Sezione civile

a cura di Andrea Penta

SEZIONI UNITE

Nel procedimento disciplinare riguardante i magistrati sono pienamente utilizzabili le intercettazioni telefoniche o ambientali effettuate in un procedimento penale, purché siano state legittimamente disposte nel rispetto delle norme costituzionali e procedimentali, non ostandovi i limiti di cui all’art. 270 c.p.p., riferibile al solo procedimento penale deputato all’accertamento delle responsabilità penali.

Con riferimento in particolare alle norme applicabili “ratione temporis”, l’art. 6 del d.lgs. n. 216 del 2017 – che ha parzialmente esteso ai procedimenti per i delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione puniti con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni la disciplina delle intercettazioni prevista per i delitti di criminalità organizzata dall’art. 13 del d.l n. 152 del 1991, convertito con modif. in l. n. 203 del 1991 ed integrato con d.l. n. 306 del 1992, conv. con modif. in l. n. 356 del 1992 – è entrato in vigore il 26/1/2018, non essendo tale disposizione indicata tra quelle per le quali l’art. 9 del medesimo decreto legislativo ha disposto il differimento della loro entrata in vigore; la successiva modifica di tale norma, introdotta dall’art. 1, comma 3, della l. n. 3 del 2019 – la quale, abrogando il comma 2 dell’art. 6 del d.lgs. n. 216 cit. ha eliminato la restrizione dell’uso del captatore informatico nei luoghi indicati dall’art. 614 c.p., così consentendo l’intercettazione in tali luoghi anche se non vi è motivo di ritenere che vi si stia svolgendo attività criminosa – è a sua volta entrata in vigore, a differenza di altre disposizioni della medesima legge per le quali il legislatore ha differito l’entrata in vigore all’1/1/2020, il decimoquinto giorno dalla pubblicazione della legge sulla G.U., avvenuta il 16 gennaio 2019. Pertanto, possono essere utilizzate nel procedimento disciplinare le intercettazioni effettuate con captatore informatico nella vigenza di tali norme ed in conformità della disciplina dalle stesse introdotta (Sez. Un. civ., sentenza n. 741 del 15 gennaio 2020, Pres. P. Curzio, Rel. M. G. Sambito).

La medesima pronuncia ha affermato che, in tema di composizione della Sezione disciplinare del CSM, nell’ipotesi in cui, per effetto di astensioni e dimissioni di consiglieri appartenenti alla categoria dei magistrati requirenti, il collegio non possa essere integrato da un supplente avente pari funzioni  e sia necessario procedere a nuove elezioni con i relativi tempi tecnici ed il conseguente blocco dell’attività disciplinare cui il Consiglio è tenuto ex art. 105 Cost., deve darsi un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 6 della l.  n. 195 del 1958, intendendo estensivamente il concetto di “supplente corrispondente”, in modo da salvaguardare l’indefettibilità e la continuità della funzione disciplinare attribuita dalla Costituzione direttamente al Consiglio superiore. Ne consegue che, in tale situazione, legittimamente il CSM può procedere, come avvenuto nella specie, alla sostituzione di un componente requirente che sia stato ricusato con un componente giudicante, atteso che l’unico limite va ravvisato nel fatto che la sostituzione non può avvenire con un componente laico se il ricusato è un togato, o viceversa, perché la Costituzione impone una determinata proporzione tra laici e togati e tale equilibrio non può essere alterato.

Decidendo su questione di massima di particolare importanza, hanno enunciato i seguenti principi di diritto: “In tema di notificazioni di atti processuali, posto che nel quadro giuridico novellato dalla direttiva n. 2008/6/CE del Parlamento e del Consiglio del 20 febbraio 2008 è prevista la possibilità per tutti gli operatori postali di notificare atti giudiziari, a meno che lo Stato non evidenzi e dimostri la giustificazione oggettiva ostativa, è nulla e non inesistente la notificazione di atto giudiziario eseguita dall’operatore di posta privata senza relativo titolo abilitativo nel periodo intercorrente fra l’entrata in vigore della suddetta direttiva ed il regime introdotto dalla legge n. 124 del 2017.

La sanatoria della nullità della notificazione di atto giudiziario eseguita dall’operatore di poste private per raggiungimento dello scopo dovuto alla costituzione della controparte non rileva ai fini della tempestività del ricorso, a fronte della mancanza di certezza legale della data di consegna del ricorso medesimo all’operatore, dovuta all’assenza di poteri certificativi dell’operatore, perché sprovvisto di titolo abilitativo” (Sez. Un. civ., sentenza n. 299 del 10 gennaio 2020, Pres. G. Mammone, Rel. A.M. Perrino).

Decidendo su questione di massima di particolare importanza, in tema di rapporto di lavoro giornalistico, hanno affermato che l’attività svolta dal collaboratore fisso espletata con continuità, vincolo di dipendenza e responsabilità di un servizio rientra nel concetto di “professione giornalistica”. Ai fini della legittimità del suo esercizio è condizione necessaria e sufficiente la iscrizione del collaboratore fisso nell’albo dei giornalisti, sia esso elenco dei pubblicisti o dei giornalisti professionisti: conseguentemente, non è affetto da nullità per violazione della norma imperativa contenuta nell’art. 45 della l. n. 69 del 1963  il contratto di lavoro subordinato del collaboratore fisso iscritto nell’elenco dei pubblicisti, anche nel caso in cui svolga l’attività giornalistica in modo esclusivo (Sez. Un. civ., sentenza n. 1867 del 28 gennaio 2020, Pres. G. Mammone, Rel. A Doronzo).

SEZIONE I

In tema di giudizio di opposizione alla stima per la determinazione dell’indennità di espropriazione, ha affermato che la locuzione «se del caso», di cui all’art. 54, comma 3, del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità. (Testo A)» (vigente prima della modifica introdotta dal d.lgs. 1 settembre 2011, n. 150), dev’essere interpretata nel senso che essa impone l’evocazione in giudizio anche del beneficiario dell’espropriazione, quale litisconsorte necessario, ove quest’ultimo sia soggetto diverso dall’espropriante e dal promotore, non essendo consentito rimettere alla valutazione dell’espropriato, secondo il suo interesse, la citazione in giudizio del beneficiario, in contrasto con la finalità deflattiva del contenzioso ispiratrice della nuova normativa (Prima Sezione civile, ordinanza n. 1090 del 20 gennaio 2020, Pres. P. Campanile, est. C. Parise).  

Decidendo sulla domanda di revisione dell’assegno divorzile determinato anteriormente all’evoluzione giurisprudenziale recata da Sez. 1, 10 maggio 2017, n. 11504, e Sez. U, 11 luglio 2018, n. 18287, in ordine alla sua natura e funzione, ha affermato che tale mutamento dell’orientamento della S.C. non integra, ex se, i giustificati motivi sopravvenuti richiesti dall’art. 9, comma 1, della legge 1 dicembre 1970, n. 898 per la revisione dell’assegno, atteso che – in forza della formazione rebus sic stantibus del giudicato sulle statuizioni cd. determinative e del carattere meramente ricognitivo dell’esistenza e del contenuto della regulaiuris proprio della funzione nomofilattica, che non soggiace al principio di irretroattività–il mutamento sopravvenuto delle condizioni patrimoniali degli ex coniugiattiene agli elementi di fatto e deve essere accertato dal giudice ai fini del giudizio di revisione, da rendersi, poi, al lume del diritto vivente (Prima Sezione civile, sentenza n. 1119 del20gennaio 2020, Pres.M.C. Giancola, est. M.G.C. Sambito).

Ha enunciato i seguenti principi di diritto: a) «Nel caso di mora del socio nell’esecuzione dei versamenti, dovuti alla società a titolo di conferimento per il debito da sottoscrizione dell’aumento del capitale sociale deliberato dall’assemblea nel corso della vita della società, il socio non può essere escluso, essendo egli titolare della partecipazione sociale sin dalla costituzione della società; pertanto, ferma la permanenza del socio in società per la quota già posseduta, l’assemblea deve deliberare la riduzione del capitale sociale solo per la misura corrispondente al debito di sottoscrizione derivante dall’aumento non onorato, fatto salvo solo il caso in cui lo statuto preveda l’indivisibilità della quota»; b) «Il socio moroso di s.r.l. non è ammesso, secondo il disposto dell’art. 2466 c.c., ad esprimere il proprio voto nelle decisioni e deliberazioni assembleari, ma non perde anche il diritto di controllo sugli affari sociali, ai sensi dell’art. 2476, comma 2, c.c., sino a che egli resti parte della compagine societaria in esito al procedimento intrapreso dagli amministratori» (Prima Sezione civile, sentenza n. 1185 del 21 gennaio 2020, Pres. G. Bisogni, est. L. Nazzicone).

SEZIONE II

Ha trasmesso gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite delle questioni di massima, di particolare importanza, concernenti (a) l’individuazione dell’ordinamento cui fare riferimento per qualificare istituti e materie in ambito successorio, ai fini dell’operatività degli artt. 13, comma 1, 15 e 46 della l. n. 218 del 1995, (b) l’applicabilità o meno del rinvio ex art. 13, comma 1, l. n. 218 cit., allorché la legge straniera richiamata sia in contrasto con il principio di unitarietà della successione fissato dal successivo art. 46 della medesima legge, (c) i limiti di operatività della legge straniera richiamata, ove la stessa contempli il cd. principio della scissione, nonché i suoi riflessi sulla validità del titolo successorio e, infine, (d) le conseguenze – sulla regolamentazione del fenomeno successorio – del rinvio alla “lex rei sitae” contenuto nella norma straniera richiamata (Sezione Seconda civile, ord. inter. 3.1.2020, n. 18, Pres. P. D’Ascola, Rel. M. Criscuolo).

Ha trasmesso gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite della questione, oggetto di contrasto, concernente la natura, i limiti e l’opponibilità del diritto d’uso esclusivo sui beni comuni (Sezione Seconda civile, ord. 2.12.2019, n. 31420, Pres. L.G. Lombardo, Rel. A. Scarpa).

Ha affermato che, nel processo civile, l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato è esclusa se il richiedente è assistito da più di un difensore; del pari, ove tale ammissione sia stata già concessa, i suoi effetti cessano dal momento in cui il beneficiario nomina un secondo difensore di fiducia (Sezione Seconda civile, sentenza 27.1.2020, n. 1736, Pres. L.G. Lombardo, Rel. C. Besso Marcheis).

Ha rimesso al Primo Presidente, per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite ai sensi dell’art. 374, comma 2, c.p.c., la questione di massima di particolare importanza relativa alla natura del rapporto di lavoro  del direttore generale di una ASL ed al suo assoggettamento alla disciplina prevista per i dipendenti pubblici, con particolare riferimento ai limiti di applicabilità della normativa sulle incompatibilità di cui all’art. 53 del d.lgs. n. 165 del 2001, ponendo la conseguente questione se la violazione del carattere di esclusività del rapporto  previsto dall’art. 3 bis, comma 8, del d.lgs. n. 502 del 1992, possa costituire, non solo, motivo di risoluzione del contratto con la Regione, ma determinare anche l’irrogazione di una sanzione pecuniaria non prevista dall’ordinamento. (Sezione 2, Ord. interlocutoria, n. 24083/2019, Pres. L. Orilia, Est. M. Falaschi).

Ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione della causa alle Sezioni Unite in ordine alla risoluzione della questione di massima, di particolare importanza, concernente la compatibilità o meno tra l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato e la richiesta del difensore di distrazione, in proprio favore, delle spese legali ex art. 93 c.p.c. (Sezione Seconda civile, ord. int. 29.1.2020, nn. 1988 e 1989, Pres. A. Scalisi, Rel. C. Besso Marcheis).

Ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione della causa alle Sezioni Unite in ordine alla risoluzione della questione di massima, di particolare importanza, relativa alla possibilità o meno di contestare gli esiti della consulenza tecnica d’ufficio, per la prima volta, in comparsa conclusionale, nonché alle conseguenze processuali, anche di carattere intertemporale, discendenti dalla soluzione prescelta (Sezione Seconda civile, ord. int. 29.1.2020, n. 1990, Pres. A. Scalisi, Rel. C. Besso Marcheis).

Ha affermato che, ove i coniugi raggiungano, in sede di negoziazione assistita, un accordo di separazione consensuale ex art. 6 del d.l. n. 132 del 2014, conv. dalla l. n. 162 del 2014, comprensivo del trasferimento di diritti immobiliari, la trascrizione di tale accordo richiede, ai sensi dell’art. 5, comma 3, del medesimo d.l. n. 132, l’autenticazione del relativo verbale da parte di un pubblico ufficiale a ciò autorizzato (Sezione Seconda civile, sentenza 21.1.2020, n. 1202, Pres. S. Petitti, Rel. L. Varrone).

Ha chiarito, in tema di vendita di beni di consumo affetti da vizio di conformità, che, ove la riparazione o la sostituzione risultino, rispettivamente, impossibile ovvero eccessivamente onerosa, va riconosciuto al consumatore, benché non espressamente contemplato dall’art. 130, comma 2, cod. consumo, ed al fine di garantire al medesimo uno standard di tutela più elevato rispetto a quello realizzato dalla Direttiva n. 44 del 1999, il diritto di agire per il solo risarcimento del danno, quale diritto attribuitogli da altre norme dell’ordinamento, secondo quanto disposto dall’art. 135, comma 2, del cod. consumo (Sezione Seconda civile, sentenza 20.1.2020, n. 1082, Pres. F. Manna, Rel. G. Tedesco).

SEZIONE III

L’art. 8 sexies, comma 2, d.l. n. 208 del 2008, conv. con modif. dalla l. n. 13 del 2009, nel prescrivere la restituzione della quota non dovuta di tariffa da parte dei gestori del servizio idrico integrato entro il termine di cinque anni decorrente dal 1° ottobre 2009, fatta salva la deduzione degli oneri derivanti dalle attività di progettazione, realizzazione o completamento già avviate, non ha introdotto una condizione di procedibilità della relativa domanda di rimborso proposta dall’utente, ma, in assenza di una espressa previsione legislativa di tale contenuto, deve essere interpretato, in un’ottica costituzionalmente orientata, nel senso che i gestori possono dilazionare fino a cinque anni il pagamento, non solo erogando l’importo in forma rateale, ma anche compensandolo con la somma comunque spettante per il complessivo servizio assicurato; in particolare, qualora detta dilazione consegua alla necessità di dedurre i summenzionati oneri, il credito dell’utente diviene illiquido e, quindi, non può essere azionato, gravando, peraltro, sul debitore convenuto l’onere di provare la ricorrenza del fatto impeditivo dell’immediato adempimento, ai sensi dell’art. 2697, comma 2, c.c.  (Sezione 3, Sentenza 11 febbraio 2020, n. 3314, Presidente A. Amendola, Relatore S.G. Guizzi).

Con la medesima pronuncia, ha precisato che alla mancanza ed alla temporanea inattività degli impianti di depurazione, che giustificano il diritto dell’utente di chiedere ai gestori del servizio idrico integrato la restituzione della quota non dovuta di tariffa, va equiparata la “assoluta insufficienza” di detti impianti poiché, alla luce delle sentenze della Corte costituzionale n. 39 del 2010 e n. 335 del 2008, il pagamento di un servizio di depurazione del quale non si è comunque potuto usufruire per fatto non imputabile è da ritenere, in ogni caso, indebito (Sezione 3, Sentenza 11 febbraio 2020, n. 3314, Presidente A. Amendola, Relatore S.G. Guizzi).

Ha rimesso all’esame del Primo Presidente, per la valutazione dell’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite della S.C., la seguente questione di massima di particolare importanza:

– se l’art. 122 del codice delle assicurazioni private debba interpretarsi, alla luce della giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea, nel senso che la nozione di circolazione su aree equiparate alle strade di uso pubblico comprenda e sia riferita a quella su ogni spazio in cui il veicolo possa essere utilizzato in modo conforme alla sua funzione abituale (Sezione III, Ordinanza interlocutoria 18 dicembre 2019, n. 33675, Presidente A. Amendola, Relatore P. Porreca).

Ha dichiarato rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 62 ss. d.l. 21 giugno 2013, n. 69, convertito dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, nella parte in cui istituiscono i giudici ausiliari d’appello e prevedono l’assegnazione di tali giudici onorari all’esercizio di funzioni giurisdizionali in organi collegiali, per contrasto con gli artt. 106, comma 2, Cost. («La legge sull’ordinamento giudiziario può ammettere la nomina, anche elettiva, di magistrati onorari per tutte le funzioni attribuite a giudici singoli.») e 102 Cost. (Terza Sezione civile, ordinanze interlocutorie n. 32032 del 9 dicembre 2019, Pres. A. Amendola, est. S. Olivieri, e n. 32033 del 9 dicembre 2019, Pres. A. Amendola, est. C. Graziosi).

Ha rimesso all’esame del Primo Presidente, per la valutazione dell’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite della S.C., le seguenti questioni, oggetto di contrasto nella giurisprudenza di legittimità:

– se, in materia di assicurazione sulla vita in favore di un terzo, l’espressione “legittimi eredi”, ove presente nel contratto, sia meramente descrittiva di coloro che, in astratto, rivestono la qualità di eredi legittimi o si riferisca, invece, agli effettivi destinatari dell’eredità;

– se la designazione degli eredi in sede testamentaria possa interferire, in sede di liquidazione dell’indennizzo, con la individuazione astratta dei legittimi eredi;

– se, in quest’ultima ipotesi, il beneficio indennitario debba ricalcare la misura delle quote ereditarie spettanti per legge o se la natura di diritto proprio, sancita dall’art. 1920, ultimo comma, c.c., imponga una divisione di tale indennizzo fra gli aventi diritto in parti eguali (Sezione III, Ordinanza interlocutoria 16 dicembre 2019, n. 33195, Presidente R. Vivaldi, Relatore A. Di Florio).

Ha affermato, in tema di testimoni di giustizia, che le “misure di assistenza” ex art. 16 ter, comma 1, lett. b), d.l. n. 8 del 1991, conv. con modif. dalla l. n. 82 del 1991, e la “capitalizzazione” prevista in alternativa al costo dell’assistenza ai sensi dell’art. 16 ter, comma 1, lett. c), del medesimo d.l. hanno natura indennitaria e non risarcitoria, come si desume dal fatto che sono erogate discrezionalmente dall’autorità competente e che non presuppongono la commissione di un illecito, ma solo la sottoposizione dell’interessato ad un programma di protezione; ne consegue che il relativo credito non è sottratto alla cd. comunione “de residuo” di cui all’art. 179, comma 1, lett. e), c.c. (Sezione 3, Sentenza 11 febbraio 2020, n. 3313, Presidente A. Amendola, Relatore S.G. Guizzi).

Ha rimesso all’esame del Primo Presidente, per la valutazione dell’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, le seguenti questioni, oggetto di contrasto nella giurisprudenza e, comunque, ritenute di massima importanza:

– se, in caso di ritardo, da parte delle Aziende sanitarie, nel pagamento delle prestazioni farmaceutiche, gli interessi dovuti al creditore vadano determinati al tasso legale ex art. 1284 c.c. od a quello speciale di cui all’art. 5 d.lgs. n. 231 del 2002;

– se l’esistenza dell’Accordo nazionale, previsto dall’art. 8, comma 2, del d.lgs. n. 502 del 1992, relativo ai rapporti fra SSN e farmacie, recepito con d.P.R. n. 371 del 1998 e destinato a regolare, quindi, pure quelli intercorrenti fra le stesse farmacie e le Aziende sanitarie, renda inapplicabile la disciplina successivamente introdotta dal d.lgs. n. 231 del 2002 alle prestazioni farmaceutiche, ancorché effettuate dopo l’8 agosto 2002, rappresentando esse adempimento parziale dell’unico rapporto obbligatorio sorto in precedenza tra Aziende sanitarie e farmacie e disciplinato dal citato Accordo nazionale;

– se la conclusione di tale Accordo nazionale impedisca di ravvisare la fonte del rapporto in esame in un negozio, essendo costituita dal regolamento che ha dato esecuzione al medesimo Accordo nazionale, con la conseguenza che le operazioni “de quibus” non potrebbero essere qualificate come transazioni commerciali ai sensi dell’art. 8 d.lgs. n. 231 del 2002;

– se non debba escludersi che l’attività di erogazione dell’assistenza farmaceutica per conto delle AA.SS.LL. sia una transazione commerciale ai fini del d.lgs. n. 231 del 2002, essendo di natura pubblicistica perché dipendente da un rapporto concessorio ed intesa a realizzare l’interesse pubblico alla tutela della salute collettiva (Sezione III, Ordinanza interlocutoria 18 dicembre 2019, n. 33674, Presidente A. Spirito, Relatore L.A. Scarano).

Ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite delleseguenti questioni, già oggetto di contrasti giurisprudenziali:

a) «se sia idonea a far decorrere il termine di cui all’art. 325 c.p.c. la notifica della sentenza di primo grado effettuata ad una pubblica amministrazione nella sua sede, quando tale luogo sia contemporaneamente, oltre che sede dell’ente, anche sede dell’avvocatura interna e domicilio eletto per il giudizio»;

b) «se, nell’ipotesi (a), l’omessa indicazione nell’atto notificato del difensore che ha assistito l’amministrazione sia surrogata dalla circostanza che il nominativo del difensore risulti dall’epigrafe della sentenza notificata» (Terza Sezione civile, ordinanza interlocutoria n. 31868 del5 dicembre 2019, Pres. U. Armano, est. M. Rossetti).

SEZIONE LAVORO

Ha affermato che, nel settore scolastico, la disciplina di diritto interno sul riconoscimento dell’anzianità di servizio dei docenti a tempo determinato poi definitivamente immessi nei ruoli, viola la clausola 4 dell’accordo quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE e va disapplicata nei casi in cui l’anzianità effettiva di servizio – non quella virtuale ex art. 489 del d.lgs. n. 297 del 1994 – prestata con rapporti a termine risulti superiore a quella riconoscibile ex art. 485 dello stesso decreto (Sez. L sentenza n. 33138 del 16 dicembre 2019, Pres. G. Napoletano, Rel. A. Di Paolantonio).

Ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione della causa alle Sezioni Unite in ordine alla questione – ritenuta anche di massima di particolare importanza – sulla portata dell’estensione temporale del principio che ha condotto a riconoscere l’obbligo risarcitorio da mancato o tardivo recepimento della direttiva per le posizioni dei medici specializzandi a cavallo del 1982-1983, per il periodo successivo al 1° gennaio 1983, anche in favore dei medici specializzandi che abbiano iniziato il corso antecedentemente al 1982, sempre relativamente alla frazione temporale successiva al 1982 (Sez. L ordinanza interlocutoria n. 821 del 16 gennaio 2020, Pres. U. Berrino, Rel. R. Arienzo).

Ha chiarito che ai rapporti di collaborazione di cui all’art. 2 del d.lgs. n. 81 del 2015, pur non riconducibili ad un “tertium genus” intermedio tra lavoro autonomo e subordinazione, si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato, senza necessità di ulteriori indagini, tutte le volte in cui, integrandosi il requisito della etero-organizzazione nella fase funzionale di esecuzione del rapporto, le modalità di coordinamento della prestazione, personale e continuativa, del collaboratore, siano imposte dal committente (Sezione Lavoro, Sentenza 24 gennaio 2020, n. 1663, Presidente V. Di Cerbo, Relatore G. Raimondi).

Ha precisato che nel settore scolastico, nelle ipotesi di reiterazione illegittima dei contratti a termine stipulati per la copertura di posti vacanti e disponibili entro la data del 31 dicembre, e che rimangano prevedibilmente tali per l’intero anno scolastico, deve essere qualificata misura proporzionata, effettiva, sufficientemente energica ed idonea a sanzionare debitamente l’abuso ed a cancellare le conseguenze della violazione del diritto dell’UE, secondo l’interpretazione resa dalla Corte di giustizia UE nella sentenza dell’8 maggio 2019 (causa C494/17, Rossato), l’immissione in ruolo acquisita da docenti e personale ATA attraverso l’operare degli strumenti selettivi-concorsuali pregressi alla l. n. 107 del 2015, senza preclusione per il risarcimento di eventuali danni ulteriori e diversi, con oneri di allegazione e prova a carico del lavoratore che, in tal caso, non beneficia di alcuna agevolazione probatoria da danno presunto (Sez. L sentenza n. 3472 del 12 febbraio 2020, Pres. G. Napoletano, Rel. A. Torrice).

Ha trasmesso gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite della questione, ritenuta di massima di particolare importanza, relativa alla natura o meno di controversie di lavoro ex art 409 c.p.c. delle cause di opposizione avverso le ordinanze-ingiunzioni in materia di sanzioni lavoristiche, cui si applica il rito del lavoro ai sensi dell’art. 6 del d.lgs. n. 150 del 2011, anche, e non solo, ai fini dell’individuazione della disciplina applicabile in tema di sospensione feriale dei termini (Sezione Sesta Lavoro, Ordinanza interlocutoria 29 gennaio 2020, n. 02034, Presidente P. Curzio, Relatore R. Riverso).

Ha chiarito che il regime del cd. “contratto a tutele crescenti” si applica, ai sensi dell’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 23 del 2015, ai contratti a tempo determinato stipulati anteriormente al 7 marzo 2015 solo ove gli effetti della conversione del rapporto – a seguito di novazione ovvero in ragione del tipo di vizio accertato –  si producano in epoca successiva alla predetta data, restando irrilevante la data della pronuncia giudiziale dichiarativa dell’accertata nullità del termine (Sez. L sentenza n. 823 del 16 gennaio 2020, Pres. V. Di Cerbo, Rel. A.P. Patti).

SEZIONE TRIBUTARIA

In tema di imposte sui redditi, ha rimesso alle Sezioni Unite civili (Sez. Tributaria, ordinanza interlocutoria n. 32571 del 19 settembre 2019, dep. 12 dicembre 2019, Presidente E. Cirillo, Estensore P. Di Marzio), ai sensi dell’art. 374, comma 2, c.p.c., la risoluzione della questione di massima di particolare importanza –  in ordine alla quale non si registrano precedenti specifici di legittimità – relativa alla natura giuridica del contributo di solidarietà erogato a favore dei Senatori della Repubblica e, in particolare, se lo stesso abbia natura indennitaria assimilabile al trattamento di fine rapporto ai sensi dell’art. 17, comma 1, lett. a), del TUIR (che dispone l’assoggettabilità a tassazione separata sia del TFR sia delle “indennità equipollenti” comunque denominate), oppure se lo stesso abbia natura sostanziale di retribuzione differita, corrisposta in conseguenza della cessazione dell’incarico di parlamentare (che, non essendo stata assoggettata ad imposizione all’atto dell’accantonamento, deve esservi sottoposta quando viene erogata, essendo manifestativa di capacità contributiva ex art. 53 Cost.).

In tema di procedimento notificatorio dell’accertamento tributario, ha ritenuto invalida la notifica eseguita dall’Agenzia delle entrate in un comune diverso rispetto a quello del domicilio fiscale del contribuente, presso l’indirizzo indicato da Poste italiane individuato mediante il servizio “seguimi”, qualificando detto servizio (di natura contrattuale e finalizzato a far pervenire la corrispondenza – diversa dagli atti giudiziari – all’indirizzo indicato dal richiedente) non equiparabile all’elezione di domicilio di cui all’art. 60, comma 1, lett. d), del d.P.R. n. 600 del 1973 (Sez. Tributaria, ordinanza n. 31479 del 25 giugno 2019, dep. 3 dicembre 2019, Presidente C. Magda, Relatore G. Fanticini).

[CLASSIFICAZIONE]

PROCEDIMENTO CIVILE – NOTIFICAZIONE DEGLI ATTI PROCESSUALI – A MEZZO POSTA

AFFIDAMENTO DELL’ATTO AD IMPRESA PRIVATA – VALIDITÀ – CONDIZIONI E LIMITI

IMPUGNAZIONI CIVILI – IN GENERALE – NOTIFICAZIONE DELL’ATTO DI IMPUGNAZIONE

[RIFERIMENTI NORMATIVI]

Codice di procedura civile, artt. 149, 156, 157, 160, 161

Legge 20/11/1982, n. 890

Decreto legislativo 31/12/1992, n. 546, art. 16, comma 2

Decreto legislativo 22/07/1999, n. 261, artt. 20, 21 e 22

Decreto legislativo 31/03/2011, n. 58

Legge 04/08/2017, n. 124, art. 1, comma 57

Direttiva 97/67/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 15 dicembre 1997, concernente regole comuni per lo sviluppo del mercato interno dei servizi postali comunitari e il miglioramento della qualità del servizio, come modificata dalla direttiva 2008/6/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 febbraio 2008,

Sentenza Corte di Giustizia dell’Unione Europea 27 marzo 2019, n. 957, in causa n. C-545/17, Pawlak

[SENTENZA SEGNALATA]

Cass., Sez. U, n. 299, del 10/01/2020

Abstract

La sentenza affronta il problema della validità della notifica di un atto giudiziario effettuata nel 2008 da un operatore postale privato, in quanto in quel momento esisteva una discrasia tra normativa nazionale e sovranazionale, in particolare eurounitaria. Infatti, la notifica di atto giudiziario compiuta da operatore privato non era conforme al diritto interno, che prevedeva una riserva in favore del fornitore universale, ma rispondeva, per contro, allo spirito della normativa eurounitaria – peraltro non direttamente applicabile e, a quella data, non ancora recepita nel nostro sistema -, che non prevedeva riserve in favore di singoli operatori. La sentenza si pronuncia sulla sorte dell’atto alla luce della suddetta situazione normativa, ravvisando non l’inesistenza della notifica, ma la mera nullità sanabile con la costituzione della controparte.

L’effetto sanante, però, non si estende al potere dell’operatore di certificare, con effetto fidefaciente, la tempestività della notifica, non prevalendo le ragioni eurounitarie di tutela della libertà di concorrenza sulle esigenze pubblicistiche connesse al riconoscimento di ulteriori requisiti dell’operatore indispensabili per l’attribuzione della pubblica fede agli atti che documentano la sua attività

Introduzione

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione affrontano in questa sentenza l’importante tema della sorte della notificazione degli atti processuali eseguita a mezzo di posta privata quando la disciplina applicable era rappresentata, a livello nazionale, dall’art. 4 del d. lgs 261 del 1999, mentre a livello sovranazionale era entrata in vigore la direttiva dell’Unione n. 2008/6/CE, non ancora recepita nel nostro sistema (come sarebbe avvenuto successivamente con l’emanazione del d.lgs. 31 marzo 2011, n. 58).

Nella specie, si discute di un ricorso in materia tributaria, effettuato dal contribuente ricorrente non tramite Poste Italiane, ma un operatore privato. In sede di appello l’Agenzia aveva eccepito l’inammissibilità del ricorso, per il fatto che la notifica era stata effettuata appunto da un operatore ritenuto non abilitato; questo non solo perchè lo stesso non era legittimato dalla normativa a compierla, ma anche perchè, in ogni caso, non aveva il potere di certificare la tempestività della consegna a sé del ricorso. La CTR aveva rigettato l’eccezione. L’Agenzia ricorre allora alla Corte di Cassazione per sentir cassare sul punto la sentenza di appello.

La sezione Quinta della Corte ha rimesso gli atti alle Sezioni Unite per l’importanza della questione.

Questa è complessa anche per l’intreccio di normativa nazionale ed euro-unitaria e le Sezioni Unite compiono, in primo luogo, un notevole sforzo ricostruttivo delle norme che vengono in rilievo.

Estremamente interessante è, in particolare, l’analisi dell’incidenza del diritto sovranazionale nella materia, ed in particolare del diritto dell’Unione. Si può anticipare infatti fin d’ora che viene evidenziato in materia un contrasto tra normativa euro-unitaria e nazionale che si è protratto per alcuni anni, e la questione rileva per le circostanze del caso concreto, dove il momento del compimento della notifica oggetto del caso specifico, come evidenzia la sentenza (sia nella parte “fatti di causa” che al par. 7), è il 2008.

La normativa nazionale

Premesso che anche nel processo tributario le notifiche sono possibili tramite il servizio postale (in quanto anche nel giudizio tributario è applicabile l’art. 149 c.p.c., che consente la notificazione con il suddetto mezzo, in base alle regole dettate dalla I. 20 novembre 1982, n. 890) la sentenza evidenzia che l’art. 4 del d.lgs. n. 261 del 1999, applicabile all’epoca dei fatti di causa, riservava al fornitore del servizio universale, cioè Poste Italiane, «gli invii raccomandati attinenti alle procedure amministrative e giudiziarie».

Non vi è quindi dubbio – afferma la sentenza – che le notificazioni dirette a mezzo raccomandata postale dei ricorsi in materia tributaria rientrassero nell’ambito della riserva al fornitore del servizio universale contemplata dall’art. 4 del d.lgs. n. 261 del 1999 (e, si ritiene di poter aggiungere, implicitamente non fossero possibili per servizi di posta privata).

Essendo la normativa nazionale vigente al momento della notifica in questione (anno 2008) quella di cui al citato d. lgs n. 261 del 1999, secondo la normativa interna non si sarebbe potuto dubitare che (solo) la notifica in materia tributaria effettuata a mezzo posta dal concessionario del servizio universale (Poste Italiane) fosse perfettamente regolare.

La normativa sovranazionale

Su queste considerazioni si innesta, però, il diritto dell’Unione. Come chiarito dalla sentenza, il motivo per cui il diritto dell’Unione si è interessato a questa materia non attiene alla procedura civile, ma al settore della concorrenza.

Nello spirito dei Trattati dell’Unione e dei principi di cui essi sono portatori, infatti, la riserva da parte dello Stato di un settore di interesse pubblico, come il servizio postale, ad un unico soggetto pone interrogativi in termini di tutela del libero mercato.

Così l’Unione iniziò ad emettere atti normativi per regolare la materia nel servizio postale.

Un primo atto fu la direttiva n. 97/67/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 15 dicembre 1997, la quale, come ricorda la sentenza, pur avviando la graduale liberalizzazione del mercato dei servizi postali, riconosceva agli Stati membri la possibilità di riservare al fornitore o ai fornitori del servizio, “…la raccolta, il trasporto, lo smistamento e la distribuzione di invii di corrispondenza interna” e non escludeva il mantenimento della riserva in favore del fornitore universale del servizio per gli invii relativi alle procedure giudiziarie.

Infatti, proprio in attuazione di tale direttiva lo Stato Italiano adottò il d. lgs. n. 261 del 1999 sopra citato, che poteva così mantenere la riserva in favore del fornitore universale, anche come mezzo di finanziamento dello stesso.

Tale direttiva fu, però, modificata nel 2008, con la direttiva n. 2008/6/CE (in parte anticipata dalla direttiva n. 2002/39/CE), che conteneva un radicale mutamento in materia poiché il legislatore dell’Unione, cambiando prospettiva, ha ritenuto «opportuno porre fine al ricorso al settore riservato e ai diritti speciali come modo per garantire il finanziamento del servizio universale» (considerando 25). Sicché, con l’art. 7 della direttiva n. 97/67/CE, radicalmente novellato, il legislatore dell’Unione ha stabilito che «Gli Stati membri non concedono né mantengono in vigore diritti esclusivi o speciali per l’instaurazione e la fornitura di servizi postali…». Il principio emergente dalla direttiva è stato confermato anche dalla Corte di Giustizia nella sentenza Pawlak (caso C-545/17) del 27 marzo 2019.

Il legislatore italiano si dovette, quindi, adeguare a tale mutamento, ma ciò non avvenne immediatamente. Per quanto la direttiva fosse del 2008, infatti, solo con la legge delega 4 giugno 2010, n. 96 il legislatore nazionale stabilì che, nel contesto di piena apertura al mercato, «…a far data dal 31 dicembre 2010 non siano concessi né mantenuti in vigore diritti esclusivi o speciali per l’esercizio e la fornitura di servizi postali». Peraltro, anche a fronte della normativa delegata, il d. lgs 31 marzo 2011, n. 58, mantenne in realtà la riserva esclusiva in favore di Poste Italiane per le notifiche degli atti giudiziari a mezzo posta.

Tale riserva fu abrogata solo con  l’art. 1, comma 57, della I. 4 agosto 2017, n. 124, a decorrere dal 10 settembre 2017 .

La sorte della notifica alla luce dei suddetti atti normativi

Tale quadro normativo pone, allora, una fondamentale questione: quale è la sorte della notifica in questione, avvenuta nel 2008 da parte di un operatore postale privato, in un regime in cui la direttiva 2008/6/CE, che escludeva il diritto a riserve, era già in vigore ma non era ancora stata attuata in Italia, mentre la normativa nazionale prevedeva ancora la riserva esclusiva in favore di Poste Italiane, e si poneva quindi in contrasto con la normativa dell’Unione.

Tale domanda di carattere generale può, in realtà, scindersi in domande più articolate, ognuna delle quali riguarda i temi affrontati nella sentenza. Queste domande, semplificando, possono porsi nei seguenti termini:

ammesso che la notifica non sia valida, deve considerarsi inesistente o semplicemente nulla?

se è nulla, è sanabile con la costituzione del controricorrente?

se è sanabile, può la sanatoria incidere sulla certezza della data della notifica?

La risposta a queste domande rappresenta il cuore della sentenza.

Come emerge dalla serie di questioni sopra esposta, peraltro, per avere un quadro completo di tutti gli elementi che hanno determinato la decisione va ancora affrontato un altro tema, assolutamente non irrilevante: la necessità di fidefacienza degli atti compiuti dall’operatore postale. Si tratta, come si comprende facilmente, di un requisito essenziale nella materia delle notifiche, perchè da esso dipendono le sorti di un ricorso giudiziario.

Ora, secondo la normativa italiana vigente all’epoca, l’operatore di posta privata non rivestiva, a differenza del fornitore del servizio postale universale, la qualità di pubblico ufficiale, sicché gli atti da lui redatti non godevano di alcuna presunzione di veridicità fino a querela di falso.

Questo problema ha importanza fondamentale nell’economia di una controversia.

Ad esso non si può ovviare cercando di scindere il segmento della spedizione rispetto a quello del recapito, perchè la nozione di “invio postale” è unitaria, né ipotizzando opzioni quali il fatto che l’operatore privato, ricevuto il plico, lo potrebbe consegnare a Poste Italiane o viceversa, permettendo così all’attività di acquisire un signficato “ufficiale” riconosciuto dalla legge, come alcune decisioni, citate in sentenza, hanno cercato di fare.

Venedo, quindi, alla soluzione dei problemi posti dalle domande sopra indicate, la prima questione attiene alla validità della notifica effettuata nel 2008 dall’operatore privato, e cioè se essa debba intendersi come inesistente o meno.

Esisteva, infatti, un rilevante filone giurisprudenziale che in tal caso ravvisava l’inesistenza della notifica.

Al riguardo, è interessante la conclusione della sentenza secondo cui “al momento dell’esecuzione della notificazione della quale si discute, la vigente direttiva n. 2008/6/CE imponeva già al legislatore italiano l’abolizione di qualsiasi riconoscimento, salvo il ricorrere di determinate, restrittive e rigorose condizioni, di diritti speciali o esclusivi a taluni operatori del servizio postale” che però non sono stati ravvisati nella specie.

Sulla base, quindi, essenzialmente della normativa sovranazionale che, sebbene non direttamente applicabile e sebbene non recepita in quel momento nell’ordinamento italiano, era però portatrice di un obbligo che “era già incluso nel sistema nazionale”, la notifica in questione, sebbene non conforme al diritto nazionale, non può però ritenersi radicalmente inesistente (sul concetto di inesistenza si vedano, tra le altre, Cass., sez. un., 20 luglio 2016, nn. 14916 e 14917), cioè compiuta da soggetto radicalmente non titolato a compierla. La normativa sovranazionale, infatti, conteneva già in sé il principio dell’apertura del servizio a soggetti diversi dal fornitore universale.

Piuttosto, la non conformità alla legislazione nazionale vigente in quel momento la rende affetta da mera nullità.

In quanto nulla, poi, la notificazione è sanabile e nel caso in esame è stata sanata per effetto della costituzione dell’Agenzia sin dal primo grado.

Resta, però, il problema della fidefacienza dell’atto, su cui la sanatoria non ha effetto, perchè la sanatoria della nullità dovuta a motivi soggettivi non incide sulla tempestività o meno del ricorso.

In altri termini, il soggetto che la ha compiuta non aveva però il potere di certificare la tempestività della consegna del ricorso per la notifica; questo è un aspetto sul quale il ricorso alla normativa sovranazionale non soccorre.

Per questo, pur essendo stata sanata la nullità, la decisione cassa senza rinvio la sentenza impugnata, in accoglimento del ricorso dell’Agenzia delle Entrate, dichiarando inammissibile il ricorso introduttivo del contribuente per mancanza di data certa sulla data di proposizione dello stesso.

Conclusione

A conclusione dell’analisi di tutte le questioni sintetizzate sopra, le Sezioni Unite hanno, quindi, pronunciato i seguenti principi di diritto:

“In tema di notificazione di atti processuali, posto che nel quadro giuridico nove/lato dalla direttiva n. 2008/6/CE del Parlamento e del Consiglio del 20 febbraio 2008 è prevista la possibilità per tutti gli operatori postali di notificare atti giudiziari, a meno che lo Stato non evidenzi e dimostri la giustificazione oggettiva ostativa, è nulla e non inesistente la notificazione di atto giudiziario eseguita dall’operatore di posta privata senza relativo titolo abilitativo nel periodo intercorrente fra l’entrata in vigore della suddetta direttiva e il regime introdotto dalla legge n. 124 del 2017”.

“La sanatoria della nullità della notificazione di atto giudiziario, eseguita dall’operatore di poste private per raggiungimento dello scopo dovuto alla costituzione della controparte, non rileva ai fini della tempestività del ricorso, a fronte della mancanza di certezza legale della data di consegna del ricorso medesimo all’operatore, dovuta all’assenza di poteri certificativi dell’operatore, perché sprovvisto di titolo abilitativo”.

a cura di Andrea Penta

Nell’arco dell’ultimo bimestre numerose pronunce delle Sezioni Unite meritano di essere segnalate.

Decidendo su questione di massima di particolare importanza, hanno enunciato il seguente principio di diritto: “in tema di successione di leggi nel tempo in materia di protezione umanitaria, il diritto alla protezione, espressione di quello costituzionale di asilo, sorge al momento dell’ingresso in Italia in condizioni di vulnerabilità per rischio di compromissione dei diritti umani fondamentali e la domanda volta  a ottenere il relativo permesso attrae il regime normativo applicabile; ne consegue che la normativa introdotta con d.l. n. 113 del 2018, convertito con la l. n. 132 del 2018, nella parte in cui ha modificato la preesistente disciplina contemplata dall’art. 5, comma 6, del d.lgs. n. 286 del 1998 e dalle altre disposizioni consequenziali, non trova applicazione in relazione a domande di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposte prima dell’entrata in vigore (5 ottobre 2018) della nuova legge; tali domande saranno, pertanto, scrutinate sulla base della normativa esistente al momento della loro presentazione, ma, in tale ipotesi, l’accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari sulla base delle norme esistenti prima dell’entrata in vigore del d.l. n. 113 del 2018, convertito nella l. n. 132 del 2018 comporterà il rilascio del permesso di soggiorno per “casi speciali” previsto dall’art. 1, comma 9, del suddetto decreto legge” (Sez. Un. civ., sentenza n. 29459 del 13 novembre 2019, Pres. G. Mammone, Rel. A.M. Perrino).

Con la stessa sentenza hanno enunciato il seguente ulteriore principio di diritto: “In tema di protezione umanitaria, l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza”.

Decidendo su questione di massima di particolare importanza, hanno enunciato il seguente ulteriore principio di diritto: “in tema di riparto fallimentare, ai sensi dell’art. 110 l.fall. (nel testo applicabile ratione temporis come modificato dal d.lgs. n. 169 del 2007), sia il reclamo ex art. 36 l.fall. avverso il progetto – predisposto dal curatore – di riparto, anche parziale, delle somme disponibili, sia quello ex art. 26 l.fall. contro il decreto del giudice delegato che abbia deciso il primo reclamo, possono essere proposti da qualunque controinteressato, inteso quale creditore che, in qualche modo, sarebbe potenzialmente pregiudicato dalla diversa ripartizione auspicata dal reclamante, ed in entrambe le impugnazioni il ricorso va notificato a tutti i restanti creditori ammessi al riparto anche parziale” (Sez. Un. civ., sentenza n. 24068 del 26 settembre 2019, Pres. V. Di Cerbo, Rel. F.A. Genovese).

Con la medesima sentenza hanno enunciato l’ulteriore seguente principio di diritto: “il decreto del Tribunale che dichiara esecutivo il piano di riparto parziale, pronunciato sul reclamo avente ad oggetto il provvedimento del giudice delegato, nella parte in cui decide la controversia concernente, da un lato, il diritto del creditore concorrente a partecipare al riparto dell’attivo fino a quel momento disponibile e, dall’altro, il diritto degli ulteriori interessati ad ottenere gli accantonamenti delle somme necessarie al soddisfacimento dei propri crediti, nei casi previsti dall’art. 113 l.fall, si connota per i caratteri della decisorietà e della definitività e, pertanto, avverso di esso, è ammissibile il ricorso straordinarioper cassazione, ai sensi dell’art. 111, comma 7, Cost.” (Sez. Un. civ., sentenza n. 24068 del 26 settembre 2019, Pres. V. Di Cerbo, Rel. F.A. Genovese).

