maternità obbligatorio anteriore al 1° gennaio 2005, una magistrata ordinaria è esclusa dal beneficio di un’indennità relativa agli oneri che i magistrati ordinari incontrano nello svolgimento della loro attività professionale, a condizione che tale lavoratrice abbia beneficiato durante detto periodo di un reddito di importo equivalente a quello della prestazione, che avrebbe percepito in caso di interruzione delle sue attività per motivi di salute, circostanza che spetta al giudice nazionale verificare.

La Corte Ue, richiamando una costante giurisprudenza, afferma che il principio della parità delle retribuzioni tra lavoratori di sesso maschile e lavoratori di sesso femminile, sancito dall’art. 119 del Trattato CE (divenuto art. 141 CE) e precisato dalla direttiva 75/117, non impone l’obbligo di mantenere la retribuzione integrale delle lavoratrici durante il loro congedo di maternità né stabilisce criteri specifici per determinare l’importo delle indennità che vengono loro corrisposte durante detto periodo, sempre che tale importo non sia stabilito a un livello che comprometta la finalità del congedo di maternità.

Se il calcolo delle indennità si fonda sullo stipendio riscosso dalla lavoratrice prima dell’inizio del congedo di maternità, il loro importo dovrà comprendere, dal momento della loro entrata in vigore, gli aumenti di stipendio decisi tra l’inizio del periodo retribuito con gli stipendi di riferimento e la fine del congedo di maternità .

Secondo la Corte Ue, il mero fatto che un magistrato ordinario non benefici della speciale indennità giudiziaria durante un periodo di congedo di maternità obbligatorio, a differenza dei colleghi di sesso maschile in attività, non costituisce una discriminazione basata sul sesso, ai sensi dell’articolo 119 del Trattato CE.

Se la lavoratrice ha beneficiato di un reddito di importo perlomeno equivalente a quello della prestazione, prevista dalla normativa previdenziale italiana, che avrebbe percepito in caso di interruzione delle sue attività per motivi di salute, ai sensi dell’art. 11, punti 2, lettera b), e 3, della direttiva 92/85, circostanza che spetta al giudice nazionale verificare, non si può ritenere compromessa la finalità del congedo di maternità.

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