Nota riscatto anni universitari

di Andrea Penta

In primo luogo, si pone il problema delle modalità di presentazione della domanda di riscatto degli anni universitari. Va indirizzata all’INPS ed al Ministero della Giustizia: a) on line (sul sito dell’INPS, sezione ex dipendenti INPDAP) utilizzando  il PIN dispositivo (la richiesta di quest’ultimo va inoltrata telematicamente all’INPS – sezione dipendenti ex INPDAP – il quale, dopo il riempimento dell’apposita schermata, invia all’indirizzo di posta elettronica o sul cellulare le prime 8 cifre del PIN provvisorio ed alla residenza del richiedente le altre 8 cifre; al momento del primo utilizzo, poi, a seguito dell’accesso, occorre inserire un nuovo PIN – definitivo – composto da 8 cifre); b) recandosi di persona (o anche delegando un terzo con l’apposito modulo precompilato, la fotocopia di un documento di riconoscimento e la delega) alla sede INPS del luogo in cui si presta il servizio (anche se l’INPS del luogo di residenza ugualmente l’accetta); c) tramite un Patronato. Le segreterie dei dirigenti dei vari uffici tendono, invece, a non assumere l’incarico di accettare la domanda ed inoltrarla all’INPS.

Ovviamente, il riscatto degli atti del corso universitario può essere effettuato, oltre che ai fini pensionistici, ai fini del TFR.

Il periodo di corso legale in seguito al quale è stato conseguito il diploma deve risultare da dichiarazione rilasciata dall’Università competente (cd. certificato di laurea).

Per chi intendesse riscattare l’anno del militare, fermo restando che a tal fine non sarebbero utili i casi di congedo (si pensi agli esuberi di leva o alla provenienza da zone terremotate ovvero all’essere figli minori in una famiglia estesa), occorre allegare alla domanda da presentare all’INPS il fogliodell’estratto matricolare rilasciato dal distretto militare di competenza.

Poiché in base alla circolare n. 42/2009 dell’INPS, il venir meno del cd. massimale contributivo decorrerebbe dal mese successivo a quello della presentazione della domanda di riscatto, quest’ultima dovrebbe contenere altresì una diffida alla restituzione dei prelievi (recte, delle trattenute contributive) operati, a quel punto indebitamente (in quanto non confluenti nel trattamento pensionistico), oltre il cd. tetto contributivo (vale a dire, una volta superato il limite dei 103.000 euro circa di retribuzione lorda). Anche se, in senso contrario, va rilevato che la lettera Circolare dell’INPS n. 42 del 17 marzo 2009 (nel richiamare, sotto tale precipuo profilo, la Lettera Circolare n. 177 del 07 settembre 1996) prevede che “Nel momento in cui il livello retributivo dei predetti lavoratori (ndr: lavoratori privi di anzianità contributiva che si iscrivono a far data dal 01.01.1996 a forme pensionistiche obbligatorie) si attesti al di sopra del massimale contributivo annuo, i datori di lavoro devono acquisire da parte degli stessi una dichiarazione attestante l’esistenza o meno di  periodi utili o utilizzabili ai fini dell’anzianità contributiva”. Non avendo finora il Ministero inoltrato una comunicazione di tal fatta, si potrebbe sostenere che i magistrati non siano stati posti nelle condizioni di  valutare se riscattare o meno l’anno universitario o quello militare. Ai fini di una eventuale restituzione dell’indebito, occorrerebbe considerare la prescrizione quinquennale del credito, qualora la relativa eccezione venisse ex adverso sollevata.

Occorre, comunque, prestare la dovuta attenzione e porre in essere tutte le necessarie cautele all’atto della richiesta di riscatto (a mero titolo d’esempio, indicando espressamente che la stessa viene appunto presentata al fine dell’esclusione dell’applicazione della normativa sul cd. “massimale contributivo”, e ciò specie laddove si intenda richiedere il riscatto solo parziale del corso di studi universitario, ovvero specificando che si tratta appunto di riscatto solo parziale effettuato ai detti fini), attivandosi in ogni caso tempestivamente al fine di adempiere agli oneri di segnalazione e comunicazione nei confronti del datore di lavoro che la normativa in questione (anche in senso lato secondaria ed ivi compresa la stessa Lettera Circolare dell’INPS n. 42 del 17 marzo 2009) pone a carico del lavoratore (sotto il particolare profilo della sussistenza in capo a se medesimo di un’eventuale anzianità contributiva pregressa al 01.01.1996 e della connessa eventuale applicabilità o meno nei propri confronti del cd. “massimale contributivo”).

In quest’ottica, successivamente alla presentazione della domanda di riscatto, deve essere depositata presso le segreterie degli uffici di competenza e da queste inoltrate al Ministero di Giustizia (o, per i soli consiglieri di cassazione, inviato all’indirizzo di posta elettronica dgmagistrati@giustiziacert.it) la relativa autocertificazione (dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà), unitamente alla fotocopia di un documento di riconoscimento. In particolare, il lavoratore è tenuto a dare tempestiva comunicazione al proprio datore di lavoro dell’avvenuta presentazione della domanda di riscatto o accredito figurativo alla sede Inps territorialmente competente fornendo copia della ricevuta attestante la presentazione della relativa domanda.