Molto attesa era la decisione con la quale, decidendo su questione di massima di particolare importanza, hanno enunciato il seguente principio di diritto: «Quando sia proposta domanda di scioglimento di una comunione (ordinaria o ereditaria che sia), il giudice non può disporre la divisione che abbia ad oggetto un fabbricato abusivo o parti di esso, in assenza della dichiarazione circa gli estremi della concessione edilizia e degli atti ad essa equipollenti, come richiesti dall’art. 46 del d.P.R. n. 380 del 2001 e dall’art. 40, comma 2, della legge n. 47 del 1985, costituendo la regolarità edilizia del fabbricato condizione dell’azione ex art. 713 c.c., sotto il profilo della “possibilità giuridica”, e non potendo la pronuncia del giudice realizzare un effetto maggiore e diverso rispetto a quello che è consentito alle parti nell’ambito della loro autonomia negoziale. La mancanza della documentazione attestante la regolarità edilizia dell’edificio e il mancato esame di essa da parte del giudice sono rilevabili d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio» (Sez. Un. civ., sentenza n. 25021 del 7 ottobre 2019, Pres. S. Petitti, Rel. G. Bisogni).

Con la stessa pronuncia hanno altresì enunciato il seguente principio di diritto: «In forza delle disposizioni eccettuative di cui all’art. 46, comma 5 del d.P.R. n. 380 del 2001 e all’art. 40, commi 5 e 6, della legge n. 47 del 1985, lo scioglimento della comunione (ordinaria o ereditaria) relativa ad un edificio abusivo che si renda necessaria nell’ambito dell’espropriazione di beni indivisi (divisione cd. endoesecutiva) o nell’ambito del fallimento (ora, liquidazione giudiziale) e delle altre procedure concorsuali (divisione cd. endoconcorsuale) è sottratta alla comminatoria di nullità prevista, per gli atti di scioglimento della comunione aventi ad oggetto edifici abusivi, dall’art. 46, comma 1, del d.P.R. n. 380 del 2001 e dall’art. 40, comma 2, della legge n. 47del 1985».

Decidendo su questione di massima di particolare importanza, hanno enunciato il seguente principio di diritto: «La nullità del contratto quadro finanziario per difetto di forma scritta, contenuta nell’art. 23, comma 3, del d.lgs. n. 58 del 1998, può essere fatta valere esclusivamente dall’investitore, con la conseguenza che gli effetti processuali e sostanziali dell’accertamento operano soltanto a suo vantaggio. L’intermediario, tuttavia, ove la domanda sia diretta a colpire soltanto alcuni ordini di acquisto, può opporre l’eccezione di buona fede, se la selezione della nullità determini un ingiustificato sacrificio economico a suo danno, alla luce della complessiva esecuzione degli ordini, conseguiti alla conclusione del contratto quadro» (Sez. Un. civ., sentenza n. 28314 del 4 novembre 2019, Pres. G. Mammone, Rel. M. Acierno).

Il ricorso per cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione, sotto il profilo dell’eccesso di potere giurisdizionale, non è ammissibile avverso la sentenza resa, nell’esercizio della propria funzione nomofilattica, dall’Adunanza plenaria che, a norma dell’art. 99, comma 4, c.p.c., abbia enunciato uno o più principi di diritto e restituito per il resto il giudizio alla sezione remittente, non avendo detta statuizione carattere decisorio e definitorio, neppure parzialmente, del giudizio di appello, il quale implica una operazione di riconduzione della regula iuris  al caso concreto, che è rimessa alla sezione remittente (Sez. Un. civ., sentenza n. 27842 del 30 ottobre 2019, Pres. G. Mammone, Rel. A.P. Lamorgese).

Decidendo su questione di massima di particolare importanza, hanno enunciato il seguente principio di diritto nell’interesse della legge, ex art. 363, comma 3, c.p.c.: “Impregiudicata la generale facoltà di avvalersi anche di propri dipendenti delegati davanti al tribunale ed al giudice di pace, per la rappresentanza e la difesa in giudizio l’Agenzia delle Entrate-Riscossione si avvale: – dell’Avvocatura dello Stato nei casi previsti come ad essa riservati dalla convenzione con la stessa intervenuta (fatte salve le ipotesi di conflitto e, ai sensi dell’art. 43, comma 4, r.d. n. 1933 del 1933, di apposita motivata delibera da adottare in casi speciali e da sottoporre all’organo di vigilanza), oppure ove vengano in rilievo questioni di massima o aventi notevoli riflessi economici, ovvero, in alternativa e senza bisogno di formalità, né della delibera prevista dal richiamato art. 43, comma 4, r.d. cit., – di avvocati del libero foro (nel rispetto degli artt. 4 e 17 del d.lgs. n. 50 del 2016 e dei criteri di cui agli atti di carattere generale adottati ai sensi del comma 5 del medesimo art. 1 del d.l. n. 193 del 2016) in tutti gli altri casi ed in quelli in cui, pure riservati convenzionalmente all’Avvocatura erariale, questa non sia disponibile ad assumere il patrocinio; quando la scelta tra il patrocinio dell’avvocatura erariale e quello di un avvocato del libero foro discende dalla riconduzione della fattispecie alle ipotesi previste dalla Convenzione tra l’Agenzia e l’Avvocatura o di indisponibilità di questa ad assumere il patrocinio, la costituzione dell’Agenzia a mezzo dell’uno o dell’altro postula necessariamente ed implicitamente la sussistenza del relativo presupposto di legge, senza necessità di allegazione e di prova al riguardo, nemmeno nel giudizio di legittimità” (Sez. Un. civ., sentenza n. 30008 del 19 novembre 2019, Pres. G. Mammone, Rel. F. De Stefano).

La Prima Sezione civile ha rimesso alle Sezioni Unite civili, ai sensi dell’art. 374, comma 2, c.p.c., la risoluzione della seguente questione di massima di particolare importanza:

«se sia contrario all’ordine pubblico e quindi non trascrivibile nei registri dello stato civile italiano il provvedimento dell’autorità giudiziaria straniera, che abbia disposto l’adozione di un minore in favore di una coppia dello stesso sesso, ove nessuno degli adottanti risulti legato da vincoli genitoriali biologici con l’adottato» (Prima Sezione Civile, Ordinanza interlocutoria 11 novembre 2019, n. 29071, Pres. M.C. Giancola, Est. A. Fidanzia).

Era auspicabile l’ordinanza con la quale la Prima Sezione civile ha altresì rimesso gli atti al Primo Presidente per l’eventuale rimessione della causa alle Sezioni Unite ai fini dell’ulteriore approfondimento della seguente questione di massima di particolare importanza: se la disciplina antiusura sia riferibile anche agli interessi moratori, dovendosi in particolare valutare, anche alla stregua del tenore letterale dell’art. 644 c.p. e dell’art. 2 della legge n. 108 del 1996, se il principio di simmetria consenta o meno di escludere l’assoggettamento degli interessi di mora alla predetta disciplina, in quanto non costituenti oggetto di rilevazione ai fini della determinazione del tasso effettivo globale medio; qualora si opti per la soluzione contraria, se, ai fini della verifica in ordine al carattere usurario degli interessi, sia sufficiente la comparazione con il tasso soglia determinato in base alla rilevazione del tasso effettivo globale medio di cui al comma 1 dell’art. 2 cit., o se, viceversa,la mera rilevazione del relativo tasso medio, sia pure a fini dichiaratamente conoscitivi, imponga di verificarne l’avvenuto superamento nel caso concreto, e con quali modalità debba aver luogo tale riscontro, alla luce della segnalata irregolarità nella rilevazione (Prima Sezione civile, ordinanza interlocutoria n. 26946 del22 ottobre 2019, Pres.C. De Chiara, est. G. Mercolino).

Nel periodo in esame numerosi provvedimenti di rilievi sono stati adottati dalla Seconda Sezione.

Ha trasmesso gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite della questione, oggetto di contrasto, concernente l’ammissibilità della notifica all’estero, a mezzo posta e non tramite l’Autorità  centrale dello Stato del destinatario, come consentito dall’art. 16 del Reg. UE n. 1393 del 2007, del verbale di accertamento di infrazione al codice della strada, quale atto organicamente inserito nella procedura per l’irrogazione di una sanzione amministrativa (Sezione Seconda civile, ord. interlocutoria 30.9.2019, n. 24382, Pres. S. Petitti, Rel. S. Gorjan).

Tre pronunce riguardano aspetti di diritto transitorio relativi alla cd. legge Pinto.

Con la prima è stato chiarito che, in assenza di norme che dispongano diversamente ed in forza dell’art. 11 disp. att. c.c., l’art. 2, comma 2-sexies, della l. n. 89 del 2001, introdotto dalla l. n. 208 del 2015, dettando una nuova disciplina della formazione e valutazione della prova nel processo di equa riparazione e dando, dunque, luogo ad uno “ius superveniens”, che opera sugli effetti della domanda e, al contempo, implica un mutamento dei presupposti legali cui è condizionata la disciplina di ogni singolo caso concreto, trova applicazione nei soli giudizi introdotti dopo l’1 gennaio 2016 (Sezione Seconda Civile, Sentenza 10 ottobre 2019, n. 25542, Presidente F. Manna, Relatore. A. Scarpa).

Al contempo, l’art. 2, comma 2-quinquies, della l. n. 89 del 2001, come modificato dalla l. n. 208 del 2015, che esclude l’indennizzo in favore della parte che ha agito o resistito in giudizio consapevole dell’infondatezza originaria o sopravvenuta delle proprie domande, trova applicazione nei soli giudizi introdotti dopo l’1 gennaio 2016, per effetto dell’art. 11 disp. att. c.c., in quanto, pur realizzando la recezione di un principio costituente  “diritto vivente”, rientra tra le disposizioni che incidono sulla disciplina giuridica del fatto generatore del diritto all’equa riparazione  (Sezione Seconda Civile, Sentenza 14 ottobre 2019, n. 25826, Presidente S. Petitti, Relatore A. Cosentino).

Con la terza è stato precisato che, in assenza di norme che dispongano diversamente ed in forza dell’art. 11 disp. att. c.c., l’art. 2 bis, commi 1  e 1 ter, della l. n. 89 del 2001, introdotti dalla l. n. 208 del 2015, dettando una nuova disciplina che prevede l’applicabilità dell’abbassamento a 400 euro del minimo annuo, nonché la riducibilità ulteriore di un terzo in caso di rigetto della domanda nel procedimento cui l’azione per l’equa riparazione si riferisce, costituiscono uno “ius superveniens”, che trova applicazione nei soli giudizi introdotti dopo l’1 gennaio 2016 (Sezione Seconda Civile, Sentenza 19 giugno 2019, n. 25837, Presidente F. Manna, Relatore. A. Scarpa).

Ha, inoltre, trasmesso gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite di tre questioni, oggetto di contrasto e di frequente verificazione nelle aule giudiziarie, e precisamente: a) quale sia il regime dell’invalidità afferente la delibera con cui l’assemblea ripartisca gli oneri condominiali in violazione dei criteri normativi o regolamentari di suddivisione delle spese; b) se, nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo emesso per la riscossione di oneri condominiali, il limite alla rilevabilità, anche d’ufficio, dell’invalidità delle sottostanti delibere debba, o meno, operare, allorché si tratti di vizi implicanti la loro nullità; c) se il rigetto dell’opposizione a decreto ingiuntivo per la riscossione di contributi condominiali sia idoneo alla formazione del giudicato implicito sull’assenza di cause di nullità delibera sottostante (Sezione Seconda civile, ord. interlocutoria 1.10.2019, n. 24476, Pres. F Manna, Rel. A. Scarpa).

Sempre in ambito condominiale è stato chiarito che le spese del riscaldamento centralizzato di un edificio in condominio, ove sia stato adottato un sistema di contabilizzazione del calore, vanno ripartite in base al consumo effettivamente registrato, risultando perciò illegittima una suddivisione di tali oneri – sia pure solamente parziale – alla stregua dei valori millesimali delle singole unità immobiliari, né potendo a tal fine rilevare i diversi criteri di riparto dettati da una delibera di giunta regionale, che pur richiami specifiche tecniche a base volontaria, in quanto atto amministrativo comunque inidoneo ad incidere sul rapporto civilistico tra condomini e condominio (Sezione Seconda civile, ord. 4.11.2019, n. 28282, Pres. A. Carrato, Rel. A. Scarpa).

La Sezione ha altresì rimesso alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, ai sensi dell’art. 267 TFUE, la risoluzione della seguente questione pregiudiziale: se, nell’ipotesi del conducente di automezzo, l’art. 15, comma 7, del Regolamento CEE n. 3281 del 1985, ove delimita l’ambito del lasso temporale tra la “giornata in corso ed i 28 giorni precedenti”, possa essere interpretato come norma che prescriva un’unica complessiva condotta con conseguente commissione di un’unica infrazione ed irrogazione di una sola sanzione ovvero possa dare luogo, con applicazione del cumulo materiale, a tante violazioni e sanzioni per quanti sono  i giorni in relazione ai quali non sono stati esibiti i fogli di registrazione del cronotachigrafo (Seconda Sezione Civile, Ordinanza interlocutoria 13 novembre 2019, n. 29469, Pres. S. Petitti, Est. A. Oricchio).

Di estremo interesse, per le sue ricadute sul piano processuale, è l’ordinanza con la quale ha disposto la trasmissione degli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite ponendo la questione se in una transazione o anche, più in generale, in un contratto per il quale sia richiesta la forma scritta “ad probationem”, sia operativo il divieto della prova per testi e se l’eventuale inammissibilità possa essere rilevata d’ufficio o debba, invece, essere eccepita dalla parte interessata entro il termine di cui all’art. 157, comma 2, c.p.c., nella prima istanza o difesa successiva alla sua articolazione; il quesito è stato posto all’interno della più ampia questione riguardante l’esistenza o meno di un unitario regime processuale relativo all’inammissibilità della prova testimoniale, derivante dal combinato disposto di cui agli artt. 2725 c. e 2729 c.c., applicabile indifferentemente sia ai contratti per i quali sia richiesta la forma scritta “ad probationem”, sia a quelli per cui la forma è richiesta “ad substantiam” (Seconda Sezione Civile, Ordinanza interlocutoria 20 novembre 2019, n. 30244, Pres. L. Orilia, Est. M. Falaschi).

Infine, ha precisato che la presentazione di un’istanza volta a sollecitare il potere della Corte di cassazione di emendare, d’ufficio, gli errori materiali, ex art. 391-bis c.p.c., non equivale al deposito di un ricorso; sicché, per effetto del rinvio all’art. 380-bis, commi 1 e 2, c.p.c., contenuto nell’art. 391-bis cit., nonché della disciplina generale della correzione dell’errore materiale ex art. 288 c.p.c., a fronte della fissazione dell’udienza camerale, le parti hanno la possibilità di depositare memorie e non anche di proporre controricorso (Sezione Sesta-2 civile, ord. 25.112019, n. 30651, Pres. L.G. Lombardo, Rel. M. Criscuolo).

Anche la Terza Sezione si segnala per significative pronunce.

In tema di locazione di immobile ad uso non abitativo, ha affermato che la clausola del contratto contenente una rinuncia preventiva, da parte del conduttore, all’indennità di avviamento a fronte della riduzione del canone, è, in virtù dell’art. 79 della legge 27 luglio 1978, n. 392, nulla, non essendo precluso al conduttore di rinunciare alla detta indennità successivamente alla conclusione del contratto, quando può escludersi che si trovi in quella posizione di debolezza alla cui tutela la richiamata disciplina è preordinata (Sezione 3, Sentenza 30 settembre 2019, n. 24221, Pres. A. Amendola, Rel. C. Graziosi).

Sempre in tema di locazione di immobili urbani ad uso non abitativo, ha chiarito che gli istituti della prelazione e quello del riscatto, contemplati dall’art. 38 della legge 27 luglio 1978, n. 392, non si applicano al caso in cui una società di persona abbia ceduto in via agevolata, ai sensi dell’art. 1, commi 115-120, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, ai propri soci l’immobile concesso in locazione, avendo il legislatore plasmato l’atto di trasferimento oneroso per renderlo idoneo ad una vera e propria causa tributaria (parziale sgravio fiscale) che viene affiancata, quale specialità del negozio, alla ordinaria causa di compravendita (Sezione 3, Sentenza 30 settembre 2019, n. 24223, Pres. A. Amendola, Rel. C. Graziosi).

Nel medesimo ambito della locazione immobiliare, nel caso in cui il contratto sia stato stipulato dall’usufruttario il quale, nel corso del rapporto, abbia indebitamente percepito somme eccedenti quelle dovute a titolo di canone, ha precisato che alla morte del concedente la domanda del conduttore volta a conseguire la ripetizione delle somme deve essere proposta nei confronti degli eredi dell’usufruttuario, e non già del nudo proprietario divenuto “medio tempore” pieno proprietario (Sezione 3, Sentenza 30 settembre 2019, n. 24222, Pres. A. Amendola, Rel. C. Graziosi).

Ha enunciato, ai sensi dell’art. 363, comma 3, c.p.c., il principio secondo il quale in tema di opposizione all’esecuzione, pur dopo l’abrogazione, ad opera della legge n. 69 del 2009, del divieto di appellabilità – introdotto, modificando l’art. 616 c.p.c., dalla legge n. 52 del 2006 – le sentenze del giudice di pace pronunciate, in ragione del valore della lite, secondo equità necessaria sono appellabili solo per le ragioni indicate dall’art. 339, comma 3, c.p.c., ossia con motivi limitati (Sezione 3, Sentenza, 24 settembre 2019, n. 23623, Pres. F. De Stefano, Est. C. D’Arrigo).

LA Sezione ha, inoltre, rimesso al Primo Presidente, per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite ai sensi dell’art. 374, comma 2, c.p.c., la questione di massima di particolare importanza relativa alla natura, privatistica o tributaria, della tariffa di cui all’art. 238 del d.lgs. n. 152 del 2006 (“Tariffa per la gestione dei rifiuti urbani”, poi denominata “Tariffa Integrata Ambientale”, cd. TIA2) e all’assoggettabilità della stessa ad IVA ai sensi degli artt. 1, 3, 4, commi 2 e 3, del d.P.R. n. 633 del 1972 (Sezione 3, Ord. interlocutoria, 25 settembre 2019, n. 23949/2019, Pres. A. Amendola, Est. G. Positano), in relazione alla quale vi era stata già una pronuncia molto articolata della Sezione Tributaria.

Infine, ha rimesso all’esame del Presidente Titolare, per la valutazione dell’eventuale assegnazione al Collegio previsto dal punto 46.2 delle tabelle 2016/2019 della Corte di cassazione, le seguenti questioni di massima di particolare importanza: a) se, in seguito all’entrata in vigore del d.l. n. 193 del 2016, conv. con modif. in l. n. 225 del 2016, sia rituale l’instaurazione del contraddittorio per il giudizio di legittimità mediante notifica del ricorso al procuratore o difensore costituito per conto di una ormai estinta società di riscossione del gruppo Equitalia nel grado concluso con la sentenza impugnata, anziché alla neoistituita Agenzia delle Entrate – Riscossione;  b) in particolare, se, nella specie, possa considerarsi validamente ultrattivo il mandato conferito nei gradi precedenti al professionista, oppure se debba ritenersi che sia stata chiamata in giudizio una parte non correttamente individuata, trattandosi di soggetto formalmente e notoriamente estinto;  c) se sia poi legittima l’attività difensiva comunque svolta nel giudizio di legittimità dalla citata Agenzia delle Entrate – Riscossione detta Agenzia mediante notifica di controricorso a seguito della notifica del ricorso alla società di riscossione del gruppo Equitalia sopra menzionata (Sezione VI-3, Ordinanza interlocutoria 26 novembre 2019, n. 30885, Pres. R. Frasca, Relatore F. De Stefano).

La Sezione lavoro ha stabilito che il regime indennitario istituito dall’art. 32, comma 5, della l. n. 183 del 2010, si applica anche al contratto di collaborazione a progetto illegittimo, quale fattispecie in cui ricorrono le condizioni della natura a tempo determinato del contratto di lavoro e della presenza di un fenomeno di conversione (Sez. L sentenza n. 24100 del 26 settembre 2019, Pres. U. Berrino, Rel. A.P. Patti).

Ha altresì sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, della l. n. 210 del 1992, in riferimento agli artt. 2, 3 e 32 Cost., nella parte in cui non prevede che il diritto all’indennizzo, istituito e regolato dalla stessa legge ed alle condizioni ivi previste, spetti anche ai soggetti che abbiano subito lesioni e/o infermità, da cui siano derivati danni irreversibili all’integrità psico-fisica, per essere stati sottoposti a vaccinazione non obbligatoria, ma raccomandata, antiepatite A (Sezione Lavoro, Ordinanza interlocutoria 11 ottobre 2019, n. 25697, Presidente A. Manna, Relatore E. D’Antonio).

Infine, nel settore scolastico, ha chiarito che l’art. 485 del d.lgs. n. 297 del 1994, nei casi in cui determina il riconoscimento al personale docente assunto con contratti a termine, e definitivamente immesso in ruolo, di un’anzianità inferiore a quella riconoscibile al docente comparabile assunto a tempo indeterminato, si pone in contrasto con la clausola 4 dell’Accordo quadro allegato alla direttiva n. 99/70/CEE e va pertanto disapplicato; ai fini di tale verifica non vanno presi in considerazione gli intervalli non lavorati, né va applicato il criterio dell’equivalenza di cui all’art. 489 dello stesso decreto (Sezione Lavoro, Sentenza 28 novembre 2019, n. 31149, Presidente G. Napoletano, Relatore A. Di Paolantonio).

Anche la Sezione Tributaria si è distinta nel periodo in esame per alcune pronunce di rilievo.

Ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, in relazione agli artt. 53 e 3 Cost., dell’art. 20 del d.P.R. n. 131 del 1986, nella formulazione risultante a seguito degli interventi operati dall’art. 1, comma 87, della l. n. 205 del 2017 e dall’art. 1, comma 1084, della l. n. 145 del 2018, nella parte in cui dispone che, nell’applicare l’imposta di registro secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, si debbano prendere in considerazione unicamente gli elementi desumibili dall’atto stesso prescindendo da quelli extratestuali e dagli atti ad esso collegati (Sez. T, ordinanza n.  23549, del 23 settembre 2019, Pres. De Masi O., Est. Stalla G.M.).

In tema di ICI, ha rimesso alle Sezioni Unite civili, ai sensi dell’art. 374, comma 2, c.p.c., la risoluzione della seguente questione di massima di particolare importanza: se un’area, prima edificabile e poi assoggettata con legge regionale ad un vincolo di inedificabilità assoluta, sia da considerare «area edificabile» ai fini ICI ove inserita in un programma di cd. “compensazione urbanistica”adottato dal Comune, ancorché il relativo procedimento compensatorio non sia ancora concluso, essendo il diritto edificatorio “in volo”, cioè non essendo stata ancora specificamente individuata – ed assegnata al proprietario – la cd. area di “atterraggio”, ossia l’area su cui deve essere trasferita l’edificabilità già cessata sull’area cd. “di decollo” (Sez. Tributaria, ordinanza interlocutoria 15 ottobre 2019, n. 26016, Presidente C. Di Iasi, Estensore P. D’Ovidio).

In tema di sospensione del processo tributario ai sensi dell’art. 6, comma 10, del d.l. n. 119 del 2018, conv., con modif., in l. n. 136 del 2018, per ottenere l’effetto sospensivo fino al 31 dicembre 2020, doveva essere depositata in cancelleria copia della domanda e del versamento degli importi dovuti o della prima rata entro il termine perentorio del 10 giugno 2019 e, ove la parte si fosse affidata alla spedizione a mezzo servizio postale di tale documentazione, non trova applicazione il principio della dissociazione degli effetti della notifica per notificante e notificato (Corte Cost. n. 28 del 2004), sia in quanto non si tratta di notifica alla parte processualmente codificata, sia in quanto la legge fa riferimento espresso al momento del suo deposito e, dunque, alla ricezione della spedizione come documentata dalla cancelleria con timbro del pervenuto e registrazione sul SIC (Sez. 6-Tributaria, ordinanza n. 28493 del 9 luglio 2019, dep. il 6 novembre 2019, Presidente A. Greco, estensore P. Gori).

A cura di Andrea Penta

Numerose e significative sono state, nell’ultimo bimestre in esame, le pronunce delle Sezioni Unite, sia in ambito processuale che in ambito sostanziale.

Quanto al primo si segnalano le seguenti.

Decisione su istanza di sospensione cd. preesecutiva avanzata ex art. 615, comma 1, c.p.c. – Impugnazione – Modalità.

Le Sezioni Unite, enunciando nell’interesse della legge, su richiesta del Procuratore Generale presso la Corte di cassazione ai sensi dell’art. 363 c.p.c., il principio di diritto al quale il giudice di merito avrebbe dovuto attenersi, hanno affermato che il provvedimento con cui il giudice dell’opposizione all’esecuzione, proposta prima che questa sia iniziata ed ai sensi dell’art. 615, comma 1, c.p.c., decide sull’istanza di sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo è impugnabile col rimedio del reclamo ex art. 669 terdecies c.p.c. al Collegio del tribunale di appartenenza del giudice monocratico – o nel cui circondario ha sede il giudice di pace – che ha emesso il provvedimento (Sezioni Unite, Sentenza n. 19889 del 23 luglio 2019, Pres. G. Mammone, Est. F. De Stefano).

Rapporto fra sezione ordinaria e sezione specializzata per l’impresa – Questione di competenza – Condizioni – Conseguenze.

Le Sezioni Unite, risolvendo un contrasto giurisprudenziale, hanno affermato che il rapporto tra sezione ordinaria e sezione specializzata in materia di impresa, nello specifico caso in cui entrambe le sezioni facciano parte del medesimo ufficio giudiziario, non attiene alla competenza, ma rientra nella mera ripartizione degli affari interni dell’ufficio giudiziario, da cui l’inammissibilità del regolamento di competenza, richiesto d’ufficio ex art. 45 c.p.c.; deve, di contro, ritenersi che rientri nell’ambito della competenza in senso proprio la relazione tra la sezione specializzata in materia di impresa e l’ufficio giudiziario, diverso da quello ove la prima sia istituita (Sezioni Unite, Sentenza n. 19882 del 23 luglio 2019, Pres. G. Mammone, Est. R.M. Di Virgilio).

Giudice della revocazione – Istanza di sospensione del termine per proporre ricorso per cassazione – Accoglimento – Momento di decorrenza dell’effetto sospensivo – Individuazione.

Le Sezioni Unite, risolvendo un contrasto giurisprudenziale, hanno affermato che l’art. 398, comma 4, inciso 2, c.p.c. deve interpretarsi nel senso che l’accoglimento, da parte del giudice della revocazione, dell’istanza di sospensione del termine per proporre ricorso per cassazione determina l’effetto sospensivo (come, del resto, l’eventuale sospensione del corso del giudizio di cassazione, se frattanto introdotto) soltanto dal momento della comunicazione del relativo provvedimento, non avendo la proposizione della citata istanza alcun immediato effetto sospensivo sebbene condizionato al provvedimento positivo del giudice (Sezioni Unite, Sentenza n. 21874 del 30 agosto 2019, Pres. G. Mammone, Est. R. Frasca).

Assegni vitalizi degli ex parlamentari – Controversie relative – Giurisdizione degli organi di autodichia – Sussistenza – Fondamento – Regolamento preventivo di giurisdizione – Ammissibilità – Limiti.

Le controversie relative alle condizioni di attribuzione ed alla misura dell’indennità parlamentare e degli assegni vitalizi per gli ex parlamentari – istituti entrambi riconducibili alla normativa di “diritto singolare” che si riferisce al Parlamento o ai suoi membri a presidio della peculiare posizione costituzionale loro riconosciuta dagli artt. 64 comma 1, 66 e 68 Cost. –  spettano alla cognizione degli organi di autodichia, la cui previsione risponde alla medesima finalità di garantire la particolare autonomia del Parlamento e, quindi, rientra nell’ambito della suddetta normativa di “diritto singolare”; ciò non dà luogo ad una ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione, dato il carattere sostanzialmente giurisdizionale riconosciuto dalla Corte costituzionale agli organi di autodichia nell’esame delle controversie loro attribuite nonchè l’utilizzabilità del regolamento preventivo di giurisdizione, sia pure nei limiti in cui si profili l’eventualità che l’organo di autodichia, alla stregua della natura della controversia e delle deduzioni del convenuto, possa declinare la giurisdizione con conseguente inutilità dell’attività processuale già svolta (S.U., ordinanza n. 18265 dell’8 luglio 2019, Pres. G. Mammone, Est. L. Tria).

In ambito di diritto sostanziale, meritano senz’altro di essere segnalate le seguenti.

Azione di garanzia per i vizi – Manifestazioni extragiudiziali di volontà del compratore espresse nelle forme di cui all’art. 1219, comma 1, c.c. – Efficacia interruttiva della prescrizione – Sussistenza.

Le Sez. U., su questione di massima di particolare importanza, hanno affermato il seguente principio di diritto: “Nel contratto di compravendita costituiscono – ai sensi dell’art. 2943, comma 4, c.c. – idonei atti interruttivi della prescrizione dell’azione di garanzia per i vizi, prevista dall’art. 1495, comma 3 c.c., le manifestazioni extragiudiziali di volontà del compratore compiute nelle forme di cui all’art. 1219, comma 1, c.c., con la produzione dell’effetto generale contemplato dall’art. 2945, comma 1, c.c.” (S.U., n. 18672 del 11 luglio 2019, Pres. G. Mammone, Est. A. Carrato).

Rapporto fra diritto all’oblio ed alla rievocazione storica – Valutazione del giudice di merito – Criteri – Menzione degli elementi identificativi delle persone coinvolte in una vicenda passata – Liceità – Presupposti.

Le Sezioni Unite, a risoluzione di questione di massima di particolare importanza, hanno affermato che, in tema di rapporti tra il diritto alla riservatezza (nella sua particolare connotazione del cd. diritto all’oblio) e quello alla rievocazione storica di fatti e vicende concernenti eventi del passato, il giudice di merito – ferma restando la libertà della scelta editoriale in ordine a detta rievocazione, che è espressione della libertà di stampa protetta e garantita dall’art. 21 Cost. – ha il compito di valutare l’interesse pubblico, concreto ed attuale alla menzione degli elementi identificativi delle persone che di quei fatti e di quelle vicende furono protagonisti. Tale menzione deve ritenersi lecita solo ove si riferisca a personaggi che destino nel momento presente l’interesse della collettività, sia per ragioni di notorietà sia per il ruolo pubblico rivestito; in caso contrario, prevale il diritto degli interessati alla riservatezza rispetto ad avvenimenti del passato che li feriscano nella dignità e nell’onore e dei quali si sia ormai spenta la memoria collettiva (Sezioni Unite, Sentenza n. 19681 del 22 luglio 2019, Pres. G. Mammone, Est. F.M. Cirillo).

Servizio di mensa scolastica – Autorefezione individuale – Diritto soggettivo perfetto ed incondizionato – Configurabilità – Esclusione.

Le Sezioni Unite, a risoluzione di questione di massima di particolare importanza, hanno affermato che non è configurabile, né può costituire oggetto di accertamento da parte del giudice ordinario, un diritto soggettivo perfetto ed incondizionato all’autorefezione individuale, nell’orario della mensa e nei locali scolastici, degli alunni della scuola primaria e secondaria di primo grado, che possono esercitare diritti procedimentali, al fine di influire sulle scelte riguardanti le modalità di gestione del servizio mensa, rimesse all’autonomia organizzativa delle istituzioni scolastiche, in attuazione dei principi di buon andamento dell’amministrazione pubblica (Sezioni Unite, sentenza 30 luglio 2019, n. 20504, Presidente G. Mammone, Relatore A.P. Lamorgese).

Da ultimo, di particolare rilievo sono due pronunce concernenti, rispettivamente, l’ambito tributario e la ragionevole durata del processo.

Decreto ingiuntivo ottenuto dal garante escusso nei confronti del debitore principale – Tassa di registro – Misura proporzionale – Fondamento.

Le Sez. U., a risoluzione di contrasto, hanno affermato che, in tema di imposta di registro, il decreto ingiuntivo ottenuto nei confronti del debitore dal garante che abbia stipulato una polizza fideiussoria e che sia stato escusso dal creditore è soggetto all’imposta con aliquota proporzionale al valore della condanna, in quanto il garante non fa valere corrispettivi o prestazioni soggetti all’imposta sul valore aggiunto, ma esercita un’azione di rimborso di quanto versato (S.U., sentenza n. 18520 del 10 luglio 2019, Pres. G. Mammone, Est. A.M. Perrino).

Equa riparazione – indennizzo da irragionevole durata del processo – notifica del titolo costituito da una sentenza di condanna ex legge Pinto – ritardo da parte dello Stato nel pagamento delle somme ivi liquidate – conseguenze – successiva instaurazione del processo esecutivo – durata del processo esecutivo – equiparazione del processo di ottemperanza alla procedura esecutiva – questione di massima di particolare importanza sollevata dalla II Sezione civile con ordinanze interlocutorie n. 796 del 2019, n. 802 del 2019, n. 806 del 2019, n. 807 del 2019, n. 808 del 2019.

SU – risolvendo questione di massima di particolare importanza – hanno enunciato i seguenti principi di diritto:

  1. Ai fini della decorrenza del termine di decadenza per la proposizione del ricorso ai sensi dell’art. 4 della legge n. 89/2001, nel testo modificato dall’art. 55 d.l. n. 83/2012, conv. nella l. n. 134/2012 risultante dalla sentenza della Corte costituzionale n. 88/2018, la fase di cognizione del processo che ha accertato il diritto all’indennizzo a carico dello Stato- debitore va considerata unitariamente rispetto alla fase esecutiva eventualmente intrapresa nei confronti dello Stato, senza la necessità che essa venga iniziata nel termine di sei mesi dalla definitività del giudizio di cognizione, decorrendo detto termine dalla definitività della fase esecutiva.
  2. Ai fini dell’individuazione della ragionevole durata del processo rilevante per la quantificazione dell’indennizzo previsto dall’art. 2 della l. n. 89/2001, la fase esecutiva eventualmente intrapresa dal creditore nei confronti dello Stato-debitore inizia con la notifica dell’atto di pignoramento e termina allorché diventa definitiva la soddisfazione del credito indennitario.
  3. Nel computo della durata del processo di cognizione ed esecutivo, da considerare unitariamente ai fini del riconoscimento del diritto all’indennizzo ex art. 2 l. n. 89/2001, non va considerato come “tempo del processo” quello intercorso fra la definitività della fase di cognizione e l’inizio della fase esecutiva, quest’ultimo invece potendo eventualmente rilevare ai fini del ritardo nell’esecuzione come autonomo pregiudizio, allo stato indennizzabile in via diretta ed esclusiva, in assenza di rimedio interno, dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.
  4. Il termine di 120 giorni di cui all’art. 14 del d.l. n. 669 del 31 dicembre 1996, conv. dalla legge n. 30 del 28 febbraio 1997, non produce alcun effetto ai fini della ragionevole durata del processo esecutivo.
  5. Il giudizio di ottemperanza promosso all’esito della decisione di condanna dello Stato al pagamento dell’indennizzo di cui alla l. n. 89/2001 deve considerarsi sul piano funzionale e strutturale pienamente equiparabile al procedimento esecutivo, dovendosi considerare unitariamente rispetto al giudizio che ha riconosciuto il diritto all’indennizzo (Sezioni Unite, Sentenza n. 19883 del 23 luglio 2019, Pres. V. Di Cerbo, Est. R.G. Conti).

La Sezione I si segnala per un’ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite.

Assegno – Responsabilità della banca negoziatrice – Invio del titolo per posta – Pagamento a soggetto non legittimato – Concorso di colpa del danneggiato ex art. 1227, comma 1, c.c. – Configurabilità – Questione di massima di particolare importanza.

La Prima Sezione civile della Cassazione ha rimesso al Primo Presidente, per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite ai sensi dell’art. 374, comma 2, c.p.c., la seguente questione di massima di particolare importanza: se possa ravvisarsi un concorso del danneggiato, ai sensi dell’art. 1227, comma 1, c.c., nella spedizione di un assegno a mezzo posta – sia essa ordinaria, raccomandata o assicurata – con riguardo al pregiudizio patito dal debitore che non sia liberato dal pagamento, in quanto il titolo venga trafugato e pagato a soggetto non legittimato in base alla legge cartolare di circolazione (Sezione 1, ordinanza interlocutoria n. 20900 del 5 agosto 2019, Pres. C. De Chiara, est. L. Solaini; Prima Sezione civile, ordinanze interlocutorie nn. 22015 e 22016 del 3 settembre 2019, Pres. C. De Chiara, est. L. Nazzicone).

Numerosi sono i provvedimenti adottati nel bimestre in esame dalla Sezione II che meritano di essere posti in rilievo.

intermediazione finanziaria – abuso di informazioni privilegiate commesso da “insider” secondari – carattere maggiormente afflittivo del trattamento sanzionatorio previsto dalla l. n. 62 del 2005 rispetto a quello previgente – conseguenze.

A seguito della sentenza n. 223 del 2018 della Corte Costituzionale, la misura sanzionatoria della confisca per equivalente, prevista dall’art. 187-bis del T.U.F., come novellato dalla l. n. 62 del 2005, per l’abuso di informazioni privilegiate ad opera degli “insider” secondari, non può trovare applicazione relativamente ai fatti commessi prima della l. n. 62 cit., versandosi in presenza di trattamento sanzionatorio più sfavorevole per l’interessato (Sezione Seconda Civile, Sentenza 5 luglio 2019, n. 18201, Presidente A. Giusti, Relatore. A. Scarpa).

CONSOB – Ricezione delle risultanze delle ispezioni della Banca d’Italia – Utilizzabilità di queste al fine di irrogare sanzioni – Ammissibilità – Necessità di nuovi accertamenti – Esclusione – Fondamento.

La CONSOB, nell’infliggere una sanzione di sua competenza, può avvalersi degli esiti, ad essa comunicati, della verifica ispettiva svolta dalla Banca d’Italia, non essendo necessario che allo scambio di informazioni faccia seguito, da parte dell’Autorità ricevente, l’espletamento in via autonoma di nuovi accertamenti, atteso che, alla luce del principio di buon andamento della pubblica amministrazione, vanno evitate duplicazioni di attività e ridotti al minimo gli oneri dei soggetti vigilati (Sezione 2, Sentenza n. 21017 del 6 agosto 2019, Pres. S. Petitti, Rel. A. Giusti).

Termine semestrale ex Art. 327 c.p.c. introdotto dalla l. n. 69 del 2009 – Evento interruttivo verificatosi dopo il decorso di metà di tale termine – Conseguenze – Proroga del termine lungo di impugnazione di tre mesi dal giorno dell’evento.

Nei processi soggetti alla riduzione a sei mesi del termine ex art. 327 c.p.c., come riformulato ad opera della l. n. 69 del 2009, l’art. 328, comma 3, c.p.c. va interpretato nel senso che, ove dopo il decorso della metà del termine di cui al cit. art. 327 c.p.c. si verifichi uno degli accadimenti previsti dall’art. 299 c.p.c., il termine lungo di impugnazione è prorogato, per tutte le parti, di tre mesi dal giorno di tale evento (Sezione Seconda Civile, Sentenza 30 luglio 2019, n. 20529, Presidente F. Manna, Relatore. R. Sabato).

Patto fiduciario – Diritti reali immobiliari – Dichiarazione unilaterale del fiduciario – Rilevanza – Presupposti. 

La Seconda Sezione civile della Cassazione ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, ai fini della composizione di un rilevato contrasto e della soluzione di questione di massima di particolare importanza, in ordine al fatto se il patto fiduciario concernente diritti reali immobiliari non possa risultare da una dichiarazione unilaterale del fiduciario e, in questa ultima ipotesi, in presenza di quali requisiti tale dichiarazione unilaterale possa integrare gli estremi dell’atto scritto in presenza della volontà del fiduciante di avvalersene anche in giudizio (Sezione 2, ordinanza interlocutoria n. 20934 del 5 agosto 2019, Pres. F. Manna, Rel. Giu. Grasso).

Conflitto di competenza ex articolo 45 c.p.c. – Termine ultimo per l’elevazione – Individuazione – Applicabilità o meno dell’art. 38 c.p.c. con riferimento al grado di appello.

La Sesta Sezione Civile, sottosezione seconda, di questa Corte ha rimesso al Primo Presidente, per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite ai sensi dell’art. 374, comma 2, c.p.c., le seguenti questioni di massima di particolare importanza: a) se il conflitto di competenza ai sensi dell’articolo 45 c.p.c. debba essere sollevato anche dal giudice di appello (al pari di quello di primo grado) in limine litis a pena di preclusione; b) se, in tal caso, o, più in generale, con riferimento all’articolo 341 c.p.c., sia applicabile l’articolo 38, comma 1, c.p.c. (attuale comma 3 del medesimo articolo a seguito delle modifiche introdotte dalla l. n. 69 del 2009) alla luce delle specificità del giudizio di impugnazione e alla stregua del giudizio di compatibilità richiesto dall’articolo 359 c.p.c. (Sesta Sezione Civile, Ord. interlocutoria, 28 giugno 2019, n. 17609, Pres. P. D’Ascola, Est. G. Fortunato).

C.t.u. – Attività ultimate dopo la scadenza del termine concesso dal giudice – Compenso – Decurtazione degli onorari ex art. 52, del d.P.R. n. 115 del 2002 – Potere di graduazione del giudice di merito – Esclusione.

La decurtazione degli onorari prevista dall’art. 52 del d.P.R. n. 115 del 2002 per il caso in cui il consulente tecnico completi le attività delegategli oltre il termine, originario o prorogato, assegnatogli dal magistrato, non è suscettibile di graduazione con riferimento al “quantum”, né all’entità del ritardo in cui è incorso l’ausiliario nel deposito della relazione, trattandosi di sanzione finalizzata a prevenire comportamenti non virtuosi del consulente, nonché indebite dilatazioni dei tempi processuali (Sezione Seconda Civile, Ordinanza 10 settembre 2019, n. 22621, Presidente S. Gorjan, Relatore. S. Oliva).

processo amministrativo presupposto, pendente al 16 settembre 2010 e non soggetto all’art. 2, comma 1, della l. n. 89 del 2001, novellato dalla l. n. 208 del 2015 – sentenza n. 34 del 2019 della corte cost. – mancata presentazione dell’istanza di prelievo – conseguenze.

In relazione all’irragionevole durata dei processi amministrativi pendenti al 16 settembre 2010 e non soggetti all’art. 2, comma 1, della l. n. 89 del 2001, novellato dalla l. n. 208 del 2015, a seguito della sentenza n. 34 del 2019 della Corte Costituzionale, dichiarativa dell’illegittimità dell’art. 54, comma 2, del d.l. n. 112 del 2008, come novellato dal d. lgs. n. 104 del 2010, la presentazione dell’istanza di prelievo nel giudizio presupposto non rappresenta più una condizione di proponibilità della domanda di equa riparazione, ma può costituire elemento indiziante di una sopravvenuta carenza o di non serietà dell’interesse della parte alla decisione del ricorso, potendo assumere rilievo ai fini della quantificazione dell’indennizzo (Sezione Seconda Civile, Ordinanza 2 settembre 2019, n. 21959, Presidente S. Petitti, Relatore. M. Criscuolo). La Seconda Sezione Civile di questa Corte, pronunciandosi in seguito alla declaratoria di incostituzionalità dell’art. 54, comma 2, del d.l. n. 112 del 2008 e successive modifiche, intervenuta con la sentenza della Corte Costituzionale n. 34 del 2019, ha stabilito che, in relazione al procedimento amministrativo, la proponibilità della domanda di equo indennizzo non è subordinata alla presentazione dell’istanza di prelievo per contrasto con i parametri convenzionali CEDU (art. 6, par. 1; (Sezione 2, Sentenza, 26 agosto 2019, n. 21709, Pres. S. Petitti, Est. A. Casadonte).

Estensione della relativa domanda al periodo di ulteriore durata del processo presupposto – “Mutatio libelli” – Esclusione – Fondamento – Rito applicabile a tale estensione – Individuazione.

In tema di equa riparazione, la successiva estensione della domanda di indennizzo al periodo di ulteriore durata del processo presupposto non costituisce “mutatio libelli”, venendo in rilievo una protrazione della medesima violazione, oggetto di specifica integrazione dell’originaria domanda ed insuscettibile di ledere il principio del contraddittorio. Inoltre, il rito applicabile a tale estensione, pure ove essa sia stata richiesta dopo l’entrata in vigore della l. n. 134 del 2012, resta quello dell’epoca di introduzione del giudizio “ex lege” Pinto, in ragione del carattere unitario dello stesso, nonostante quest’ultimo sia stato instaurato nel sistema regolato dalla normativa antecedente la citata l. n. 134 (Sezione Seconda Civile, Ordinanza n. 22300 del 5 settembre 2019, Presidente S. Petitti, Relatore R. Giannaccari).

Patrocinio a spese dello Stato – Istanza di liquidazione presentata successivamente alla definizione del giudizio cui inerisce l’attività del difensore – Decadenza – Esclusione.

L’art. 83, comma 3-bis del d.P.R. n. 115 del 2002 non prevede alcuna decadenza a carico del difensore della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato che abbia depositato l’istanza di liquidazione del compenso dopo la pronuncia del provvedimento che chiude la fase cui la richiesta stessa inerisce, né impedisce al giudice di potersi pronunziare su di essa dopo essersi pronunciato definitivamente sul merito (Sezione Seconda Civile, Sentenza 9 settembre 2019, n. 22448, Presidente S. Petitti, Relatore. M. Criscuolo),

Confisca per equivalente ex art. 187 sexies T.u.f. – Violazioni commesse anteriormente all’entrata in vigore della l. n. 62 del 2005 – Inapplicabilità – Fondamento.

