Nota su 19787/2015: CSM, magistrati e Giudice amministrativo: l’equilibrio dei poteri, dei diritti e delle giurisdizioni in uno storico arresto delle Sezioni unite della Cassazione

di Maria Casola

La recente sentenza delle Sezioni unite della Cassazione, n. 19787 del  5 ottobre 2015, merita una particolare attenzione non solo per lo specifico principio di diritto formulato,  ma soprattutto, e più in generale, per il raggiungimento di un nuovo, più maturo punto di equilibrio tra valori opposti: tradizione ed innovazione, diritto comune e diritto speciale, poteri pubblici e diritti privati, controllo ed autonomia.

La continua tensione dinamica tra questi poli opposti risente della necessaria storicizzazione delle categorie giuridiche di riferimento e le Sezioni unite della Cassazione si dimostrano interpreti avvedute e lungimiranti del sistema di check and balance, del quale esse stesse sono,  con piena consapevolezza, un perno essenziale.

Il caso concreto

Il contenzioso a base della sentenza riguarda il conferimento dell’ufficio direttivo di Procuratore Aggiunto presso la Cassazione.

L’originaria delibera di conferimento dell’incarico al dott. Vittoria è stata annullata in grado d’appello per difetto della motivazione. Il C.S.M., esaminati nuovamente i due candidati in concorso, ha conferito nuovamente l’incarico al medesimo magistrato, in particolare osservando, quanto al puntum dolens attinente all’esperienza “fuori dalla giurisdizione”  del dottor Vittoria, che l’attività di avvocato dello Stato, se non del tutto assimilabile a quella giurisdizionale, era equiparabile a quella svolta in una “magistratura speciale”, tanto da essere riconosciuta ai fini della riammissione nell’ordine giudiziario; il medesimo magistrato – osservava ancora il C.S.M. – aveva comunque esercitato le funzioni di legittimità da maggior tempo rispetto al dottor Cosentino.

Con sentenza n. 5903 del 2012, il ricorso per l’ottemperanza proposto dal soccombente è stato respinto dal Consiglio di Stato, mentre il concorrente giudizio ordinario per vizi di legittimità perveniva, in grado di appello, ad esito vittorioso per il dottor Cosentino (sentenza n. 3501 del 10 luglio 2014). In particolare, secondo il Consiglio di Stato, l’Avvocatura dello Stato non può rientrare nella nozione di “magistrature speciali” di cui all’art. 211, comma 2, r.d. n. 12 del 1941 e dunque una minore durata di 18 anni nell’esercizio dell’attività giurisdizionale del dott. Vittoria non poteva essere compensata dalla maggiore durata dell’esercizio delle funzioni di legittimità.

Le doglianze del C.S.M. dinanzi alle Sezioni Unite

Avverso la sentenza pronunciata dal Consiglio di Stato ha proposto ricorso alle Sezioni unite della cassazione il Consiglio Superiore della Magistratura, per motivi inerenti alla giurisdizione.

L’Organo di governo autonomo della magistratura ha lamentato l’eccesso di potere giurisdizionale, ponendo due temi essenziali.

Con la prima questione, si è chiesto di verificare se poteva, o no, il Consiglio di Stato, in sede di cognizione di legittimità, ordinare al C.S.M. di attribuire, ora per allora, l’incarico giudiziario ad uno dei due aspiranti, anche se, nelle more del giudizio, entrambi erano ormai in quiescenza.

La seconda questione posta si è focalizzata nel quesito se il Consiglio di Stato, nell’esercizio della giurisdizione di legittimità, abbia travalicato i limiti esterni della giurisdizione e abbia sconfinato nell’area della discrezionalità del C.S.M. col fatto, in particolare, di aver operatoex sela comparazione dei magistrati aspiranti al posto, intervenendo direttamente nella valutazione del periodo di attività svolta presso l’Avvocatura di Stato.

Entrambe le questioni poste ruotano quindi attorno alla nozione di eccesso di potere giurisdizionale ed all’individuazione dei limiti esterni della giurisdizione del giudice amministrativo.

La risposta delle Sezioni Unite: 1. gli incarichi giudiziari dei magistrati pensionati

Quanto alla prima questione posta, la Suprema Corte ha statuito che, in caso di attribuzione di un incarico giudiziario, non travalica i limiti esterni della giurisdizione il Consiglio di Stato che si pronunci in grado di appello, pur quando il magistrato ricorrente sia stato collocato in quiescenza, anche se tale circostanza impedisce al giudice dell’ottemperanza di ordinare l’assegnazione del posto ora per allora al magistrato vittorioso.