Per quanto concerne i costi, premesso che, secondo la circolare INPDAP prot. 2359/2008 (cfr., altresì, gli artt. 8, 113 e 115 del dPR n. 1092/1973 e la nota INPDAP n. 24/2009), le anzianità pregresse derivanti dal servizio militare, per i magistrati, sono accreditate in modo automatico (anche se si tende a sostenere che occorra, comunque, un’apposita domanda di riscatto) e gratuito, il riscatto di un anno di corso universitario costa circa 40-45.000,00 euro lordi, sia pure rateizzabili in un arco temporale di 10 anni (e, dunque, con una spesa annuale di circa 4.250,00 euro) senza l’applicazione di interessi.

In una valutazione complessivo dei vantaggi-svantaggi di una tale scelta, occorre, tuttavia, tener presente che:

1)      l’indubbio vantaggio connesso all’esclusione del massimale contributivo (tramite il riscatto dell’anno universitario o del servizio militare) è pari a circa 1.800,00 euro mensili sul piano pensionistico (atteso che, con il massimale, la pensione ammonterebbe a circa 2.000-2.300 euro, laddove, senza, oscillerebbe tra i 3.800 ed i 4.000 euro);

2)      nel caso di venir meno del tetto contributivo, il magistrato subirebbe una perdita annuale sulla retribuzione di circa 2.500 euro netti (e, quindi, di circa 200 euro al mese), come conseguenza immediata e diretta del maggior prelievo contributivo dovuto all’inapplicabilità del cd. “massimale contributivo” a seguito del riscatto;

3)      il riscatto degli anni universitari è deducibile, ai fini IRPEF, dal reddito nella misura annuale di circa 700,00 euro;

4)      l’esclusione del massimale precluderebbe la possibilità di avvalersi della pensione anticipata, dovendosi, per l’effetto, attendere a tal fine la contribuzione per 42 anni (quanto agli uomini; sul punto, comunque, si rinvia a pagg. 28-29 del parere a firma dell’avv. Rossi).

In definitiva, presumendosi il caso tipo di un magistrato che vada in pensione all’età di 70 anni con 40 anni di servizio ed ipotizzandosi una vita media di 85 anni, a fronte di costi e perdite, nell’immediatezza (o, comunque, nei prossimi 10 anni) per circa 105.000,00 (42.500,00 + 62.500,00 – questi ultimi rapportati ad una carriera ancora di 25 anni), vi sarebbero maggiori entrate, sotto forma di pensione, per complessivi euro 324.000,00 circa (ciò senza considerare le imposte deducibili).

In una prospettiva a breve, diventa, però, importante valutare se sia sufficiente, al fine di evitare il massimale contributivo, riscattare anche solo un mese di corso universitario (con inevitabile riduzione dei relativi costi).

Orbene, nel caso di riscatto, l’acquisizione da parte dell’interessato della qualità di “vecchio iscritto” alle gestioni pensionistiche obbligatorie è subordinata, comunque, all’assolvimento del relativo onere economico (pagamento di almeno una rata). Conseguentemente, nei casi di mancato assolvimento del predetto onere, il lavoratore torna ad essere considerato “nuovo iscritto” e, quindi, è soggetto, ai fini del calcolo della contribuzione pensionistica, all’applicazione del massimale contributivo. Da ciò si potrebbe desumere che sia sufficiente il versamento di una sola rata per escludere il massimale.

Il legislatore, nel prevedere la possibilità del riscatto soltanto parziale della durata legale del corso di studi (cfr., in particolare, l’art. 2, comma 2, del D.Lgs. n. 184/1997), non sembra prestabilire una durata minima del periodo oggetto del riscatto medesimo, né constano disposizioni normative secondarie (anche in senso lato) di segno contrario.

Il riscatto può, quindi, indubbiamente riguardare tutto il periodo o singoli periodi del corso di studi. Il problema ulteriore è, però, ripetesi, stabilire se, trattandosi del riscatto di un dato corso di studi o di una sua parte, sia possibile individuare una correlazione tra anno solare e sue frazioni, da un lato, ed anno scolastico ovvero anno accademico e sue frazioni, dall’altro lato, ciò che evidentemente potrebbe influire sulla possibilità di riscattare, ai fini qui in esame ed appunto nell’ambito di una domanda di riscatto parziale, anche un solo mese del corso di studi medesimo, piuttosto che un intero anno dello stesso.

Indubbiamente, l’equiparazione con il servizio militare (per il quale è richiesto il riscatto, figurativo e gratuito, dell’intero anno) dovrebbe indurre a sostenere che anche per il corso universitario sia necessario riscattare almeno un anno. Senza tralasciare che potrebbemedio temporeintervenire una circolare interpretativa dell’INPS nel senso di intendere il “parziale” come (almeno) “annuale”.

In ogni caso, i pagamenti effettuati per importi parziali ovvero l’interruzione del pagamento rateale del cd. “onere di riscatto” dovrebbero comportare l’accredito di un periodo assicurativo corrispondente, in proporzione, all’importo del capitale così versato (ed anche ciò potrebbe rilevare sotto il profilo di un eventuale riscatto parziale del corso di studi universitario, sempre ovviamente nei limiti e nei termini tutti già evidenziati e di cui sopra).

Infine, va tenuto presente che non è possibile chiedere la rinuncia o la revoca della contribuzione da riscatto della laurea eventualmente già legittimamente accreditata a seguito del pagamento del relativo onere (dunque, come già accennato, solo il pagamento del cd. “onere” sembrerebbe precludere la rinuncia alla domanda di riscatto medesima).

Da ultimo, si rende all’evidenza indispensabile la costituzione di fondi di previdenza integrativa o complementare, non necessariamente di categoria.

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