La Seconda Sezione Civile di questa Corte, pronunciandosi in seguito alla declaratoria di incostituzionalità dell’art. 9, comma 6, della l. n. 62 del 2005, intervenuta con la sentenza della Corte Costituzionale n. 223 del 2018, ha escluso l’applicazione retroattiva della sanzione accessoria della confisca per equivalente con riguardo agli illeciti commessi in data antecedente all’introduzione della suddetta misura (Sezione 2, Sentenza, 26 agosto 2019, n. 21700, Pres. A. Giusti, Est. L. Varrone).

Sequestro giudiziario di azienda composta da beni mobili ed immobili – Modalità di attuazione in caso di divergenza tra custode e detentore – Sufficienza della consegna all’ufficiale giudiziario dell’avviso ex art. 608 c.p.c. relativamente agli immobili.

Se il custode è persona diversa dal detentore e l’azienda è composta da beni mobili ed immobili, l’attuazione del sequestro è regolata dall’art. 677 c.p.c. e, pertanto, può compiersi con le formalità di cui agli artt. 605 c.p.c., per i mobili, e quelle di cui all’art. 608 c.p.c. per gli immobili. Relativamente a questi ultimi, in particolare, tenuto conto delle modifiche apportate all’art. 608 c.p.c. dal d.l. n. 35 del 2005, al fine di impedire l’inefficacia della misura è sufficiente, per ragioni di ordine sistematico, che il sequestrante consegni all’ufficiale giudiziario l’avviso ex art. 608, comma 1, c.p.c. entro il termine perentorio di trenta giorni dalla pronuncia, ai sensi dell’art. 675 c.p.c.  (Sezione Seconda Civile, Ordinanza 13 settembre 2019, n. 22945, Presidente F. Manna, Relatore. G. Fortunato).

La Sezione III si segnala per tre pronunce.

Giudizio di risarcimento danni da responsabilità civile automobilistica – Giudicato favorevole al danneggiato conseguito nei confronti del solo danneggiante assicurato – Opponibilità all’assicuratore obbligatorio – Esclusione – Fondamento – Efficacia probatoria del giudicato formatosi “inter alios”.

In tema di assicurazione obbligatoria sulla responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti, il giudizio di condanna del danneggiante non può essere opposto dal danneggiante che agisca in giudizio nei confronti dell’assicuratore ed ha, in tale giudizio, esclusivamente efficacia di prova documentale, al pari delle prove acquisite nel processo in cui il giudicato si è formato (Sezione 3, n. 18325 del 9 luglio 2019, Pres. U. Armano, est. E. Scoditti).

115. Processo civile, Opposizione a decreto ingiuntivo – Onere di esperire il tentativo di mediazione – Individuazione della parte gravata – Parte opponente o parte opposta – Questione di massima di particolare importanza.

La Terza Sezione civile della Cassazione ha rimesso al Primo Presidente, per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite ai sensi dell’art. 374, comma 2, c.p.c., la seguente questione di massima di particolare importanza: se, in tema di opposizione a decreto ingiuntivo, l’onere di esperire il tentativo obbligatorio di mediazione ricada sul debitore opponente, in quanto parte interessata all’instaurazione e alla prosecuzione del processo ordinario di cognizione, posto che, in difetto, il decreto acquista esecutorietà e passa in giudicato, ovvero sulla parte opposta, che ha proposto la domanda di ingiunzione ed è attore in senso sostanziale, tenuto conto che l’art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2010 onera dell’attivazione della condizione di procedibilità della domanda giudiziale “chi intende esercitare in giudizio una azione” (Sezione 3, ordinanza interlocutoria n. 18741 del 12 luglio 2019, Pres. R. Vivaldi, est. E. Scoditti).

Controversie tra organismi di telecomunicazione e utenti – Tentativo di conciliazione ex art. 11 l. n. 249 del 1997 – Procedimento monitorio – Obbligatorietà  – Questione – Conseguenze nella successiva fase di opposizione.

La Terza Sezione Civile di questa Corte ha rimesso al Primo Presidente, per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite ai sensi dell’art. 374, comma 2, c.p.c., le seguenti questioni di massima di particolare importanza: a) se, nella materia delle telecomunicazioni, il tentativo di conciliazione di cui all’art. 11 della legge n. 249 del 2007 sia o meno obbligatorio anche con riferimento al procedimento monitorio; b) nel caso in cui si ritenga obbligatorio il tentativo di conciliazione, se il mancato esperimento dello stesso determini l’improcedibilità ovvero l’improponibilità della domanda; c) nel caso in cui si reputi non obbligatorio il tentativo di conciliazione con riferimento al procedimento monitorio (come ritenuto da Sez. 3, n. 25611/2016, Rv. 64233401), quale sia, nella successiva fase dell’opposizione – ove si ritenga applicabile per estensione la disciplina di cui al d.lgs. n. 28 del 2010, con disapplicazione dell’art. 2, comma 2, della delibera AGCOM 173/07/CONS – la parte sulla quale grava l’onere dell’attivazione del tentativo di conciliazione e quali siano le conseguenze dell’eventuale inosservanza di tale onere sulla sorte del decreto ingiuntivo (Sezione 3, Ord. interlocutoria, 20 giugno 2019, n. 16594, Pres. G. Travaglino, Est. P. Gianniti).

Da ultimo, la Sezione Tributaria ha rimesso gli atti al Primo Presidente, per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, di due questioni oggetto di contrasto nella giurisprudenza di legittimità.

IVA – Rimborso – Sospensione – Disciplina dell’art. 38-bis d.P.R. n. 633 del 1972 – Esaustività –Contrasto.

Sanzioni – Art. 23, comma 1, d.lgs. n. 472 del 1997 – Ambito applicativo – contrasto.

La prima questione è se, nell’ipotesi di richiesta di rimborso di un credito IVA, l’amministrazione finanziaria che abbia ottenuto dal contribuente una fideiussione ai sensi dell’art. 38-bis, comma 1, del d.P.R. n. 633 del 1972, ove contesti al creditore un controcredito derivante dall’irrogazione delle sanzioni, possa fare uso, oltre che della sospensione prevista da tale norma, anche di altri strumenti ed, in particolare, di quelli contemplati dagli artt. 23, comma 1, del d.lgs. n. 472 del 1997 e 69 del r.d. n. 2440 del 1963.

La seconda questione ha per oggetto, invece, l’ambito di applicazione dell’art. 23, comma 1, del d.lgs. n. 472 del 1997 ed, in particolare, circa l’operatività di tale disposizione nel caso di atto di irrogazione delle sanzioni non annullato definitivamente (Sez. T, ordinanza interlocutoria n.  16567, del 20 giugno 2019, Pres. Manzon E., Est. D’Aquino F.).

[classificazione]

CONVENZIONE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO E DELLE LIBERTÀ FONDAMENTALI – EQUA RIPARAZIONE PER IRRAGIONEVOLE DURATA DEL PROCESSO – QUESTIONE DI LEGITTIMITA’ COSTITUZIONALE

[riferimenti normativi]

Convenzione EDU, artt. 6 e 13

Costituzione, artt. 111 e 117

Legge n. 89/2001, artt. 2 e 4

[sentenze segnalate]

Cass. civ., Sezioni  Unite, sentenze nn. 19883/2019, 19884/2019, 19885/2019, 19886/2019, 19887/2019, 19888/2019, ud. 18.6.2019, dep. 23.7.2019

Con le sei sentenze in rassegna – che fissano un nucleo compatto di principi di diritto sulla cui base i ricorsi per cassazione ivi esaminati vengono, alcuni, accolti e, altri, rigettati – le Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione tornano  –  per la quarta volta in dieci anni, dopo gli interventi del 2009 (sentt. nn. 27348 e 27365), del 2014 (sentt.   dalla n.6312 alla n. 6318) e del 2016 (sent. n. 9142)  –  sulla vexata quaestio del rapporto tra giudizio di cognizione e giudizio di esecuzione ai fini del riconoscimento e della quantificazione dell’equa riparazione del danno da durata non ragionevole del processo, con particolare riferimento al processo avente ad oggetto, a propria volta, l’indennizzo di cui alla legge n. 89/2001 (c.d. “Pinto su Pinto”).

Nelle controversie definite con dette sentenze si discuteva infatti – sotto le diverse angolazioni derivanti dalle diversità dei casi concreti oggetto di giudizio – delle seguenti questioni:

  1. Se il termine di decadenza per la proposizione del ricorso per l’equa riparazione da durata non ragionevole di un procedimento Pinto decorra dalla definitività della fase esecutiva in tutti i casi o solamente nei casi in cui l’esecuzione venga iniziata entro sei mesi dalla definitività del giudizio di cognizione.
  2. Quando debba collocarsi,  ai fini dell’individuazione della ragionevole durata del processo, l’inizio e la fine della fase esecutiva eventualmente intrapresa dal creditore nei confronti dello Stato-debitore.
  3. Se il tempo intercorso fra la definitività della fase di cognizione e l’inizio della fase esecutiva vada considerato come “tempo del processo”, da ricomprendere nel computo della durata unitaria del processo di cognizione ed esecutivo; o se, invece, esso rilevi come mero ritardo nell’esecuzione, indennizzabile  – quale pregiudizio autonomo e diverso dal tempo del processo (di cognizione e) di esecuzione –  in via diretta ed esclusiva (in assenza di rimedio interno) dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.
  4. Se il termine di 120 giorni di cui all’art. 14 del d.l. n. 669 del 31 dicembre 1996, conv. dalla legge n. 30 del 28 febbraio 1997,  produca effetti ai fini della ragionevole durata del processo esecutivo.
  5. Se il  giudizio di ottemperanza promosso all’esito della decisione di condanna dello Stato al pagamento dell’indennizzo di cui alla l. n. 89/2001 vada considerato pienamente equiparabile al procedimento esecutivo.

Le Sezioni Unite risolvono tali questioni enunciando i seguenti principi di diritto.

  1. Ai fini della decorrenza del termine di decadenza per la proposizione del ricorso ai sensi dell’art. 4 della legge n. 89/2001, nel  testo modificato dall’art. 55 d.l. n. 83/2012, conv. nella l. n. 134/2012,  risultante dalla sentenza della Corte costituzionale n. 88/2018, la fase di cognizione del processo che ha accertato il diritto all’indennizzo a carico dello Stato-debitore va considerata unitariamente rispetto alla fase esecutiva eventualmente intrapresa nei confronti dello Stato, senza la necessità che essa venga iniziata nel termine di sei mesi dalla definitività del giudizio di cognizione, decorrendo detto termine dalla definitività della fase esecutiva.
  2. Ai fini dell’individuazione della ragionevole durata del processo rilevante per la quantificazione dell’indennizzo previsto dall’art. 2 della l. n. 89/2001, la fase esecutiva eventualmente intrapresa dal creditore nei confronti dello Stato-debitore inizia con la notifica dell’atto di pignoramento e termina allorché diventa definitiva la soddisfazione del credito indennitario.
  3. Nel computo della durata del processo di cognizione ed esecutivo, da considerare unitariamente ai fini del riconoscimento del diritto all’indennizzo ex art. 2 l. n. 89/2001, non va considerato come “tempo del processo” quello intercorso fra la definitività della fase di cognizione e l’inizio della fase esecutiva, quest’ultimo invece potendo eventualmente rilevare ai fini del ritardo nell’esecuzione come autonomo pregiudizio, allo stato indennizzabile in via diretta ed esclusiva, in assenza di rimedio interno, dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.
  4. Il termine di 120 giorni di cui all’art. 14 del d.l. n. 669 del 31 dicembre 1996, conv. dalla legge n. 30 del 28 febbraio 1997, non produce alcun effetto ai fini della ragionevole durata del processo esecutivo.
  5. Il giudizio di ottemperanza promosso all’esito della decisione di condanna dello Stato al pagamento dell’indennizzo di cui alla l. n. 89/2001 deve considerarsi sul piano funzionale e strutturale pienamente equiparabile al procedimento esecutivo, dovendosi considerare unitariamente rispetto al giudizio che ha riconosciuto il diritto all’indennizzo.

Particolarmente rilevante è il principio  sub 1),  al quale è strettamente correlato il principio  sub 3), che torna ad intervenire su una  questione su cui la giurisprudenza di legittimità ha, fino ad ora, stentato a trovare un approdo definitivo, vale a dire  la questione del rapporto fra durata del giudizio di cognizione e durata delle giudizio di esecuzione, ai fini della determinazione della durata del giudizio e, quindi del riconoscimento e della quantificazione dell’ indennizzo spettante per la durata eccedente il limite di ragionevolezza.

Nel  2009, come è noto, le Sezioni Unite  avevano predicato l’assoluta autonomia del giudizio di cognizione e del giudizio di esecuzione, con la duplice conseguenza che il tempo del primo e quello del secondo giudizio non potevano essere sommati, ai fini della verifica del superamento della durata ragionevole di cui alla legge 89/2001, e che il termine per azionare il diritto all’ equa riparazione per l’irragionevole durata del giudizio di cognizione decorreva dalla conclusione di tale giudizio, a prescindere dalla eventuale instaurazione di un procedimento di esecuzione.

Con le sentenze del 2014, specificamente rese con riferimento a giudizi Pinto,  le stesse Sezioni Unite  per contro, recependo le indicazioni provenienti dalla Corte di Strasburgo, qualificarono il giudizio di cognizione e quello di esecuzione (o di ottemperanza) come due fasi di un unico giudizio, volto a dare soddisfazione al diritto ivi azionato; donde la  cumulabilità della durata di entrambe le fasi, ai fini dell’accertamento dell’eventuale superamento dei limiti di ragionevole durata del processo,  e la possibilità di agire per l’ equa riparazione del giudizio di cognizione nel termine decadenza decorrente dalla conclusione del procedimento di esecuzione.

Con la sentenza del 2016, riferita ad un caso di durata non ragionevole di un giudizio civile “non Pinto”, le Sezioni Unite ritennero poi di dover circoscrivere l’ambito applicativo dell’orientamento enunciato nel 2014 e affermarono – al dichiarato scopo «di preservare la certezza delle situazioni giuridiche e di evitarne l’esercizio abusivo» – che la valutazione unitaria dei procedimenti di cognizione e di esecuzione, ai fini della verifica del rispetto dei limiti di ragionevole durata del processo, potesse essere operata solo nei casi in cui il giudizio di esecuzione era stato introdotto entro sei mesi dalla definizione del giudizio di cognizione.

Quest’ultimo orientamento è stato ora, ancora una volta, ribaltato con le sentenze in rassegna che, tornando sostanzialmente alle posizioni del 2014, hanno affermato che il giudizio di cognizione e quello di esecuzione costituiscono un unicum,  ai fini della tutela del diritto alla ragionevole durata del processo riconosciuto dall’articolo 6  CEDU, con la duplice conseguenza che, per un verso, le relative durate si sommano e, per altro verso, il termine di decadenza per l’esercizio dell’azione di equa riparazione (ossia per l’instaurazione del giudizio “Pinto su Pinto”) decorre dal momento della conclusione del giudizio di esecuzione (identificato in quello della definitiva soddisfazione del credito indennitario) anche nei casi in cui tale giudizio sia stato instaurato (con la notifica dell’atto di pignoramento) dopo il decorso di sei mesi dalla conclusione del giudizio di cognizione (vale a dire, dal passaggio in giudicato della sentenza che ha riconosciuto e quantificato l’equa riparazione).

Quanto al tempo intercorrente tra la definizione del giudizio di cognizione e l’instaurazione del giudizio di esecuzione, le pronunce del 2019 hanno affermato –  anche qui in sostanziale continuità con gli arresti del 2014 – che esso non può essere considerato “tempo del processo”  e, quindi, non può essere indennizzato secondo il rimedio interno di cui alla legge 89/2001; tale tempo, tuttavia – in quanto tempo di ritardo nell’esecuzione a cui lo Stato debitore è tenuto a provvedere, secondo la giurisprudenza convenzionale, anche in assenza di iniziative del creditore – può peraltro costituire fonte di un pregiudizio autonomo e distinto rispetto a quello derivante dall’irragionevole durata del processo; pregiudizio il cui indennizzo, in assenza di rimedio interno,  può essere richiesto direttamente ed esclusivamente indennizzabile alla Corte EDU.

A fondamento del revirement rispetto alla sentenza del 2016 le  Sezioni Unite del 2019 pongono proprio la necessità di ancorarsi saldamente  alla giurisprudenza della Corte EDU, teorizzando esplicitamente – con richiamo a SSUU n.33208/2018, C. cost. n.49/2015, C. cost. nn. 24 e 25 del 2019 – che la funzione del giudice nazionale è  «quella di cooperare attivamente, anche attraverso l’interpretazione convenzionalmente orientata, alla protezione dei diritti fondamentali, dialogando con la giurisprudenza delle Corti costituzionali e sovranazionali in modo da offrire un livello elevato di protezione dei diritti fondamentali».

In particolare, nelle sentenze in rassegna si fa leva, per un verso, sulla sentenza della Corte EDU Bozza c. Italia, del 14 settembre 2017 e, per altro verso, sulla vicenda della cancellazione dal ruolo della Corte EDU della causa Di Blasi e altri c. Italia (ríc. n. 42256/2012, dec.).

Nella  sentenza Bozza c. Italia (concernente una vicenda originata dalla illegittima durata di un processo “non Pinto”) la Corte EDU – dopo aver ricordato che, secondo la propria giurisprudenza, l’ esecuzione fa parte integrante del “processo”, ai sensi dell’articolo 6 CEDU (sentenze  Hornsby c. Grecia, del 19 marzo 1997, Silva Pontes c. Portogallo, del 23 marzo 1994, Di Pede e Zappia c. Italia del 26 settembre 1996, Bourdov c. Russia del 7 maggio 2002) – distingue nettamente tra debitore-privato e debitore-pubblica amministrazione, stabilendo che, nel primo caso, agli Stati contraenti spetta soltanto garantire l’assistenza necessaria affinché il diritto rivendicato trovi la sua effettiva realizzazione (potendo rispondere dei ritardi dell’esecuzione soltanto se le autorità pubbliche implicate nelle procedure non diano prova della diligenza richiesta o impediscono l’esecuzione stessa), mentre, nel secondo caso, lo Sato risponde per il fatto stesso della  ritardata soddisfazione del credito recata dal titolo esecutivo; si veda, in termini, Bozza c. Italia § 45: «quando viene pronunciata una sentenza contro lo Stato, il privato che ha ottenuto una sentenza contro quest’ultimo non deve di norma avviare un procedimento distinto per ottenerne l’esecuzione forzata (Metaxas, sopra citata, § 19). È sufficiente che sia regolarmente notificata all’autorità nazionale interessata (Akachev c. Russia, n. 30616/05, § 21, 12 giugno 2008) o che siano espletati alcuni adempimenti processuali di natura formale (Chvedov c. Russia, n. 69306/01, §§ 29-37, 20 ottobre 2005, e Kosmidis e Kosmidou c. Grecia, n. 32141/04, § 24, 8 novembre 2007). Il suo obbligo di cooperare non deve tuttavia eccedere quanto strettamente necessario all’esecuzione della decisione e, in ogni caso, non esonera l’amministrazione dall’obbligo di agire di propria iniziativa e nei termini previsti (Akachev, sopra citata, § 22, Bourdov, sopra citata, § 35, e Koukalo c. Russia, n. 63995/00, § 49, 3 novembre 2005), in particolare organizzando il proprio sistema giudiziario (si vedano, mutatis mutandis, Comingersoll S.A. c. Portogallo [GC], n. 35382/97, § 24, CEDU 2000 IV, e Frydlender c. Francia [GC], n. 30979/96, § 45, CEDU 2000 VII)».

Quanto alla causa Di Blasi e altri c. Italia – introdotta dai ricorrenti dopo che la loro domanda di equa riparazione,  presentata oltre sei mesi dopo la definizione della giudizio presupposto svoltosi dinanzi al Tar Lazio, era stata giudicata inammissibile nonostante l’ esperimento del giudizio di ottemperanza per l’esecuzione del giudicato amministrativo – la stessa fu cancellata dal ruolo dalla Corte EDU, ai sensi dell’art.37, § 1 lett. c), CEDU,  dopo che il Governo italiano aveva offerto ai ricorrenti una somma a titolo d’indennizzo, depositando la dichiarazione che «les requérants… ont subi la violation de l’article 6 § 1 della CEDU, selon les principes exprimés per la Cour EDH dans le affaires Di Pede c. Italie,…Hornsby c. Gréce.., Metaxas c. Grèce…et Burdov n.2 C. Russie».

 Va altresì sottolineato come le  sentenze in rassegna rimarchino la piena efficacia e vincolatività di una  decisione della Corte EDU che disponga  la cancellazione della causa dal ruolo sulla base della dichiarazione di riconoscimento della violazione di un diritto fondamentale, richiamando, sul punto, il precedente di Cass. pen., n. 50919/2018, Frascati, nonché la disposizione di cui all’articolo 1, comma 421, della legge 27 dicembre 2013 n. 147, introduttiva di  una norma di interpretazione autentica secondo la quale, ai fini del diritto di rivalsa dello Stato per gli oneri finanziari sostenuti per la definizione delle controversie dinanzi alla Corte EDU,  sono comprese anche le controversie concluse con decisione di radiazione o cancellazione della causa dal ruolo ai sensi degli articoli 37 e 39 CEDU.

Le sentenze in esame traggono quindi, dai convergenti segnali offerti dalla Corte EDU con la pronuncia della sentenza Bozza c. Italia e con la cancellazione dal ruolo della causa Di Blasi e altri c. Italia, la conclusione del definitivo assestamento della giurisprudenza convenzionale nel senso della non necessità di promuovere la fase esecutiva nei confronti del debitore quando questi (e soltanto quando questi)  coincida con lo Stato e, conseguentemente, affermano che, per poter considerare unitariamente il giudizio di cognizione ed il giudizio di opposizione aventi ad oggetto l’accertamento e la soddisfazione di un credito nei confronti dello Stato, non vi è alcuna necessità che il giudizio di esecuzione venga introdotto entro il termine di sei mesi dalla conclusione del giudizio di cognizione, essendo lo Stato «tenuto ad adempiere l’obbligazione pecuniaria senza che sia possibile individuare una condotta abusiva da parte del creditore che rimanga inerte, in attesa dell’adempimento spontaneo del debitore-Stato».

Nel bimestre in esame numerose e significative sono state le pronunce delle Sezioni Unite.

Decidendo su questione di massima di particolare importanza, hanno affermato che la grave violazione di legge, fonte di responsabilità ai sensi dell’art. 2, lett. a) della l. n. 117 del 1988, nel testo anteriore alle modifiche apportate dalla l. n. 18 del 2015, va individuata nelle ipotesi in cui la decisione appaia non essere frutto di un consapevole processo interpretativo, ma contenga affermazioni ad esso non riconducibili perchè sconfinanti nel provvedimento abnorme o nel diritto libero, e pertanto caratterizzate da una negligenza inesplicabile, prima ancora che inescusabile, restando pertanto sottratta alla operatività della clausola di salvaguardia di cui all’art. 2, comma 2 della legge citata, ipotesi che può verificarsi in vari momenti dell’attività prodromica alla decisione, in cui la violazione non si sostanzia negli esiti del processo interpretativo, ma ne rimane concettualmente e logicamente distinta, ossia quando l’errore del giudice cada sulla individuazione, ovvero sulla applicazione o, infine, sul significato della disposizione, intesa quest’ultima come fatto, come elaborato linguistico preso in considerazione dal giudice che non ne comprende la portata semantica (Sez. Unite, sentenza n. 11747 del 3 maggio 2019, Presidente G. Mammone, Estensore L. Rubino).  

Con la stessa pronuncia, hanno affermato che, in tema di responsabilità civile dello Stato per danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie, la presenza di una motivazione non è condizione necessaria e sufficiente ad escludere sempre la ammissibilità di un’azione di responsabilità per grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile, ma è di certo ausilio alla comprensibilità della decisione e quindi, di regola, è un elemento per escludere, alla luce del testo originario della l. n. 117 del 1988, la stessa sindacabilità della scelta decisionale, in quanto consapevole frutto del processo interpretativo; per contro, non tutti i casi di mancanza della motivazione, ancorchè la pronunzia si ponga in contrasto con l’orientamento giurisprudenziale maggioritario, sono fonte di responsabilità, purchè la scelta interpretativa sia ugualmente riconoscibile.

Decidendo su altra questione di massima di particolare importanza, hanno affermato che il rifiuto di procedere alla trascrizione nei registri dello stato civile di un provvedimento giurisdizionale straniero con il quale sia stato accertato il rapporto di filiazione tra un minore nato all’estero ed un cittadino italiano, se non determinato da vizi formali, dà luogo ad una controversia di stato, da risolversi mediante il procedimento disciplinato dall’art. 67 della legge n. 218 del 1995, in contraddittorio con il Sindaco, in qualità di ufficiale dello stato civile, ed eventualmente con il Ministero dell’interno, legittimato a spiegare intervento nel giudizio, in qualità di titolare della competenza in materia di tenuta dei registri dello stato civile, nonché ad impugnare la relativa decisione (Sez. Unite, sentenza n. 12193 dell’8 maggio 2019, Presidente G. Mammone, Estensore G. Mercolino).  

A risoluzione di contrasto, hanno affermato che l’onere di allegazione gravante sull’istituto di credito che, convenuto in giudizio, voglia opporre l’eccezione di prescrizione al correntista che abbia esperito l’azione di ripetizione di somme indebitamente pagate nel corso del rapporto di conto corrente assistito da un’apertura di credito, è soddisfatto con l’affermazione dell’inerzia del titolare del diritto e la dichiarazione di volerne profittare, senza che sia anche necessaria l’indicazione di specifiche rimesse solutorie (S.U., sentenza n. 15895, del 13 giugno 2019, Pres. F. Tirelli, Est. M.G. Sambito).

Decidendo su questione di massima di particolare importanza, hanno affermato che nel giudizio avente ad oggetto il riconoscimento dell’efficacia di un provvedimento giurisdizionale straniero con il quale sia stato accertato il rapporto di filiazione tra un minore nato all’estero ed un cittadino italiano, il Pubblico Ministero riveste la qualità di litisconsorte necessario, ai sensi dell’art. 70, comma 1, n. 3 c.p.c., ma è privo della legittimazione ad impugnare la relativa decisione, non essendo titolare del potere di azione, neppure ai fini dell’osservanza delle leggi di ordine pubblico (Sez. Unite, sentenza n. 12193 dell’8 maggio 2019, Presidente G. Mammone, Estensore G. Mercolino).

Le Sez. U. hanno affermato che, ai fini del decorso degli interessi in ipotesi di ripetizione di indebito oggettivo, il termine “domanda” di cui all’art. 2033 c.c., non va inteso come riferito esclusivamente alla domanda giudiziale ma comprende, anche, gli atti stragiudiziali aventi valore di costituzione in mora, ai sensi dell’art. 1219 c.c. (S.U., sentenza n. 15895, del 13 giugno 2019, Pres. F. Tirelli, Est. M.G. Sambito).

Decidendo su questione di massima di particolare importanza, hanno affermato che, in tema di riconoscimento dell’efficacia del provvedimento giurisdizionale straniero, la compatibilità con l’ordine pubblico, richiesta dagli artt. 64 e ss. della legge n. 218 del 1995, deve essere valutata alla stregua non solo dei principi fondamentali della nostra Costituzione e di quelli consacrati nelle fonti internazionali e sovranazionali, ma anche del modo in cui gli stessi si sono incarnati nella disciplina ordinaria dei singoli istituti, nonché dell’interpretazione fornitane dalla giurisprudenza costituzionale ed ordinaria, la cui opera di sintesi e ricomposizione dà forma a quel diritto vivente dal quale non può prescindersi nella ricostruzione delle nozione di ordine pubblico, quale insieme dei valori fondanti dell’ordinamento in un determinato momento storico (Sez. Unite, sentenza n. 12193 dell’8 maggio 2019, Presidente G. Mammone, Estensore G. Mercolino).

Con lo stesso provvedimento, hanno affermato che il riconoscimento dell’efficacia del provvedimento giurisdizionale straniero con cui sia stato accertato il rapporto di filiazione tra un minore nato all’estero mediante il ricorso alla maternità surrogata ed il genitore d’intenzione munito della cittadinanza italiana trova ostacolo nel divieto della surrogazione di maternità previsto dall’art. 12, comma sesto, della legge n. 40 del 2004, qualificabile come principio di ordine pubblico, in quanto posto a tutela di valori fondamentali, quali la dignità umana della gestante e l’istituto dell’adozione; la tutela di tali valori, non irragionevolmente ritenuti prevalenti sull’interesse del minore, nell’ambito di un bilanciamento effettuato direttamente dal legislatore, al quale il giudice non può sostituire la propria valutazione, non esclude peraltro la possibilità di conferire rilievo al rapporto genitoriale, mediante il ricorso ad altri strumenti giuridici, quali l’adozione in casi particolari, prevista dall’art. 44, comma primo, lett. d), della legge n. 184 del 1983 (Sez. Unite, sentenza n. 12193 dell’8 maggio 2019, Presidente G. Mammone, Estensore G. Mercolino).

A risoluzione di contrasto, hanno affermato che, in materia di garanzia per i vizi della cosa venduta di cui all’art. 1490 c.c., il compratore che esercita le azioni di risoluzione del contratto o di riduzione del prezzo di cui all’art. 1492 c.c. è gravato dell’onere di offrire la prova dell’esistenza dei vizi  (Sez. Unite, sentenza n. 11748 del 3 maggio 2019, Presidente P. Curzio, Estensore A. Cosentino).

Su questione di massima di particolare importanza, hanno affermato che, in tema di rapporto tra giudizio penale e giudizio civile, i casi di sospensione necessaria previsti dall’art. 75, comma 3, c.p.p., che rispondono a finalità diverse da quella di preservare l’uniformità dei giudicati, e richiedono che la sentenza che definisca il processo penale influente sia destinata a produrre in quello civile il vincolo rispettivamente previsto dagli artt. 651, 651-bis, 652, e 654 c.p.p., vanno interpretati restrittivamente, di modo che la sospensione non si applica qualora il danneggiato proponga azione di danno nei confronti del danneggiante e dell’impresa assicuratrice della responsabilità civile dopo la pronuncia di primo grado nel processo penale nel quale il danneggiante sia imputato (S.U., sentenza n. 13661, del 21 maggio 2019, Pres. G. Mammone, Est. A.M. Perrino).

A risoluzione di contrasto, hanno affermato che lo Stato o l’ente pubblico risponde civilmente del danno cagionato a terzi dal fatto penalmente illecito del dipendente anche quando questi abbia approfittato delle sue attribuzioni ed agito per finalità esclusivamente personali od egoistiche ed estranee a quelle della amministrazione di appartenenza, purchè la sua condotta sia legata da un nesso di occasionalità necessaria con le funzioni o poteri che il dipendente esercita o di cui è titolare, nel senso che la condotta illecita dannosa – e, quale sua conseguenza, il danno ingiusto a terzi – non sarebbe stata possibile, in applicazione del principio di causalità adeguata ed in base ad un giudizio contro fattuale riferito al tempo della condotta, senza l’esercizio di quelle funzioni o poteri che, per quanto deviato o abusivo od illecito, non ne integrino uno sviluppo oggettivamente anomalo (Sez. Unite, sentenza n. 13246 del 16 maggio 2019, Presidente G. Mammone, Estensore F. De Stefano).

A risoluzione di contrasto su questione ritenuta anche di massima di particolare importanza, hanno affermato che, ai sensi dell’art. 111, comma 2, del d.P.R. n. 1124 del 1965, la prescrizione dell’azione per conseguire le prestazioni INAIL resta sospesa per tutta la durata della liquidazione amministrativa della prestazione e fino all’adozione di un provvedimento di accoglimento o di diniego da parte dell’Istituto, e che, con il decorso del termine di 150 gg. previsto dall’art. 104, o di 210 gg., di cui all’art. 83 dello stesso decreto, è rimossa la condizione di procedibilità dell’azione giudiziaria con facoltà per l’assicurato di agire in giudizio a tutela della posizione giuridica soggettiva rivendicata (Sezioni Unite, sentenza 7 maggio 2019, n. 11928, Presidente S. Petitti, Relatore F. Garri).

Su questione di massima di particolare importanza, in tema di autorizzazione all’ingresso o alla permanenza in Italia del familiare di minore straniero che si trova nel territorio italiano, hanno affermato che, ai sensi dell’art. 31, comma 3, T.U. immigrazione, approvato con il d.lgs. n. 286 del 1998, il diniego non può essere fatto derivare automaticamente dalla pronuncia di condanna per uno dei reati che lo stesso testo unico considera ostativi all’ingresso o al soggiorno dello straniero; nondimeno la detta condanna è destinata a rilevare, al pari delle attività incompatibili con la permanenza in Italia, in quanto suscettibile di costituire una minaccia concreta e attuale per l’ordine pubblico o la sicurezza nazionale, e può condurre al rigetto dell’istanza di autorizzazione all’esito  di un esame circostanziato del caso e di un bilanciamento con l’interesse del minore, al quale la detta norma, in presenza di gravi motivi connessi con il suo sviluppo psicofisico, attribuisce valore prioritario, ma non assoluto (S.U., sentenza n. 15750, del 12 giugno 2019, Pres. G. Mammone, Est. A. Giusti).

Molto prolifica è stata altresì, nel periodo, la Prima Sezione.

Ha affermato che, in caso di nascita mediante tecniche di procreazione medicalmente assistita, l’art. 8 della legge n. 40 del 2004 sullo status del nato con PMA si applica – a prescindere dalla presunzione ex art. 234 c.c. – anche all’ipotesi di fecondazione omologa post mortem avvenuta utilizzando il seme crioconservato del padre, deceduto prima della formazione dell’embrione, che in vita abbia prestato, congiuntamente alla moglie o alla convivente, il consenso, non successivamente revocato, all’accesso a tali tecniche ed autorizzato la moglie o la convivente al detto utilizzo dopo la propria morte (Prima Sezione civile, sentenza n. 13000 del 15 maggio 2019, Pres. M. Acierno, est. E. Campese).

Ha, inoltre, rimesso al Primo Presidente, per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite ai sensi dell’art. 374, comma 2, c.p.c., le seguenti questioni in tema di protezione internazionale e di immigrazione: a) se la normativa introdotta con il d.l. n. 113 del 2018, convertito nella l. n. 132 del 2018, nella parte in cui ha modificato la preesistente disciplina del permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui all’art. 5, comma 6, del d.lgs. n. 286 del 1998 e delle altre disposizioni consequenziali, sostituendola con la previsione di casi speciali di permessi di soggiorno, trovi applicazione in relazione a domande di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposte prima dell’entrata in vigore (5/10/2018) della nuova legge o se, per converso – come ritenuto da Sez. 1, ord. 19 gennaio 2019, n. 4890 –  le domande in parola debbano essere scrutinate sulla base della normativa esistente al momento della loro presentazione; b) se il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari, di cui al su richiamato art. 5, comma 6, del d.lgs. n. 286 del 1998, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, debba o meno fondarsi – come ritenuto da Sez. 1 ord. 23 febbraio 2018, n. 4455 –  su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza (Sezione 1, Ord. 3 maggio 2019, n. 11749, Pres. A Genovese, Est. A. Lamorgese).

Ha, ancora, affermato il seguente principio di diritto: «L’art. 31 della Convenzione di New York, che prevede la non espellibilità di un apolide se non nei casi di documentata sussistenza dei motivi di sicurezza nazionale e di ordine pubblico, si estende in via analogica anche alle situazioni di apolidia di fatto e/o nelle more del procedimento per accertare lo stato di apolidia, quando la situazione del soggetto emerge chiaramente dalle informazioni o dalla documentazione delle autorità pubbliche competenti dello Stato italiano, di quello di origine o di quello verso il quale può ravvisarsi un collegamento significativo con il soggetto interessato» (Prima Sezione civile, sentenza n. 16489 del 19 giugno 2019, Pres. F.A. Genovese, est. G. Bisogni).

In tema di amministrazione di sostegno, dopo aver ribadito che la procedura di nomina dell’amministratore non presuppone che la persona interessata versi in uno stato d’incapacità d’intendere o di volere, essendo sufficiente che sia priva, in tutto o in parte, di autonomia per una qualsiasi “infermità” o “menomazione fisica”, anche parziale o temporanea e non necessariamente mentale, che la ponga nell’impossibilità di provvedere ai propri interessi, ha stabilito che la designazione anticipata dell’amministratore di sostegno da parte dello stesso interessato, in vista della propria eventuale futura incapacità, prevista dall’art. 408, comma 1, c.c., non ha esclusivamente la funzione di scegliere il soggetto che, ove si presenti la necessità, il giudice tutelare deve nominare, ma ha altresì la finalità di consentire al designante, che si trovi ancora nella pienezza delle proprie facoltà cognitive e volitive, di impartire delle direttive vincolanti sulle decisioni sanitarie o terapeutiche da far assumere in futuro all’amministratore designato; tali direttive possono anche prevedere il rifiuto di determinate cure, in quanto il diritto fondamentale della persona all’autodeterminazione, in cui si realizza il valore fondamentale della dignità umana, sancito dall’art. 32 Cost., dagli art. 2, 3 e 35 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e dalle convenzioni internazionali, include il diritto di rifiutare la terapia, come nell’ipotesi di aderente alla confessione religiosa dei Testimoni di Geova, che in sede di designazione anticipata abbia preventivamente manifestato la sua irrevocabile volontà di non essere sottoposto, neanche in ipotesi di morte certa ed imminente, a trasfusioni a base di emoderivati (Sezione Lavoro, 15/5/2019, n. 12998 – Presidente A. Valitutti, estensore R. Caiazzo).

Ha, infine, affermato – ai sensi dell’art. 363, comma 3, c.p.c. – il seguente principio di diritto: «le prescrizioni presuntive di cui agli artt. 2954 ss. c.c. sono fenomeni di natura probatoria, sostanziandosi in presunzioni di “avvenuto pagamento”; non dà perciò luogo a prescrizione presuntiva la fattispecie in cui una frazione del tempo stabilito dalla norma di legge fondante la stessa sia decorsa dopo la dichiarazione di fallimento del debitore, pur se prima che il creditore abbia presentato domanda di insinuazione nel relativo passivo» (Prima Sezione civile, sentenza n. 16123 del 14 giugno 2019, Pres. A. Didone, est. A.A. Dolmetta).

Alla Seconda Sezione si deve la pronuncia con la quale, in tema di compensi professionali, sono stati rimessi gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, profilando la questione di massima di particolare importanza, se, nell’attuale quadro normativo, esclusa la possibilità di proporre la domanda in via ordinaria o ai sensi degli artt. 702 bis e ss. c.p.c., resti tuttora impregiudicata la possibilità di chiedere i compensi per attività svolte in più gradi in un unico processo innanzi al giudice che abbia conosciuto per ultimo della controversia, ovvero, se residui la sola alternativa di proporre più domande autonome dinanzi ai singoli giudici aditi per il processo o di cumularle davanti al tribunale competente ex art. 637 c.p.c., con salvezza del foro del consumatore (Sesta Sezione civile, Sottosezione Seconda, ordinanza n. 16212 del 17 giugno 2019, Pres. P. D’Ascola, est. G. Fortunato).

La Terza Sezione si segnala per tre pronunce.

Con la prima ha chiarito che, nel giudizio civile di rinvio innanzi alla Corte d’appello civile ex art. 622 c.p.p., a seguito di annullamento (su impugnazione della parte civile) di sentenza di assoluzione disposto dalla Corte di cassazione penale ai soli effetti civili, la Corte d’appello competente per valore deve applicare le regole, processuali e probatorie, proprie del processo civile e, conseguentemente, adottare, in tema di nesso eziologico tra condotta ed evento di danno, il criterio causale del “più probabile che non”, e non quello penalistico dell’alto grado di probabilità logica e di credenza razionale (Sezione 3, Sentenza 12 giugno 2019, n. 15859, Pres. coest. G. Travaglino, Rel. coest. A. Tatangelo).

Con la seconda ha affermato che il creditore del condominio che disponga di un titolo esecutivo nei confronti del condominio stesso ha facoltà di procedere all’espropriazione di tutti i beni condominiali, ai sensi degli artt. 2740 e 2910 c.c., ivi inclusi i crediti vantati dal condominio nei confronti dei singoli condomini per i contributi dagli stessi dovuti in base a stati di ripartizione approvati dall’assemblea, in tal caso nelle forme dell’espropriazione dei crediti presso terzi di cui agli artt. 543 ss. c.p.c. e senza che entri in gioco il principio di parziarietà delle obbligazioni condominiali (Sezione 3, Sentenza 14 maggio 2019, n. 12715, Pres. F. De Stefano, Rel. A. Tatangelo).

Infine, ha sollevato innanzi alla CGUE, ex art. 267 del TFUE, le seguenti questioni pregiudiziali:

1)         se osti agli artt. 14 TFUE (già art. 7D Trattato, poi art. 16 TCE) e 106 paragr. 2, TFUE (già art. 90 Trattato, poi art. 86, paragr. 2, TCE) ed all’inquadramento nello schema del servizio di interesse economico generale (SIEG) una normativa come quella prevista dal combinato disposto dell’art. 10, comma 3, del d.lgs. n. 504 del 1992 con l’art. 2, commi 18-20, della l. n. 662 del 1996, alla stregua della quale viene istituita e mantenuta – anche successivamente alla privatizzazione dei servizi di  “bancoposta” erogati da Poste Italiane s.p.a. – una riserva di attività (regime di monopolio legale) a favore di Poste Italiane s.p.a. avente ad oggetto la gestione del servizio di conto corrente postale dedicato alla raccolta del tributo locale ICI, tenuto conto dell’evoluzione della normativa statale in materia di riscossione delle imposte, che almeno a far data dall’anno 1997, consente al contribuente ed anche agli enti locali impositori, di avvalersi liberamente di modalità di pagamento e riscossione dei tributi (anche locali) attraverso il sistema bancario;

2)         qualora l’istituzione del monopolio legale dovesse essere riconosciuta rispondente alle caratteristiche del SIEG, se osti agli artt. 106, paragr. 2, TUEF (già art. 90 Trattato, poi art. 86, paragr. 2, TCE) e 107, paragr. 1, TUEF (già art. 92 Trattato, poi art. 87 TCE), secondo l’interpretazione di tali norme fornita dalla Corte di Giustizia con riferimento ai requisiti intesi a distinguere una misura legittima – compensatoria degli obblighi di servizio pubblico – da un aiuto di Stato illegittimo, una normativa come quella risultante dal combinato disposto degli artt. 10, comma 3, del d.lgs. n. 504 del 1992, 2, commi 18-20, della l. n. 662 del 1996 e 3, comma 1, del d.P.R. n. 144/2001, che attribuisce a Poste Italiane s.p.a. il potere di determinazione unilaterale dell’importo della “commissione” dovuta dal Concessionario (Agente) della riscossione del tributo ICI, ed applicata su ciascuna operazione di gestione effettuata sul conto corrente postale intestato al Concessionario/Agente, tenuto conto che Poste Italiane s.p.a. con delibera del consiglio di amministrazione n. 57/1996 ha stabilito detta commissione in Lire 100 per il periodo 1.4.1997-31.5.2001 ed in Euro 0,23 per il periodo successivo all’1.6.2001;

3)         se osti all’art. 102, paragr. 1, TUEF (già art. 86 Trattato, poi art. 82, paragr. 1, TCE), come interpretato dalla Corte di Giustizia, un complesso normativo quale quello costituito dall’art. 2, commi 18-20, della l. n. 662 del 1996, dall’art. 3, comma 1, del d.P.R. n. 144 del 2001 e dall’art. 10, comma 3, del d.lgs. n. 504 del 1992, dovendo necessariamente assoggettarsi il Concessionario (Agente) al pagamento della “commissione”, così come unilateralmente determinata e/o variata da Poste Italiane s.p.a., non potendo altrimenti recedere dal contratto di conto corrente postale, se non incorrendo nella violazione dell’obbligo prescritto dal citato art. 10, comma 3, e nel conseguente inadempimento all’obbligazione di riscossione dell’ICI assunta nei confronti dell’ente locale impositore (Terza Sezione Civile, ordinanza 23 maggio 2019 n. 14080, Presidente A. Amendola, Relatore S. Olivieri).

La Sezione Lavoro ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione della causa alle Sezioni Unite in ordine alla risoluzione del potenziale contrasto con l’interpretazione resa dalla medesima Sezione con la sentenza n. 3177 del 2019 in ordine all’inquadramento del collaboratore fisso che svolga attività giornalistica in modo esclusivo, ai fini dell’iscrizione nell’elenco dei giornalisti, con conseguente nullità del contratto in caso di iscrizione al solo elenco dei pubblicisti (Sez. L, ordinanza interlocutoria n. 14262 del 24 maggio 2019, Pres. F. Balestrieri, Rel. C. Ponterio).

Ha, inoltre, sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 74 del d.lgs. n. 151 del 2001, nella parte in cui richiede ai cittadini extracomunitari, ai fini dell’erogazione dell’indennità di maternità, anche la titolarità del permesso unico di soggiorno, anziché la titolarità del permesso di soggiorno e di lavoro per almeno un anno, ai sensi dell’art. 41 del d.lgs. n. 286 del 1998, con riferimento ai parametri di cui agli artt. 3, 31 e 117, comma 1, Cost. in relazione agli artt. 20, 21, 24, 31 e 34 della CFDUE (Sez. L ordinanza interlocutoria n. 16163 del 17 giugno 2019, Pres. A. Manna, Rel. E. D’Antonio).