In altri termini, se nel giudizio di ottemperanza è impedito al giudice amministrativo di ordinare al CSM di assegnare l’incarico ad un magistrato pensionato, non altrettanto è a dirsi per il giudizio di legittimità, che deve svolgersi normalmente anche verso magistrati in quiescenza.

Lasciare, dunque, fossilizzare una situazione giuridica non compiutamente scandagliata in sede processuale a causa del sopravvenire di una situazione d’impossibilità di attribuzione dell’incarico, contrasterebbe, secondo la sentenza, con la garanzia della tutela giurisdizionale ex art. 24 cost.

Questa impostazione va positivamente valutata, in quanto tende alla massima salvaguardia del diritto alla tutela giurisdizionale del singolo magistrato, garantendo la verifica di legittimità del provvedimento amministrativo, in quanto tale, anche se priva di possibili utili ricadute applicative rispetto all’ufficio giudiziario, ma solo ai fini dell’eventuale risarcimento per perdita di chance.

In senso critico, non può però sfuggire che, se è evidentemente un precipuo interesse del C.S.M. il riscontro di legittimità del suo proprio agire, non necessariamente ciò comporta un miglior soddisfacimento del canone del buon andamento dell’amministrazione consiliare e della giustizia.

Infatti, la necessità di procedere alla riedizione del potere ed alle successive verifiche e determinazioni pur quando l’incarico giudiziario non può più ab imis essere conferito al vincitore, perché pensionato (Cass. SU n. 23302/2011), crea un aggravamento amministrativo consistente di limitata utilità per l’ordine giudiziario. Senza contare gli effetti indiretti di possibile accanimento delle parti nella protrazione e moltiplicazione del contenzioso giudiziario.

2. Il nucleo insindacabile delle delibere consiliari

Quanto al secondo tema introdotto dal ricorso del CSM, inerente l’ampiezza del controllo giurisdizionale, la sentenza ribadisce il criterio discretivo tra “illogicità”vs. “non condivisibilità” della valutazione.

In altri termini, ad avviso delle Sezioni unite, il Giudice amministrativo potrebbe al più vagliare l’intrinseca tenuta logica della motivazione dell’atto impugnato, ma non la scelta operata dall’Amministrazione tra diverse opzioni possibili.

Peraltro, secondo l’arresto, il nucleo insindacabile sarebbe “particolarmente ampio” per due concorrenti aspetti che costituiscono il ius singulare: il primo di natura soggettiva, inerente la “discrezionalità del C.S.M., quale organo di rilievo costituzionale”; il secondo, di matrice oggettiva, riguardante la specificità della disciplina in tema di incarichi dirigenziali giudiziari, “espressione di alta amministrazione di rilievo costituzionale (art. 105 Cost.)”, come peraltro confermato dall’art. 2, comma 4, d.l. n. 114/2014.

Quando, dunque, il Giudice amministrativo eccede rispetto al sindacato esterno o parametrico ed entra a verificare la condivisibilità della scelta consiliare, esso supera i limiti esterni della giurisdizione.

Tale ultimo eccesso di potere, ad avviso della Cassazione, è stato consumato nel caso di specie, allorchè il Consiglio di Stato ha ritenuto di sostituirsi al C.S.M. in una “tipica valutazione di merito”, cioè quella di assimilabilità o meno dell’attività di avvocato dello Stato a quella di magistrato, ai soli fini dell’attitudine all’incarico giudiziario controverso.

Spetta, dunque, solo al Consiglio apprezzare quanto un’esperienza non giudiziaria prestata, in uno a tutti gli altri elementi curriculari, possa “valere” ai fini dell’ottenimento di un certo incarico giudiziario, in comparazione con altro magistrato, col limite della sola completezza e correttezza del percorso motivazionale di supporto.

Importanza dell’arresto

La sentenza qui commentata costituisce un importante momento di assestamento e razionalizzazione di una tematica cruciale, il conferimento degli incarichi giudiziari, un punto di snodo nel quale si vedono riflesse importanti esigenze ordinamentali, talvolta in tensione dinamica tra loro, se non addirittura in aperto contrasto.

Infatti, schematizzando al massimo, nelle procedure di attribuzione di questi incarichi dirigenziali, si confrontano l’interesse privato del singolo aspirante all’ottenimento dell’incarico e l’interesse pubblico del Consiglio e dell’amministrazione della giustizia all’individuazione del miglior candidato, secondo la normativa primaria e secondaria di riferimento.

Ora, il punto critico sta in ciò che le norme regolative della materia, per quanto puntigliose e rigide, non arrivano mai a preconfezionare un risultato univoco che consegua meccanicamente alla loro applicazione.