Infine, nello stesso solco, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 125, della l. n. 190 del 2014, nella parte in cui richiede ai cittadini extracomunitari, ai fini dell’erogazione dell’assegno di natalità, anche la titolarità del permesso unico di soggiorno, anziché la titolarità del permesso di soggiorno e di lavoro per almeno un anno, ai sensi dell’art. 41 del d.lgs. n. 286 del 1998, con riferimento ai parametri di cui agli artt. 3, 31 e 117, comma 1, Cost. in relazione agli artt. 20, 21, 24, 31 e 34 della CFDUE (Sez. L ordinanza interlocutoria n. 16164 del 17 giugno 2019, Pres. A. Manna, Rel. E. D’Antonio).

La Sezione Tributaria merita di essere segnalata per tre pronunce.

In tema di aiuti di Stato illegittimi – nella specie costituito dal credito d’imposta introdotto dall’art. 8 della l. n. 388 del 2000 (poi modificato dall’art. 1, comma 1223 l. n. 296 del 2006), riconosciuto in automatico, in dichiarazione mediante compensazione, alle imprese che avessero effettuato nuovi investimenti in aree svantaggiate – con tre coeve ordinanze interlocutorie, ha sollevato rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art. 267 del TFUE sull’interpretazione del comma 1223 dell’articolo unico della l. n. 296 del 2006, oggi trasfuso nell’art. 16-bis, comma 11, della l. n. 11 del 2005 (che impone all’impresa una dichiarazione sostitutiva di atto notorio di non rientrare tra coloro che hanno ricevuto e successivamente non rimborsato precedenti aiuti “bocciati” dalla Commissione) e dell’art. 4, comma 1, del Dpcm 23 maggio 2007 (laddove preclude tour court l’accesso al beneficio all’impresa che abbia ricevuto l’aiuto, anziché limitarsi a sospenderne l’erogazione), con riferimento all’art. 108, comma 3, TFUE – come interpretato dalla giurisprudenza unionale (cd. impegno Deggendorf) – alla decisione C (2008)380 della Commissione europea (che sospende la fruizione dell’agevolazione ai beneficiari di un ordine di recupero) ed al principio comunitario di proporzionalità (secondo cui gli atti delle istituzioni comunitarie non debbono superare i limiti di ciò che è idoneo e necessario al conseguimento degli scopi legittimamente perseguiti dalla normativa di che trattasi). (Sez. Tributaria, ordinanza interlocutoria n. 13342 del 4 dicembre 2018, dep. il 17 maggio 2019, Presidente M. Cristiano, Estensore M. Cirese)  

In tema di imposte ipotecarie e catastali, quale organo di ultima istanza, con due coeve ordinanze interlocutorie, ha sollevato rinvio pregiudiziale ai sensi degli artt. 234 e 267 del TFUE domandando alla Corte di giustizia UE se le disposizioni del Trattato in materia di libertà di stabilimento e di libera circolazione dei capitali ostino all’applicazione della disciplina agevolativa soggettiva di cui all’art. 35, comma 10-ter, del d.l. n. 223 del 2006 (conv., con modif., in l. n. 248 del 2006) – di stretta interpretazione (e, quindi, insuscettibile di applicazione analogica) – nella parte in cui limita ai fondi di investimento immobiliare “chiusi” (caratterizzati da un numero di quote prestabilito ed invariabile nel tempo) la riduzione delle imposte ipo-catastali, precludendo l’estensione del beneficio anche a quelli aperti (caratterizzati dalla variabilità del patrimonio e sottoscrivibili in ogni momento). (Sez. Tributaria, ordinanza interlocutoria n. 15432 del 6-21 dicembre 2018, dep. il 7 giugno 2019, Presidente C. Di Iasi, Estensore A. Penta)  

Infine, in tema di debiti tributari, dando applicazione, in plurime cause, al disposto dell’art. 4, comma 1, del d.l. n. 119 del 2018, conv., con modif., in l. n. 136 del 2018 – che prevede l’annullamento dei singoli carichi entro i mille euro (cd. “saldo e stralcio”) – ha affermato l’operatività ipso iure dello stralcio, senza necessità del consequenziale provvedimento di sgravio da parte dell’agente della riscossione, con conseguente nullità iure superveniente delle cartelle impugnate e declaratoria di estinzione del processo (Sez. Tributaria, ordinanza n. 15471 del 17 aprile 2019, dep. il 7 giugno 2019, Presidente D. Chindemi, Estensore M. Vecchio).

a cura di Andrea Penta

R.g. 15678/2013

Ud. 12.05.2015 – P.U. – Pubbl. 03.06.2015 – Racc. Gen. 11377/2015 – Rel. Giusti

– Contratti in genere – contratto concluso dal falsus procurator- effetti – prima della ratifica – inefficacia del negozio – rilevabilità soltanto su eccezione dello pseudo-rappresentato o anche d’ ufficio – eccezione in senso stretto o in senso lato – questione di massima di particolare importanza rimessa alle Sezioni Unite con ordinanza interlocutoria n. 14688 del 2014 dalla II Sezione civile – ricorso – (RGN 15678/2013 – Rel. 157/2014

SU – a risoluzione di questione di massima – hanno enunciato il seguente principio di diritto: “poiché la sussistenza del potere rappresentativo in capo a chi ha speso il nome altrui è elemento costitutivo della pretesa che il terzo contraente intenda far valere in giudizio sulla base del negozio, non costituisce eccezione, e pertanto non ricade nelle preclusioni previste dagli artt. 167 e 345 cod. proc. civ., la deduzione della inefficacia per lo pseudo rappresentato del contratto concluso dalfalsus procurator; ne consegue che, ove il difetto di rappresentanza risulti dagli atti, di esso il giudice deve tener conto anche in mancanza di specifica richiesta della parte interessata, alla quale, a maggior ragione, non è preclusa la possibilità di far valere la mancanza del potere rappresentativo come mera difesa”.

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a cura di Andrea Penta

70. IMPUGNAZIONI CIVILI

Ricorso per decreto ingiuntivo – Produzione solo in appello dei documenti posti a fondamento della richiesta monitoria – Ammissibilità – Fondamento.

I documenti allegati alla richiesta di decreto ingiuntivo non possono essere considerati nuovi, sicché, pur non prodotti nella fase di opposizione, ne è ammissibile l’allegazione con l’atto di appello, senza che operino i limiti di cui all’art. 345, comma 3, nel testo introdotto dall’art. 52 della legge 26 novembre 1990, n. 353.

(Sezioni Unite Civili, Sentenza 10 luglio 2015, n. 14475, Presidente L. A. Rovelli,  Relatore P. Curzio)

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a cura di Andrea Penta

Cass. civ., Sez. Un., sentenza 26 maggio 2015 n. 10798 (Pres. Santacroce, rel. Ambrosio)

Pubblica Amministrazione – Azione ex art. 2041 c.c. – Requisiti – Riconoscimento dell’utilità – Necessità – Esclusione  (art. 2041 c.c.)

Il riconoscimento dell’utilità non costituisce requisito dell’azione ex art. 2041 cod. civ. nei confronti della P.A., sicché, ove il depauperato provi l’oggettivo arricchimento dell’ente pubblico, questo non può opporre semplicemente di non averlo riconosciuto, ma deve provare di non averlo voluto o di non esserne stato consapevole.

La regola di carattere generale secondo cui non sono ammessi arricchimenti ingiustificati né spostamenti patrimoniali ingiustificabili trova applicazione paritaria nei confronti del soggetto privato come dell’ente pubblico; e poiché il riconoscimento dell’utilità non costituisce requisito dell’azione di indebito arricchimento, il privato attore ex art. 2041 cod. civ. nei confronti della P.A. deve provare – e il giudice accertare – il fatto oggettivo dell’arricchimento, senza che l’amministrazione possa opporre il mancato riconoscimento dello stesso, potendo essa, piuttosto, eccepire e dimostrare che l’arricchimento non fu voluto o non fu consapevole.

Cass. civ., Sez. Un., sentenza 26 maggio 2015 n. 10798 (Pres. Santacroce, rel. Ambrosio)

Pubblica Amministrazione – Azione ex art. 2041 c.c. – Prestazioni anteriori alla entrata in vigore del DL 66 del 1989 – Regime giuridico (art. 191 dlgs 267 del 2000)

La normativa di cui D.L. n. 66 del 1989, art. 23 (conv. in L. 24 aprile 1989, n. 144, abrogato dall’art. 123, comma primo, lett. n, del d.lgs. 25 febbraio 1995, n. 77, ma riprodotto senza sostanziali modifiche dall’art. 35 del medesimo decreto e infine rifluito nell’art. 191 del D.Lgs. n. 267 del 2000), per i casi di richiesta di prestazioni o servizi, non rientranti nello schema procedimentale di spesa tipizzato dalla stessa normativa, ha previsto la costituzione di un rapporto obbligatorio diretto con l’amministratore o funzionario responsabile, correlativamente rimettendo all’ente pubblico la valutazione esclusiva circa l’opportunità o meno di attivare il procedimento del riconoscimento del debito fuori bilancio nei limiti degli accertati e dimostrati utilità ed arricchimento per l’ente stesso (cfr. lett. e) art. 194 D. Lgs. n. 267 del 2000). Tuttavia, non potendosi, in difetto di espressa previsione normativa, affermare la retroattività del cit. d.l. n. 66 del 1989 art. 23, deve ritenersi l’esperibilità dell’azione di indebito arricchimento nei confronti della P.A. per tutte le prestazioni e i servizi resi alla stessa anteriormente all’entrata in vigore di tale normativa (ex plurimis, tra le più recenti: Cass. 26 giugno 2012, n. 10636; Cass. 11 maggio 2007, n. 19572).

Svolgimento del processo

Nel gennaio 1995 P.M. , vedova ed erede di R.D. , convenne in giudizio il Comune di Reggio Calabria chiedendone la condanna al pagamento di L. 23.967.034, oltre accessori, a titolo di arricchimento senza causa. Espose che il marito, cui nel 1986 era stata contrattualmente affidata l’esecuzione di lavori (poi regolarmente retribuiti) di manutenzione ordinaria degli edifici scolastici della zona sud di (omissis) , aveva eseguito anche ulteriori lavori non previsti in contratto e per questo mai pagati, che l’Ufficio tecnico comunale gli aveva, tuttavia, richiesto in base a una perizia di variante, ritenendoli “indispensabili per assicurare la funzionalità degli edifici scolastici”.

Il Comune resistette e l’adito Tribunale di Reggio Calabria, con sentenza n. 383/2003, rigettò la domanda.

L’appello dell’originaria attrice è stato respinto dalla Corte d’appello reggina con sentenza n. 131/2010 sull’assorbente rilievo che, in difetto di deliberazioni da parte del Consiglio o della Giunta, difettava il necessario requisito del riconoscimento dell’utilità della prestazione da parte del Sindaco, organo rappresentativo del Comune.

Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione P.M. affidandosi a due motivi, cui il Comune di Reggio Calabria ha resistito con controricorso illustrato anche da memoria.

All’esito della pubblica udienza innanzi alla terza sezione di questa Corte, con ordinanza interlocutoria del 23 settembre 2014 è stata rilevata la sussistenza di un contrasto di giurisprudenza sulla questione di cui si dirà in parte motiva, per cui gli atti sono stati rimessi al Primo Presidente, che ha assegnato il giudizio a queste Sezioni unite.

Il resistente Comune ha depositato ulteriore memoria.

Motivi della decisione

1. La domanda attrice, intesa – come si legge nella decisione impugnata – ad “accertare e dichiarare l’utilitas delle opere indiscutibilmente eseguite dalla ditta R. “, nonché alla condanna del Comune di Reggio Calabria al pagamento, a tale titolo, della somma di L. 23.967.034, risulta qualificata, in termini non più in discussione, come azione di indebito arricchimento ex art. 2041 cod. civ.. Essa è stata rigettata, con doppia decisione conforme, per il difetto di prova in ordine al riconoscimento dell’utilitas da parte dell’ente pubblico e, segnatamente, da parte dei suoi organi rappresentativi.

In particolare la Corte di appello – premesso in fatto che i lavori di cui trattasi (riparazione dei servizi igienici, impermeabilizzazione dei solai e coloritura), riguardanti alcune scuole della parte sud della città, erano stati disposti dall’Ufficio tecnico del Comune di Reggio Calabria, verosimilmente su segnalazione dei dirigenti degli uffici scolastici e precisato, altresì, che la delibera in sanatoria, pur predisposta, non risultava mai deliberata dalla Giunta – è pervenuta alla conferma della statuizione di rigetto della domanda di arricchimento, in forza della dichiarata adesione alla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui il riconoscimento dell’utilitas costituisce requisito speciale di ammissibilità dell’azione di cui all’art. 2041 cod. civ. nei confronti della P.A., segnalando che, nella specie, il riconoscimento, sia pure implicito, avrebbe dovuto provenire dal sindaco ovvero da un atto deliberativo della giunta o del consiglio comunale.

2. Col primo motivo (il secondo è al primo correlato, in quanto attiene alla mancata ammissione della prova articolata sul punto della conoscenza da parte degli “amministratori” dei lavori di cui trattasi), la ricorrente si duole, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 2041 cod. civ., che la Corte d’appello abbia disatteso il principio, patrocinato da alcune decisioni di questa Corte di legittimità, secondo il quale il giudizio di utilità può essere compiuto anche dal giudice, che ha il potere di accertare se ed in quale misura l’opera o la prestazione siano state effettivamente utilizzate dalla pubblica amministrazione.

2.1. Il ricorso richiama un orientamento minoritario di questa Corte, stigmatizzando il mancato accertamento giudiziale della fruizione delle opere di manutenzione da parte dell’ente pubblico nella piena consapevolezza della relativa esecuzione, sebbene nell’assenza di un riconoscimento implicito o esplicito dei suoi organi rappresentativi.

La sezione terza, assegnataria del ricorso, ne ha, dunque, promosso la devoluzione alle Sezioni unite, rilevando nell’ordinanza interlocutoria che sussiste un contrasto interno alla giurisprudenza di legittimità, “tra l’orientamento (prevalente) che assume come assolutamente ineludibile la necessità che il riconoscimento anche implicito dell’utilitas provenga da organi quanto meno rappresentativi dell’ente pubblico e quello (minoritario, ma significativo e fondato su solide argomentazioni) che offre invece spazi all’apprezzamento diretto da parte del giudice”.

2.2. Non è, invece, in discussione la sussistenza del requisito della sussidiarietà dell’azione imposto dall’art. 2042 cod. civ., non essendo qui applicabile ratione temporis la normativa di cui D.L. n. 66 del 1989, art. 23 (conv. in L. 24 aprile 1989, n. 144, abrogato dall’art. 123, comma primo, lett. n, del d.lgs. 25 febbraio 1995, n. 77, ma riprodotto senza sostanziali modifiche dall’art. 35 del medesimo decreto e infine rifluito nell’art. 191 del D.Lgs. n. 267 del 2000) che, per i casi di richiesta di prestazioni o servizi, non rientranti nello schema procedimentale di spesa tipizzato dalla stessa normativa, ha previsto la costituzione di un rapporto obbligatorio diretto con l’amministratore o funzionario responsabile, correlativamente rimettendo all’ente pubblico la valutazione esclusiva circa l’opportunità o meno di attivare il procedimento del riconoscimento del debito fuori bilancio nei limiti degli accertati e dimostrati utilità ed arricchimento per l’ente stesso (cfr. lett. e) art. 194 D. Lgs. n. 267 del 2000).

Invero, non potendosi, in difetto di espressa previsione normativa, affermare la retroattività del cit. d.l. n. 66 del 1989 art. 23, deve ritenersi l’esperibilità dell’azione di indebito arricchimento nei confronti della P.A. per tutte le prestazioni e i servizi resi alla stessa anteriormente all’entrata in vigore di tale normativa (ex plurimis, tra le più recenti: Cass. 26 giugno 2012, n. 10636; Cass. 11 maggio 2007, n. 19572). E poiché i lavori in contestazione vennero eseguiti nell’anno 1986, è indubbio che il depauperato non aveva la possibilità di farsi indennizzare del pregiudizio subito agendo, ai sensi della normativa cit. direttamente nei confronti dell’amministratore o del funzionario che aveva consentito l’acquisizione.

2.3. Il punto nodale della controversia si rinviene sulla necessità o meno di un requisito ulteriore – quello del riconoscimento dell’utilità dell’opera o della prestazione – rispetto a quelli standards fissati dagli artt. 2041 e 2042 cod. civ., allorché l’azione venga proposta nei confronti della P.A..

Strettamente connessa a detta questione si rivela, poi, quella evidenziata nell’ordinanza interlocutoria del ruolo assegnato al giudice nell’accertamento dell’arricchimento; ciò in quanto individuare l’elemento qualificante dell’azione, in ragione della qualificazione pubblicistica dell’arricchito, in un atto di volontà o di autonomia dell’amministrazione interessata, significa confinare il ruolo giudiziale all’accertamento di un utile “soggettivo” e, cioè, riconosciuto come tale (esplicitamente o implicitamente) dagli organi rappresentativi dell’ente pubblico; all’inverso, consentire al giudice di sostituirsi alla pubblica amministrazione nella valutazione dell’utilitas finisce per spostare l’indagine sul fatto oggettivo dell’arricchimento, giacché solo questo dovrebbe essere l’elemento costitutivo della fattispecie, ove non si ammettano deroghe all’esercizio dell’azione in relazione alla qualificazione pubblicistica dell’arricchito.

3. Così definito l’ambito della questione all’esame delle Sezioni Unite, si impone una sintesi delle argomentazioni a sostegno dell’uno e dell’altro indirizzo di legittimità, come individuati dall’ordinanza interlocutoria, osservando sin da ora che nella giurisprudenza di questa Corte ricorre un ulteriore approccio intepretativo, più risalente nel tempo, che offre una sorta di tertium genus tra le soluzioni astrattamente praticabili in materia.

3.1. La tesi prevalente muove dalla considerazione delle specifiche condizioni e limitazioni, costituite dalle regole c.d. dell’evidenza pubblica che presidiano l’attività negoziale della P.A. e si radica sul rilievo che l’azione di arricchimento comporta, di fatto, il superamento della regola assoluta a tutela del buon andamento della pubblica amministrazione, secondo cui non si può dar luogo a spese non deliberate dall’ente nei modi previsti dalla legge e senza la previsione dell’apposita copertura finanziaria. Di qui l’esigenza – avvertita dalla giurisprudenza, ancor prima che il legislatore a partire dal già cit. D.L. n. 66 del 1989 segnasse drasticamente l’ambito di operatività dell’azione – di marcare di “specialità” la domanda di arricchimento proposta nei confronti della P.A., posto che il relativo oggetto è costituito quasi sempre da prestazioni o opere eseguite da privati in dipendenza di contratti irregolari, nulli o addirittura inesistenti.

È, dunque, ricorrente nella giurisprudenza di legittimità l’affermazione che per l’utile esperimento dell’azione nei confronti della P.A. occorre la prova di un duplice requisito, e cioè, non solo il fatto materiale dell’esecuzione di un’opera o di una prestazione vantaggiosa per l’ente pubblico, ma anche il c.d. riconoscimento, espresso o tacito e, in sostanza, che l’amministrazione interessata abbia compiuto una cosciente e consapevole valutazione dell’utilità dell’opera, del servizio, o della prestazione, e che li abbia considerati rispondenti alle proprie finalità istituzionali.

In particolare – secondo l’orientamento giurisprudenziale all’esame – la configurazione del riconoscimento dell’utilità dell’opera o della prestazione come un atto di volontà o di autonomia della P.A. comporta che la stessa configurabilità di un arricchimento senza causa resti affidata alla valutazione discrezionale della sola amministrazione, unica legittimata a esprimere il relativo giudizio, che presuppone il doveroso apprezzamento circa la rispondenza diretta o indiretta della cosa o della prestazione al pubblico interesse (Cass. 18 aprile 2013, n. 9486; Cass. 11 maggio 2007, n.10884; Cass. 20 agosto 2004, n.16348; Cass. 23 aprile 2002, n. 5900); inoltre detta valutazione non solo non può essere sostituita da quella di amministrazioni terze, pur se interessate alla prestazione, ma neanche provenire da atti e comportamenti imputabili a qualsiasi soggetto che faccia parte della struttura dell’ente di esse destinatario (Cass. 18 aprile 2013 n. 9486), essendo necessariamente rimessa solo agli organi rappresentativi di detta amministrazione o a quelli cui è istituzionalmente devoluta la formazione della sua volontà (Cass. 27 luglio 2002, n. 11133; Cass. 17 luglio 2001, n. 9694). E sebbene non si richieda che il riconoscimento avvenga necessariamente in maniera esplicita – cioè con un atto formale (il quale, peraltro, può essere assistito dai crismi richiesti per farne un atto amministrativo valido ed efficace, ovvero può anche essere carente delle formalità e dei controlli richiesti, come nel caso in cui l’organo di controllo lo annulli) e si sia predicata la sufficienza del riconoscimento implicito – l’una e l’altra forma di riconoscimento sono ritenute soggette alle medesime regole dell’evidenza pubblica (sul riconoscimento come atto di volontà, cfr Cass. 24 ottobre 2011, n. 21962; Cass. 31 gennaio 2008 n. 2312; Cass. 24 settembre 2007 n. 19572), richiedendosi che l’utilizzazione dell’opera o della prestazione sia consapevolmente attuata dagli organi rappresentativi dell’ente (cfr. Cass. Sez. un. 25 febbraio 2009, n. 4463; Cass. 20 ottobre 2004, n. 16348; nonché Cass. 11133/2002 già cit.).

3.2. Secondo questa tesi, che esalta i limiti istituzionali della giurisdizione ordinaria, fissati dall’art. 4 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E, a presidio della discrezionalità amministrativa, il giudice ordinario non può giudicare dell’utilitas, dal momento che la necessità del riconoscimento è tradizionalmente impostata sulla discrezionalità amministrativa che la valutazione del vantaggio comporta. L’utiliter versum non può essere altro che un utile soggettivo, cioè relativo all’interesse dell’accipiens e la valutazione dell’utilità dell’ente pubblico si risolve in una valutazione dell’interesse pubblico, come tale necessariamente affidata alla P.A..

La tesi si radica sull’evidente timore che – in specie nel caso assai frequente di indebito arricchimento derivante da rapporti negoziali instaurati da dipendenti pubblici privi dei necessari poteri – la pubblica amministrazione possa essere chiamata a rispondere ex art. 2041 cod. civ. di tutte le iniziative arbitrarie assunte al di fuori del controllo degli organi amministrativi responsabili della spesa, quando il riconoscimento dell’utilità sia ravvisato nella stessa utilizzazione dell’opera o del servizio acquisito, da parte di coloro che hanno abusivamente speso il nome dell’ente o dell’ufficio. Senonchè essa – oltre ad apparire espressiva di esigenze di tutela della P.A., di cui si è fatto carico, nel tempo, il legislatore, facendo leva, come si è visto, sul carattere sussidiario dell’azione – rivela la sua criticità sol che si consideri che, portata alle sue naturali conseguenze, essa comporta che il giudice, mentre dovrebbe condannare l’ente pubblico per un arricchimento riconosciuto, ancorché non provato, dovrebbe assolverlo per un arricchimento provato, ma non riconosciuto.

Soprattutto l’orientamento risulta fortemente penalizzante per il depauperato, allorquando l’arricchimento si risolva in un risparmio di spesa (come nel caso che qui ricorre di esecuzione di opere di manutenzione), dal momento che un riconoscimento implicito da parte degli organi rappresentativi dell’ente pubblico appare ravvisabile solo in relazione a opere e prestazioni comportanti un incremento patrimoniale, e quindi suscettibili di appropriazione; mentre, nel caso che l’opera risulti già esistente e già a disposizione della collettività, si è ritenuto che il perdurare – od il riprendere dopo gli interventi – della pubblica fruizione non possa costituire riconoscimento implicito dell’utilitas, perché non implica alcuna valutazione consapevole da parte dell’ente (Cass. 02 settembre 2005, n. 17703 in motivazione).

3.3. Non mancano tuttavia pronunce improntate a un approccio più duttile, nelle quali, in ragione del fondamento equitativo che permea tutta l’azione di ingiustificato arricchimento, si evidenzia che il riconoscimento, da parte di enti pubblici, dell’utilità di una prestazione professionale, con conseguente loro arricchimento, si realizza con la mera utilizzazione della stessa, indipendentemente dal fatto che i fini alla cui realizzazione la prestazione poteva essere diretta non fossero stati realizzati dall’ente cui il progetto era stato destinato (Cass. Sez. un. 10 febbraio 1996, n. 1025; e più di recente Cass. 18 giugno 2008, n. 16596). In tale prospettiva, l’utilità è stata ritenuta ravvisabile allorché la P.A., ad esempio, si sia servita della prestazione del privato per corredare pratiche amministrative, ovvero ne abbia ricavato un risparmio di spesa (v. Cass. 12 dicembre 2003, n. 19059; e ancora Cass. n. 10576 del 1997; Cass. n. 1025 del 1996; Cass. n. 12399 del 1992), ridimensionandosi la necessità della provenienza dagli organi formalmente qualificati della P.A. (cfr. Cass. 16 settembre 2005, n. 18329) e precisandosi che, seppure il giudizio sull’utilità per la P.A. dell’opera o della prestazione del privato è riservato in via esclusiva all’amministrazione e non può essere compiuto, in sostituzione di quella, del giudice, spetta pur sempre a quest’ultimo il compito di accertare se e in che misura l’opera o la prestazione siano state effettivamente utilizzate dalla pubblica amministrazione (cfr. Cass. 02 settembre 2005, n. 17703).

3.4. Si tratta di un orientamento minoritario, che non abbandona il tradizionale argomento, secondo cui l’esperimento dell’azione di arricchimento nei confronti della P.A. richiede un quid pluris, qual è il riconoscimento dell’utilitas, sebbene al fatto dell’utilizzazione venga attribuita una valenza probatoria di detto riconoscimento; in tal modo esso presta il fianco alla critica dell’incongruenza di legittimare soggetti diversi in ragione del fatto che il riconoscimento sia esplicito (per il quale si afferma la necessità che provenga dagli organi rappresentativi della pubblica amministrazione) o implicito (nel qual caso si ritiene che il riconoscimento può provenire da organi non qualificati dell’amministrazione), vale a dire in ragione della forma del riconoscimento, che dovrebbe essere un elemento neutro sotto questo profilo (così Cass. 07 marzo 2014, n. 5397 in motivazione).

In realtà l’avere svincolato il riconoscimento dalla provenienza dagli organi formalmente qualificati ad esprimere la volontà dell’ente pubblico ha finito per incrinare fortemente lo stesso principio della relatività soggettiva dell’utilitas, consentendo di recuperare la connotazione ordinaria dell’azione, giacché il baricentro dell’indagine risulta spostato sulla salutazione in fatto dell’arricchimento, che deve essere accertato con la regola paritaria di diritto comune, sia quando riguarda il privato che quando si riferisce alla pubblica amministrazione (così Cass. 16 maggio 2006, n. 11368), affidando al saggio apprezzamento del giudice lo scrutinio sull’intervenuto riconoscimento ovvero la vantazione, in fatto, dell’utilità dell’opus (così Cass. 21 aprile 2011, n. 9141).

3.5. Come evidenziato nell’ordinanza interlocutoria, soprattutto l’ultima delle sentenze citate si è fatta carico di rimarcare l’insufficienza dell’approccio ermeneutico che confina il ruolo giudiziale all’esterno della valutazione di utilità, ritenendo che il giudice non possa accertare se la prestazione del depauperato sia stata utile all’ente pubblico, ma solo se l’ente pubblico l’abbia riconosciuta come tale. In contrario senso si è osservato che il richiedere sempre e comunque comportamenti inequivocabilmente asseverativi dell’utilità dell’opera o della prestazione da parte degli organi rappresentativi dell’ente è scelta interpretativa che depotenzia fortemente il diritto del privato ad essere indennizzato dell’impoverimento subito, svuotando di fatto i poteri di accertamento del giudice, in vista della tutela delle posizioni soggettive in sofferenza; e si è, quindi, ritenuto che “il criterio idoneo a mediare tra tutti gli interessi in conflitto è l’affidamento al saggio apprezzamento del giudice dello scrutinio sull’intervenuto riconoscimento ovvero la valutazione, in fatto, dell’utilità dell’opus, utilità desunta dal contesto fattuale di riferimento, senza pretendere di imbrigliare l’ineliminabile discrezionalità del relativo giudizio in schemi predefiniti, ma solo esigendo che del suo convincimento il decidente dia adeguata e congrua motivazione” (cfr. Cass. n. 9141 del 2011 cit. in motivazione).

Occorre, tuttavia, rilevare che la pista interpretativa indicata dalla sentenza da ultima citata, tendente a marcare di autonomia il sindacato giudiziale e a spostare decisamente l’oggetto dell’indagine dalla qualificazione soggettiva dell’arricchito al fatto dell’arricchimento, non risulta seguita dalla successiva giurisprudenza di legittimità che, anche da recente, ha privilegiato una connotazione negoziale dell’istituto, contrapponendo alla regola paritaria di diritto comune nemo locupletari potest cum aliena iactura la normativa di diritto pubblico che regola la contabilità della pubblica amministrazione, con efficacia anche per i soggetti esterni che vengono in contatto con essa, e che si giustifica oltre che con vincoli di spesa imposti da norme di rango primario nell’impiego di denaro pubblico, anche con le dimensioni e la complessità dell’articolazione interna della pubblica amministrazione (così Cass. n. 5397 del 2014 sopra cit.).

3.6. Mette conto a questo punto evidenziare che la previsione di un’azione generale di arricchimento era ignota al codice del 1865; l’istituto venne, quindi, accolto dal progetto di codice delle obbligazioni del 1936 e, infine, codificato dal legislatore del 1942, accanto a numerosi altre fattispecie particolari di arricchimento (artt. 31 co. 3, 535, 821, co. 2, 935, 940, 1150, 1185, co. 2, 1190, 1443, 1769, 2037, co. 3, 2038 co. 3 cod. civ.), assolutamente eterogenee e, comunque, ispirate al medesimo principio e accomunate dall’obbligo di “restituire” all’impoverito esclusivamente perdite, esborsi, spese, prestazioni ed altri elementi, utilità o valori già sussistenti nel suo patrimonio “nei limiti dell’arricchimento”.

Orbene – mentre nel vigore del codice del 1865, la prefigurazione della specialità dell’azione nei confronti della P.A. si giustificava in considerazione dell’elaborazione giurisprudenziale dell’actio de in rem verso sugli schemi della gestione di affari e dell’attribuzione al riconoscimento dell’utilitas dello stesso fondamento dell’utiliter gestum – l’intervenuta codificazione dell’istituto ad opera del legislatore del 1942 ne ha privilegiato una connotazione oggettivistica, fatta palese dall’impiego dei concetti materiali di “arricchimento” e “diminuzione patrimoniale”, senza richiamo alcuno al parametro soggettivistico dell'”utilità”, ponendo così il problema se vi sia ancora spazio per postulare una valutazione discrezionale da parte dell’arricchito in ragione della sua qualificazione pubblicistica.

Orbene il terzo e più risalente orientamento giurisprudenziale di cui si è detto sub 3. muove proprio dalla considerazione della sopravvenuta inclusione della disciplina nel codice del 1942 per postulare la necessità di abbandonare “il remoto principio”, secondo cui l’azione è esperibile nei confronti della P.A. soltanto se questa ha riconosciuto la locupletazione, evidenziando non solo il superamento degli schemi su cui era stata costruita la fattispecie giurisprudenziale dell’actio de in rem verso, ma anche e soprattutto la necessità di una lettura costituzionalizzante dell’istituto, che assicurasse la piena tutela della garanzia di agire in giudizio contro l’amministrazione pubblica, assicurata a chiunque dagli artt. 24 e 113 Cost. (cfr. Cass. Sez. unite sentenze 28 maggio 1975, n. 2157; Cass. Sez. unite 19 luglio 1982, n. 4198). Sulla base di tali premesse si è esclusa, in radice, la tesi che all’ente pubblico possa essere riservato non solo di riconoscere il vantaggio in sé, ma anche la relativa entità economica: tesi ritenuta inaccettabile per la considerazione che essa pone il giudice nella condizione di dover unicamente prendere atto delle determinazioni del convenuto, contraddicendo alla stessa funzione dell’azione consistente nell’apprestare un rimedio “generale” per i casi in cui sia possibile risolvere sul piano economico il contrasto tra legalità e giustizia. In luogo della questione del riconoscimento dell’utilità, è stato evidenziato un problema di imputabilità dell’arricchimento, paventandosi il pericolo che l’ente pubblico possa subire iniziative che i terzi, pur presentandosi come ingiustamente depauperati, abbiano assunto conto il volere dell’ente o comunque senza che i suoi organi rappresentativi ne avessero contezza.

In tale prospettiva il problema risulta ridotto unicamente a quello dell'”attribuzione” del vantaggio all’ente pubblico e risolto nel senso che si debba indagare “non tanto se quest’ultimo abbia riconosciuto l’arricchimento, quanto se sia stato almeno consapevole della prestazione indebita e nulla abbia fatto per respingerla, sicché nell’avvenuta utilizzazione della prestazione è da ravvisare, invece che un atto di riconoscimento – difficilmente definibile nei suoi caratteri e soprattutto giuridicamente inammissibile, non potendo mai condizionarsi la proponibilità di un’azione ad una preventiva manifestazione di volontà del soggetto contro cui essa è diretta – un mero fatto dimostrativo dell’imputabilità giuridica a tale soggetto della situazione dedotta in giudizio” (così, Cass. n. 4198 del 1982 in motivazione).

4. Questi, in estrema sintesi, i principali argomenti a sostegno delle opzioni ermeneutiche a confronto, le Sezioni unite, nel risolvere il contrasto, intendono proseguire sulla strada tracciata nelle sentenze da ultime citate e, in parte, ripercorsa da quell’indirizzo minoritario (sub 3.4. e 3.5.) che ha rimarcato la connotazione ordinaria dell’azione anche nei confronti della P.A., predicando una valutazione oggettiva dell’arricchimento che prescinda dal riconoscimento esplicito o implicito dell’ente beneficiato. A questi risultati conduce una lettura dell’istituto più aderente ai principi costituzionali e a quelli specifici della materia che assegnano una dimensione fattuale di evento oggettivo all’arricchimento di cui all’art. 2041 cod. civ. e alla relativa azione una funzione di rimedio generale a situazioni giuridiche altrimenti ingiustamente private di tutela, tutte le volte che tale tutela non pregiudichi in alcun modo le posizioni, l’affidamento, la buona fede dei terzi (cfr. Cass. Sez. un. 08 dicembre 2008, n. 24772). In tale prospettiva il diritto fondamentale di azione del depauperato può adeguatamente coniugarsi con l’esigenza, altrettanto fondamentale, del buon andamento dell’attività amministrativa, affidando alla stessa pubblica amministrazione l’onere di eccepire e provare il rifiuto dell’arricchimento o l’impossibilità del rifiuto per la sua inconsapevolezza (c.d. arricchimento imposto).

Del resto sulla qualificazione dell’arricchimento come istituto civilistico che da luogo a situazioni di diritto soggettivo perfetto anche quando parte sia una P.A., salvo il limite interno del divieto di annullamento e di modificazione degli atti amministrativi, la giurisprudenza ha mostrato di non dubitare, allorché ha costantemente affermato la giurisdizione ordinaria in materia (Cass. Sez. un. 18 novembre 2010, n. 23284; Cass. Sez. un. 20 novembre 1999 n. 807).

4.1. Valga considerare che l’impostazione fondata sulla necessità di un riconoscimento esplicito o implicito degli organi rappresentativi è sostanzialmente ancorata ad una lettura dell’istituto in chiave contrattuale che è stata già stigmatizzata da queste Sezioni Unite in occasione della risoluzione di altro contrasto sul tema dell’arricchimento nei confronti della P.A., rilevandosi che se è indubbio che l’arricchimento che dipende da fatto dell’impoverito presenta punti di contatto con la responsabilità contrattuale, ciononostante non se ne giustifica l’assimilazione (cfr. sentenza 11 settembre 2008, n. 23385).

Invero il principio secondo cui “chi senza una giusta causa, si è arricchito a danno di un’altra persona, è tenuto, nei limiti dell’arricchimento, a indennizzare quest’ultima della correlativa diminuzione patrimoniale” è stato dettato dal legislatore del 1942, accanto ad altre fattispecie particolari di cui già si è dato conto, con la funzione di norma di chiusura onde coprire – come si legge nella Relazione al progetto del codice – anche i casi “che il legislatore non sarebbe in grado di prevedere tutti singolarmente”. L’istituto risulta, così, configurato come un rimedio unitario, idoneo a ricomprendere tutte le ipotesi di arricchimento di un soggetto e di correlativo impoverimento di un altro soggetto in mancanza di una giusta causa e, quindi, sia i casi di arricchimento conseguito appropriandosi di utilità insite nell’altrui situazione protetta, sia quelli che dipendono da comportamenti dell’impoverito. E sebbene la prima categoria presenti innegabili punti di contatto con la responsabilità civile e la seconda con il regime di esecuzione dei contratti, l’istituto non si presta ad essere letto né in una chiave, né nell’altra, avendo una precisa identità di autonoma fonte di obbligazione restitutoria e l’esclusiva finalità di indennizzare lo spostamento di ricchezza senza giusta causa dall’uno all’altro soggetto.

4.2. In particolare la lettera della norma, che – come sopra evidenziato – adopera un lessico oggettivistico nell’individuazione dei presupposti dell’azione, nonché la funzione dell’istituto che è quella di eliminare l’iniquità prodottasi mediante uno spostamento patrimoniale privo di giustificazione di fronte al diritto, sancendone la restituzione, riconducono l’arricchimento ad una dimensione fattuale di evento oggettivo, escludendo che la qualificazione pubblicistica del soggetto arricchito possa essere evocata a fondamento di una riserva di discrezionalità in punto di riconoscimento dell’arricchimento e/o del suo ammontare. Ne consegue che ciò che il privato attore ex art. 2041 cod. civ. nei confronti della P.A. deve provare è il fatto dell’arricchimento; e il relativo accertamento da parte del giudice non incorre nei limiti di cognizione ai sensi dell’art. 4 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E, trattandosi di verificare un evento patrimoniale oggettivo, qual è l’arricchimento, senza che l’amministrazione possa opporre il mancato riconoscimento dello stesso, perché altrimenti si riconoscerebbe all’amministrazione una posizione di vantaggio che è priva di base normativa.

In tale prospettiva il riconoscimento da parte della P.A. dell’utilità della prestazione o dell’opera può rilevare non già in funzione di recupero sul piano del diritto di una fattispecie negoziale inesistente, invalida o comunque imperfetta – trattandosi di un elemento estraneo all’istituto – bensì in funzione probatoria e, precisamente, ai soli fini del riscontro dell'”imputabilità dell’arricchimento all’ente pubblico. Mentre le esigenze di tutela delle finanze pubbliche e la considerazione delle dimensioni e della complessità dell’articolazione interna della pubblica amministrazione, che l’espediente giurisprudenziale del riconoscimento dell’utilitas ha inteso perseguire, possono essere adeguatamente coniugate con la piena garanzia del diritto di azione del depauperato, nell’ambito del principio di diritto comune dell’arricchimento imposto, in ragione del quale l’indennizzo non è dovuto se l’arricchito ha rifiutato l’arricchimento o non abbia potuto rifiutarlo, perché inconsapevole dell’eventum utilitatis.

In definitiva va accolto il primo motivo, assorbito il secondo, avendo la Corte territoriale erroneamente ritenuto necessario ai fini dell’azione di arricchimento il riconoscimento dell’utilità dell’opera da parte dell’ente pubblico e, in specie, dei suoi organi rappresentativi; ciò comporta la cassazione della sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e il rinvio alla Corte di appello di Reggio Calabria in diversa composizione, che dovrà fare applicazione del seguente principio:

la regola di carattere generale secondo cui non sono ammessi arricchimenti ingiustificati né spostamenti patrimoniali ingiustificabili trova applicazione paritaria nei confronti del soggetto privato come dell’ente pubblico; e poiché il riconoscimento dell’utilità non costituisce requisito dell’azione di indebito arricchimento, il privato attore ex art. 2041 cod. civ. nei confronti della P.A. deve provare – e il giudice accertare – il fatto oggettivo dell’arricchimento, senza che l’amministrazione possa opporre il mancato riconoscimento dello stesso, potendo essa, piuttosto, eccepire e dimostrare che l’arricchimento non fu voluto o non fu consapevole.

Il Giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo; cassa la sentenza impugnata in relazione e rinvia anche per le spese del giudizio di cassazione alla Corte di appello di Reggio Calabria in diversa composizione.

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a cura di Andrea Penta

Nei tre mesi a cavallo delle vacanze estive le Sezioni Unite della Cassazione hanno pronunciato, nei settori civile e penale, numerose sentenze di ampio impatto pratico su controversie in relazione alle quali vi erano contrasti di vedute all’interno delle sezioni specializzate ratione materia.

La I Sezione civile (Cass. civ., sez. I, sentenza 20 luglio 2015 n. 15138; Pres. Forte, rel. Acierno) ha escluso, in tema di rettifica del sesso, la necessità di sottoporsi previamente all’intervento chirurgico.

In particolare, la Suprema Corte ha statuito che, alla luce di una interpretazione costituzionalmente orientata e conforme alla giurisprudenza della CEDU degli artt. 1 della legge n. 164 del 1982, nonché del successivo art. 3 della medesima legge, attualmente confluito nell’art. 31, comma 4, del d.lgs. n. 150 del 2011, per ottenere la rettificazione del sesso nei registri dello stato civile, l’adeguamento dei caratteri sessuali non implica necessariamente l’intervento chirurgico demolitorio quando, all’esito di un’accurata indagine giudiziaria, venga accertata la serietà ed univocità del percorso scelto dall’individuo e la compiutezza dell’approdo finale.

In tema di unioni fra persone dello stesso sesso, è opportuno ricordare che la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, sez. IV, in data 21 luglio 2015 (Pres. Hirvelä; Oliari e Altri c/Italia) ha deciso che la mancanza di un riconoscimento legale di tali unioni configura una violazione dell’art. 8 CEDU.

Tra le righe della motivazione si legge che le coppie omosessuali sono capaci, come le coppie eterosessuali, di costituire relazioni stabili e impegnative e sono in una situazione assai simile a una coppia eterosessuale per quanto riguarda il loro bisogno di riconoscimento legale e di protezione della loro relazione (v. Schalk and Kopf, § 99, e Vallianatos, §§78 e 81). Ne segue che le coppie omosessuali necessitano di un riconoscimento legale e della protezione della loro relazione. Nell’assenza di un interesse prevalente della comunità allegato dal Governo italiano contro il quale equilibrare i fondamentali interessi delle coppie omosessuali, e alla luce delle conclusioni delle Corti nazionali italiane sulla materia, che sono rimaste inascoltate, il Governo italiano ha ecceduto il suo margine di apprezzamento ed ha mancato di adempiere il suo obbligo positivo di assicurare che alle coppie omoaffettive fosse disponibile uno specifico quadro legale che prevedesse il riconoscimento per la tutela delle loro unioni omosessuali. Vi è conseguentemente violazione dell’art. 8 CEDU.

Sempre in materia di famiglia, la Prima Sezione Civile (Sentenza 22 luglio 2015, n. 15367 Presidente F. Forte, Relatore A. Valitutti) ha delineato i confini della tutela dell’acquirente nell’ipotesi in cui, in presenza di una separazione o divorzio cui abbia fatto seguito l’assegnazione della casa coniugale al coniuge affidatario del figlio minorenne (o maggiorenne non autosufficiente), sia avvenuta la vendita di quel cespite ad un terzo. Ci si domandava se in siffatta evenienza si verificasse il successivo venir meno delle condizioni dell’assegnazione.

Ebbene, i giudici di legittimità hanno stabilito che il terzo acquirente della casa coniugale, già assegnata al coniuge affidatario del figlio minorenne o maggiorenne non economicamente autosufficiente, non è legittimato, venuti meno i presupposti per l’assegnazione, a chiedere la revisione ai sensi dell’art. 9 della legge n. 898 del 1970, ma può instaurare un ordinario giudizio di cognizione, chiedendo l’accertamento dell’insussistenza delle condizioni per il mantenimento del diritto personale di godimento a favore del coniuge assegnatario della casa coniugale, così conseguendo la declaratoria di inefficacia del titolo che legittima l’occupazione della casa coniugale.

Sullo specifico tema sempre la Prima Sezione (Sezione Prima Civile, Sentenza 11 settembre 2015, n. 17971, Presidente F. Forte – Relatore M. Acierno) sulle conseguenze della cessazione della convivenza di fatto sull’assegnazione della casa familiare al genitore collocatario dei figli minori.

La Prima Sezione Civile ha stabilito che, in caso di cessazione della convivenza di fatto, il genitore collocatario dei figli minori, nonché assegnatario della casa familiare, esercita sull’immobile un diritto di godimento assimilabile a quello del comodatario, la cui opponibilità infranovennale è garantita, pur in assenza di trascrizione del provvedimento giudiziale di assegnazione, anche nei confronti dei terzi acquirenti consapevoli della pregressa condizione di convivenza.

Molto attesa era, per gli specialisti del settore, la decisione sulla configurabilità o meno della facoltà del curatore dell’imprenditore promittente, poi fallito, di sciogliersi dal preliminare, allorquando sia stata trascritta, anteriormente al fallimento, la domanda ex art. 2932 cod. civ. da parte del promissario acquirente.

La questione, sollevata dalla I sezione civile con ordinanza interlocutoria n. 27111/2013, è stata risolta all’udienza del 13.01.2015 con sentenza pubblicata il 16.9.2015 (Sezioni Unite Civili, Sentenza 16 settembre 2015, n. 18131, Presidente L. A. Rovelli, Relatore R. Vivaldi).

Le Sezioni Unite, a composizione di contrasto, hanno enunciato il principio secondo cui, in ipotesi di domanda di esecuzione in forma specifica proposta anteriormente alla dichiarazione di fallimento del promittente venditore e riassunta nei confronti del curatore, il curatore mantiene la titolarità del potere di scioglimento del contratto ex art. 72 legge fall., ma se la domanda è stata trascritta prima del fallimento, l’esercizio del diritto di scioglimento non è opponibile nei confronti dell’attore promissario acquirente. Se poi la domanda trascritta non viene accolta, l’effetto prenotativo della trascrizione della domanda cessa, con la conseguente opponibilità all’attore della sentenza dichiarativa di fallimento, essendo, in tal modo, efficace, nei suoi confronti, la scelta del curatore di sciogliersi dal rapporto.

In definitiva, il curatore fallimentare del promittente venditore non può esercitare la facoltà di scioglimento del preliminare ex art. 72 l.f. nei confronti del promissario compratore il quale abbia trascritto prima della dichiarazione di fallimento una domanda ex art. 2932 c.c. successivamente accolta con sentenza trascritta.

In ambito processuale si segnala una pronuncia della VI Sezione (Sezione Sesta – Lavoro, Sentenza 11 settembre 2015, n. 18024, Pres. e Rel. P. Curzio), la quale, in tema di ordinanza di inammissibilità ai sensi dell’art. 348 bis c.p.c., ha chiarito che, secondo una interpretazione letterale, teleologica e sistematica degli artt. 348 bis e 348 ter c.p.c., la comunicazione dell’ordinanza di inammissibilità ex art. 348 bis c.p.c. deve necessariamente precisare il tipo e la ragione del provvedimento, ossia che trattasi di ordinanza (e non sentenza) di inammissibilità dell’appello per mancanza di ragionevole probabilità di accoglimento del gravame (e non di inammissibilità per altre ragioni, di cui alla prima parte dell’art. 348 bis), dovendo la parte che riceve la comunicazione essere messa in grado di sapere che è stato emesso un provvedimento implicante un regime speciale d’impugnazione.

Nel medesimo ambito merita di essere riportata una pronuncia della Sesta-Terza Sezione Civile (Ordinanza 2 settembre 2015, n. 17480; Presidente M. Finocchiaro, Estensore R. Frasca) in ordine alla possibilità di individuare, in caso di controversia su contratto di utenza telefonica, il giudice competente per territorio per relationem rispetto all’organismo territorialmente competente per l’esperimento del tentativo di conciliazione dinanzi al CORECOM.

La Suprema Corte ha statuito che, nelle controversie relative ai contratti di utenza telefonica, dal combinato disposto dell’art. 1 della legge 31 luglio 1997, n. 249 – che sancisce l’obbligo di esperire il preventivo tentativo di conciliazione innanzi al Comitato regionale per le comunicazioni (cd. “CORECOM”) – e dell’art. 4 del d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28, secondo il quale la domanda di mediazione giudiziale va presentata presso un “organismo nel luogo del giudice territorialmente competente per la controversia”, non deriva la necessità di individuare il giudice avente competenza per territorio sulla controversia come necessariamente coincidente con quello del luogo in cui – a norma degli artt. 3 e seguenti del regolamento di attuazione della predetta l. n. 249 del 1997 – ha sede l’organismo territorialmente competente per il tentativo di conciliazione.   

La Cassazione ha affrontato e risolto la questione dei limiti della tutela assicurativa nell’ipotesi di infortunio in itinere in ipotesi di fatto doloso del terzo.

Le Sezioni Unite (Sezioni Unite Civili, sentenza 7 settembre 2015, n. 17685, Presidente L. A. Rovelli,  Relatore V. Nobile), a composizione di contrasto, hanno affermato che anche in seguito all’introduzione dell’art. 12 del d.lgs. 23 febbraio 2000, n. 38, che ha espressamente ricondotto all’ambito dell’assicurazione obbligatoria l’ipotesi dell’infortunio in itinere, va esclusa dalla tutela la fattispecie nella quale, in caso di fatto doloso del terzo, venga a mancare la “occasione di lavoro”.

In particolare, la Sentenza n. 17685  del  7 settembre 2015 ha formulato il seguente principio di diritto: “La espressa introduzione dell’ipotesi legislativa dell’infortunio in itinere non ha derogato alla norma fondamentale che prevede la necessità non solo della causa violenta ma anche della occasione di lavoro, con la conseguenza che, in caso di fatto doloso del terzo, legittimamente va esclusa dalla tutela la fattispecie nella quale in sostanza venga a mancare la occasione di lavoro, in quanto il collegamento tra l’evento e il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro risulti assolutamente marginale e basato esclusivamente su una mera coincidenza cronologica e topografica (come nel caso in cui il fatto criminoso sia riconducibile a rapporti personali tra l’aggressore e la vittima del tutto estranei all’attività lavorativa ed a situazioni di pericolo individuali, alle quali la vittima è, di fatto, esposta ovunque si rechi o trovi, indipendentemente dal percorso seguito per recarsi al lavoro)”.

Le Sezioni Unitesono intervenute anche in tema di sanzioni amministrative tributarie, risolvendo l’annosa questione della natura giuridica del fermo amministrativo su beni mobili registrati, avallando la tesi della misura afflittiva e non esecutiva.

Le Sezioni Unite (Sezioni Unite Civili, Sentenza 22 luglio 2015, n. 15354, Presidente L. A. Rovelli, Relatore A. Amendola), a risoluzione di questione di massima di particolare importanza, hanno deciso che il fermo amministrativo ex art. 86 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, costituisce misura non alternativa all’esecuzione ma afflittiva, sicché la pretesa dell’esattore è impugnabile con un’azione di accertamento negativo, soggetta alle regole del rito ordinario di cognizione ed alle norme generali in tema di riparto di competenza per materia e per valore.

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a cura di Andrea Penta

In caso di concorso bandito dal Consiglio Superiore della Magistratura per l’attribuzione di un incarico giudiziario, il Consiglio di Stato travalica i limiti esterni della giurisdizione qualora, nel giudizio avente ad oggetto la legittimità della delibera del CSM, operi direttamente una valutazione di merito del contenuto del provvedimento e ne apprezzi la ragionevolezza e non si limiti a sindacarne la legittimità, anche a mezzo del vizio dell’eccesso di potere (Sezioni Unite Civili, Sentenza 5 ottobre 2015, n. 19787, Presidente L. A. Rovelli,  Relatore G. Amoroso).

Sempre le Sezioni Unite, risolvendo una questione di massima di particolare importanza, hanno affermato che, in tema di locazione finanziaria, ove i vizi della cosa siano emersi prima della consegna, il concedente deve sospendere il pagamento del prezzo in favore del fornitore, nei cui confronti può agire per la risoluzione del contratto di fornitura o la riduzione del corrispettivo, mentre, se si siano rivelati dopo la consegna, l’utilizzatore ha azione diretta verso il fornitore. In ogni caso, lo stesso utilizzatore può agire contro il fornitore per il risarcimento dei danni e la restituzione dei canoni già pagati al concedente (Sezioni Unite Civili, Sentenza 5 ottobre 2015, n. 19785, Presidente L. A. Rovelli, Relatore A Spirito).

In particolare, le Sezioni Unite hanno enunciato il seguente principio di diritto: “In tema di vizi della cosa concessa in locazione finanziaria che la rendano inidonea all’uso, occorre distinguere l’ipotesi in cui gli stessi siano emersi prima della consegna (rifiutata dall’utilizzatore) da quella in cui siano emersi successivamente alla stessa perché nascosti o taciuti in mala fede dal fornitore. Il primo caso va assimilato a quello della mancata consegna, con la conseguenza che il concedente, in forza del principio di buona fede, una volta informato della rifiutata consegna, ha il dovere di sospendere il pagamento del prezzo in favore del fornitore e, ricorrendone i presupposti, di agire verso quest’ultimo per la risoluzione del contratto di fornitura o per la riduzione del prezzo. Nel secondo caso, l’utilizzatore ha azione diretta verso il fornitore per l’eliminazione dei vizi o la sostituzione della cosa, mentre il concedente, una volta informato, ha i medesimi doveri di cui al precedente caso. In ogni ipotesi, l’utilizzatore può agire contro il fideiussore per il risarcimento dei danni, compresa la restituzione della somma corrispondente ai canoni già eventualmente pagati al concedente”. 
 

Il processo riassunto a norma dell’art. 50 c.p.c. continua davanti al giudice competente, sicché, ai fini dell’applicazione del criterio di prevenzione, di cui all’art. 39, comma 2, c.p.c., in caso di continenza di cause, il tempo di inizio è quello dell’atto introduttivo proposto davanti al giudice incompetente, senza che abbia rilievo la successiva data di notificazione della comparsa di riassunzione (Sezione Sesta-2 Civile, Ordinanza 2 ottobre 2015, n. 19773, Presidente S. Petitti, Relatore A. Giusti ).

Nel rito di cui all’art. 1, comma 48, della legge 29 giugno 2012, n. 92, è preclusa, così come nel rito generale del lavoro, la proposizione, nella fase di opposizione, di una domanda nuova (nella specie di nullità del licenziamento in quanto ritorsivo), essendo consentita la sola modificazione, previa autorizzazione del giudice, della domanda (Sezione Lavoro, Sentenza 28 settembre 2015, n.19142, Pres. ed Est. F. Roselli).

La Prima Sezione Civile della Corte ha ritenuto l’improponibilità , davanti al medesimo tribunale, del concordato cd. di gruppo, in assenza di una disciplina positiva del fenomeno che si occupi di regolarne la competenza, le forme del ricorso, la nomina degli organi, nonché la formazione delle classi e delle masse; invero, “de iure condito”, il concordato preventivo può essere proposto unicamente da ciascuna delle società appartenenti al gruppo davanti al tribunale territorialmente competente per ogni singola procedura, senza possibilità di confusione delle masse attive e passive (Sezione Prima Civile, Sentenza 13 ottobre 2015, n. 20559, Presidente Ceccherini – Relatore Nazzicone).

Sempre la Prima Sezione Civile della Corte, intervenendo in tema di incandidabilità degli amministratori pubblici dei comuni il cui consiglio sia stato sciolto per l’esistenza di ingerenze della criminalità organizzata, ha ritenuto che l’incandidabilità opera dal momento in cui sia dichiarata con provvedimento definitivo e riguarda il primo turno di ognuna delle tornate elettorali indicate dall’art. 143, comma 11, del d.lgs. n. 127 del 2000 e, quindi, tanto le elezioni regionali, quanto quelle provinciali, comunali e circoscrizionali (Sezione Prima Civile, Sentenza 22 settembre 2015, n. 18696, Presidente Salvago – Relatore Lamorgese).

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di Maria Casola

La recente sentenza delle Sezioni unite della Cassazione, n. 19787 del  5 ottobre 2015, merita una particolare attenzione non solo per lo specifico principio di diritto formulato,  ma soprattutto, e più in generale, per il raggiungimento di un nuovo, più maturo punto di equilibrio tra valori opposti: tradizione ed innovazione, diritto comune e diritto speciale, poteri pubblici e diritti privati, controllo ed autonomia.

La continua tensione dinamica tra questi poli opposti risente della necessaria storicizzazione delle categorie giuridiche di riferimento e le Sezioni unite della Cassazione si dimostrano interpreti avvedute e lungimiranti del sistema di check and balance, del quale esse stesse sono,  con piena consapevolezza, un perno essenziale.

Il caso concreto

Il contenzioso a base della sentenza riguarda il conferimento dell’ufficio direttivo di Procuratore Aggiunto presso la Cassazione.

L’originaria delibera di conferimento dell’incarico al dott. Vittoria è stata annullata in grado d’appello per difetto della motivazione. Il C.S.M., esaminati nuovamente i due candidati in concorso, ha conferito nuovamente l’incarico al medesimo magistrato, in particolare osservando, quanto al puntum dolens attinente all’esperienza “fuori dalla giurisdizione”  del dottor Vittoria, che l’attività di avvocato dello Stato, se non del tutto assimilabile a quella giurisdizionale, era equiparabile a quella svolta in una “magistratura speciale”, tanto da essere riconosciuta ai fini della riammissione nell’ordine giudiziario; il medesimo magistrato – osservava ancora il C.S.M. – aveva comunque esercitato le funzioni di legittimità da maggior tempo rispetto al dottor Cosentino.

Con sentenza n. 5903 del 2012, il ricorso per l’ottemperanza proposto dal soccombente è stato respinto dal Consiglio di Stato, mentre il concorrente giudizio ordinario per vizi di legittimità perveniva, in grado di appello, ad esito vittorioso per il dottor Cosentino (sentenza n. 3501 del 10 luglio 2014). In particolare, secondo il Consiglio di Stato, l’Avvocatura dello Stato non può rientrare nella nozione di “magistrature speciali” di cui all’art. 211, comma 2, r.d. n. 12 del 1941 e dunque una minore durata di 18 anni nell’esercizio dell’attività giurisdizionale del dott. Vittoria non poteva essere compensata dalla maggiore durata dell’esercizio delle funzioni di legittimità.

Le doglianze del C.S.M. dinanzi alle Sezioni Unite

Avverso la sentenza pronunciata dal Consiglio di Stato ha proposto ricorso alle Sezioni unite della cassazione il Consiglio Superiore della Magistratura, per motivi inerenti alla giurisdizione.

L’Organo di governo autonomo della magistratura ha lamentato l’eccesso di potere giurisdizionale, ponendo due temi essenziali.

Con la prima questione, si è chiesto di verificare se poteva, o no, il Consiglio di Stato, in sede di cognizione di legittimità, ordinare al C.S.M. di attribuire, ora per allora, l’incarico giudiziario ad uno dei due aspiranti, anche se, nelle more del giudizio, entrambi erano ormai in quiescenza.

La seconda questione posta si è focalizzata nel quesito se il Consiglio di Stato, nell’esercizio della giurisdizione di legittimità, abbia travalicato i limiti esterni della giurisdizione e abbia sconfinato nell’area della discrezionalità del C.S.M. col fatto, in particolare, di aver operatoex sela comparazione dei magistrati aspiranti al posto, intervenendo direttamente nella valutazione del periodo di attività svolta presso l’Avvocatura di Stato.

Entrambe le questioni poste ruotano quindi attorno alla nozione di eccesso di potere giurisdizionale ed all’individuazione dei limiti esterni della giurisdizione del giudice amministrativo.

La risposta delle Sezioni Unite: 1. gli incarichi giudiziari dei magistrati pensionati

Quanto alla prima questione posta, la Suprema Corte ha statuito che, in caso di attribuzione di un incarico giudiziario, non travalica i limiti esterni della giurisdizione il Consiglio di Stato che si pronunci in grado di appello, pur quando il magistrato ricorrente sia stato collocato in quiescenza, anche se tale circostanza impedisce al giudice dell’ottemperanza di ordinare l’assegnazione del posto ora per allora al magistrato vittorioso.

In altri termini, se nel giudizio di ottemperanza è impedito al giudice amministrativo di ordinare al CSM di assegnare l’incarico ad un magistrato pensionato, non altrettanto è a dirsi per il giudizio di legittimità, che deve svolgersi normalmente anche verso magistrati in quiescenza.

Lasciare, dunque, fossilizzare una situazione giuridica non compiutamente scandagliata in sede processuale a causa del sopravvenire di una situazione d’impossibilità di attribuzione dell’incarico, contrasterebbe, secondo la sentenza, con la garanzia della tutela giurisdizionale ex art. 24 cost.

Questa impostazione va positivamente valutata, in quanto tende alla massima salvaguardia del diritto alla tutela giurisdizionale del singolo magistrato, garantendo la verifica di legittimità del provvedimento amministrativo, in quanto tale, anche se priva di possibili utili ricadute applicative rispetto all’ufficio giudiziario, ma solo ai fini dell’eventuale risarcimento per perdita di chance.

In senso critico, non può però sfuggire che, se è evidentemente un precipuo interesse del C.S.M. il riscontro di legittimità del suo proprio agire, non necessariamente ciò comporta un miglior soddisfacimento del canone del buon andamento dell’amministrazione consiliare e della giustizia.

Infatti, la necessità di procedere alla riedizione del potere ed alle successive verifiche e determinazioni pur quando l’incarico giudiziario non può più ab imis essere conferito al vincitore, perché pensionato (Cass. SU n. 23302/2011), crea un aggravamento amministrativo consistente di limitata utilità per l’ordine giudiziario. Senza contare gli effetti indiretti di possibile accanimento delle parti nella protrazione e moltiplicazione del contenzioso giudiziario.

2. Il nucleo insindacabile delle delibere consiliari

Quanto al secondo tema introdotto dal ricorso del CSM, inerente l’ampiezza del controllo giurisdizionale, la sentenza ribadisce il criterio discretivo tra “illogicità”vs. “non condivisibilità” della valutazione.

In altri termini, ad avviso delle Sezioni unite, il Giudice amministrativo potrebbe al più vagliare l’intrinseca tenuta logica della motivazione dell’atto impugnato, ma non la scelta operata dall’Amministrazione tra diverse opzioni possibili.

Peraltro, secondo l’arresto, il nucleo insindacabile sarebbe “particolarmente ampio” per due concorrenti aspetti che costituiscono il ius singulare: il primo di natura soggettiva, inerente la “discrezionalità del C.S.M., quale organo di rilievo costituzionale”; il secondo, di matrice oggettiva, riguardante la specificità della disciplina in tema di incarichi dirigenziali giudiziari, “espressione di alta amministrazione di rilievo costituzionale (art. 105 Cost.)”, come peraltro confermato dall’art. 2, comma 4, d.l. n. 114/2014.

Quando, dunque, il Giudice amministrativo eccede rispetto al sindacato esterno o parametrico ed entra a verificare la condivisibilità della scelta consiliare, esso supera i limiti esterni della giurisdizione.

Tale ultimo eccesso di potere, ad avviso della Cassazione, è stato consumato nel caso di specie, allorchè il Consiglio di Stato ha ritenuto di sostituirsi al C.S.M. in una “tipica valutazione di merito”, cioè quella di assimilabilità o meno dell’attività di avvocato dello Stato a quella di magistrato, ai soli fini dell’attitudine all’incarico giudiziario controverso.

Spetta, dunque, solo al Consiglio apprezzare quanto un’esperienza non giudiziaria prestata, in uno a tutti gli altri elementi curriculari, possa “valere” ai fini dell’ottenimento di un certo incarico giudiziario, in comparazione con altro magistrato, col limite della sola completezza e correttezza del percorso motivazionale di supporto.

Importanza dell’arresto

La sentenza qui commentata costituisce un importante momento di assestamento e razionalizzazione di una tematica cruciale, il conferimento degli incarichi giudiziari, un punto di snodo nel quale si vedono riflesse importanti esigenze ordinamentali, talvolta in tensione dinamica tra loro, se non addirittura in aperto contrasto.

Infatti, schematizzando al massimo, nelle procedure di attribuzione di questi incarichi dirigenziali, si confrontano l’interesse privato del singolo aspirante all’ottenimento dell’incarico e l’interesse pubblico del Consiglio e dell’amministrazione della giustizia all’individuazione del miglior candidato, secondo la normativa primaria e secondaria di riferimento.

Ora, il punto critico sta in ciò che le norme regolative della materia, per quanto puntigliose e rigide, non arrivano mai a preconfezionare un risultato univoco che consegua meccanicamente alla loro applicazione.

Né forse potrebbero farlo.

Invero, la stessa Corte Costituzionale, pur in coordinate di ragionamento più ampie, ha tenuto a precisare che la riserva di legge in materia di Ordinamento giudiziario non implica mai che “i criteri debbano essere predeterminati dal legislatore in termini così analitici e dettagliati da rendere strettamente esecutive e vincolate le scelte relative alle persone cui affidare la direzione degli stessi uffici, annullando di conseguenza ogni margine di apprezzamento e di valutazione discrezionale, assoluta o comparativa, dei requisiti dei diversi candidati” (Corte Costituzionale n. 72/1991).

La tenuta del sistema del governo autonomo, e dunque il presidio ultimo dell’autonomia ed indipendenza della magistratura, sta tutta in quel nocciolo duro, mai azzerabile del tutto, che sta al cuore delle scelte: la discrezionalità dell’Adunanza Plenaria del Consiglio.

La funzione integrativa e chiarificatrice che la delibera consiliare può e quasi deve avere, rispetto al precetto contenuto nella Circolare e nella legge, è in questo senso un perno essenziale di garanzia delle prerogative proprie dell’Organo di autogoverno. Infatti, la salvaguardia delle attribuzioni proprie del Consiglio rimane assicurata anche e proprio dalla prerogativa benefica, ad essa assegnata dall’Ordinamento, di godere sempre di un margine di scelta dei modi di concretizzazione del parametro generale predeterminato dalla legge o dalla normazione secondaria.

Il fondamento della discrezionalità consiliare sta, d’altra parte, proprio in ciò: che i valori di fondo dell’indipendenza e dell’autonomia della magistratura, nel sistema vigente, non sono assicurabili meccanicamente e rigidamente dalla legge o dalla Circolare, ma abbisognano sempre della mediazione valutativa consiliare. Gli stessi valori costituzionali dell’imparzialità e del buon andamento degli uffici giudiziari  trovano la loro primaria ed indefettibile espressione nella possibilità di scelta: nucleo della discrezionalità.

La sentenza delle Sezioni unite dovrebbe quindi valere ad evitare i casi di sovrapposizione netta della valutazione eteronoma del giudice amministrativo sulle competenze consiliari, scongiurando un eventuale spostamento ope iudicis dell’asse della politica giudiziaria, verso modelli dirigenziali non più propri dell’Organo di governo autonomo ma di altri o, addirittura, nella direzione di tutela di interessi non tipici rispetto alla causa nominata ed esclusiva del provvedimento amministrativo.

Questa chiara presa di posizione del Supremo consesso si coniuga con l’affermazione, altrettanto nitida, del pieno diritto del singolo magistrato all’effettività della tutela giurisdizionale, ai fini dell’accertamento della legittimità dell’azione consiliare, al di là del risultato concreto dell’ottenimento effettivo dell’incarico.

La materia del contendere, in questo tipo di controversia, cessa dunque solo quando sia raggiunta certezza giuridica sul corretto vincitore della gara, pur se questo potrà giovarsi alla fine solo di una tutela risarcitoria per perdita di chance. Si è già detto sopra, dei possibili corollari negativi che tuttavia possono derivare da un tal tipo di impostazione rispetto al buon andamento dell’amministrazione (consiliare e della giustizia).

In questo momento storico, ad ogni buon conto, avere ristabilito un giusto dosaggio della miscela tra autonomia e controllo vale anche a rinsaldare il buon convincimento che il giudice amministrativo, per il CSM, per i singoli magistrati e per l’ordine giudiziario, è, o meglio può essere,  una garanzia e non certo una minaccia.

Il Consiglio Superiore della magistratura, dal suo canto, con il recente varo del nuovo T.U. sulla dirigenza giudiziaria ha inteso definire in maniera più nitida i criteri di valutazione, le esperienze da valorizzare, i percorsi professionali, così da rendere anche più prevedibile e certa, e soprattutto verificabile, la valutazione comparativa tra gli aspiranti.

Dipenderà ora dalla giurisprudenza amministrativa dimostrare se il sistema, grazie anche all’intervento nomofilattico delle Sezioni unite, è in grado di funzionare fisiologicamente da solo, sulla base del diritto vivente. Il prossimo futuro ci dirà, insomma, se i poteri, i plessi giurisdizionali, il pubblico ed il privato  riusciranno da soli ad armonizzarsi, a collaborare lealmente, trovando dal proprio interno un giusto bilanciamento, che valga ad inverare, col suo tipico dinamismo storico, il sapiente disegno costituzionale.

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di Andrea Penta

Con sentenze pubblicate in data 17.11.2015, le Sezioni Unite (23460/15 e 23461/15), nel dichiarare il ricorso inammissibile, hanno statuito che, in materia di impugnazione delle sentenze del Consiglio di Stato, il controllo del rispetto del limite esterno della giurisdizione – che l’art. 111, ultimo comma, Cost. affida alla Corte di cassazione – non include anche una funzione di verifica finale della conformità di quelle decisioni al diritto dell’Unione europea, neppure sotto il profilo dell’osservanza dell’obbligo di rinvio pregiudiziale ex art. 267, terzo comma, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, dovendosi tener conto, da un lato, che nel plesso della giurisdizione amministrativa spetta al Consiglio di Stato – quale giudice di ultima istanza – garantire, nello specifico ordinamento di settore, la conformità del diritto interno a quello dell’Unione, se del caso avvalendosi dello strumento del rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione europea, mentre, per contro, l’ordinamento nazionale contempla – per reagire ad una lesione del principio di effettività della tutela, conseguente ad una decisione del giudice amministrativo assunta in pregiudizio di situazioni giuridiche soggettive protette dal diritto dell’Unione – altri strumenti di tutela, attivabili a fronte di una violazione del diritto comunitario che sia grave e manifesta.

Cass. Sez. 1, Sentenza n. 2400 del 2015, nel solco di Cass. sent. n. 4184 del 2012, che si è pronunciata in tema di trascrizione di un matrimonio contratto all’estero tra persone dello stesso sesso, ha statuito l’importante principio per cui nel nostro sistema giuridico di diritto positivo il matrimonio tra persone dello stesso sesso è inidoneo a produrre effetti perché non previsto tra le ipotesi legislative di unione coniugale. Il nucleo affettivo relazionale che caratterizza l’unione omoaffettiva, invece, riceve un diretto riconoscimento costituzionale dall’art. 2 Cost., e mediante il processo di adeguamento e di equiparazione imposto dal rilievo costituzionale dei diritti in discussione può acquisire un grado di protezione e tutela equiparabile a quello matrimoniale in tutte le situazioni nelle quali la mancanza di una disciplina legislativa determina una lesione di diritti fondamentali scaturenti dalla relazione in questione. Per questa ragione la Corte di Cassazione ha escluso la contrarietà all’ordine pubblico del titolo matrimoniale estero, pur riconoscendone l’inidoneità a produrre nel nostro ordinamento gli effetti del vincolo matrimoniale. L’operazione di omogeneizzazione può essere svolta dal giudice comune, e non soltanto dalla Corte costituzionale, in quanto tenuto ad un’interpretazione delle norme non solo costituzionalmente orientata, ma anche convenzionalmente orientata (Corte Cost. sent. n. 150 del 2012).

A prescindere, quindi, dalla catalogazione squisitamente dogmatica del vizio che affligge il matrimonio celebrato (all’estero) tra persone dello stesso sesso (che si rivela, ai fini della soluzione della questione controversa, del tutto ininfluente), deve concludersi che, secondo il sistema regolatorio di riferimento (per come dianzi riassunto), un atto siffatto risulta sprovvisto di un elemento essenziale (nella specie la diversità di sesso dei nubendi) ai fini della sua idoneità a produrre effetti giuridici nel nostro ordinamento.

La Sezione Prima Civile, Sentenza 2 novembre 2015, n. 22352 (Presidente F. Forte – Relatore M. Ferro), in materia di impugnazione di sentenza dichiarativa di fallimento, ha stabilito che, per il perfezionamento della notificazione telematica, deve aversi riguardo unicamente alla sequenza procedimentale prevista dalla legge e, quindi, alla ricevuta di accettazione, che fornisce la prova dell’avvenuta spedizione di un messaggio di posta elettronica certificata, e alla ricevuta di avvenuta consegna, che fornisce la prova che un messaggio leggibile è giunto all’indirizzo dichiarato dal destinatario, mentre non ha rilievo l’annotazione con la quale il cancelliere abbia invitato il creditore istante – prima ancora che il sistema generasse la ricevuta di avvenuta consegna – ad attivare il meccanismo sostitutivo previsto dall’art. 15, comma 3, l.fall.

La Sezione Sesta (Sezione Sesta-Seconda Civile, Ordinanza interlocutoria 17 novembre 2015, n. 23527, Presidente S. Petitti, Relatore P. D’Ascola) ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite di un ricorso involgente la questione – oggetto di contrasto – se, ai fini della competenza territoriale, ove il contratto non predetermini l’importo del corrispettivo e questo sia autodeterminato dal creditore nell’atto introduttivo del giudizio, il “forum destinatae solutionis” sia presso il domicilio del creditore (art. 1182, comma 3, c.c.) o presso il domicilio del debitore (art. 1182, comma 4, c.c.).

Dal canto suo, La Sezione Lavoro (Sezione Lavoro, Ordinanza interlocutoria 23 ottobre 2015, n. 21654, Pres. P. Stile, Relatore A. Doronzo) ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite della questione, su cui vi è contrasto, relativa al riconoscimento, anche in favore dei medici iscritti a corsi di specializzazione anteriormente al 31 dicembre 1982, del diritto al risarcimento del danno da inadempimento della direttiva comunitaria 26 gennaio 1982, n. 82/76/CEE.

Con sentenza del 22 ottobre 2015, n. 21528 la seconda Sezione civile della Corte di cassazione ritorna ad occuparsi della ricorrente questione dell’efficacia probatoria dei verbali di accertamento in tema di violazioni al codice della strada, distinguendo tra il caso in cui il suo contenuto è liberamente apprezzabile e quello in cui, invece, è confutabile solo con la querela di falso.

In altri termini, in sede di opposizione a provvedimento irrogativo della sanzione amministrativa e di opposizione diretta, in sede giurisdizionale, avverso il verbale di accertamento per violazioni al codice della strada, e con riferimento all’ammissibilità della contestazione e della prova nei relativi giudizi, non deve aversi riguardo alle circostanze di fatto della violazione attestate nel verbale come percepite direttamente ed immediatamente dal pubblico ufficiale ed alla possibilità o probabilità di un errore nella loro percezione (che devono essere necessariamente confutate, ove contestate, con l’apposito rimedio della querela di falso), ma esclusivamente a circostanze che esulano dall’accertamento, quali l’identificazione dell’autore della violazione e la sua capacità o la sussistenza dell’elemento soggettivo o di cause di esclusione della responsabilità, ovvero rispetto alle quali l’atto è insuscettibile di fede privilegiata per una sua irrisolvibile oggettiva contraddittorietà.

Alla stregua di tali principi, la Suprema Corte ha rigettato, nella fattispecie esaminata nella selezionata sentenza, il ricorso sul presupposto che, per confutare l’attestazione del pubblico ufficiale in ordine alla mancata esposizione della ricevuta di pagamento della sosta da parte dell’automobilista, occorreva che quest’ultimo proponesse querela di falso (che, invece, non era stata in concreto formulata).

In tema di art. 936 c.c.  (opere fatte da un terzo con materiali propri), nel decidere il ricorso n. 15916/2011, sempre la seconda Sezione (Pres. Oddo, Est. Migliucci) ha ritenuto che: il proprietario del fondo, che abbia optato a norma dell’art. 936, 1° co., c.c. per la ritenzione di una costruzione realizzata sul suo fondo dal terzo con materiali propri in difformità di concessione edilizia o di strumenti urbanistici, è tenuto alla corresponsione della indennità prevista dal 2° co., cit. art., nel caso in cui in pendenza del giudizio per la declaratoria della accessione della costruzione al suolo sia intervenuta sanatoria della illiceità dell’opera. Anche in tale caso l’indennità dovuta al terzo, sia che si determini in relazione all’incremento arrecato al fondo, sia che si abbia riguardo al valore dei materiali ed al prezzo della mano d’opera, va determinata con riferimento all’epoca dell’incorporazione.

Per la terza Sezione, è configurabile la responsabilità di un Comune ex art. 2049 c.c., con obbligo dello stesso di risarcire il danno cagionato ai genitori, allorché il Sindaco abbia disposto l’allontanamento di una minore dalla casa familiare, sulla base di una segnalazione (rivelatasi infondata) degli addetti ai servizi sociali, i quali avevano sollecitato l’immediata adozione del provvedimento, senza avvertire la necessità di ulteriori e più approfondite indagini da parte dei competenti organi giudiziari (Sentenza 16 ottobre 2015, n. 20928, Presidente G. Salmè, Estensore R. Lanzillo).

Sempre la terza Sezione ha chiarito che, in caso di immissioni che superino la soglia di tollerabilità, è dovuto il risarcimento del danno alla persona anche in assenza di un pregiudizio alla salute, a condizione che risulti leso il diritto al normale svolgimento della vita familiare all’interno della propria casa di abitazione e alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini di vita quotidiane, anche in ragione del rilievo che al diritto al rispetto della propria vita privata e familiare viene attribuito dall’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (Sentenza 16 ottobre 2015, n. 20927, Presidente G. Salmè, Estensore L. Rubino).

La terza Sezione si è altresì segnalata in materia di responsabilità per attività medico-chirurgica, affermando che l’osservanza da parte di un nosocomio – pubblico o privato – delle dotazioni ed istruzioni previste dalla normativa vigente per le prestazioni di emergenza non è sufficiente ad escludere la responsabilità per i danni subiti da un paziente in conseguenza della loro esecuzione, essendo comunque necessaria l’osservanza delle comuni regole di diligenza e prudenza (Sentenza 19 ottobre 2015, n. 21090, Presidente G. Salmè, Estensore F. De Stefano).

In tema di equa riparazione per irragionevole durata del processo, ai fini dell’osservanza del termine di proponibilità della domanda è sufficiente il deposito del ricorso, giacché il deposito degli atti prescritto dall’art. 3, comma 3, della l. n. 89 del 2001, novellato dalla l. n. 134 del 2012, può sopravvenire fino alla decisione del giudice o nel termine da lui appositamente concesso (Sezione Sesta-Seconda Civile, Sentenza del 6 novembre 2015, n. 22763, Presidente S. Petitti, Relatore F. Manna).

La sentenza redatta in formato elettronico dal giudice e da questi sottoscritta con firma digitale, ai sensi dell’art. 15 del d.m. 21 febbraio 2011, n. 44, non è affetta da nullità per difetto di sottoscrizione, attesa l’applicabilità al processo civile del cd. “Codice dell’amministrazione digitale” (Terza Sezione Civile, Sentenza 10 novembre 2015, n. 22871, Presidente G. Salmè, Estensore G.L. Barreca).

Nello stesso ambito, Cassazione civile, sez. VI, sentenza 10 novembre 2015, n. 22892, ha sostenuto che la posta elettronica certificata costituisce oggetto di una informazione di carattere aggiuntivo finalizzata alle comunicazioni di cancelleria e destinata a surrogarsi, anche agli effetti della notifica degli atti, ad una domiciliazione mancante.

La Suprema Corte ha specificato altresì che la PEC non è quindi destinata a prevalere sulla domiciliazione che il difensore abbia volontariamente effettuato presso la cancelleria del giudice adito in conformità dell’art. 82 del R.D. n. 37 del 1934. E ciò indipendentemente dalla circostanza che il difensore medesimo abbia specificato o meno a qual fine intendesse indicare la propria PEC, non avendo egli il potere di modificare gli effetti di tale indicazione.

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Chiarezza, sinteticità e tutela delle garanzie di difesa. Questi i principali obiettivi dei due protocolli per i ricorsi in cassazione (uno per la materia civile e tributaria e l’altro per quella penale) firmati lo scorso giovedì 17 dicembre dal Primo Presidente della Corte di Cassazione e dal Presidente del CNF.

Schema redazione dei ricorsi in materia civile e tributaria

Schema redazione dei ricorsi in materia penale

Sono stati firmati, il 17 dicembre scorso, dal Primo Presidente della Corte di Cassazione e dal Presidente del CNF due protocolli, uno per la materia civile e tributaria e l’altro per quella penale.

L’obiettivo è quello di «favorire la chiarezza e la sinteticità degli atti processuali e di formulare raccomandazioni per la redazione dei ricorsi funzionale a facilitarne la lettura e la comprensione da un lato e a dare maggiori certezze agli avvocati circa i criteri di autosufficienza e quindi di ammissibilità degli stessi dall’altro». E’ quanto si legge nel comunicato stampa diffuso lo scorso venerdì dal Consiglio Nazionale Forense.

Nei Protocolli viene indicato unoschema redazionale dei ricorsi, che ne definisce «i limiti di contenuto e ne agevola l’immediata comprensione da parte del giudicante, senza che l’eventuale mancato rispetto della regola sui limiti dimensionali comporti un’automatica sanzione di tipo processuale. Sono inoltre fornite alcune indicazioni per l’attività di difesa, l’osservanza delle quali ottempera al principio di autosufficienza».

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Protocollo d’intesa tra la Corte di Cassazione e il Consiglio Nazionale Forense in merito alle regole redazionali dei motivi di ricorso in materia civile e tributaria Roma

17 dicembre 2015

La Corte di cassazione, in persona del Primo Presidente Giorgio Santacroce, e il Consiglio Nazionale Forense, in persona del Presidente, Andrea Mascherin, nella convinzione che i tempi siano maturi per una comune presa d’atto:

  1. delle difficoltà ingenerate nella gestione dei procedimenti innanzi alla Corte di cassazione: a) dal moltiplicarsi di ricorsi, controricorsi e memorie sovradimensionati nell’esposizione di motivi ed argomentazioni, da un lato, e b) dalla riscontrata difficoltà di definire in modo chiaro e stabile il senso e i limiti del c.d. principio di autosufficienza del ricorso affermata dalla giurisprudenza, dall’altro;
  2. considerato che il sovradimensionamento degli atti difensivi di parte possa essere di ostacolo alla effettiva comprensione del loro contenuto essenziale con effetti negativi sulla chiarezza e celerità della decisione;
  3. considerato altresì che il suddetto sovradimensionamento possa essere, almeno in parte, frutto della ragionevole preoccupazione dei difensori di non incorrere nelle censure di inammissibilità per difetto di autosufficienza, con la conseguente necessità che di tale principio meglio si definiscano i precisi limiti alla luce di effettivi e concreti dati normativi;
  4. ritenuto che una significativa semplificazione possa derivare dall’adozione di un modulo redazionale dei ricorsi, che ne definisca i limiti di contenuto e ne agevoli l’immediata comprensione da parte del giudicante, senza che l’eventuale mancato rispetto della regola sui limiti dimensionali comporti un’automatica sanzione di tipo processuale;

stipulano la presente intesa sulle seguenti raccomandazioni:

REDAZIONE DEI RICORSI IN MATERIA CIVILE E TRIBUTARIA

I ricorsi dovranno essere redatti secondo il seguente:

SCHEMA

utilizzare fogli A4, mediante caratteri di tipo corrente (ad es. Times New Roman, Courier, Arial o simili) e di dimensioni di almeno 12 pt nel testo, con un’interlinea di 1,5 e margini orizzontali e verticali di almeno cm. 2,5 (in alto, in basso, a sinistra e a destra della pagina: queste indicazioni valgono anche per la redazione di controricorsi e memorie).

PARTE RICORRENTE:

Cognome e Nome / Denominazione sociale

Data e luogo di nascita / Legale rappresentante

Luogo di residenza / Sede sociale

Codice fiscale

Dati del difensore (Cognome e Nome, Codice fiscale, PEC e fax)

Domicilio eletto

Dati del domiciliatario (Cognome e Nome, Codice fiscale, PEC e fax)

PARTE INTIMATA: Gli stessi dati indicati per la parte ricorrente, nel limite in cui essi siano noti alla medesima parte ricorrente

SENTENZA IMPUGNATA:

Indicare gli estremi del provvedimento impugnato (Autorità giudiziaria che lo ha emesso, Sezione, numero del provvedimento, data della decisione, data della pubblicazione, data della notifica (se notificato)

OGGETTO DEL GIUDIZIO:

Indicare un massimo di 10 (dieci) parole chiave, tra le quali debbono essere quelle riportate nella nota di iscrizione a ruolo, che descrivano sinteticamente la materia oggetto del giudizio.

VALORE DELLA CONTROVERSIA:

Indicare il valore della controversia ai fini della determinazione del contributo unificato

SINTESI DEI MOTIVI:

Enunciare sinteticamente i motivi del ricorso (in non più di alcune righe per ciascuno di essi e contrassegnandoli numericamente), mediante la specifica indicazione, per ciascun motivo, delle norme di legge che la parte ricorrente ritenga siano state violate dal provvedimento impugnato e dei temi trattati. Nella sintesi dovrà essere indicato per ciascun motivo anche il numero della pagina ove inizia lo svolgimento delle relative argomentazioni a sostegno nel prosieguo del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L’esposizione del fatto deve essere sommaria, in osservanza della regola stabilita dall’art. 366, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., e deve essere funzionale alla percepibilità delle ragioni poste a fondamento delle censure poi sviluppate nella parte motiva. L’esposizione deve essere contenuta nel limite massimo di 5 pagine.

MOTIVI DI IMPUGNAZIONE

In questa parte trova spazio l’esposizione delle argomentazioni a sostegno delle censure già sinteticamente indicate nella parte denominata “sintesi dei motivi”. L’esposizione deve rispondere al criterio di specificità e di concentrazione dei motivi e deve essere contenuta nel limite massimo di 30 pagine.

CONCLUSIONI

In questa parte trova spazio l’indicazione del provvedimento in ultimo richiesto (e con richiesta comunque non vincolante). Ad esempio: cassazione con rinvio, cassazione senza rinvio con decisione di merito, ecc..

DOCUMENTI ALLEGATI

Elencare secondo un ordine numerico progressivo gli atti e i documenti prodotti ai sensi dell’art. 369, secondo comma, n. 4 cod. proc. civ.

Note:

  1. Tutte le indicazioni contenute nel modulo sopra riportato, comprese quelle sulle misure dimensionali, si estendono, per quanto compatibili, ai controricorsi e alle memorie previste dall’art. 378 cod. proc. civ. Qualora il controricorso contenga anche un ricorso incidentale, all’esposizione dei relativi motivi si applica la previsione di cui al successivo punto n. 3), ultimo periodo.
  2. Il mancato rispetto dei limiti dimensionali indicati nel modulo e delle ulteriori indicazioni ivi previste non comporta l’inammissibilità o l’improcedibilità del ricorso (e degli altri atti difensivi or ora citati), salvo che ciò non sia espressamente previsto dalla legge; il mancato rispetto dei limiti dimensionali, salvo quanto in appresso indicato, è valutabile ai fini della liquidazione delle spese del giudizio.
  3. Nel caso che per la particolare complessità del caso le questioni da trattare non appaiano ragionevolmente comprimibili negli spazi dimensionali indicati, dovranno essere esposte specificamente, nell’ambito del medesimo ricorso (o atto difensivo), le motivate ragioni per le quali sia ritenuto necessario eccedere dai limiti previsti. La presentazione di un ricorso incidentale, nel contesto del controricorso, costituisce di per sé ragione giustificatrice di un ragionevole superamento dei limiti dimensionali fissati.
  4. La eventuale riscontrata e motivata infondatezza delle motivazioni addotte per il superamento dei limiti dimensionali indicati, pur non comportando inammissibilità del ricorso (o atto difensivo) che la contiene, può essere valutata ai fini della liquidazione delle spese.
  5. Nei limiti dimensionali complessivi sono da intendersi come esclusi, oltre all’intestazione e all’indicazione delle parti processuali, del provvedimento impugnato, dell’oggetto del giudizio, del valore della controversia, della sintesi dei motivi e delle conclusioni, l’elenco degli atti, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali si fonda il ricorso, la procura in calce e la relazione di notificazione.

IL PRINCIPIO DI AUTOSUFFICIENZA

Il rispetto del principio di autosufficienza non comporta un onere di trascrizione integrale nel ricorso e nel controricorso di atti o documenti ai quali negli stessi venga fatto riferimento. Il sunnominato principio deve ritenersi rispettato, anche per i ricorsi di competenza della Sezione tributaria, quando:

  1. ciascun motivo articolato nel ricorso risponda ai criteri di specificità imposti dal codice di rito;
  2. nel testo di ciascun motivo che lo richieda sia indicato l’atto, il documento, il contratto o l’accordo collettivo su cui si fonda il motivo stesso (art. 366, c. 1, n. 6), cod. proc. civ.), con la specifica indicazione del luogo (punto) dell’atto, del documento, del contratto o dell’accordo collettivo al quale ci si riferisce;
  3. nel testo di ciascun motivo che lo richieda siano indicati il tempo (atto di citazione o ricorso originario, costituzione in giudizio, memorie difensive, ecc.) del deposito dell’atto, del documento, del contratto o dell’accordo collettivo e la fase (primo grado, secondo grado, ecc.) in cui esso è avvenuto;
  4. siano allegati al ricorso (in apposito fascicoletto, che va pertanto ad aggiungersi all’allegazione del fascicolo di parte relativo ai precedenti gradi del giudizio) ai sensi dell’art. 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., gli atti, i documenti, il contratto o l’accordo collettivo ai quali si sia fatto riferimento nel ricorso e nel controricorso.