Né forse potrebbero farlo.

Invero, la stessa Corte Costituzionale, pur in coordinate di ragionamento più ampie, ha tenuto a precisare che la riserva di legge in materia di Ordinamento giudiziario non implica mai che “i criteri debbano essere predeterminati dal legislatore in termini così analitici e dettagliati da rendere strettamente esecutive e vincolate le scelte relative alle persone cui affidare la direzione degli stessi uffici, annullando di conseguenza ogni margine di apprezzamento e di valutazione discrezionale, assoluta o comparativa, dei requisiti dei diversi candidati” (Corte Costituzionale n. 72/1991).

La tenuta del sistema del governo autonomo, e dunque il presidio ultimo dell’autonomia ed indipendenza della magistratura, sta tutta in quel nocciolo duro, mai azzerabile del tutto, che sta al cuore delle scelte: la discrezionalità dell’Adunanza Plenaria del Consiglio.

La funzione integrativa e chiarificatrice che la delibera consiliare può e quasi deve avere, rispetto al precetto contenuto nella Circolare e nella legge, è in questo senso un perno essenziale di garanzia delle prerogative proprie dell’Organo di autogoverno. Infatti, la salvaguardia delle attribuzioni proprie del Consiglio rimane assicurata anche e proprio dalla prerogativa benefica, ad essa assegnata dall’Ordinamento, di godere sempre di un margine di scelta dei modi di concretizzazione del parametro generale predeterminato dalla legge o dalla normazione secondaria.

Il fondamento della discrezionalità consiliare sta, d’altra parte, proprio in ciò: che i valori di fondo dell’indipendenza e dell’autonomia della magistratura, nel sistema vigente, non sono assicurabili meccanicamente e rigidamente dalla legge o dalla Circolare, ma abbisognano sempre della mediazione valutativa consiliare. Gli stessi valori costituzionali dell’imparzialità e del buon andamento degli uffici giudiziari  trovano la loro primaria ed indefettibile espressione nella possibilità di scelta: nucleo della discrezionalità.

La sentenza delle Sezioni unite dovrebbe quindi valere ad evitare i casi di sovrapposizione netta della valutazione eteronoma del giudice amministrativo sulle competenze consiliari, scongiurando un eventuale spostamento ope iudicis dell’asse della politica giudiziaria, verso modelli dirigenziali non più propri dell’Organo di governo autonomo ma di altri o, addirittura, nella direzione di tutela di interessi non tipici rispetto alla causa nominata ed esclusiva del provvedimento amministrativo.

Questa chiara presa di posizione del Supremo consesso si coniuga con l’affermazione, altrettanto nitida, del pieno diritto del singolo magistrato all’effettività della tutela giurisdizionale, ai fini dell’accertamento della legittimità dell’azione consiliare, al di là del risultato concreto dell’ottenimento effettivo dell’incarico.

La materia del contendere, in questo tipo di controversia, cessa dunque solo quando sia raggiunta certezza giuridica sul corretto vincitore della gara, pur se questo potrà giovarsi alla fine solo di una tutela risarcitoria per perdita di chance. Si è già detto sopra, dei possibili corollari negativi che tuttavia possono derivare da un tal tipo di impostazione rispetto al buon andamento dell’amministrazione (consiliare e della giustizia).

In questo momento storico, ad ogni buon conto, avere ristabilito un giusto dosaggio della miscela tra autonomia e controllo vale anche a rinsaldare il buon convincimento che il giudice amministrativo, per il CSM, per i singoli magistrati e per l’ordine giudiziario, è, o meglio può essere,  una garanzia e non certo una minaccia.

Il Consiglio Superiore della magistratura, dal suo canto, con il recente varo del nuovo T.U. sulla dirigenza giudiziaria ha inteso definire in maniera più nitida i criteri di valutazione, le esperienze da valorizzare, i percorsi professionali, così da rendere anche più prevedibile e certa, e soprattutto verificabile, la valutazione comparativa tra gli aspiranti.

Dipenderà ora dalla giurisprudenza amministrativa dimostrare se il sistema, grazie anche all’intervento nomofilattico delle Sezioni unite, è in grado di funzionare fisiologicamente da solo, sulla base del diritto vivente. Il prossimo futuro ci dirà, insomma, se i poteri, i plessi giurisdizionali, il pubblico ed il privato  riusciranno da soli ad armonizzarsi, a collaborare lealmente, trovando dal proprio interno un giusto bilanciamento, che valga ad inverare, col suo tipico dinamismo storico, il sapiente disegno costituzionale.

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