Redatto in due originali in Roma il giorno 17 dicembre 2015

Il Primo Presidente della Corte di Cassazione
Giorgio Santacroce

Il Presidente del Consiglio Nazionale Forense
Andrea Mascherin

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a cura di Andrea Penta

Attesa era la pronuncia delle Sezioni Unite sul terzo comma dell’art. 360 c.p.c., le quali hanno affermato che la sentenza, con cui il giudice d’appello riforma o annulla la decisione di primo grado e rimette la causa al giudice a quo ex artt. 353 o 354 c.p.c., è immediatamente impugnabile con ricorso per cassazione, trattandosi di sentenza definitiva che non ricade nel divieto, dettato dall’art. 360, comma 3, c.p.c. novellato, d’immediata impugnazione in cassazione delle sentenze non definitive su mere questioni, per tali intendendosi solo quelle che non chiudono il processo dinanzi al giudice che le ha pronunciate (Sezioni Unite, Sentenza 22 dicembre 2015, n. 25774, Presidente L.A. Rovelli, Relatore A. Giusti).

Di grande impatto, non solo giuridico ma anche umano, è la sentenza delle Sezioni Unite Civili le quali, a risoluzione di contrasto, sulla responsabilità medica per nascita indesiderata, hanno affermato che: a) la madre è onerata dalla prova controfattuale della volontà abortiva, ma può assolvere l’onere mediante presunzioni semplici; b) il nato con disabilità non è legittimato ad agire per il danno da “vita ingiusta”, poiché l’ordinamento ignora il “diritto a non nascere se non sano” (Sezioni Unite Civili, Sentenza 22 dicembre 2015, n. 25767, Presidente L. A. Rovelli, Relatore A. Spirito, Estensore R. Bernabai).

Di notevole rilevanza sul piano pratico è l’altra pronuncia delle Sezioni Unite che, a soluzione di una questione di massima di particolare importanza, hanno affermato il principio secondo cui, ove il diritto non si possa far valere se non con un atto processuale, la prescrizione è interrotta dall’atto di esercizio del diritto, ovvero dalla consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario per la notifica, mentre in ogni altro caso opera la soluzione opposta (Sezioni Unite, Sentenza 9 dicembre 2015, n. 24822, Presidente L.A. Rovelli, Estensore R. Vivaldi).

Le stesse Sezioni Unite, a soluzione di una questione di massima di particolare importanza, hanno affermato il principio secondo il quale l’impugnazione del garante riguardo al rapporto principale, tanto nel caso in cui la chiamata si sia esaurita nella sola richiesta di estensione soggettiva dell’accertamento sul rapporto principale al garante, quanto nel caso in cui ad essa sia stata cumulata la domanda di garanzia, è idonea ad investire il giudice dell’impugnazione anche a favore del garantito, attesa la struttura necessaria del litisconsorzio sul piano processuale e considerato che è stato lo stesso garantito a realizzare l’estensione soggettiva della legittimazione sul rapporto principale (Sezioni Unite, Sentenza 4 dicembre 2015, n. 24707, Presidente L.A. Rovelli, Estensore R. Frasca).

Da ultimo, sul piano sostanziale, le Sezioni Unite, a risoluzione di contrasto, hanno affermato che, ove gli elementi costitutivi della pensione di inabilità prevista dall’art. 12 della legge n. 118 del 1974  siano maturati prima del compimento del sessantacinquesimo anno di età e la relativa domanda amministrativa sia stata proposta prima di tale data, la sostituzione con l’assegno sociale opera dal primo giorno del mese successivo a quello del compimento del sessantacinquesimo anno, anche se ciò comporta che non venga pagato neanche un rateo della pensione di inabilità e si debba corrispondere direttamente l’assegno sociale (Sezioni Unite, Sentenza 15 dicembre 2015, n. 25204, Presidente F. Roselli, Estensore V. Nobile).

La Prima Sezione Civile, andando di contrario avviso ad un proprio precedente specifico, ma muovendosi nel solco di un orientamento generale ormai prevalente in materia di incompatibilità , ha escluso che la partecipazione del giudice delegato che abbia deciso sulla domanda di insinuazione al passivo fallimentare al collegio giudicante chiamato a pronunciarsi sulla conseguente opposizione allo stato passivo possa determinare la nullità della decisione, in quanto l’incompatibilità prevista dalla legge può dar luogo soltanto all’esercizio del potere di ricusazione, che la parte interessata ha l’onere di far valere, in caso di mancata astensione del giudice, nelle forme e nei termini di cui all’art. 52 c.p.c. (Sezione Prima Civile, Sentenza 4 dicembre 2015, n. 24718, Presidente Ceccherini, Relatore Didone).

In tema di notificazioni, Cass. Sez. Prima, 2 novembre 2015, n. 22352, ha statuito che la fattispecie della notifica telematica, effettuata a cura della cancelleria, evidenzia una sequenza caratterizzata dalla ricevuta telematica e dalla ricevuta di avvenuta consegna, relativamente alle quali gli artt. 6 del d.P.R. n. 68 del 2005 e l’art. 45 del d.lgs. n. 82 del 2005 fissano i presupposti del rispettivo perfezionamento: dal lato del mittente, la fornitura del gestore di posta elettronica certificata utilizzato della ricevuta di accettazione, contenente i dati di certificazione che costituiscono la prova dell’avvenuta spedizione di un messaggio di PEC, mentre dal lato del destinatario la fornitura della ricevuta di avvenuta consegna, che a sua volta dà al mittente la prova che il suo messaggio di PEC è effettivamente pervenuto all’indirizzo elettronico dichiarato dal destinatario e certifica il momento della consegna tramite un testo, leggibile dal mittente, contenente i dati di certificazione. La ricevuta di avvenuta consegna è rilasciata contestualmente alla consegna del messaggio di posta elettronica certificata nella casella di posta elettronica messa a disposizione del destinatario dal gestore, indipendentemente dall’avvenuta lettura da parte del soggetto destinatario. Trattasi di un assetto normativo espressione del processo di digitalizzazione del processo, finalizzato a conseguire l’obiettivo stabilito dall’art. 16 del d.l. n. 179 del 2012, a norma del quale è stabilito che nei procedimenti civili le comunicazioni e le notificazioni a cura della cancelleria devono essere effettuate esclusivamente per via telematica all’indirizzo di posta elettronica certificata.

La Sezione Seconda ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite di un ricorso sulla questione dell‘iscrizione a ruolo delle cause d’appello “con velina”: se ne derivi l’improcedibilità o una nullità sanabile; se per l’eventuale sanatoria basti la costituzione dell’appellato o necessiti il deposito dell’atto originale; se il deposito debba avvenire entro la prima udienza o possa seguire nel corso del giudizio (Sezione Seconda Civile, Ordinanza interlocutoria 18 dicembre 2015, n. 25529, Presidente E. Bucciante, Relatore E. Picaroni).

La medesima Sezione ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite di ricorso su questioni oggetto di contrasto: a) se la notifica di copia del ricorso per cassazione incomprensibile perché priva di alcune pagine determini inammissibilità dell’impugnazione o vizio sanabile con notifica integrale; b) se l’appello proposto a giudice incompetente per territorio sia inammissibile o suscettibile di translatio iudicii (Sezione Seconda Civile, Ordinanza interlocutoria 9 dicembre 2015, n. 24856, Presidente M. Oddo, Relatore A. Giusti).

Ha ingenerato numerose polemiche Cass. Civ., sez. III, sentenza 3 dicembre 2015 n. 24629 (Pres., rel. Vivaldi), la quale ha statuito che. nel procedimento per decreto ingiuntivo cui segue l’opposizione, la parte su cui grava l’onere di introdurre il percorso obbligatorio di mediazione, ai sensi del d.lgs. 28 del 2010, è la parte opponente: infatti, è proprio l’opponente che ha il potere e l’interesse ad introdurre il giudizio di merito, cioè la soluzione più dispendiosa, osteggiata dal legislatore. E’, dunque, sull’opponente che deve gravare l’onere della mediazione obbligatoria, perché è l’opponente che intendere precludere la via breve per percorrere la via lunga. La diversa soluzione sarebbe palesemente irrazionale, in quanto premierebbe la passività dell’opponente e accrescerebbe gli oneri della parte creditrice. Del resto, non si vede a quale logica di efficienza risponda una interpretazione che accolli al creditore del decreto ingiuntivo l’onere di effettuare il tentativo di mediazione, quando ancora non si sa se ci sarà l’opposizione allo stesso decreto ingiuntivo.

Con la sentenza n. 22871 del 2015 la Suprema Corte ha affermato che la sentenza redatta in formato elettronico dal giudice e da questi sottoscritta con firma digitale ai sensi dell’art. 15, d.m. 21 febbraio 2011 n. 44, non è affetta da nullità per mancanza di sottoscrizione, sia perché sono garantite l’identificabilità dell’autore, l’integrità del documento e l’immodificabilità del provvedimento (se non dal suo autore), sia perché la firma digitale è equiparata, quanto agli effetti alla sottoscrizione autografa in forza dei principi contenuti del Codice dell’Amministrazione Digitale (d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82 e succ. mod.) applicabili anche al processo civile, per quanto disposto dall’art. 4, d.l. 29 dicembre 2009 n. 193, convertito nella l. 22 febbraio 2010 n. 24. (Cass., Sez. III, 10 novembre 2015, n. 22871).

In materia di responsabilità civile dei magistrati, la Terza Sezione (Sez. III, Sentenza 15 dicembre 2015, n. 25216, Presidente G. Salmè, Estensore G.L. Barreca) ha precisato che la sopravvenuta abrogazione dell’art. 5 della legge 13 aprile 1988, n. 117 – ad opera dell’art. 3, comma 2, della legge 27 febbraio 2015, n. 18 – non esplica efficacia retroattiva, sicché l’ammissibilità della domanda di risarcimento danni cagionati nell’esercizio di funzioni giudiziarie, proposta sotto il vigore della norma abrogata, deve essere delibata alla stregua della disciplina previgente.

Per Cass. Civ., Sez. VI, Ord., 4 novembre 2015, n. 224, ai sensi del combinato disposto degli artt. 167, comma 1, e 115, comma 1, c.p.c., l’onere di contestazione specifica dei fatti posti dall’attore a fondamento della domanda, si pone unicamente per il convenuto costituito e nell’ambito del solo giudizio di primo grado, nel quale soltanto si definisce -irretrattabilmente- il thema decidendum(cioè i fatti pacifici) ed ilthema probandum (vale a dire i fatti controversi). Pertanto, il giudice d’appello nel decidere la causa deve aver riguardo ai suddetti temi così come si sono formati nel giudizio di primo grado, non rilevando a tal fine la condotta processuale tenuta dalle parti nel giudizio svoltosi innanzi a lui.

In caso di licenziamento intimato al pubblico impiegato in violazione di norme imperative, quali l’art. 55-bis, comma 4, del d.lgs. n. 165 del 2001, si applica la tutela reintegratoria di cui all’art. 18 st. lav., come modificato dalla l. n. 92 del 2012, trattandosi di nullità prevista dalla legge (Sezione Lavoro,. Sentenza 26 novembre 2015, n. 24157, Pres. P. Stile, Relatore A. Manna).

Sempre in materia di lavoro e previdenza, nel caso di pubblicazione in udienza della sentenza completa di motivazione e dispositivo, con contestuale emanazione di provvedimento per l’ulteriore corso del giudizio, la riserva d’appello non deve essere effettuata alla stessa udienza, bensì può essere ritualmente compiuta con atto successivo, nel rispetto del termine di cui all’art. 325 c.p.c. (Sezione Lavoro, Sentenza 7 dicembre 2015, n. 24805, Pres. G. Amoroso, Relatore P. Ghinoy).

Quanto al rito cd. Fornero, la Sezione Lavoro ha chiarito che, nel rito di cui all’art. 1, commi 48 e segg., della legge 29 giugno 2012, n. 92 l’eccezione di decadenza dall’impugnativa di licenziamentodi cui all’art. 6 della l. n. 604 del 1966, come modificato dall’art. 32 della l. n. 183 del 2010, può essere proposta, per la prima volta, anche nella sola fase di opposizione, in quanto in rapporto di prosecuzione con la prima fase a cognizione sommaria (Sez. L., Sentenza 11 dicembre 2015, n. 25046, Pres. F. Roselli, Est. n. De Marinis)

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a cura di Andrea Penta

Le Sezioni Unite sono intervenute nel corso dell’ultimo mese con tre importanti sentenze.

Con la prima (Sezioni Unite civili, Sentenza 31 maggio 2016, n. 11374, Presidente R. Rordorf, Relatore P. Curzio)  hanno affermato la legittimità dei contratti di lavoro a tempo determinato stipulati in successione tra loro con le Poste Italiane s.p.a.  nel rispetto della disciplina dettata dal d.lgs. n. 368 del 2001, e successive integrazioni, applicabile ratione temporis; dovendosi ritenere la normativa interna (in ispecie, quella di cui all’art. 5 del d.lgs. n. 368 del 2001, integrata dall’art. 1, commi 40 e 43, della legge n. 247 del 2007) conforme ai principi fissati dall’Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato (Direttiva n. 1999/70/CE).

Con la seconda (Sezioni Unite civili, Sentenza 9 giugno 2016, n. 12084, Presidente R. Rordorf, Relatore P. D’Ascola) hanno statuito che la notifica di un primo atto di appello (o di ricorso per cassazione) determina il passaggio irretrattabile alla fase dell’impugnazione e dimostra conoscenza legale della sentenza da parte dell’impugnante, sicché l’eventuale ripetizione dell’atto, ammessa nei limiti ex art. 358 c.p.c., deve essere tempestiva in relazione al termine breve decorrente dalla data di proposizione della prima impugnazione.

Con la terza (Sezioni Unite civili, Sentenza 15 giugno 2016, n. 12324, Presidente G. Canzio, Relatore P. D’Ascola) hanno chiarito, in tema di sanzioni amministrative, che, in caso di ritardato pagamento sono dovuti gli interessi moratori infrasemestrali nel periodo tra la scadenza dell’obbligo di pagare la sanzione e la data di effettivo pagamento, avvenuto prima della maturazione, al termine del primo semestre, della maggiorazione di cui all’art. 27, comma 6, della l. n. 689 del 1981.
 

Particolarmente significative sono state le pronunce della Prima Sezione.

Quest’ultima, pronunciandosi ex art. 363, comma 3, c.p.c., ha affermato che al socio di maggioranza di una s.r.l., titolare di almeno un terzo del capitale, va riconosciuto, nel silenzio della legge e dell’atto costitutivo, il potere di convocazione dell’assemblea in caso di inerzia dell’organo di gestione (Prima Sezione Civile, Sentenza 25 maggio 2016, n. 10821, Presidente F. Forte, Relatore R. Bernabai).

Di grande rilevanza sul piano pratico sarà la statuizione con la quale la Suprema Corte ha ritenuto che, nell’azione di responsabilità esercitata dal socio ex art. 2476 c.c., deve integrarsi il contraddittorio nei confronti della società , quale litisconsorte necessaria (Prima Sezione Civile, Sentenza 26 maggio 2016, n. 10936, Presidente F. Forte, Relatore R. Bernabai).

Infine, ha affermato che, anche con riferimento alla nuova disciplina introdotta dal d.P.R. n. 327 del 2001, la pronuncia del decreto di espropriazione costituisce una condizione dell’azione per la determinazione della corrispondente indennità , sicché il giudice può esaminare il merito della relativa controversia ove quel provvedimento sia esistente al momento della decisione (Prima Sezione Civile, Sentenza 31 maggio 2016, n. 11261, Presidente S. Salvago, Relatore M.G.C. Sambito).

La Sezione Lavoro ha escluso che ai rapporti di pubblico impiego contrattualizzato di cui all’art. 2 del d.lgs. n. 165 del 2001 si applichino le modifiche apportate dalla l. n. 92 del 2012 (cd. legge Fornero) all’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, sicché la tutela del dipendente pubblico nel caso di licenziamento illegittimo intimato in data successiva all’entrata in vigore di tali modifiche resta quella prevista dall’art. 18 dello Statuto nel testo precedente alla riforma (Sezione Lavoro, sentenza 9 giugno 2016, n. 11868, Pres. L Macioce, Relatore A. Di Paolantonio).

A sua volta, la Sezione Tributaria ha precisato, in tema di plusvalenze da cessioni d’immobili o aziende, che l’art. 5, comma 3, della l. n. 147 del 2015 è norma d’interpretazione autentica e, quindi, retroattiva, per cui l’esistenza di un maggior corrispettivo non è più presumibile sulla base del valore anche se dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro o ipotecaria e catastale neppure nelle controversie instaurate prima della sua introduzione (Sesta Sezione – Tributaria, Ordinanza 6 giugno 2016, n. 11543,Presidente M. Iacobellis, relatore G. Caracciolo).

Infine, va segnalato che la Terza Sezione Civile ha rimesso al Primo Presidente, per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, la questione, su cui sussiste contrasto, relativa all’operatività, o meno, della responsabilità ex art. 1669 c.c. anche in caso di lavori di ristrutturazione di edifici (Terza Sezione Civile, Ordinanza interlocutoria 10 giugno 2016, n. 12041, Presidente A. Spirito, Estensore D. Sestini).

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a cura di Andrea Penta

Nel mese di gennaio vanno segnalate due pronunce delle Sezioni Unite.

Con la prima, in tema di giurisdizione, le Sezioni Unite civili, muovendo dall’affermazione della pregiudizialità della questione di giurisdizione rispetto a quella di competenza, derogabile solo in forza di norme o principi della Costituzione o espressivi di interessi o di valori di rilievo costituzionale, hanno stabilito che, qualora sia stato proposto regolamento di competenza (facoltativo) avverso una sentenza di primo grado declinatoria della competenza, la Corte di cassazione, non essendosi formato il giudicato sulla giurisdizione, giusta l’art. 43, comma 3, primo periodo, c.p.c., può rilevarne d’ufficio l’eventuale difetto da parte del giudice ordinario adito ai sensi dell’art. 37 c.p.c. (Sez. Unite civili, sentenza 5 gennaio 2016, n. 29, Pres. L. A. Rovelli, Est. S. Di Palma).

Con la seconda, adottata nell’ambito del lavoro pubblico, hanno affermato, a risoluzione di questione di massima di particolare importanza, che l’art. 1, comma 49, della legge n. 311 del 2004, con possibilità di reinquadramento ed accesso alla dirigenza, non si applica ai segretari comunali o provinciali trasferiti ad una P.A. diversa da quella di provenienza per effetto di procedure di mobilità già esaurite alla data di entrata in vigore della legge (Sez. Unite civili, sentenza 19 gennaio 2016, n. 784, Pres. F. Roselli, Rel. P. Curzio).

Di particolare interesse pratico, per chi frequenta il “Palazzaccio”, è l’ordinanza interlocutoria conla quale la Prima Sezione ha rimesso al Primo Presidente, per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite: a) ex art. 374, comma 3, c.p.c., la questione riguardante la procedibilità , o meno, del ricorso per cassazione quando la copia notificata della sentenza impugnata, non depositata dal ricorrente che pure abbia dichiarato l’esistenza di tale evento, sia stata prodotta da un’altra parte nel giudizio di legittimità; b) ex art. 374, comma 2, c.p.c., la questione concernente la validità, o meno, della procura conferita ad un difensore, ma con autenticazione della firma della parte ad opera di altro difensore che sia anche indicato nell’epigrafe dell’atto e che lo abbia sottoscritto (Sez. I, ordinanza interlocutoria 21 gennaio 2016, n. 1081, Pres. S. Di Palma, Est. L. Nazzicone).

Era molto attesa la pronuncia concernente la fallibilità , quale socia illimitatamente responsabile, di una società a responsabilità limitata partecipante ad società di persone, anche di fatto, in assenza della delibera di assunzione della partecipazione medesima. Orbene, è stato ritenuto ammissibile il fallimento in estensione di una società a responsabilità limitata partecipe di una società di persone, anche di fatto, trattandosi di attività che non esige il rispetto dell’art. 2361, comma 2, c.c., dettato per la società per azioni, e costituisce un atto gestorio dell’organo amministrativo, che non richiede – ove l’assunzione della partecipazione non comporti un significativo mutamento dell’oggetto sociale – la previa decisione autorizzativa dei soci ex art. 2479, comma 2, c.c. (Prima Sezione Civile, Sentenza 21 gennaio 2016, n. 1095, Presidente A. Ceccherini, Relatore L. Nazzicone).

La stessa Prima Sezione ha stabilito, sempre in ambito fallimentare, che il decreto di esecutività dello stato passivo  non preclude al giudice delegato, in sede di riparto, di escludere un credito già ammesso al concorso, ove il curatore faccia valere un fatto estintivo (nella specie, l’integrale soddisfazione del creditore da parte dei coobbligati in solido del fallito) sopravvenuto all’ammissione (Prima Sezione Civile, Sentenza 14 gennaio 2016, n. 525, Presidente F. Forte, Relatore R.M. Di Virgilio). 

Particolarmente prolifica è stata in questo mese la Terza Sezione, la quale ha, in primo luogo, in tema di prescrizione e decadenza, rimesso – sul presupposto dell’esistenza di un contrasto di giurisprudenza sul punto -al Primo Presidente della Corte, ai fini dell’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, la questione relativa alla possibilità che l’eccezione di prescrizione sollevata dall’assicuratore della responsabilità civile estingua anche il credito vantato dal danneggiato verso l’assicurato  (Terza Sezione Civile, Ordinanza interlocutoria 23 dicembre 2015, n. 25967, Presidente G.B. Petti, Estensore M. Rossetti).

La stessa Sezione, in tema di locazione di immobile ad uso commerciale, ha statuito che, estinto il rapporto di locazione, il conduttore di immobile ad uso commerciale si libera dall’obbligo di corresponsione dei canoni mediante offerta formale di restituzione dell’immobile, ai sensi dell’art. 1216, comma 2, c.c., anche qualora condizioni la riconsegna al pagamento, da parte del locatore, dell’indennità di avviamento (Terza Sezione Civile,Sentenza n. 890 del 20/01/2016, Presidente R. Vivaldi, Estensore E. Vincenti).

Ancora la Terza Sezione ha chiarito che, nell’azione revocatoria ordinaria, l’impugnazione della sentenza per il solo vizio della integrità del contraddittorio richiede che l’impugnante manifesti quale sia il concreto interesse ad agire per il rispetto del litisconsorzio necessario (Terza Sezione Civile,Sentenza n. 895 del 20/01/2016, Presidente G. Travaglino, Estensore E. Vincenti).

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a cura di Andrea Penta

Nel corso del mese di febbraio le Sezioni Unite Civili della Suprema Corte hanno depositato due attese pronunce, entrambe in ambito processuale.

Con la prima, in tema di impugnazioni civili, a risoluzione di un contrasto, hanno affermato che l’ordinanza di inammissibilità dell’appello adottata ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c.è ricorribile per cassazione ai sensi dell’art. 111, comma 7, Cost., limitatamente ai vizi propri della stessa costituenti violazioni della legge processuale, purché compatibili con la logica e la struttura del giudizio ad essa sotteso, compatibilità che non sussiste ove si denunci l’omessa pronuncia su un motivo d’appello attesa la natura complessiva del giudizio “prognostico”, ponendosi, eventualmente, solo un problema di motivazione (Sez. Unite civili, sentenza 2 febbraio 2016, n. 1914, Pres. L.A. Rovelli, Rel. C. Di Iasi).

Circa un mese e mezzo fa Sez. U, Sentenza n. 25208 del 15/12/2015 aveva statuito che, ai fini delladecorrenza del termine breve per l’impugnazione della sentenza di primo grado, ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c., è idonea la comunicazione dell’ordinanza, sicché la Corte di cassazione, qualora verifichi che il termine stesso è scaduto in rapporto all’avvenuta comunicazione, dichiara inammissibile il ricorso, senza necessità di prospettare il tema alle parti, trattandosi di questione di diritto di natura esclusivamente processuale.

Avrà notevoli riflessi anche nei giudizi di meritola decisione con la quale si è statuito che latitolarità della posizione soggettiva, attiva o passiva, vantata in giudizio è un elemento costitutivo della domanda ed attiene al merito della decisione, sicché la relativa allegazione e prova incombe sull’attore, salvo il riconoscimento, o lo svolgimento di difese incompatibili con la negazione, da parte del convenuto (Sezioni Unite civili, Sentenza 16 febbraio 2016, n. 2951, Presidente L.A. Rovelli, Relatore P. Curzio).

In particolare, le contestazioni da parte del convenuto della titolarità del rapporto controverso dedotta dall’attore hanno natura di mere difese, proponibili in ogni fase del giudizio, senza che l’eventuale contumacia o tardiva costituzione assuma valore di non contestazione o alteri la ripartizione degli oneri probatori, ferme le eventuali preclusioni maturate per l’allegazione e la prova di fatti impeditivi, modificativi od estintivi della titolarità del diritto non rilevabili dagli atti.

Nel corso del medesimo periodo la Prima Sezione si è distinta per due pronunce.

Con la prima, adottata in tema di intermediazione finanziaria, ha rimesso al Primo Presidente, per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, la questione, ritenuta di massima di particolare importanza, concernente l’ammissibilità dell’intervento ad adiuvandum di un’associazione esponenziale dei consumatori/risparmiatori in un giudizio individuale, promosso da una pluralità di essi per denunciare la lesione di diritti riconosciuti dalla legge in virtù dell’asimmetria informativa e contrattuale caratterizzante il loro rapporto con l’intermediario finanziario (Sezione Prima, ordinanza interlocutoria 19 febbraio 2016, n. 3323, Presidente S. Di Palma, Estensore M. Acierno).

Con la seconda, concernente il diritto alla riservatezza, ha ritenuto che, ai sensi dell’art. 132, commi 2 e 3, del d.lgs. n. 196 del 2003 – nel testo, utilizzabile ratione temporis, risultante dalle modifiche apportategli dal d.l. n. 144 del 2005, conv., con modif. dalla l. n. 155 del 2005 – trascorso il primo termine di ventiquattro mesi, è precluso l’utilizzo dei dati del traffico telefonico, nonché l’accesso agli stessi, da parte dei privati, per finalità di repressione dei reati diversi da quelli di cui all’art. 407, comma 2, lett. a), c.p.p. (Prima Sezione Civile, Sentenza 28 gennaio 2016, n. 1625, Presidente S. Di Palma, Relatore A. P. Lamorgese).

Da ultimo, la Seconda Sezione ha rimesso al Primo Presidente, per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, la questione di particolare importanza, concernente i limiti di estensione del principio della “scissione” degli effetti della notificazione, nelle ipotesi di atti procedimentali quali la contestazione dell’incolpazione prevista nei procedimenti sanzionatori (Sezione seconda, ordinanza interlocutoria 8 febbraio 2016, n. 2448, Presidente E. Bucciante, Estensore L. Orilia).

Sul tema si ricorda che circa due mesi fa Sez. U, Sentenza n. 24822 del 09/12/2015 ha affermato che la regola della scissione degli effetti della notificazione per il notificante e per il destinatario, sancita dalla giurisprudenza costituzionale con riguardo agli atti processuali e non a quelli sostanziali, si estende anche agli effetti sostanziali dei primi ove il diritto non possa farsi valere se non con un atto processuale, sicché, in tal caso, la prescrizione è interrotta dall’atto di esercizio del diritto, ovvero dalla consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario per la notifica, mentre in ogni altra ipotesi tale effetto si produce solo dal momento in cui l’atto perviene all’indirizzo del destinatario.

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Sezione penale

a cura di Luigi Giordano

REATO – Cause di giustificazione – Difesa legittima – Modifiche introdotte dalla legge n. 36 del 2019 – Eccesso colposo – Causa di non punibilità ex art. 55, comma secondo, cod. pen. – Requisiti.

In tema di legittima difesa, la Terza sezione ha affermato che la causa di non punibilità prevista dall’art. 55, secondo comma, cod. pen., come integrato dalla legge n. 36 del 2019, per chi abbia agito in condizioni di minorata difesa o in stato di grave turbamento derivante dalla situazione di pericolo in atto, non è configurabile quando l’azione difensiva illecita, ascritta a titolo di eccesso colposo, non sia determinata dall’intento di salvaguardare la propria o altrui incolumità, ma sia esclusivamente riferibile alla difesa dei beni propri o altrui, senza che sia ipotizzabile il pericolo di aggressione personale contemplato dall’art. 52, secondo comma, lett. b), cod. pen.

Sez. 3, sentenza n. 49883 del 10 ottobre 2019 (dep. 10 dicembre 2019) – Presidente E. Rosi – Estensore G.F. Reynaud.

REATO – ELEMENTO SOGGETTIVO – COLPA – IN GENERE – Colpa omissiva – Gestione di impianto sciistico – Valutazione preventiva dei rischi – Necessità – Sussistenza – Delegabilità – Esclusione – Fattispecie.

In tema di colpa omissiva, la Terza sezione ha affermato che il gestore della pista da sci, ai sensi dell’art. 3 della legge 24 dicembre 2003, n. 363, ha l’obbligo, non delegabile a terzi, di provvedere all’iniziale valutazione di tutti i rischi connessi all’esercizio della pista medesima con il massimo grado di specificità, essendo estendibile a detta materia, per identità di ratio, la regola espressa in tema di sicurezza sul lavoro dall’art. 17, comma 1, del d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81. (Fattispecie in tema di omicidio colposo verificatosi durante una discesa in slittino lungo una pista da sci).

Sezione Terza, n. 50427 del 17 luglio 2019 (dep. 13 dicembre 2019) – Pres. F. Izzo – Est. S. Corbetta.

DELITTI CONTRO LA FAMIGLIA – VIOLAZIONE DEGLI OBBLIGHI DI ASSISTENZA FAMILIARE –  Art. 570-bis cod. pen. – Divorzio – Obbligo di mantenimento – Successivo accordo transattivo modificativo delle statuizioni patrimoniali – Omessa omologazione in sede civile –  Rilevanza – Conseguenze.

La Sesta sezione ha affermato che non è configurabile il reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare in caso di separazione o di scioglimento del matrimonio di cui all’art. 570-bis cod. pen. qualora l’agente si sia attenuto agli impegni assunti con l’ex coniuge per mezzo di un accordo transattivo modificativo delle statuizioni patrimoniali contenute nella sentenza di divorzio, ancorché non omologato dall’autorità giudiziaria.

Sez. 6, 11/12/2019 (dep. 7/2/2020), n.5236, Presidente G. Fidelbo, Estensore E. Aprile.

EDILIZIA – Reati edilizi – Sequestro preventivo finalizzato alla confisca di immobile abusivo – Facoltà d’uso residenziale del bene – Legittimità – Esclusione.

In tema di reati edilizi, la Terza sezione penale della Corte di cassazione ha affermato che la facoltà d’uso – nella specie, a scopo residenziale privato – di un bene sottoposto a sequestro preventivo finalizzato alla confisca, al pari di quanto avviene per il c.d. sequestro impeditivo, è preclusa in quanto incompatibile con la finalità della misura cautelare, diretta a salvaguardare la conservazione fisica del bene ed a sottrarne la disponibilità in capo al destinatario della stessa.

Sez. 3, 6 dicembre 2019, n. 2296 (dep. 22 gennaio 2020) – Pres. G. Sarno – Est. L. Ramacci.

FINANZE E TRIBUTI – Omesso versamento dell’iva ex art. 10-ter d. lgs. n. 74 del 2000 – Consolidato fiscale – Omessa corresponsione delle somme dovute da parte delle società controllate – Responsabilità della consolidante – Sussistenza – Ragioni.

In tema di omesso versamento dell’IVA, la Terza sezione ha affermato che, in regime di consolidato fiscale, la responsabilità della società consolidante per l’omesso versamento dell’IVA di gruppo si configura anche nell’ipotesi di mancata ricezione delle somme dovute, a tale titolo, dalle società controllate poiché, avuto riguardo al potere di controllo esercitabile dalla consolidante sulle altre società del gruppo, l’indisponibilità delle somme necessarie per provvedere al pagamento dell’imposta non può ascriversi a fattori estranei alla sfera di dominio della controllante o da questa non governabili. (In motivazione la Corte ha evidenziato che, ai fini del consolidato fiscale, s’individua come consolidante la società che detiene la maggioranza dei diritti di voto esercitabili nell’assemblea ordinaria di una società per azioni o una partecipazione agli utili superiore al 50%). 

Sezione 3, n. 5513 del 16/10/2019 (dep. 12/2/2020), Presidente F. Izzo, Relatore G. Liberati.

CONTRABBANDO DOGANALE – Liquidi per sigarette elettroniche – Disciplina penale in materia di contrabbando di tabacchi – Applicabilità – Sussistenza.

La Terza sezione ha affermato che la disciplina penale in materia di contrabbando di tabacchi lavorati esteri di cui all’art. 291-bis, comma 2, d.P.R. n. 43 del 1973 trova applicazione, in forza dell’art. 62-quater, commi 1-bis e 7-bis, d.P.R. n. 504 del 1995, anche ai liquidi per sigarette elettroniche, secondo i criteri di equivalenza tra liquido da inalazione e tabacco lavorato estero determinati con provvedimenti del Direttore dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli, in forza dei quali 1 ml di prodotto liquido corrisponde a 5,63 sigarette convenzionali.

Sez. 3, n. 3465 del 3/10/2019 (dep. 28/1/2020) – Pres. E. Rosi – Est. A. Andronio.

PENA – Pene accessorie previste dall’art. 216, legge fall. – Sentenza Corte cost. n. 222 del 2018 – Rideterminazione della durata delle pene accessorie in applicazione della pronuncia di incostituzionalità in sede di esecuzione –  Ammissibilità.

La Prima sezione ha affermato che anche il giudice dell’esecuzione può procedere alla rideterminazione della durata delle pene accessorie previste dall’art. 216, ultimo comma, r.d. 16 marzo 1942, n. 267, qualora siano state inflitte con sentenza irrevocabile in misura pari a 10 anni e sia richiesto di adeguarle al nuovo testo della norma, come risultante dalla pronuncia della Corte costituzionale n. 222 del 2018, che prevede una durata variabile con il solo limite massimo insuperabile di dieci anni.

Sez. 1, udienza 03/12/2019 (dep. 27/01/2020), n. 3290 – Pres. A. P. Mazzei, Rel. M. Boni.

MISURE DI PREVENZIONE – Sequestro e confisca di una polizza assicurativa – Richiesta di liquidazione della stessa – Tentata elusione dell’amministrazione giudiziaria di beni personali – Configurabilità – Esclusione – Ragioni.

La Prima sezione ha affermato che non integra il delitto di tentata elusione dell’amministrazione giudiziaria di beni personali, di cui agli artt. 56 cod. pen. e 76, comma 5, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, la richiesta di liquidazione di una polizza assicurativa sottoposta a sequestro e a successiva confisca di prevenzione, trattandosi di bene che non è suscettibile di amministrazione giudiziaria, potendo soltanto essere, o meno, riscattata.

Sez. 1, n. 2030 del 10 ottobre 2019 (dep. 21 gennaio 2020) – Pres. A.P. Mazzei – Est. G. Rocchi

DIRITTO D’AUTORE MARCHI E BREVETTI – Abusiva riproduzione di opere letterarie tutelate dal diritto d’autore – Opera caduta in pubblico dominio – Onere della prova a carico dell’imputato – Sussistenza.

In tema di utilizzazione economica dell’opera dell’ingegno, la Terza sezione ha affermato che la caduta dell’opera in pubblico dominio, per il decorso del termine di settanta anni dalla morte dell’autore, costituisce un elemento negativo del fatto-reato previsto dall’art. 171- ter della legge n. 633 del 1941 e pertanto il relativo onere della prova grava sull’imputato che intende avvalersene.

Sez. 3, n. 2000 del 15/11/2019 (dep. 20/01/2020), Presidente V. Di Nicola, Relatore A. Scarcella.

ALIMENTI E BEVANDE – Alimenti deteriorabili – Analisi su campioni – Obbligo di comunicazione del risultato – Esclusione – Ragioni.

In tema di accertamento di reati in materia alimentare, la Terza sezione ha affermato che, in caso di alimenti sottoposti ad analisi che siano deteriorabili, è dovuto all’indagato solo l’avviso dell’inizio delle operazioni e non anche la comunicazione del risultato delle stesse non essendo prevista, proprio in ragione di detta deteriorabilità, la possibilità di richiedere l’analisi di revisione dei campioni.

Sezione 3, n. 1434 del 1/10/2019 (dep. 15/01/2020), Pres. V. Di Nicola, Rel. A. M. Socci.

REATO DI ABUSO DI INFORMAZIONI PRIVILEGIATE – Domanda della Consob di riparazione dai danni cagionati all’integrità del mercato – Liquidazione del “quantum” – Componente della riparazione costituente espressione della funzione sanzionatoria della stessa – Valutazione – Necessità.

In tema di abuso di informazioni privilegiate, la Quinta sezione ha affermato che, in caso di intervenuta sanzione amministrativa irrevocabile, il giudice chiamato a decidere sulla domanda della Consob di riparazione dei danni cagionati dal reato all’integrità del mercato, ai sensi dell’art. 187-undecies t.u.f., deve valutare la componente della riparazione costituente espressione della funzione sanzionatorio-punitiva della stessa alla luce del complessivo trattamento sanzionatorio (penale e “solo formalmente” amministrativo), onde assicurare la proporzionalità del “quantum” liquidato rispetto a detto trattamento, se del caso disapplicando la predetta norma “in parte qua” così da escludere la riparazione nella sua componente sanzionatorio-punitiva.

Sez. 5, 22 novembre 2019, n. 397 (dep. 9 gennaio 2020) – Pres. G. Sabeone – Est. A. Caputo.

COMPETENZA – Archiviazione del procedimento – Richiesta di liquidazione dei compensi avanzata dal custode giudiziario – Magistrato competente – Giudice per le indagini preliminari.

Le Sezioni Unite hanno affermato che la competenza a provvedere, ai sensi dell’art. 168 d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, sulla istanza di liquidazione delle spese di custodia dei beni sequestrati presentata dopo l’archiviazione del procedimento spetta al giudice per le indagini preliminari in qualità di giudice dell’esecuzione.

Sez. U, n. 4535 del 18/4/2019 (dep. 3/2/2020) – Pres. D. Carcano – Est. F.M. Ciampi.

PROCEDIMENTO – Indagini preliminari – “Fumus” in ordine all’incapacità dell’indagato di partecipare coscientemente al procedimento – Richiesta di perizia nelle forme dell’incidente probatorio – Rigetto per difetto delle condizioni di cui all’art. 392, comma 2, cod. proc. pen. – Abnormità – Ragioni.

La Sesta Sezione ha affermato che è affetta da abnormità funzionale, in quanto tale da determinare una non rimediabile situazione di stasi, l’ordinanza con la quale il giudice per le indagini preliminari respinga, per difetto delle condizioni previste dall’art. 392, comma 2, cod. proc. pen., una richiesta di perizia sulla capacità dell’indagato di partecipare coscientemente al procedimento, atteso che l’art. 70, comma 3 cod. proc. pen. richiede l’osservanza delle forme dell’incidente probatorio ma non anche la ricorrenza dei casi previsti dal richiamato art. 392 cod. proc. pen.

Sez. 6, n. 51134 del 10 luglio 2019 (dep. 18 dicembre 2019) – Pres. M. Ricciarelli – Est. P. Silvestri.

PROCEDIMENTI SPECIALI – Applicazione della pena su richiesta – Mancanza di uno dei presupposti richiesti dalla legge – Illegalità della pena – Sussistenza – Ricorso per cassazione – Ammissibilità – Fattispecie.

In tema di patteggiamento, la Terza sezione della Corte di cassazione ha affermato che è illegale la pena determinata attraverso l’applicazione della relativa diminuente, non consentita per l’assenza di una delle condizioni richieste dalla legge per accedere al rito, con conseguente ammissibilità del ricorso per cassazione proposto ai sensi dell’art. 448, comma 2-bis cod. proc. pen. (Fattispecie in tema di reati tributari, in cui la Corte ha ritenuto la illegalità della pena applicata su richiesta nonostante la assenza di una delle condizioni previste dall’art. 13-bis, comma 2, d.lgs. n. 74/2000, per l’accesso a tale rito).

Sez. 3, n. 552 del 10/7/2019 (dep. 10/1/2020) – Pres. G. Lapalorcia – Est. G. Liberati.

PROVE Rito ordinario – Consenso all’acquisizione degli atti di indagine – Nullità di un atto acquisito – Sanatoria – Esclusione.  

La Quarta sezione ha affermato che la scelta della difesa di acconsentire all’acquisizione degli atti di indagine, finalizzata unicamente allo snellimento dell’attività processuale, non determina la sanatoria, ai sensi dell’art 183 cod. proc. pen., di eventuali nullità dell’atto e non fa venir meno il diritto di eccepirne l’inutilizzabilità.

Sez. 4, n. 4896 del 16 gennaio 2010 (dep. 5 febbraio 2020) – Pres. F.M. Ciampi – Est. V. Pezzella.

ESECUZIONEReati di competenza del giudice di pace – Esecuzione della permanenza domiciliare – Presofferto cautelare detentivo – Detrazione – Ammissibilità – Ragioni.

La Prima sezione ha affermato che, in tema di reati di competenza del giudice di pace, il cd. pre-sofferto di tipo detentivo può essere detratto dalla pena dell’obbligo di permanenza domiciliare da espiare, in quanto l’art. 58 del d. lgs. 28 aprile 2000, n. 274, equipara, ad ogni effetto giuridico, l’obbligo di permanenza domiciliare alla pena detentiva della specie corrispondente a quella della pena originaria.

Sezione 1, n. 4103 del 21.01.2020 (dep. 30.01.2020), Presidente M. Di Tomassi – Estensore G. Santalucia.

ESECUZIONE – Misure alternative alla detenzione – Valutazione circa la intervenuta espiazione di pena ostativa – Momento rilevante – Presentazione della richiesta – Esclusione – Decisione – Sussistenza.

In tema di accesso alle misure alternative alla detenzione, la valutazione relativa alla ammissibilità della richiesta, in relazione alla pena da espiare in concreto rispetto ai reati ostativi alla concessione, deve far riferimento non al momento di presentazione della stessa ma a quello della decisione.

Sez. 1, n. 1787 del 30.10.19 (dep. 17.01.2020), Pres. M. Di Tomassi – Est. A. Minchella.

RAPPORTI GIURISDIZIONALI CON AUTORITA’ STRANIERE – Ordine d’indagine europeo  –  Sequestro probatorio – Opposizione al decreto di riconoscimento – Mancata fissazione dell’udienza in camera di consiglio – Nullità generale e assoluta – Sussistenza.

La Sesta sezione ha affermato che, in caso di opposizione ex art. 13, comma 7, d.lgs. 21 giugno 2017, n. 108, al decreto di riconoscimento dell’ordine d’indagine europeo avente ad oggetto un sequestro probatorio, è affetto da nullità di ordine generale e assoluta, ai sensi degli artt. 178, comma 1, lett. c) e 179, comma 1, cod. proc. pen., il provvedimento adottato de plano dal giudice senza fissazione dell’udienza in camera di consiglio.  

Sez. 6, n. 3520 del 22/1/2020 (dep. 28/1/2020) – Pres. A. Criscuolo – Est. G. De Amicis.

A cura di Luigi Giordano

STUPEFACENTI – Corte cost., sent. n. 40 del 2019 – Illegalità della pena – Conseguenze nel giudizio di legittimità – Pena inflitta a titolo di continuazione per reato diverso da quello oggetto della pronuncia di incostituzionalità – Rideterminazione della pena irrogata per il reato satellite – Necessità – Esclusione.

In tema di stupefacenti, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 40 del 2019 che ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 73, comma 1, d.P.R. 09 ottobre 1990, n. 309, nella parte relativa al minimo edittale, in caso di ricorso per cassazione avverso sentenza di condanna per tale reato riconosciuto in continuazione con altro diverso non oggetto della pronuncia di costituzionalità, la pena detentiva irrogata per il reato base può essere rideterminata dalla Corte di cassazione ai sensi dell’art. 620, comma 1, lett. l), cod. proc. pen., ove non occorra procedere ad attività valutative o che implichino l’esercizio di poteri discrezionali, mentre deve escludersi la necessità di rideterminazione dell’aumento di pena per il reato satellite (nella specie detenzione droghe leggere del tipo hashish).

Sez. 3, n. 43103 del 04.07.2019 (dep. 21.10.2019), Presidente V. Di Nicola – Estensore G. Liberati.

REATI CONTRO LA P.A. – Violazione di sigilli – Integrazione mediante condotta omissiva – Esclusione.

La Terza Sezione penale ha affermato che il reato di violazione di sigilli è integrabile unicamente mediante condotta attiva. (Fattispecie, di ritenuta inconfigurabilità del reato, di omessa demolizione, peraltro regolarmente autorizzata dal giudice, di opere edilizie).

Sez. 3, n. 47281 del 12/09/2019, dep. 21/11/2019, Pres. G. Liberati – Rel. A. Scarcella.

REATI CONTRO LA PERSONA  Reato ex art. 167 del d.lgs. n. 196 del 2003 – Illecito trattamento dei dati personali mediante diffusione – Natura permanente – Ragioni.

La Terza sezione ha affermato che il reato di illecito trattamento dei dati personali, realizzato in forma di diffusione dei dati protetti – ex art. 167 del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196 vigente ratione temporis -, resi ostensibili ai frequentatori di un social network attraverso il loro inserimento, previa creazione di un falso profilo, sul relativo sito, ha natura di reato permanente, caratterizzandosi per la continuità dell’offesa arrecata dalla condotta volontaria dell’agente, il quale ha la possibilità di far cessare in ogni momento la propagazione lesiva dell’altrui sfera personale mediante la rimozione dell’account.

Sezione Terza, n. 42565 del 28/05/2019 (dep. 17/10/2019), Pres. F. Izzo, Rel. G. De Marzo.

PROCEDIMENTO – Giudizio – Dibattimento – Mutamento del giudice – Conseguenze – Indicazione.

Le Sezioni unite hanno affermato che, fermo restando che il giudice che provvede alla deliberazione della sentenza deve coincidere con quello che ha disposto l’ammissione delle prove assunte alla sua presenza, in caso di mutamento del giudice, qualora non venga formalmente rinnovata l’ordinanza ammissiva, i provvedimenti in precedenza emessi conservano comunque efficacia se non espressamente modificati o revocati, ma le parti hanno la facoltà di formulare una richiesta specificamente motivata di ammissione di prove nuove o di rinnovazione di quelle in precedenza assunte, che il giudice deve valutare ai sensi degli artt. 190 e 495 cod. proc. pen., anche in punto di non manifesta superfluità; sicché, qualora la ripetizione delle prove non abbia avuto luogo, o perché non richiesta o perché, pur richiesta, non sia stata ammessa o non sia stata possibile, non è necessario il consenso delle parti alla lettura degli atti ex art. 511, comma 2, cod. proc. pen.

Sez. U, n. 41736 del 30 maggio 2019 (dep. 10 ottobre 2019) – Pres. D. Carcano – Est. S. Beltrani.

IMPUGNAZIONI – Effetti della sentenza della Corte costituzionale n. 40 del 2019 – Sentenza emessa a seguito di concordato ex art. 599-bis cod. proc. pen. – Illegalità della pena – Annullamento senza rinvio.

La Sesta Sezione ha affermato che, in caso di sopravvenuta illegalità della pena concordata in appello, conseguente alla sentenza della Corte costituzionale n. 40 del 2019, la sentenza gravata dev’essere annullata senza rinvio e gli atti devono essere trasmessi alla Corte d’appello, dinanzi alla quale le parti saranno chiamate a valutare ex novo la possibilità di un’applicazione della disciplina dell’art. 599-bis cod. proc. pen., in quanto l’anzidetta illegalità inficia tanto la richiesta formulata dalle parti quanto la connessa rinunzia, anche parziale, ai motivi d’appello, trattandosi di manifestazioni di volontà collegate sulle quali si è fondata l’emissione della sentenza.

Sezione Sesta, n. 41461 del 12.09.2019 (dep. 09.10.2019), Presidente Fidelbo G., Estensore Aprile E.

INDAGINI PRELIMINARI – Avvenuta iscrizione delle notizie di reato – Estratti del S.I.C.P. (Sistema Informativo della Cognizione Penale) – Valore probatorio – Sussistenza.

La Quinta sezione ha affermato che il S.I.C.P. (Sistema Informativo della Cognizione Penale) costituisce la banca informativa di tutti i dati fondamentali della fase di cognizione del processo penale in sostituzione dei registri cartacei non più esistenti, sicché i relativi estratti sono idonei a comprovare l’avvenuta iscrizione delle notizie di reato.

Sezione Quinta, n. 40500 del 24.09.2019 (dep. 03.10.2019), Presidente C. Zaza – Estensore A. Tudino.

PERSONA GIURIDICA – SOCIETÀ – REATI SOCIETARI

La Quinta sezione della Corte di cassazione, pronunciandosi in tema di reato di abuso di informazioni privilegiate (insider trading), ha affermato che:

–  il reato di cui all’art. 184 T.U.F. è di pericolo e di mera condotta, per cui è sufficiente ad integrarlo l’utilizzo dell’informazione privilegiata per compiere investimenti, sfruttando la conoscenza delle dinamiche finanziarie che stanno per coinvolgere la persona giuridica ed il suo patrimonio azionario, senza che siano necessari l’elisione del margine di rischio dell’investimento e la conseguente realizzazione di un vantaggio e causazione di corrispondente danno;

– nel concetto di “informazione privilegiata” rientrano anche le informazioni acquisite nelle tappe intermedie del processo che porta alla determinazione della circostanza o dell’evento futuro cui volge l’informazione stessa, tra cui rileva anche l’attività relativa ad un incarico di “due diligence” conferito ad una società di consulenza;

– la qualifica di insider primario, soggetto a responsabilità penale – a differenza dell’insider secondario, soggetto a sola responsabilità amministrativa – può ravvisarsi anche nel solo fatto di rivestire, all’interno della società di consulenza che tratta l’incarico relativo all’ente, un ruolo di spicco, quale quello di “socio senior”, che permetta, per sua natura, di divenire recettore e collettore delle informazioni relative alle singole attività di consulenza, pur non partecipandovi direttamente;

–  ai fini della valutazione della violazione del principio del ne bis in idem, nel caso di sanzione irrevocabile irrogata dalla Consob,la disapplicazione della norma penale, alla luce della giurisprudenza delle Corti europee, può avere luogo soltanto nell’ipotesi in cui la sanzione amministrativa assorba completamente il disvalore della condotta coprendo sia aspetti rilevanti a fini penali che a fini amministrativi, offrendo pienamente tutela all’interesse protetto dell’integrità dei mercati finanziari e della fiducia del pubblico negli strumenti finanziari.

Sezione Quinta, udienza 15/04/2019 (dep. 30/9/2019) n. 39999, Pres. M. Vessichelli, Rel. M. Brancaccio.

PARTE CIVILE – Banca in risoluzione – Cessione all’ente-ponte – Legittimazione a costituirsi parte civile della banca cedente – Sussistenza – Ammissione della costituzione di parte civile – Effetti preclusivi sull’accertamento della titolarità dell’azione civile – Esclusione.

La Quinta sezione ha affermato che:

– in tema di cessione di beni e rapporti giuridici della banca sottoposta a risoluzione in favore di ente – ponte, a norma del d. lgs. 16 novembre 2015, n.180 e della delibera della Banca d’Italia del 22 novembre 2015, n. 559, alla banca cedente deve essere riconosciuta la legittimazione a costituirsi parte civile nel processo nei confronti di ex esponenti per i fatti di bancarotta relativi alla sua gestione, sicchè la stessa banca cedente è titolare della facoltà di proporre domanda di applicazione della misura cautelare del sequestro conservativo;

– il provvedimento che ammette la costituzione di parte civile non determina preclusioni in ordine all’accertamento, ai fini dello scrutinio relativo alla sussistenza dei presupposti applicativi del sequestro conservativo, della titolarità dell’azione in capo alla parte civile che ha proposto la domanda cautelare.

Sez. 5, n. 47087 del 10 ottobre 2019 (dep. 20 novembre 2019) – Pres. G. Miccoli – Est. A. Caputo.

MISURE DI PREVENZIONE – Controllo giudiziario – Decisione del tribunale competente – Impugnazione – Ricorso alla corte d’appello – Ammissibilità – Ragioni.

Le Sezioni Unite hanno affermato che le decisioni del tribunale competente per le misure di prevenzione sulle richieste in tema di controllo giudiziario, compreso, pertanto, il provvedimento di rigetto dell’istanza di applicazione di tale misura, presentata a norma dell’art. 34-bis, comma 6, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, sono impugnabili mediante ricorso, anche nel merito, dinanzi alla corte d’appello, quale mezzo di impugnazione generale previsto dall’art. 10 del citato d.lgs. n. 159 del 2011.

Sez. U, n. 46898 del 26 settembre 2019 (dep. 19 novembre 2019) – Pres. D. Carcano – Est. M. Vessichelli.

FALLIMENTO – Sequestro preventivo a fini di confisca – Curatore fallimentare – Legittimazione alla revoca del sequestro ed all’impugnazione dei provvedimenti cautelari – Sussistenza – Momento di apposizione del vincolo penale rispetto alla dichiarazione di fallimento – Rilevanza – Esclusione.

Le Sezioni Unite hanno affermato che il curatore fallimentare è legittimato a chiedere la revoca del sequestro preventivo a fini di confisca di beni facenti parte del compendio fallimentare e ad impugnare i provvedimenti in materia cautelare reale concernenti tali beni, indipendentemente dal fatto che il vincolo sia stato disposto anteriormente o successivamente alla dichiarazione del fallimento.

Sez. U, n. 45936 del 26 settembre 2019 (dep. 13 novembre 2019) – Pres. D. Carcano – Est. C. Zaza.

PROCEDIMENTO PENALE – Richiesta di rinvio a giudizio – Provvedimento del G.I.P. di restituzione del fascicolo al P.M. perché mancante di adeguata fascicolazione – Abnormità – Sussistenza – Ragioni.

La Sesta Sezione ha affermato che è abnorme il provvedimento con cui il giudice per le indagini preliminari restituisca al pubblico ministero il fascicolo trasmesso con richiesta di rinvio a giudizio in quanto privo della fascicolazione prevista dall’art. 3 reg. es. cod. proc. pen., giacché, dovendosi escludere che detta inosservanza sia sanzionata da nullità od inutilizzabilità, una tale decisione costituisce esercizio di un potere non previsto dal sistema processuale.

Sez. 6, n. 46139 del 29 ottobre 2019 (dep. 13 novembre 2019) – Pres. A. Petruzzellis – Est. E. Aprile.

ESECUZIONE – Ordine di carcerazione – Questione di legittimità costituzionale dell’art. 565, comma 9, cod. proc. pen. come modificato dalla legge n. 3 del 2019 – Sospensione dell’esecuzione – Possibilità – Esclusione – Ragioni.

La Sezione feriale ha affermato che l’intervenuta remissione della questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 6, lett. i), legge 9 gennaio 2019, n. 3, nella parte in cui modificando l’art. 4-bis, comma primo, ord. pen., richiamato dall’art. 565, comma 9, lett. a), cod. proc. pen., dispone che il divieto di sospensione dell’ordine di carcerazione si applichi anche al delitto di cui all’art. 314, comma primo, cod. pen. commesso anteriormente alla citata legge, non consente al giudice a quo di procedere a detta sospensione, atteso il principio del sindacato accentrato di costituzionalità che impedisce al giudice di riappropriarsi del procedimento anche se soltanto ai fini cautelari.

Sez. Feriale, n. 45319 del 27/08/2019, dep. il 7/11/2019, Presidente V. Di Nicola – Estensore C. Renoldi.  

CONFISCA – Sequestro finalizzato alla confisca ex art. 240-bis cod. pen. – Art. 104-bis, comma 1-quinquies, disp. att. cod. proc. pen. – Giudizi di cognizione pendenti alla data di entrata in vigore della nuova disciplina – Obbligo di citazione dei terzi titolari di diritti reali o personali di godimento sui beni – Esclusione.

In tema di sequestro finalizzato alla confisca ex art. 240-bis cod. pen., la Seconda sezione ha affermato che, l’assenza di qualsiasi disposizione transitoria che preveda l’estensione dell’obbligo, previsto dall’art. 104-bis, comma 1-quinquies, disp. att. cod. proc. pen. (introdotto dall’art. 6, d.lgs. 01 marzo 2018, n. 21), di citazione dei terzi titolari di diritti reali o personali di godimento sui beni in sequestro nel giudizio di cognizione avente ad oggetto l’accertamento della responsabilità anche ai giudizi in corso di svolgimento alla data di entrata in vigore della disposizione, impedisce che nei giudizi di appello e di cassazione pendenti debbano essere citati soggetti che non abbiano partecipato al giudizio di primo grado.

Sez. 2, n. 45105 del 4/07/2019, dep. il 6/11/2019, Presidente U. De Crescienzo – Estensore I. Pardo.  

IMPUGNAZIONI – D.lgs. 6 febbraio 2018, n. 11 – Inappellabilità delle sentenze di proscioglimento relative a contravvenzioni punite con la sola pena dell’ammenda o con pena alternativa – Disciplina intertemporale – Individuazione.

In tema di impugnazioni, la Terza sezione ha affermato che la previsione dell’inappellabilità delle sentenze di proscioglimento relative a contravvenzioni punite con la sola pena dell’ammenda o con pena alternativa, di cui all’art. 593, comma 3, cod. proc. pen., come novellato dall’art. 2, comma 1, lett. b), d.lgs. 6 febbraio 2018, n. 11, in assenza di una disciplina intertemporale, è applicabile alle sole sentenze emesse successivamente all’entrata in vigore della novella.

Sez. 3, del 12/06/2019 (dep. 28/10/2019), n. 43699, Presidente A. Aceto – Estensore A. Gentili.

SANITÀ PUBBLICA – Rifiuti – Attività organizzate per il traffico illecito –Organizzazione di una sola parte delle attività del ciclo di gestione dei rifiuti – Sufficienza.

In materia di rifiuti, la Terza sezione ha affermato che, ai fini dell’integrazione del reato di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, di cui all’art. 452-quaterdecies cod. pen., è sufficiente che anche una sola delle fasi di gestione dei rifiuti avvenga in forma organizzata, in quanto la norma incriminatrice indica in forma alternativa le varie condotte che, nell’ambito del ciclo di gestione, possono assumere rilievo penale.

Sez. 3, del 23/05/2019 (dep. 28/10/2019), n. 43710, Presidente A. Aceto – Estensore G. Liberati.

SEQUESTRO PENALE – Perquisizione e sequestro di dispositivi informatici – Tribunale del riesame – Provvedimento che dispone la restituzione dei dispositivi previa estrazione di “copia forense” – Mancanza di una richiesta del pubblico ministero – Legittimità – Sussistenza – Ragioni.

La Quinta sezione della Corte di cassazione ha affermato che è legittimo il provvedimento con cui il tribunale del riesame, pur in mancanza di una richiesta del pubblico ministero, disponga la restituzione dei dispositivi informatici sequestrati previa estrazione di “copia forense”, trattandosi di provvedimento che non implica l’adozione di una nuova misura cautelare, ma il riconoscimento della legittimità di quella già eseguita.

Sez. 5, n. 42765 del 9/9/2019 (dep. 17/10/2019) – Pres. G. Miccoli – Est. A. Settembre.

di Cesare Marziali

Queste note sono un tentativo di esaminare a caldo la sentenza in oggetto, a distanza di pochi giorni dall’uscita della motivazione.

Disomogeneità, lacune e, verosimilmente, anche errori sono in un certo senso scontati in un lavoro del genere, e si spera semmai che rivesta qualche utilità l’avere messo in evidenza alcuni aspetti sui quali ci si dovrà confrontare d’ora in poi . I richiami di dottrina e giurisprudenza sono ridotti al minimo e la scelta di utilizzare materiale immediatamente reperibile sul Web, anche tramite la banale ricerca Google, è conseguenza diretta del criterio di cernita del materiale: appare evidente che il materiale importante sarebbe stato ben altrimenti sistematico e completo utilizzando le banche dati che sono a disposizione di ogni magistrato. In tal modo, tuttavia, la redazione non sarebbe stata compatibile con tempi rapidi e funzionali alla fruizione immediata. Peraltro la conferma di ciò si ha nella verifica che, al 16 ottobre 2019 l’unico specifico commento che risulta e che non sia la mera indicazione delle massime è Montagna “Il giudice cambia nel corso del processo: cosa si salva? La risposta delle Sezioni Unite”- in http://www.quotidianogiuridico.it/ ,articolo che, ad una prima affrettata lettura è lo stesso presente nella Banca dati Leggi d’Italia(dal 14 ottobre). Ho però fatto eccezione per un paio di contributi dottrinali che, sia pure a distanza di svariati anni fa, enucleavano in gran parte la stessa ragionevole soluzione prospettata dalla sentenza in commento: giusto omaggio, mi sembra, per una tesi in seguito non adeguatamente coltivata.

Premessa–La sentenza[1] apporta un mutamento, nell’ambito del diritto processuale penale, su alcuni punti essenziali rispetto ai quali, sicuramente, vi sono elementi di novità che,con un certo grado di semplificazione teorica, si possono indicare come una (nuova) interpretazionein malampartem .

Si pone pertanto il problema di una possibile applicazione dell’istituto dell’overruling in un campo che appare squisitamente quello del diritto processuale penale[2]in cui i punti di riferimento non sono moltissimi, a differenza che nel diritto penale sostanziale, in cui il panorama dei commenti e dei casi analizzati è piuttosto ricco[3],soprattutto per essere stato oggetto di attenzione della CEDU (si pensi al c.d. caso Contrada ed alla “novità” dell’interpretazione giurisprudenziale in malampartem).

Una conferma, peraltro molto debole, del richiamo a tale istituto potrebbe essere rinvenuta nello stesso testo della sentenza che qui si commenta, laddove si fa riferimento al fatto che  “….le parti…..sono certamente in grado, con quel minimum di diligenza che è legittimo richiedere, di rilevare il sopravvenuto mutamento della composizione del giudice ed attivarsi con la formulazione delle eventuali, conseguenti richieste, se ne abbiano, chiedendo altresì, ove necessario, la concessione di un breve termine (la cui fruizione può, ad esempio, rivelarsi ineludibile quando la necessità della rinnovazione del dibattimento non sia stata prevista ed anticipata, ma si sia palesata soltanto in udienza, senza preavviso alcuno, ed occorra quindi consentire l’eventuale presentazione di una nuova lista ai sensi dell’art. 468 cod. proc. pen., senz’altro legittima e, peraltro, necessaria ai fini della altrettanto legittima formulazione di nuove richieste di prova ex art. 493 cod. proc. Pen. …”.

Non si fa, peraltro, nessun esplicito riferimento all’istituto in parola e lo spunto non viene ulteriormente coltivato, sotto questo profilo, nel prosieguo del testo della sentenza. Più diffusamente, su tale termine (rimessione in…?, v. infra).

Cosicchè il riferimento a tale situazione appare più verosimilmente ricollegabile a vicende interne al processo, del tutto estranee al netto mutamento giurisprudenziale apportato dalla sentenza .

 Una parte processuale  accorta è possibile che invochi, in ogni caso,  tale sorta di “termine a difesa” da subito, nei prossimi giorni, proprio ricollegandolo al mutamento giurisprudenziale  e, allo stato, non è possibile prevedere quale possa essere la risposta che verrà data dalla prassi.

A ciò si aggiunga che “……………al diritto processuale penale è stato riservato un ruolo assai marginale nel dibattito sull’overruling. Non manca, in realtà, qualche esiguo precedente in materia, ove per esempio si è affermato che l’elemento di prova, raccolto nel “vigore” di un orientamento giurisprudenziale (meno rigoroso) non più condiviso, non può essere utilizzato ai fini della decisione sul merito dell’imputazione in base al tradizionale principio del tempusregitactum, che – invece – deve considerarsi recessivo rispetto a un mutamento interpretativo in bonampartem”[4][5].

Questa esigenza conferma la necessità sempre più sentita di “…. stabilire, una volta per tutte, se nei paesi di civil lawsenza vincolo del precedente la prevedibilità possa essere rivolta anche al diritto giurisprudenzialecontra legem o solo a quello praeter o secundumlegem ovvero se tale estensione possa determinare effetti in malampartem o soltanto in bonampartem: come si è visto, se il sistemaeuropeo è frutto della crasi tra ordinamenti di common law e quelli di civil law, vi è ormai nettaprevalenza, sotto questo profilo, delle caratteristiche tipiche del primo…”[6].

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Cercando di seguire progressivamente non il corso della motivazione della sentenza, bensì la scansione temporale attraverso la quale normalmente si svolge il processo, occorre innanzitutto dire che le ssuu richiamano  l’orientamento del noto precedente costituito da ssuu n. 2 del 15/01/1999, Iannasso, in cui veniva  precisato, a seguito del mutamento della persona del giudice monocratico o della composizione del giudice collegiale, quanto segue:

  1. il dibattimento va integralmente rinnovato
  2. Per rinnovazione deve intendersi la ripetizione della sequenza procedimentale costituita a)dalla dichiarazione di apertura del dibattimento (art. 492), b) dalle richieste di ammissione delle prove (art. 493), c)dai provvedimenti relativi all’ammissione (art. 495),d)dall’assunzione delle prove secondo le regole stabilite negli artt. 496 ss. cod. proc. pen.»[7].

Non si discosta da tale regola la prassi seguita in questo Tribunale, in cui anzi sussiste un modulo/stampato  specifico proprio per richiamare brevemente questi passaggi: di  fatto, viene menzionato in tale modulo che si procede alla rinnovazione degli atti, quindi  che le parti reiterano le loro richieste effettuate in limine, il giudice collegiale o monocratico le ammette come già disposto in precedenza. Seguono poi le ovvie problematiche pratiche conseguenti all’ultima delle annotazioni che tale modulo contiene, e cioè se le parti prestino (espressamente) o meno il consenso[8] alla utilizzazione dei verbali di prova assunti davanti a un giudice diverso, anche parzialmente, nel caso del collegio[9].

Circa il punto c) sopra richiamato, vale a dire la necessaria rinnovazione  “dei provvedimenti relativi all’ammissione (art. 495)”,  la sentenza tiene a precisare come “…non è necessario che il giudice, nella diversa composizione sopravvenuta, rinnovi formalmente l’ordinanza ammissiva delle prove chieste dalle parti, perché i provvedimenti in precedenza emessi dal giudice diversamente composto e non espressamente revocati o modificati conservano efficacia“.

 Si assiste così, nel mentre si aderisce formalmente al precedente costituito dalla sentenza Iannasso, ad un sostanziale ridimensionamento della sua effettiva portata: “…La disposizione di cui all’art. 525, comma 2, prima parte, cod. proc. pen. non comporta, quindi, la necessità, a pena di nullità assoluta, di rinnovare formalmente tutte le attività previste dagli artt. 492, 493 e 495 cod. proc. pen., poiché i relativi provvedimenti in precedenza emessi dal giudice diversamente composto conservano efficacia se non espressamente modificati o revocati.…” . E dunque, in pratica, la “rinnovazione” di quanto sopra precisato ai punti a) -b) – c) rimane un mero dato formale (discorso ben diverso riguarda invece il punto d), sul quale ci soffermeremo a lungo).

Di conseguenza, perde quasi tutta la sua importanza pratica anche quanto  viene osservato, in altro passaggio della sentenza, circa la risposta da dare ad altro quesito che in precedenza era stato affrontato  dalle sezioni semplici, vale a dire se sia, o meno, rilevante, ai fini del rispetto del principio d’immutabilità del giudice, la diversità di composizione tra il giudice che si è limitato a disporre l’ammissione della prova dichiarativa e quello dinanzi al quale è avvenuta la sua assunzione.

È infatti evidente che, per assicurare l’identità tra questi due giudici, in ipotesi diversi, basterà che il secondo giudice, quello che procede all’assunzione della prova, si limiti a non revocare l’ordinanza missiva del giudice che lo ha preceduto.

Il problema, e la risposta che ne viene conseguentemente data (risposta che, in questo contesto, appare invece di  formale rigorosità, dal momento che nella sentenza si sposa la tesi della necessaria identità dei giudici che provvedono ai relativi incombenti), assume scarsa rilevanza pratica anche per due altri motivi: uno attinente appunto alla formulazione del modulo come sopra nel concreto utilizzato,e verosimilmente assai diffuso nel territorio nazionale; l’altro, invece di carattere generale, secondo cui è chiaro che il vero problema che paralizza  l’attività dei piccoli  tribunali, assoggettati a un’esasperatoturn- over, e così rende drammatico l’istituto della rinnovazione, non è tanto quello di far ripetere al giudice, ogni volta, il provvedimento di ammissione, quanto quello di assunzione della prova orale che ne consegue, con un numero di rinvii che non di rado assumono caratteristiche impressionanti.

Va ora posta la dovuta attenzione ad una regola, inespressa ma chiara, che è sottesa a tutto il corpo delle argomentazioni contenute nella sentenza in esame, che si potrebbe semplificare in tal modo:

 “la ripetizione, in concreto,  di attività che, entro certi limiti, la rinnovazione ex articolo 525 del codice di procedura penale necessariamente comporta, consiste in tutto ciò che, effettivamente, sia necessario al processo, in quanto riguardante qualcosa non ancora concretamente effettuato“.

In questo contesto, si innesta la problematica, che diviene centrale nell’ambito della sentenza in commento, circa la possibilità di depositare nuove liste testimoniali, con la conseguente necessità di concedere alla parte richiedente un “breve termine” al fine di depositare tali liste testimoniali ove esse siano necessarie[10].

Cerchiamo di rendere più concreta tale ipotesi,anche perché nessuna ulteriore spiegazione viene data nella sentenza, oltre al poco che viene  affermato sulla nozione di rinnovazione/ripetizione dell’atto, ove effettivamente necessario.

 Tale ipotesi, ossia quella di presentazione di liste testimoniali le quali darebbero luogo ad una ripetizione effettiva della prova orale –  e non già ad una mera “rinnovazione” dal mero punto di vista giuridico – potrebbe verificarsi

  1. innanzituttonel caso  in cui”… la necessità della rinnovazione del dibattimento non sia stata prevista ed anticipata, ma si sia palesata soltanto in udienza…”. E cioè possiamo immaginare che non si verifichi l’ipotesi in cui, come talora viene dichiarato dai difensori in un dato momento processuale, le parti stesse dichiarino “sin da ora” che  non si presterà il consenso all’utilizzazione della prova dichiarativa assunta innanzi a collegio diverso (ora per il futuro, insomma). In questo caso non si potrà sicuramente parlare di “rinnovazione del dibattimento che non sia stata prevista e anticipata”. Di conseguenza, “la concessione di un breve termine” non si rivelerà “ineludibile
  2. Ci si può e ci si deve domandare se vi siano ancora altre ipotesi in cuinon si potrà parlare di “rinnovazione del dibattimento che non sia stata prevista e anticipata”, e nelle quali, di conseguenza, “la concessione di un breve termine” non si rivelerà “ineludibile“. Appare evidente che un ruolo fondamentale per la specificazione dei vari casi sarà giocato dalla prassi. In ogni caso, ad esempio, una parte che si sia opposta all’utilizzazione e alla lettura dei verbali della prova dichiarativa innanzi al giudice Tizio e successivamente innanzi al giudice Caio configura una fattispecie in cui, innanzi al giudice Sempronio, è ragionevole dire come sia stata ” prevista ed anticipata la necessità della rinnovazione” e conseguentemente non sarà “ineludibile” la concessione di “un breve termine”.
  3. Ci si potrebbe spingere oltre-e qui, come in altri casi, sorgerebbero questioni difficili, in quanto inesplorate, sottese all’accennato problema dell’overruling in malampartem nel processo penale –  e chiedersi perché mai si dovrebbe parlare di “prevedibilità ed anticipazione” desumibile dal comportamento di una parte che si è limitata ad opporsi all’utilizzazione-mera lettura dei precedenti verbali di prova dichiarativa[11] senza prospettare nuovi temi di assunzione della prova[12] (come invece ora prevede la sentenza in esame, regola che, per l’indiscussa sua natura di novità, non poteva essere conosciuta, prima del 9 ottobre 2019, dalla parte che si è limitata  puramente e semplicemente ad opporsi) perché proprio non poteva porsi la questione
  4. Quanto detto al precedente punto risulta il nucleo essenziale del problema e merita pertanto che ci si  soffermi specificamente su di esso

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Factum infectum fieri nequit  (o anche) Factum infectum fieri non potest

Siano consentite allo scrivente alcune osservazioni personali, ma che derivano, in gran parte,  dall’altrettanto personale frustrazione nell’avere ripetutamente dato luogo ad attività di cui era difficile capire il senso.

La frase non deriva dal diritto romano, bensì dal teatro di Plauto[13], da cui è transitato sino a noi, anche nella sua valenza giuridica.

La rinnovazione è una nozione giuridica, essa cala concretamente nel processo mediate atti materiali.

Ed infatti, è semplice dire che non vale per una condanna (o un’assoluzione) pronunciata dal Giudice Caio la testimonianza assunta dal Giudice Tizio.

 E’ anche “abbastanza” semplice dire che “tutto si rinnova” vale a dire che il processo un tempo celebrato innanzi al giudice Caio ricomincia completamente da capo senza tenere in alcun conto quello che davanti all’altro Giudice è stato detto e che è stato fatto, e così pure gli effetti giuridici che ne derivano.

La questione è che, per come si è assestato il “diritto vivente” la rinnovazione dell’atto, con necessario passaggio per la ripetizione della prova dichiarativa, comporta il “recupero” della valenza giuridica delle precedenti dichiarazioni rese innanzi al giudice diverso. E “ripetizione” è termine concreto e pedestre ( laddove “rinnovazione” è termine più elegante, se non altro per le sue suggestioni di palingenesi o “vita nova”) e  significa che il teste deve ritornare, e deve ancora rispondere alle domande, cioè , a seconda delle varie sfumature (o pudori :quando un teste ritorna per la terza o quarta volta le scuse non sarebbero un fuor d’opera , e probabilmente impegnerebbero più tempo della deposizione).

Il termine “recupero” è usata non a caso ed esprime l’orientamento assolutamente dominante vigente, sino ad oggi, anche a livello di giudice di legittimità, circa l’utilizzazione mediante lettura dei verbali di prova precedentemente assunta. Anche se si affermava pacificamente che la vecchia prova dichiarativa, tramite i relativi verbali, continuava ad essere contenuta nel fascicolo del dibattimento, in realtà non era utilizzabile se non attraverso questo successivo passaggio. Questo assetto non è smentito dalla sentenza in commento, ma va sottolineato come la stessa tenda a precisare, con un certo puntiglio, che non si tratta già di “recupero” bensì di (effetto di) permanenza dell’atto[14].

Ora, si può immaginare che

  • un’atto materiale, che non si può cancellare dal corso degli eventi, può però vedersi annullati tutti i suoi effetti giuridici
  • un altro atto materiale, che deriva dalla necessità (per la parte interessata) di acquisire gli effetti giuridici, sia costituito dalla rinnovazione/ripetizione  della prova dichiarativa  possa, pertanto, esso solo, conseguire tali effetti

E’ ben più difficile concepire un atto materiale che vede quanto meno “paralizzati” i suoi effetti giuridici per il venir meno del giudice-persona fisica innanzi al quale è stato compiuto e che poi li riacquista in pieno a seguito di altro atto del tutto distinto.

Queste vecchie dichiarazioni “rimangono al fascicolo” in quanto (all’epoca) “legittimamente assunte”.

Epperò la sentenza che le prendesse per buone, puramente e semplicemente, sarebbe radicalmente viziata in rito.

Di fatto, nella prassi ormai consolidata dei tribunali, la rinnovazione era meramente ripetitiva, mentre, in precedenza, le forme della rinnovazione-ripetizione avevano formato oggetto di qualche contrasto, in quanto da un lato si era affermato che tale “ripetizione” poteva avere un senso solo nella misura in cui si chiedeva qualche cosa di nuovo. Dalla parte opposta, si era detto che il porre nuove domande non era possibile. La permanenza di tale secondo orientamento aveva dato vita a un rituale stucchevole ma che, dal punto di vista logico aveva una certa dignità, nel momento in cui si prendeva atto che si trattava dello stesso processo e che, non potendosi abrogare l’articolo 525 nella parte in cui prevedeva la nullità assoluta degli atti innanzi al giudice diverso, costituiva sufficiente omaggio al principio “superiore” sotteso alla norma, vale a dire quello dell’oralità e del diretto contatto tra giudice e prova il riconvocare il teste e “(ri)sentirlo”. Magari solo per guardarlo in faccia[15].

Ma a questo punto torniamo al punto di partenza: le modalità fisiche con cui il teste si è espresso restano confinate nel passato, oggi il teste nuovamente sentito si esprimerà con altre modalità, necessariamente diverse.

Alcune delle soluzioni prospettate, peraltro, non sono del tutto nuove ed hanno trovato oggetto di argomentata prospettazione anche in dottrina agli inizi dello scorso decennio, anche se nella prassi sono risultate recessive[16].

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La  rinnovazione/ripetizione della prova orale come eccezione e non regola

Appare evidente che la rinnovazione della prova orale trova una serie di limiti secondo il nuovo assetto datole dalla sentenza in commento, limiti diversi tra loro ma che, dovendosi tutti insieme osservare, concorrono a configurare, dal punto di vista statistico, la rinnovazione-ripetizione come eccezione e non come regola nel caso di mutamento del giudice.

Primo limite: a) esplicita e b) motivata richiesta

Come abbiamo visto, la rinnovazione della prova testimoniale dovrà, innanzitutto, essere esplicitamente contenuta in un’istanza di parte.

Come sopra accennato,rimane definitivamente assodato che il semplice silenzio, pur non essendo  equivalente a un consenso o acquiescenza su un atto nullo in senso assoluto (e quindi non sanabile), rappresenta nondimeno un  mancato impulso che deve specificamente esserci per la rinnovazione-ripetizione in questione[17].

Ma non basta. La richiesta deve contenere specifiche motivazioni che rendono aggiuntiva e diversa la sostanza della prova così “rinnovata”.

 Tale diversità dovrà trovare poi, come sembra, il necessario veicolo di specifiche liste testimoniali (che riguarderanno anche, eventualmente, testi non sentiti prima) mentre per quanto riguarda il “rinnovato” esame dell’imputato, ovviamente, non essendo consentito tale tipo di veicolo, residua però la specificità di nuovi punti su cui sentire lo stesso, mentre non vige la limitazione di seguito trattata, vale a dire l’impossibilità di chiedere la rinnovazione della prova oraleda parte di chi all’origine non l’ aveva richiesta: “…La facoltà di chiedere la rinnovazione degli esami testimoniali può, quindi, essere esercitata soltanto da chi aveva indicato il soggetto da riesaminare in lista ritualmente depositata ex art. 468.Ciò non vale, naturalmente, per gli esami dei soggetti (ad esempio l’imputato) che non vanno previamente indicati in lista…[18].

Secondo limite: impossibilità di chiedere la rinnovazione e dunque di sentire nuovamente il teste da parte di chi all’origine non lo aveva richiesto.

Nei casi, molto frequenti, in cui si è assunta una lunga schiera di testi (originariamente) della pubblica accusa, la quale ben raramente  chiederà la rinnovazione/ripetizione, la ricaduta pratica di notevole impatto è che il difensore delle altre parti non è legittimato a chiedere la rinnovazione.

 Potrebbe, è vero, presentare una lista testimoniale in cui chiede di assumere testi, per essa nuovi, che sono in tutto o in parte testi del PM già sentiti (ipotesi ben curiosa, ma la realtà ne ha viste anche di più bizzarre), ma dovrebbe, in questo caso, indicare specificamente i motivi e sarebbe in ogni caso sotto il sospetto di abuso del processo, laddove tali motivi non fossero più che specifici e quindi, statisticamente, residuali.

La presentazione della lista testimoniale è pertanto uno strumento necessario (ma non sufficiente) perché si proceda alla rinnovazione.

 Così la sentenza in commento: “… Trova, quindi, applicazione, anche a seguito della rinnovazione del dibattimento per mutamento della composizione del giudice, l’art. 468, comma 1, cod. proc. pen., a norma del quale «le parti che intendono chiedere l’esame di testimoni, periti o consulenti tecnici nonché delle persone indicate dall’art. 210 cod. proc. pen. devono, a pena di inammissibilità, depositare in cancelleria, almeno sette giorni prima della data fissata per il dibattimento, la lista con la indicazione delle circostanze su cui deve vertere l’esame».”.

Terzo limite : eventuale  manifesta superfluità della reiterazione degli esami in precedenza svolti dinanzi al giudice diversamente composto

Si tratta, a ben vedere, di una prescrizione che va necessariamente coordinata con il concorrente obbligo di depositare le liste e indicare, oltre ai soggetti da sentire quali testimoni, “le circostanze su cui deve vertere l’esame“.

Alcuni esempi, forniti nella sentenza, di “non manifesta superfluità” di un nuovo esame del dichiarante:

  • nel caso in cui le parti si siano avvalse del potere, legittimamente esercitabile, di indicare circostanze (in precedenza riferite in modo insoddisfacente perché incompleto, od anche nuove, purché rilevanti ai fini della decisione) in ordine alle quali esaminare nuovamente il dichiarante
  • nel caso in cui le parti  abbiano allegato elementi dai quali desumere la sua inattendibilità (anche se limitatamente ad alcuni punti della deposizione resa), e la conseguente necessità che egli venga nuovamente esaminato

Alcuni esempi, forniti nella sentenza, di “manifesta superfluità” di un nuovo esame del dichiarante:

  • la richiesta di pedissequa reiterazione dell’esame già svolto dinanzi al diverso giudice, che, secondo la stessa prospettazione della parte richiedente, debba vertere sulle stesse circostanze già compiutamente oggetto del precedente esame;
  • la richiesta di reiterazione dell’esame di un verbalizzante che già nel corso del precedente esame aveva chiesto di consultare in aiuto alla memoria gli atti a sua firma, o di altro soggetto che già nel corso del precedente esame aveva palesato cattivo ricordo dei fatti, o che comunque debba essere riesaminato dopo ampio lasso di tempo[19] dal verificarsi dei fatti in ipotesi a sua conoscenza.

Conclusioni provvisorie: ripristino della ragionevolezza con argomentazioni logicamente corrette, e residui vizi logici

La sentenzafa tutto il possibile con gli strumenti a sua disposizione. Tra questi strumenti spicca la mancanza di attaccare ulteriormente e direttamente il disposto dell’articolo 525 del codice di procedura penale. Essa viene preceduta di poco dalla sentenza numero 142 del 2019 della Corte Costituzionale, senza la quale non si comprenderebbe molta parte di quanto affermato dalle sezioni unite e, probabilmente, neppure sarebbe stato possibile concepire la motivazione della sentenza così come invece è stata rassegnata.

 La stessa sentenza in commento cita varie volte proprio la predetta sentenza 142 del 2019, soprattutto sul punto dell’assoluta irragionevolezza delle conseguenze pratiche cui si era pervenuti applicando rigidamente una determinata interpretazione. A sua volta la Corte Costituzionale si era dovuta pronunciare su una specifica censura di violazione della ragionevole durata del processo, da parte del Trib. di Siracusa, ed aveva offerto spunti interessanti.

Anche gli stessi commentatori della sentenza della Corte Costituzionale avevano sottolineato come, più o meno esplicitamente, essa costituisse un segnale per un nuovo assetto del diritto positivo, preferibilmente percorso dal legislatore ma altrettanto prevedibilmente, invece, veicolato da orientamenti giurisprudenziali nuovi.

I quali orientamenti, appunto, sono venuti più presto del previsto.

 Era difficile, d’altro canto, spiegare a qualsiasi cittadino di buon senso riconvocato per 2,3 o anche 4 volte solo per dire che confermava quanto aveva detto innanzi ad altro giudice, quale senso avesse tale gioco dell’oca.

Nel perseguire questi criteri di ragionevolezza, le argomentazioni addotte sono anche convincenti dal punto di vista della tenuta logico-giuridica.

Residuano tuttavia incongruenze che non si possono non segnalare e che, soprattutto, si sposteranno dal profilo strettamente logico-giuridico all’applicazione concreta e, soprattutto, immediata, conseguente alla nuova interpretazione.

Un primo problema che può segnalarsi riguarda l’utilizzo delle liste e il contenuto specifico delle stesse. Strettamente collegato a questo problema è quello dei criteri di selezione, da parte del giudice che si troverà a dover ammettere o meno la prova orale da rinnovare-ripetere, secondo il principio della “non superfluità”.

Si tratta di problemi in parte distinti e in parte simili o uguali.

Il dato che li accomuna, dal punto di vista generale, risiede nella risposta da dare al quesito se, nella concreta applicazione della rinnovazione-ripetizione della prova orale venga a prevalere la continuità ovvero la discontinuità tra i segmenti processuali che appartengono alla gestione dei due (o più) giudici diversi che si susseguono.

Inoltre, in questo assetto, un atto processuale sicuramente valido ed efficace quando fu compiuto, ma i cui effetti vengono pur sempre subordinati alla “rinnovazione” dell’atto stesso, sia pure meramente giuridica, vale a dire non implicante alcuna altra attività di “ripetizione” (ove essa non verrà chiesta o verrà disattesa, come è prevedibile accada nella gran parte dei casi) da pietra di paragone proprio all’eventuale rinnovazione/ripetizione, cioè proprio quell’atto al cui compimento i suoi effetti giuridici sono subordinati.

In pratica :

  1. L’atto viene compiuto e entra nel processo innanzi al giudice Caio
  2. Al Giudice Caio subentra il Giudice Tizio che deve “rinnovare” l’atto
  3. Tale “rinnovazione” è puramente spesa nel mondo del diritto, non comporta alcuna altra attività materiale, nessuna ripetizione in tensione con la ragionevole durata del processo
  4. Vi sono casi residuali in cui la rinnovazione, invece, oltre che essere meramente giuridica, deve consistere in una ripetizione materiale dell’atto
  5. Non avrebbe senso una mera ripetizione materiale[20] di ciò che è stato detto, pedissequa
  6. La “rinnovazione” sub specie di “ripetizione”, non è propriamente una rinnovazione/ripetizione, poiché deve contenere un quid novi che la renda effettivamente utile ad aggiungere cognizioni al quadro precedente
  7. Il quid novi, va valutato, principalmente se non esclusivamente, alla stregua di quando è contenuto nell’atto non solo da “rinnovare”, ma da “ripetere”: la rinnovazione vi sarà sempre, e nel silenzio di tutte le parti processuali si produrrà ipso iure; la rinnovazione/ripetizione è eventuale e specifica

Da questo assetto, non è chi non veda che la prova dichiarativa “vecchia” dipende qualche volta dalla “nuova ripetuta”, ma la prova dichiarativa “nuova ripetuta” dipende sempre dalla vecchia. 

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A partire dalla corrente settimana i giudici si troveranno a gestire la prosecuzione di processi penali già incardinati, per i quali sono stati previsti vari incombenti secondo la vecchia interpretazione. Tra questi, l’audizione dei testi già sentiti.

Ciò, in pratica, a fronte del “mancato consenso” di tutte le parti all’utilizzazione dei verbali di prova assunti innanzi a collegio ovvero innanzi al giudice diverso.

 Ci si deve chiedere se da subito tali processi dovranno passare il vaglio della “resistenza” ai ben  piùrigidi criteri che si sono sopra evidenziati, parlando dei tre limiti alla rinnovazione-ripetizione. Se, come sembra, non si può applicare l’overruling in mancanza di riferimenti certi e se, soprattutto, tale istituto sarebbe, in ogni caso, male invocato perché tutti gli effetti andrebbero a ripercuotersi nella sentenza emananda e non già al momento dell’assunzione della prova[21] , la risposta è a rime obbligate e ne conseguirebbe, al più, un rinvio per la discussione, revocato ogni altro provvedimento di assunzione della prova, in omaggio alla vecchia prassi della rinnovazione/ripetizione.

In tema di rinnovazione-ripetizione esaminata dalla sentenza in commento, sicuramente una funzione del tutto nuova viene assunta dalla lista testimoniale.

Anche qui, da subito, potrà accadere che una parte chieda il “breve termine” per depositare la lista. Quanto possa essere breve tale termine, anche a fronte delle necessità di riorganizzare interi ruoli su prospettive di lavoro del tutto diverse per i vecchi processi (molte discussioni, poche assunzioni di prova, il contrario che in precedenza), è questione che esula da queste note, ma che pure nel concreto sarà di notevole rilievo.

Ci si può domandare se, a fronte di tale richiesta di termine, che sembra “ineludibile” da parte del giudice, come sopra visto, la parte debba da subito esplicitare o comunque fare cenno ai “presupposti di novità” che oggi si richiedono secondo quanto visto sopra oppure se la richiesta costituisca l’esercizio di una facoltà non subordinata a tale precisazione. Sembrerebbe che l’interpretazione dovrebbe essere in questo ultimo senso.

La funzione delle liste testimoniali, quanto al contenuto, vale a dire quanto all’indicazione delle circostanze dell’esame, come sappiamo, è stata ampiamente ridotta dall’interpretazione giurisprudenziale rispetto alla portata letteraria originale del codice del 1988.

Avremo invece, in questo caso, una specificazione necessaria che va ben oltre la finalità assegnata, tradizionalmente, all’istituto, che è quella della necessità di difendersi e quindi, di articolare prova contraria da parte degli altri soggetti processuali.

Come si sa, poi, l’articolazione della prova contraria costituisce elettivamente momento successivo e non riguardante la lista. Ciò nonostante, ben potrebbero esservi testi già sentiti su prova contraria dei quali si prospetta la rinnovazione-ripetizione dell’assunzione, sia pure nei limiti ammessi dalla sentenza in commento.

Il problema più rilevante, tuttavia, sia dal punto di vista pratico che da quello teorico, riguarda i rapporti tra il contenuto della prova orale già assunta innanzi ad altro giudice e l’elemento di novità che dovrà necessariamente essere contenuto nella “nuova” prova che si richiede. È evidente, infatti, che l’elemento di novità o di precisazione viene esaminato comparandolo proprio ad una prova orale che, allo stato, non è (ancora) utilizzabile per la decisione.

A questo punto però, troviamo un nuovo problema interpretativo.

Sembra di capire chiaramente, dal testo della sentenza in commento che la prova orale nuova può essere tale sia perché riferita a un fatto nuovo e sopravvenuto alla precedente escussione sia perché, più limitatamente, ci si trova di fronte agli stessi fatti (potenzialmente) già conoscibili al momento dell’assunzione della “vecchia” prova orale, ma sui quali vengono fatte domande nuove ed ulteriori. Le domande “nuove” lo possono essere in due sensi e cioè, riprendendo pari pari il passaggio relativo della sentenza in commento:

  1. in quanto in precedenza riferite in modo insoddisfacente perché incompleto
  2. od anche nuove, purché rilevanti ai fini della decisione

E’ ovvio che bisognerà stabilire perché mai tali circostanze sono state riferite “in modo insoddisfacente”, posto che diamo per scontato che la parte che chiede la rinnovazione-ripetizione sia “insoddisfatta” della precedente assunzione.

Ed ancora, è evidente che il semplice contrasto tra la prova che si vuole nuovamente assumere e di cui la parte fa esplicita richiesta è in re ipsa, perché, se tale contrasto fosse contro l’interesse della parte,  la parte non percorrerebbe l’opzione di ripetere la prova orale. Pertanto, è altrettanto evidente che tale contrasto non potrà, di per sé assumere il carattere di novità/precisazione che il nuovo orientamento richiede.

È altrettanto certo che la prova contraria riguardare fatti sopravvenuti all’escussione. Ciò è confermato indirettamente ma chiaramente anche dall’altro esempio fatto nella sentenza che qui si commenta, vale a dire in relazione all’altra ipotesi, quella di un riscontro dell’attendibilità di un teste. In questo caso, solo in presenza di nuovi elementi, nuovi nel senso di non presenti e non conoscibili al momento dell’assunzione del teste innanzi al giudice poi mutato,  che diano conto di tale possibile inattendibilità, la prova potrà essere ammessa in “rinnovazione”.

Ma, c’è da chiedersi:tali nuovi elementi potranno solo essere documentali ? Oppure dovranno a loro volta consistere in una prova, anche orale, della loro novità?

Per di più, nell’uno e nell’altro caso, dovranno precedere la fase di ammissione della prova, successivo alla presentazione delle liste.

 In questi casi, vale a dire nella richiesta di prova orale nuova in senso stretto, vale a dire nuova perché fondata sul contenuto di fatti sopravvenuti, non si può che immaginare una sorta di sub-procedimento, molto semplice oppure via via più complesso a seconda dei casi, che serva, successivamente, ove vi sia un vaglio positivo, prima alla formulazione del “contenuto dell’esame” nella lista e poi successivamente al vaglio “finale” nell’ammissione della prova.

 A ben vedere, l’esempio fatto è uno, ma non verosimilmente l’unico, di alcune torsioni logiche cui si è sottoposta la sentenza in commento, in ciò costrettavi non tanto da un deficit di qualità argomentativa quanto piuttosto dall’impossibilità di ricondurre tutto alla logica, evitando però nel contempo un non praticabile attacco diretto al disposto normativo dell’articolo 525 cpp, evitandone, nel contempo, uno svuotamento totale (quello già effettuato è già molto consistente) .

In estrema sintesi :non si può che essere d’accordo sul  principio di oralità ed immediatezza.

Nei processi che quotidianamente facciamo quasi sempre, e sempre nei processi più importanti, l’immediatezza scompare per fare posto al suo contrario, vale a dire la dilatazione dei tempi del processo.

Diviene mera derisione, di conseguenza, l’oralità, perché si fa riferimento sempre più alle letture. Per non parlare della  scomparsa, più o meno parziale,  di una serie di “soggetti vulnerabili” (non più i soli minori, ma quelli di recente oggetto di modifiche circa le modalità di assunzione) dall’orizzonte della prova testimoniale dibattimentale.

Se, di fatto, oralità ed immediatezza scompaiono, non possono neppure essere considerati parametri assoluti, a fronte di una serie di eccezioni che diventano, nel concreto ma anche nelle fattispecie di legge (teste vulnerabile ecc.), una regola.

Di qui anche il tramonto, di fatto, di una regola come quella dell’art. 525 cpp.

 Regola che sta o cade nell’ambito della ragionevole durata del processo, come osservato dal trib. di Siracusa.

Fermo 17.10.19                                Cesare Marziali


[1] I passaggi evidenziati in corsivo, la cui fonte non viene altrimenti specificata, devono intendersi riferiti alla sentenza in commento.

[2]  Si ritiene che, nel caso in esame vi sia quel ribaltamento   inopinato   e   repentino   di   giurisprudenza menzionato dalle ss.uu. nell’ordinanza   2067   dell’8   gennaio   2011, per cui appunto si può invocare l’istituto, laddove invece l’overruling   resta   escluso nell’ipotesi di semplice rilettura della norma processuale sviluppatasi nel tempo. Recentemente, v. Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione  12.02.2019 n. 4135, secondo cui Il rimedio dell’overruling è riconoscibile solo in presenza di stabili approdi interpretativi del giudice di legittimità, eventualmente a Sezioni Unite, se connotati dai caratteri della costanza e ripetizione, mentre non può essere invocato sulla base di alcune pronunce della giurisprudenza di merito, le quali non sono idonee ad integrare un “diritto vivente”.

[3]anche nel diritto penale sostanziale, tuttavia, si è prestata più attenzione al mutamento in bonampartem e del suo eventuale effetto retroattivo piuttosto che al mutamento in malampartem e (alla eventuale sterilizzazione) del suo effetto retroattivo. Nel diritto penale sostanziale, fra la minoranza dei casi di problematiche sottese al mutamento  inmalampartem, meritano di essere menzionati, oltre al caso Contrada,  il  caso Taricco in materia di prescrizione del reato tributario in tema di “Iva armonizzata”. Quest’ultimo caso, tuttavia, si pone a un livello a sua volta del tutto peculiare , in quanto  varca la soglia dell’interpretazione della norma, divenendo, francamente, un vero e proprio intervento normativo del Giudice (in questo caso, la Cedu), con complicazioni che esulano da queste note, anche se per altri versi assai rilevanti.

[4]Cass., sez. VI pen., 26 maggio 2008, n. 29684, Sorce, CedCass., rv. 240455. Citato da Condorelli-Pressacco – Overruling e prevedibilità della decisione, in QG –  Fascicolo 4/2018, i quali a proposito di tale ultimo arresto, osservano altresì  “che il principio affermato in tale pronuncia non sia del tutto corretto dal punto di vista sistematico, considerato che la prova – dopo essere stata ritualmente assunta in giudizio – viene utilizzata proprio al momento della decisione che definisce la controversia”. Da segnalare ancheMazzacuva “Mutamento giurisprudenziale e processo penale” in Treccani.it .

[5] I precedenti sono sempre meno esigui, peraltro, con particolare riferimento al versante dell’abolitiocriminis e intangibilità del giudicato, con questioni le quali, per vero, appartengono sia a problematiche di diritto  penale sia, nella misura in cui si vengano a prospettare concretamente i mezzi processuali da utilizzare per l’effettiva applicazione del “mutamento” nel diritto sostanziale, al processo penale.

V. Cass. Pen.  13 febbraio 2018 n. 6990, la quale  tratta della revoca in executivis di una sentenza passata in giudicato e dà peraltro risposta negativa, evidenziando come il chiaro tenore dell’art. 673 c.p.p. possa operare nel senso della revoca della sentenza di condanna o del decreto penale solo ove si versi al cospetto di un fenomeno di abolitiocriminis ovvero nel caso di pronuncia di illegittimità costituzionale della norma incriminatrice fondante la sentenza di condanna, laddove in alcun modo l’overruling giurisprudenziale favorevole può giustificare un’estensione dell’operatività della norma processuale in parola.La sentenza è commentata da Di Clemente “L’overruling giurisprudenziale non autorizza la revoca della sentenza passata in giudicato” in www.camminodiritto.it. Sempre sul versante del problema del giudicato, non può non segnalarsi importanza del precedente costituito da Corte Costituzionale, sentenza n. 230 del 2012, anch’essa di segno negativo circa la possibilità di applicare il “jusnovum”. Si rinvia, su questa importante sentenza, ai commenti disponibili in rete : Ruggeri, “ Penelope alla Consulta: tesse e sfila la tela dei suoi rapporti con la Corte EDU, con significativi richiami ai tratti identificativi della struttura dell’ordine interno e distintivi rispetto alla struttura dell’ordine convenzionale (“a prima lettura” di Corte cost. n. 230 del 2012) in www.consultaonline ; id.  “Ancora a margine di Corte cost. n. 230 del 2012, post scriptum”; Napoleoni “Mutamento di giurisprudenza in bonampartem e revoca del giudicato di condanna: altolà della Consulta a prospettive avanguardistiche di (supposto) adeguamento ai dicta della Corte di Strasburgo” in diritto penale contemporaneo 3-4/2012.

[6] De Blasis “Legalità penale e dintorni – New Dimensions of the ‘Nulla Poena’ Principle”, in diritto penale Contemporaneo 4/2017

[7]è importante invece richiamare che, al contrario: “… Il principio d’immutabilità del giudice non è, quindi, violato allorché il giudice diversamente composto si sia limitato al compimento di attività od all’emissione di provvedimenti destinati ad aver luogo prima del dibattimento, quali, ad esempio:

–              gli atti urgenti previsti dall’art. 467 cod. proc. pen.;

–              l’autorizzazione alla citazione di testimoni ex art. 468 cod. proc. pen.;

–              la verifica della regolare costituzione delle parti ex art. 484 cod. proc. pen., con connessa eventuale rinnovazione della citazione ex art. 143 disp. att. cod. proc. pen., oppure constatazione dell’assenza dell’imputato ex artt. 484, comma 2-bis, 420-ò/s, 420-quater e 420-quinquies cod. proc. pen., od infine rinvio del dibattimento nei casi di impedimento (riconosciuto legittimo) dell’imputato o del difensore ex artt. 484, comma 2-bis, e 420-rer cod. proc. pen.;

–              la decisione delle questioni preliminari ex art. 491 cod. proc. pen. Quanto a quest’ultimo profilo, questa Corte ha già evidenziato che, a seguitodel mutamento della composizione del collegio giudicante, il procedimento regredisce nella fase degli atti preliminari al dibattimento (che precede la nuova dichiarazione di apertura del dibattimento ex art. 492 cod. proc. pen.), e pertanto – ferma restando l’improponibilità di questioni preliminari in precedenza non sollevate (a norma dell’art. 491, comma 1, infatti, le questioni preliminari «sono precluse se non sono proposte subito dopo compiuto per la prima volta l’accertamento della costituzione delle parti») – il giudice, nella composizione sopravvenuta, ha il potere di valutare ex novo le questioni tempestivamente proposte dalle parti e decise dal giudice diversamente composto (cfr. Sez. 6, n. 3746 del 24/11/1998, dep. 1999, De Mita, Rv. 213343, e Sez. 1, n. 36032 del 05/07/2018, Conti, Rv. 274382, entrambe in tema di competenza per territorio).…”. Inoltre, la sentenza ha ancora cura di precisare che           “…nella nozione di “dibattimento” ex art. 525, comma 2, prima parte, rientra, pertanto, anche la dichiarazione della sua apertura ex art. 492 cod. proc. pen….”.

[8] Va subito detto che il “consenso” perde ogni rilievo nella prospettiva della sentenza in commento. Lo perde  sub specie di “acquiescenza” rispetto alla nullità, quest’ultima, in quanto assoluta, è insanabile. Né si dimentichi che la nullità colpisce non un’attività che, quando fu compiuta, era perfettamente regolare bensì, semmai, la successiva utilizzazione, in sentenza,  contralegem. Come sappiamo, dopo la sentenza Iannasso, l’attenzione si era spostata sull’articolo 511 Cpp, che  disciplina  le letture  consentite  nel  corso  dell’istruzione  dibattimentale. ll  secondo comma  dell’art.  511 Cppprescrive  che  “la  lettura dei verbali   di  dichiarazioni  e’  disposta  solo  dopo  l’esame  della persona che le ha rese, a meno che l’esame non abbia luogo”.L’ultimo  inciso  del  secondo  comma  dell’art.  511  Cpp, “a    meno    che  l’esame  non  abbia  luogo”,  postulava  infatti,  secondo le SS.UU., che  l’esame  non  si compisse 1) o  per volontà delle parti, espressamente manifestata ovvero  2) implicita  nella  mancata  richiesta  di riaudizione del dichiarante,    3) o per sopravvenuta impossibilità della ri-audizione. In questo quadro, il consenso espresso al verbale, di tutte le parti, alla”utilizzazione dei verbali di prova orale assunti innanzi al giudice in diversa composizione” (ovvero espressione equivalente) formalizzava appunto la fattispecie, appena richiamata al punto 1), di esame il quale “non abbia luogo” per la volontà delle parti espressamente manifestata.

 La sentenza in commento, invece, pone, al contrario, l’accento su un impulso processuale che, per definizione, va attivato dalla parte interessata con la conseguenza che, ove ciò non avvenga, non si pongono problemi di consenso espresso ovvero di interpretazione dell’inerzia o silenzio che dir si voglia.

[9] Non sarà inutile osservare, per la notevole frequenza in cui in concreto si verifica tale fattispecie, che la sentenza delle ss.uu. in commento non manca di citare la giurisprudenza della corte CEDU la quale non ritiene violato il principio dell’immutabilità del giudice al fatto che soltanto uno dei giudici fosse stato sostituito, e che il nuovo componente aveva comunque avuto modo di leggere le dichiarazioni rese dal teste decisivo delle quali si discuteva (Corte EDU, Terza Sezione, 2 dicembre 2014, caso Cutean contro Romania, § 61, e Seconda Sezione, 6 dicembre 2016, caso Skaro c. Croazia, §§ 28 ss.). Anche in tal caso si tratta, tuttavia, di riferimento non ulteriormente coltivato e pertanto non si ritiene che tale richiamo sia in grado di rendere possibile una mancata rinnovazione anche in tale specifico caso.

[10] l’importanza che assume tale questione ed una certa sbrigatività con la quale viene trattata nella sentenza rende opportuno richiamare ancora integralmente il passaggio relativo: “… la garanzia dell’immutabilità del giudice attribuisce alle parti il diritto, non di vedere inutilmente reiterati, pedissequamente e senza alcun beneficio processuale, attività già svolte e provvedimenti già emessi, con immotivata dilazione dei tempi di definizione del processo cui la parte può in astratto avere di fatto un interesse che, tuttavia, l’ordinamento non legittima e non tutela, bensì di poter nuovamente esercitare, a seguito del mutamento della composizione del giudice, le facoltà previste dalle predette disposizioni, ad esempio chiedendo di presentare nuove richieste di prova, che andranno ordinariamente valutate.

Resta ferma anche la possibilità che il giudice ritenga necessaria, d’ufficio, la ripetizione, anche pedissequa, delle predette attività.

Né può ritenersi che la rinnovazione del dibattimento debba essere espressamente disposta, poiché le parti, con l’insostituibile ausilio della difesa tecnica, sulla quale incombe il generale dovere di adempiere con diligenza il mandato professionale, sono certamente in grado, con quel minimum di diligenza che è legittimo richiedere, di rilevare il sopravvenuto mutamento della composizione del giudice ed attivarsi con la formulazione delle eventuali, conseguenti richieste, se ne abbiano, chiedendo altresì, ove necessario, la concessione di un breve termine (la cui fruizione può, ad esempio, rivelarsi ineludibile quando la necessità della rinnovazione del dibattimento non sia stata prevista ed anticipata, ma si sia palesata soltanto in udienza, senza preavviso alcuno, ed occorra quindi consentire l’eventuale presentazione di una nuova lista ai sensi dell’art. 468 cod. proc. pen., senz’altro legittima e, peraltro, necessaria ai fini della altrettanto legittima formulazione di nuove richieste di prova ex art. 493 cod. proc. pen., come sarà chiarito più ampiamente in seguito…”

[11]si badi che in ogni caso ciò potrà essere fatto, come si verrà a esaminare nel prosieguo, e nell’interpretazione senz’altro nuova data dalle ss.uu. , solo nel caso che la parte eserciti tale sua opposizione in relazione ai propri testiin quanto, di regola (vale a dire con le stringenti eccezioni che pure si andranno a richiamare ) ciò non potrà fare in relazione a testi precedentemente sentiti, ma richiesti da altre parti.

[12]Come invece ora prevede la sentenza in esame,con una  regola che, per l’indiscussa sua natura di novità, non poteva essere conosciuta, prima del 9 ottobre 2019

[13]il concetto enunciato da Plauto si ricollega ad un principio filosofico di carattere più generale, che è stato espresso così da san Tommaso d’Aquino nella Summa Theologiae: nemmeno Dio, che è onnipotente, potrebbe fare sì che ciò che è stato non sia mai stato. Dio non può trasformarsi in eversore della logica. Sul versante opposto, in precedenza un altro pagano aveva chiuso il cerchio, escludendo rigorosamente la possibilità che in rerum natura vi possa essere una puntuale ripetizione : “non ci si bagna due volte nello stesso fiume”.

[14]sussiste un pizzico di polemica, nella sentenza in commento, laddove vengono riportati orientamenti della più volte citata ss.uu. Iannasso, ed al punto  9.1.si legge “ Appare, pertanto, di tutta evidenza che i verbali di dichiarazioni rese dai testimoni in dibattimento dinanzi a giudice in composizione successivamente mutata, fanno legittimamente parte del fascicolo del dibattimento (dove non “confluiscono”, bensì “permangono”).

[15] Così, pianamente, la sentenza in commento “deve considerarsi che, quando le dichiarazioni rese in dibattimento dai soggetti esaminati dal giudice diversamente composto siano state integralmente verbalizzate stenotipicamente, con contestuale registrazione fonografica – come oggi accade sostanzialmente nella stragrande maggioranza dei processi -, il problema della mediazione del primo giudice tra le effettive dichiarazioni e la relativa verbalizzazione si sdrammatizza, risultando le stesse invece completamente e genuinamente riportate, e come tali integralmente conoscibili dal nuovo giudicante. In presenza di tale ausilio tecnico, potràeventualmente ravvisarsi una giusta ragione per non disporre la pedissequa ripetizione dell’esame…”.

[16] V. Fanuli“ la prova dichiarativa del processo penale”, Torino 2007, pagg. 368-369 : “…Meritevole di attenzione è la tesi opposta [quella secondo cui i materiali utilizzati dal giudice per dichiarare la superfluità della prova possono essere anche i verbali delle dichiarazioni precedentemente rese] . Essa muove da importanti e condivisibili considerazioni in ordine ali natura concreta del giudizio di non manifesta superfluità e irrilevanza…….. Secondo tale posizione interpretativa la presenza dei verbali delle prove assunte dinanzi al precedente giudice potrà costituire elemento valutabile al fine di ritenere manifestamente superflua la rinnovazione della prova; ma la parte richiedente potrà comunque dimostrare l’ammissibilità della prova richiesta, approfittando (purché sia diligente e a ciò si attivi) del suddetto esiguo margine di discrezionalità concesso al giudice .In tale ragionevole compromesso, da un lato le ragioni della parte non sembrano essere sacrificate, dall’altro si pone il processo penale – la cui ragionevole durata rappresenta un valore costituzionalmente garantito……”. Nel predetto lavoro su fa richiamo a  Potetti“Corte Costituzionale e Sezioni Unite in tema di mutamento della persona del Giudice e rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale” in Cass. Penale. In Particolare “…. il giudizio di non manifesta superfluità o irrilevanza riguarda il mezzo istruttorio valutato non in astratto (cioè isolatamente, di per se stesso), ma in concreto, e cioè in relazione a tutti gli altri elementi conoscitivi dei quali il giudice legittimamente disponga……………Pertanto, non sarebbe possibile un giudizio sulla eventuale manifesta superfluità della (rinnovazione della) prova se non si valutassero tutti gli altri elementi dei quali il giudice possa validamente disporre (compreso il verbale di analoga prova già assunta dal giudice che lo ha preceduto)». (Potetti, cit. , 805)….”.

[17]Così, testualmente “ Ferma l’irrilevanza (ai sensi del combinato disposto degli artt. 525, comma 2, prima parte, e 179 cod. proc. pen.) del consenso eventualmente prestato alla violazione del principio d’immutabilità del giudice, sanzionata a pena di nullità assoluta, e quindi insanabile, è, infatti, legittimo, ed anzi doveroso, valorizzare l’inerzia delle parti che non si siano attivate nei modi di rito, ovvero che non abbiano formulato la richiesta ex art. 493 cod. proc. pen., oppure non abbiano compiuto le attività preliminari alla richiesta di ammissione/rinnovazione degli esami di testimoni, periti o consulenti tecnici, nonché delle persone indicate dall’art. 210 cod. proc. pen., non depositando la prescritta lista.

[18]Rimane salva la possibilità, per “… la parte che non abbia indicato il nominativo del dichiarante da esaminare nuovamente e le circostanze sulle quali il nuovo esame deve vertere in una lista tempestivamente depositata ex art. 468, non ha diritto all’ammissione, ma può soltanto sollecitare il giudice, all’esito dell’istruzione dibattimentale, a disporre la nuova assunzione delle prove già precedentemente assunte dal collegio diversamente composto ai sensi dell’art. 507 cod. proc. pen. (tutte, od anche una soltanto), sempre che ricorrano le condizioni di assolutanecessità ai fini dell’accertamento della verità richieste da quest’ultima disposizione…”.

[19] Viene citato ampiamente, nella sentenza in commento, l’antecedente  costituito da Corte cost. n. 132 del 2019: “…Nel caso in cui la nuova escussione si risolva nella mera conferma delle dichiarazioni rese tempo addietro dal testimone, quest’ultimo «avrà una memoria ormai assai meno vivida dei fatti sui quali, allora, aveva deposto: senza, dunque, che il nuovo giudice possa trarre dal contatto diretto con il testimone alcun beneficio addizionale, in termini di formazione del proprio convincimento, rispetto a quanto già emerge dalle trascrizioni delle sue precedenti dichiarazioni, comunque acquisibili al fascicolo dibattimentale ai sensi dell’art. 511, comma 2, cod. proc. pen. una volta che il testimone venga risentito»; risulta, pertanto, assai dubbia l’idoneità complessiva di tale meccanismo «a garantire, in maniera effettiva e non solo declamatoria, i diritti fondamentali dell’imputato, e in particolare quello a una decisione giudiziale corretta sull’imputazione che lo riguarda».

[20] A stretto rigore logico, una ripetizione materiale, strettamente intesa, non è possibile : nessuno si bagna due volte nello stesso fiume. A ben vedere, dunque, anche questa è una ripetizione che vale come finzione giuridica, tanto che, per non discostarsene troppo, si ricorre al formalismo giuridico più smaccato, in cui si rievocano i rituali degli atti del diritto romano antico, in cui se si sbagliava una parola, l’atto era totalmente invalido

[21]come più volte ripetuto e pacificamente ormai acquisito sino dal tempo in cui, a metà degli anni 2000, si pronunciò sul punto la corte costituzionale, dei verbali di prova orale assunti innanzi ad altro giudice permangono al verbale in quanto, al momento in cui furono compiuti, erano perfettamente legittimi

A cura di Luigi Giordano

PENA – PENE ACCESSORIE – Durata non fissa – Sentenza della Corte costituzionale n. 222 del 2018 – Conseguenze – Fattispecie di pene accessorie per il reato di bancarotta fraudolenta.

Le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno affermato, con riferimento alle pene accessorie previste dall’art. 216, ultimo comma, legge fall. per il reato di bancarotta fraudolenta come “riformulato” a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 222 del 2018, che le pene accessorie, per le quali la legge indichi un termine di durata non fissa, devono essere determinate in concreto dal giudice, escluso ogni automatismo, in base ai criteri commisurativi indicati dall’art. 133 cod. pen.

Sezioni Unite, n. 28910 del 28/02/2019 (dep. 3/7/2019) – Pres. D. Carcano – Est. M. Boni.

REO – CONCORSO DI PERSONE NEL REATO – IN GENERE – Concorso di persone in reati a dolo specifico – Ricettazione – Necessità che il dolo specifico ricorra in capo a tutti i concorrenti – Esclusione – Condizioni.

La Seconda sezione ha affermato che, per effetto dell’ampliamento della punibilità determinato dall’art. 110 cod. pen., è punibile a titolo di concorso in ricettazione anche il soggetto il cui contributo al reato non sia soggettivamente animato dal dolo specifico, a condizione che lo sia quello fornito da almeno uno dei concorrenti e che dell’altrui finalità il predetto sia consapevole.

Sezione Seconda, n. 38277 del 07.06.2019 (dep. 17.09.2019), Presidente De Crescienzo U., Estensore Beltrani S.

DELITTI CONTRO LA FEDE PUBBLICA – Formazione di copia di un atto inesistente – Reato di falsità materiale – Esclusione – Limiti.

Le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno affermato che la formazione della copia di un atto inesistente non integra il reato di falsità materiale, salvo che la copia assuma l’apparenza di un atto originale.

Sezione Unite, sentenza n. 35814, u.p. 28/03/2019, dep. 07/08/2019, Pres. D. Carcano, Rel. G. De Amicis.

REATI CONTRO IL PATRIMONIO – Usura – Oggettiva usurarietà delle condizioni concordate – Sufficienza – Condotta induttiva dell’agente – Necessità – Esclusione – Volontaria accettazione di tali condizioni o assunzione dell’iniziativa della negoziazione da parte della persona offesa – Rilevanza – Esclusione.

La Seconda sezione ha affermato che, ai fini dell’integrazione del delitto di usura, è sufficiente l’oggettiva usurarietà delle condizioni economiche stabilite dalle parti, con la conseguenza che non è necessario che l’agente abbia posto in essere una condotta volta ad indurre la persona offesa a dargli o promettergli interessi o altri vantaggi usurari, né vale ad escludere il reato l’avere la persona offesa volontariamente accettato tali condizioni o assunto, essa medesima, l’iniziativa di avviare le negoziazioni.

Sez. 2, n. 38551 del 26 aprile 2019 (dep. 18 settembre 2019) – Pres. U. de Crescienzo – Est. S. Beltrani.

REATI FALLIMENTARI – BANCAROTTA FRAUDOLENTA – IN GENERE – Condotta del liquidatore – Compimento nel mandato di operazioni prive di collegamento con lo scopo liquidatorio – Bancarotta fraudolenta per dissipazione – Sussistenza – Condizioni.

La Quinta Sezione della Corte di cassazione, pronunciandosi in tema di bancarotta fraudolenta, ha affermato che la vendita, da parte del liquidatore della società poi fallita, di beni sociali, con modalità tali da configurarsi quale operazione priva, ex ante, di qualunque grado di ragionevolezza rispetto al raggiungimento dello scopo liquidatorio, con la consapevolezza da parte dell’autore di diminuire il patrimonio per scopi estranei al mandato liquidatorio, costituisce condotta dissipativa integrante il suddetto reato.

Sezione Quinta, udienza 20/05/2019 (dep. 30/07/2019) n. 34812, Pres. G. Sabeone, Rel. A. Tudino.

SANITÀ PUBBLICA – IN GENERE – Telemedicina – Autorizzazione di cui all’art. 193 TULS – Necessità – Condizioni.

La Terza sezione ha affermato che, nei casi di “telemedicina”, caratterizzati dalla mancata compresenza nel medesimo luogo del paziente e del sanitario che eroga la prestazione, non è necessaria l’autorizzazione di cui all’art. 193 del R.D. 27 luglio 1934, n. 1265, per l’operatore che si limiti a raccogliere il dato anamnestico attraverso esami strumentali privi di invasività fisica e, senza elaborarlo, lo trasmetta, attraverso canali informatici, al diverso operatore che lo esamina ed effettua la diagnosi, essendo questa l’unica attività di natura prettamente sanitaria.

Sezione Terza, n. 38485 del 20.06.2019 (dep. 17.09.2019), Presidente Andreazza G., Estensore Gentili A.

SANITA’ PUBBLICA – IN GENERE – Procreazione medicalmente assistita – Fecondazione di tipo eterologo – Sentenza Corte cost. n. 162 del 2014 – Art. 12, comma 6, l. n. 40 del 2004 – Ambito di applicazione – Indicazione.

La Terza Sezione della Corte di cassazione ha affermato che, anche a seguito della pronuncia della Corte costituzionale n. 162 del 2014, che ha riconosciuto la legittimità della fecondazione assistita di tipo eterologo, sono punibili ai sensi dell’art. 12, comma 6, della legge n. 40 del 2004,  tutte le condotte dirette a remunerare la produzione, il trasferimento, la circolazione e l’importazione di gameti in vista dell’immissione nel mercato, in violazione del principio di gratuità e volontarietà della donazione.

Sezione Terza, sentenza n. 36221/2019, c.c. 06/06/2019, dep. 19/08/2019, Pres. G.  Lapalorcia, Rel. E. Gai.

EDILIZIA – COSTRUZIONE EDILIZIAReati edilizi – Mutamento di destinazione d’ uso – Trasformazione di un magazzino in luogo di culto – Sussistenza.

In materia di reati edilizi, la Terza sezione ha affermato che integra il reato di cui all’art. 44, comma 1, lett. b), d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, il mutamento della destinazione d’uso di locali originariamente destinati a magazzino in luogo di culto.

Sez. Terza, 3/07/2019 (dep. 30/08/2019), n. 36689, Presidente G. Liberati, Estensore A. Scarcella.

SICUREZZA PUBBLICA – MISURE DI PREVENZIONE – REVOCA, MODIFICAZIONE O SOSPENSIONE – Confisca – Richiesta di revocazione – Rigetto – Ricorso per cassazione – Ammissibilità – Ragioni.

La Sesta sezione ha affermato che è ammissibile il ricorso per cassazione avverso il provvedimento di rigetto della richiesta di revocazione della confisca di prevenzione trattandosi di un provvedimento avente carattere di definitività ed atteso che il rinvio operato dall’art. 28 del d.lgs. n. 159 del 2011, così come modificato dalla legge n. 161 del 2017, alle forme “dell’art. 630 e seguenti cod. proc. pen.”, in tema di revisione delle sentenze di condanna, implica l’applicabilità anche dell’art. 640 cod. proc. pen. che prevede la ricorribilità per cassazione del provvedimento definitorio del giudizio di revisione.

Sezione Sesta, udienza 6/06/2019 (dep. 18/07/2019) n. 31937, Pres. G. Fidelbo, Rel. E. Aprile.

RAPPORTI GIURISDIZIONALI CON AUTORITA’ STRANIERE – ROGATORIE – DALL’ESTERO – ESECUZIONE- Competenza – Pubblico ministero del capoluogo del distretto – Misure cautelari reali – Riesame – Competenza – Tribunale del medesimo capoluogo.

In tema di rogatorie passive, la Sesta sezione ha affermato che, essendo competente per l’esecuzione, ai sensi dell’art. 724 cod. proc. pen., il procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto del luogo nel quale deve compiersi l’attività richiesta, la competenza per l’eventuale riesame dei provvedimenti di sequestro conseguenti appartiene territorialmente e funzionalmente al tribunale del medesimo capoluogo del distretto.

Sezione Sesta, udienza 19/06/2019 (dep. 18/07/2019) n. 31954, Pres. G. Paoloni, Rel. O. Villoni.

PROCEDIMENTO – IN GENERE – Revoca della costituzione di parte civile – Dichiarazione del sostituto processuale d’udienza del difensore della parte civile – Validità – Esclusione – Ragioni – Presenza della parte – Sanatoria del difetto di procura – Esclusione.

La Terza sezione ha affermato che la dichiarazione di revoca della costituzione di parte civile non può essere validamente effettuata dal sostituto processuale d’udienza del difensore della parte costituita, trattandosi di un atto che la legge riserva personalmente a quest’ultima o al suo procuratore speciale, senza che l’eventuale presenza in udienza della parte stessa comporti alcuna sanatoria del difetto di procura in capo a detto sostituto.

Sez. 3, n. 30388 del 9 aprile 2019 (dep. 10 luglio 2019) – Pres. G. Sarno – Est. L. Semeraro.

COMPETENZA PER MATERIA – INCOMPETENZA – RILEVABILITÀ – Reati di competenza del giudice di paceDeclinatoria di competenza da parte del giudice togato in ogni stato e grado del processo – Ammissibilità – Limiti – Riqualificazione di un reato di competenza del tribunale in un reato di competenza del giudice di pace – “Perpetuatio iurisdictionis” – Sussistenza – Condizioni.  

Le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno affermato che l’incompetenza a conoscere dei reati appartenenti alla cognizione del giudice di pace deve essere dichiarata dal giudice togato in ogni stato e grado del processo, ai sensi dell’art. 48 del d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274, disposizione che deroga al regime previsto dall’art. 23, comma 2, cod. proc. pen., che consente la rilevabilità dell’incompetenza per materia c.d. in eccesso entro precisi termini di decadenza; tuttavia, nel caso in cui il giudice togato riqualifichi il fatto in un reato di competenza del giudice di pace, resta ferma la sua competenza per effetto del principio della “perpetuatio iurisdictionis”, purché l’originario reato gli sia stato attribuito nel rispetto delle norme sulla competenza per materia e la riqualificazione sia un effetto determinato da acquisizioni probatorie sopravvenute nel corso del processo.

Sezioni Unite, n. 28908 del 27/09/2018 (dep. 03/07/2019), Pres. D. Carcano, Est. G. Fidelbo.

NOTIFICAZIONI ALL’IMPUTATO – DOMICILIO DICHIARATO O ELETTO – Modifica del “tempus” o del “locus commissi delicti” – Validità della dichiarazione o elezione di domicilio – Permanenza – Ragioni.

La Quinta sezione della Corte di cassazione ha affermato che la dichiarazione o elezione di domicilio effettuata dall’indagato in relazione ad un procedimento non perde di validità nel caso in cui, nel prosieguo delle indagini, intervengano modifiche relative alla esatta identificazione del “tempus” e del “locus commissi delicti”, in quanto l’elezione di domicilio risponde all’esigenza di semplificare i rapporti tra persona sottoposta alle indagini ed autorità procedente e non anche a quella di informare il soggetto sulla specifica imputazione elevata a suo carico.

Sez. 5, n. 38732 del 3 maggio 2019 (dep. 19 settembre 2019) – Pres. P. A. Bruno – Est. A. Settembre.

INDAGINI PRELIMINARI – ARRESTO IN FLAGRANZA – STATO DI FLAGRANZA – Quasi flagranza – Caratteri – Sorpresa del “reo” con cose o tracce del reato – Nozione – Coincidenza con il compendio del reato – Necessità –  Esclusione – Fattispecie.

In tema di arresto in flagranza, la Seconda sezione, ribadendo che ai fini dello stato di quasi flagranza è necessario che la polizia giudiziaria percepisca in modo diretto gli elementi indicativi del fatto, ha allo stesso tempo escluso che “le cose o tracce” dalle quali emerga che l’indiziato abbia commesso il reato, oggetto di tale diretta percezione, debbano necessariamente coincidere con il compendio del reato. (Nella fattispecie è stato ritenuto legittimo l’arresto dell’autore di una rapina, individuato dalla polizia grazie alla descrizione del vestiario operata dalla vittima congiuntamente al ritrovamento della borsa della persona offesa abbandonata sulla via di fuga). 

Sez. Seconda, 14/06/2019 (dep. 06/09/2019), n. 37303, Presidente D. Gallo, Estensore A. Mantovano.

MISURE CAUTELARI – PERSONALI – IMPUGNAZIONI – RIESAME – DECISIONE – TERMINE – Ordinanza applicativa di misura cautelare coercitiva – Annullamento con rinvio della Corte di cassazione – Riesame in sede di rinvio – Sostituzione della misura in parallelo procedimento incidentale – Deposito dell’ordinanza – Termine di cui all’art. 311, comma 5-bis, cod. proc. pen. – Applicazione – Sussistenza – Ragioni.

La Seconda sezione ha affermato che nel giudizio di rinvio a seguito di annullamento della ordinanza che ha disposto o confermato la misura coercitiva, il tribunale del riesame deve depositare il provvedimento nel termine di trenta giorni previsto dall’art. 311, comma 5-bis, cod. proc. pen., anche nel caso in cui la misura, nelle more del giudizio, sia stata sostituita con altra interdittiva a seguito di autonomo e parallelo incidente cautelare, attesa la ontologica diversità dei due procedimenti incidentali.

Sezione Seconda, n. 37811 del 26.06.2019 (dep. 12.09.2019), Presidente Verga G., Estensore Recchione S.

PENA – ESECUZIONE – PENE DETENTIVE – Sospensione dell’ordine di esecuzione – Condannato agli arresti domiciliari – Violazione delle prescrizioni – Magistrato di sorveglianza – Provvedimenti – Contenuto – Trasmissione degli atti al Tribunale di sorveglianza – Decisione nel termine di trenta giorni – Necessità – Esclusione.

La Prima Sezione penale ha affermato che il Tribunale di sorveglianza non è tenuto al rispetto del termine di cui all’art. 51 ter Ord. pen. nel caso in cui abbia ricevuto la trasmissione degli atti da parte del magistrato di sorveglianza a causa della violazione delle prescrizioni imposte al condannato agli arresti domiciliari che, intervenuta l’irrevocabilità della sentenza, si allontani poi dal luogo di custodia o tenga comportamenti incompatibili con la prosecuzione della misura, atteso lo stretto collegamento tra la previsione dell’art. 51 ter Ord. pen. e il procedimento di revoca della misura alternativa, mentre diverso è il fondamento relativo alla caducazione del regime degli arresti domiciliari “esecutivi”, ex art. 656, comma 10, cod. proc. pen., strettamente calibrato sui profili inerenti la pericolosità sociale della persona e il suo grado.

Sezione Prima, c.c. del 17/7/2019 (dep.13/8/2019), n. 36090/2019, Pres. A. Iasillo, Rel. F. Centofanti.

PROCEDIMENTI SPECIALI PROCEDIMENTO PER DECRETO – IN GENERE – Art. 459, comma 1-bis, cod. proc. pen. – Decreto emesso antecedentemente alla sua introduzione ma notificato successivamente – Applicabilità – Sussistenza – Ragioni. 

La Terza sezione ha affermato che il comma 1-bis dell’art. 459 cod. proc. pen., introdotto dalla legge 23 giugno 2017, n. 103, che, in relazione al decreto penale di condanna, ha previsto una deroga a quanto disposto dall’art. 135 cod. proc. pen. in ordine al ragguaglio fra pene pecuniarie e pene detentive, è norma processuale con effetti sostanziali, poiché implica un trattamento sanzionatorio più favorevole rispetto al precedente, pur se collegato alla scelta del rito, e si applica, quindi, anche nelle ipotesi in cui il decreto penale sia stato emesso precedentemente ma notificato nel vigore della richiamata disposizione, ai sensi dell’art. 2, comma 4, cod. pen.

Sez. 3, n. 30691 del 23/5/2019 (dep. 12/7/2019) – Pres. A. Aceto – Est. L. Semeraro.

ISTITUTI DI PREVENZIONE E DI PENA (ORDINAMENTO PENITENZIARIO) – Richiesta di differimento dell’esecuzione di pena sostitutiva per ragioni di salute – Competenza – Giudice dell’esecuzione – Esclusione – Tribunale di sorveglianza – Sussistenza – Fondamento.

La Prima Sezione penale, ha affermato che la “richiesta di differimento dell’esecuzione di pena sostitutiva” per ragioni di salute non può essere ritenuta rientrante tra le “istanze di modifica delle modalità di esecuzione” della pena sostitutiva, poiché attiene alla verifica di un rinvio necessario ed opportuno per evitare una violazione del senso di umanità ed una applicazione degradante della pena, sicché la competenza a provvedere è da riferire al Tribunale di sorveglianza e non al giudice dell’esecuzione. 

Sezione Prima, c.c. del 27/6/2019 (dep.13/8/2019), n. 36054/2019, Pres. A. Iasillo, Rel. A. Minchella.

INDAGINI PRELIMINARI – ATTIVITA’ DELLA POLIZIA GIUDIZIARIA – SEQUESTRO – CONVALIDA – Omessa convalida – Inefficacia del sequestro – Obbligo di restituzione anche delle copie dei documenti sequestrati – Sussistenza.

La Seconda sezione ha affermato che l’inefficacia del sequestro probatorio, eseguito di iniziativa della polizia giudiziaria e non convalidato nel termine perentorio di quarantotto ore dal pubblico ministero, fa sorgere, in capo a quest’ultimo, l’obbligo di restituzione non solo degli originali dei documenti sequestrati, ma anche delle copie eventualmente estratte.

Sez. 2, n. 26606 del 12/3/2019 (dep. 17/06/2019) – Pres. M. Cammino – Est. S. Beltrani.

SANITÀ PUBBLICA – IN GENERE – Legge 22 maggio 2015, n. 68 – Delitti contro l’ambiente – Inquinamento ambientale ex art. 452-bis cod. pen. – Punibilità a titolo di dolo eventuale – Configurabilità.

La Terza sezione ha affermato che il delitto di inquinamento ambientale di cui all’art. 452-bis cod. pen., introdotto dalla legge n. 68 del 2015, giacché reato a dolo generico per la cui punibilità è richiesta la volontà di abusare del titolo amministrativo di cui si ha la disponibilità, con la consapevolezza di poter determinare un inquinamento ambientale, è punibile anche a titolo di dolo eventuale.

Sez. 3, n. 26007 del 05/04/2019 (dep. 12/06/2019) – Pres. F. Izzo – Est. A. Scarcella.

IMPUGNAZIONI – INTERESSE AD IMPUGNARE – Giudice di pace – Declaratoria di improcedibilità ex art. 34, d.lgs. n. 274 del 2000 – Ricorso per cassazione volto a far valere la remissione di querela – Interesse ad impugnare – Sussistenza – Ragioni.

In tema di procedimento dinanzi al giudice di pace, la Quinta sezione ha affermato che sussiste l’interesse dell’imputato a ricorrere avverso la sentenza di improcedibilità emessa per particolare tenuità del fatto, ai sensi dell’art. 34 del d.lgs. n. 274 del 2000, al fine di ottenere la declaratoria di estinzione del reato per intervenuta remissione di querela, atteso che tale pronuncia, escludendo l’illiceità penale del fatto, costituisce epilogo decisorio più favorevole rispetto a quello di cui all’ art. 34 del citato decreto che, avendo natura procedimentale, non riveste autorità di giudicato nel giudizio civile per le restituzioni o per il risarcimento del danno e non produce quindi alcun effetto pregiudizievole nei confronti della parte civile.

Sez. Quinta, n. 25786 del 05/04/2019 (dep. 11/06/2019), Presidente P. Micheli, Estensore A. Tudino.

SICUREZZA PUBBLICA – STRANIERIEspulsione dello straniero – Sentenza di non luogo a procedere ex art. 14, comma 5-septies d.lgs. n. 286 del 1998 – Possibilità di pronuncia nella fase del giudizio – Sussistenza.

La Prima sezione ha affermato che la previsione di cui all’art. 14, comma 5-septies, d.lgs.25 luglio 1998, n. 286, secondo cui, in caso di avvenuta espulsione dello straniero, deve essere pronunciata sentenza di non luogo a procedere relativamente ai reati di cui agli artt. 14, comma 5-ter e 14, comma 5-quater, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, lungi dal potere essere applicata in via esclusiva alla sola udienza preliminare, va riferita anche alla successiva fase del giudizio.

Sez. Prima, udienza 29/04/2019 (dep. 07/06/2019), n. 25358, Presidente M. Di Tomassi, Estensore M. Boni.

REO – CONCORSO DI PERSONE NEL REATO – MUTAMENTO DEL TITOLO DEL REATO PER TALUNO DEI CONCORRENTI – Reato proprio – Estensione al concorrente “extraneus” – Presupposti – Conoscibilità della qualifica soggettiva del concorrente “intraneus” – Necessità.

La Sesta sezione ha affermato che, in caso di mutamento del titolo del reato per taluno dei concorrenti, ai fini dell’estensione al concorrente “extraneus” della responsabilità a titolo di reato proprio, ai sensi dell’art. 117 cod. pen., è necessaria la conoscibilità della qualifica soggettiva del concorrente “intraneus”.

Sez. Sesta, udienza 31/01/2019 (dep. 07/06/2019), n. 25390, Presidente G. Paoloni, Estensore G. De Amicis.

SENTENZA – CORRELAZIONE TRA ACCUSA E SENTENZA – IN GENERE – Falso in atto pubblico – Aggravante di cui all’art. 476, comma 2, cod. pen. – Fidefacenza dell’atto non esplicitamente contestata – Possibilità per il giudice di ritenere l’aggravate in sentenza – Esclusione – Ragioni.

Le Sezioni Unite hanno affermato che non può essere ritenuta dal giudice in sentenza la fattispecie aggravata del reato di falso in atto pubblico di cui all’art. 476, comma secondo, cod. pen., qualora la natura fidefacente dell’atto considerato falso non sia stata esplicitamente contestata ed esposta nel capo d’imputazione mediante l’espressa indicazione di tale natura o l’impiego di formule equivalenti, ovvero attraverso il richiamo della predetta disposizione di legge, non essendo sufficiente il mero riferimento all’atto.

Sez. U, n. 24906 del 23 marzo 2019 (dep. 4 giugno 2019) – Pres. D. Carcano – Est. C. Zaza.

IMPUGNAZIONI – CASSAZIONE – CAUSE DI NON PUNIBILITA’, DI IMPROCEDIBILITA’, DI ESTINZIONE DEL REATO O DELLA PENA – In genere – Non punibilità per particolare tenuità del fatto ex art. 131-bis cod. pen. – Limite ostativo di pena – Computo – Criteri – Indicazione.

La Quinta Sezione ha affermato che, ai fini del computo del limite di pena ostativo al riconoscimento della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, deve aversi riguardo, non alla pena in concreto irrogata dal giudice, ma a quella edittale, tenendo conto delle sole circostanze ad effetto speciale, con esclusione delle diminuenti processuali a carattere premiale.

Sez. 5, n. 25103 del 23 marzo 2019 (dep. 5 giugno 2019) – Pres. M. Vessichelli – Est. L. Pistorelli.

REATI CONTRO L’ORDINE PUBBLICO – ASSOCIAZIONE PER DELINQUERE – Normale attività professionale svolta da avvocato – Ruolo funzionale allo scopo dell’associazione – Reato – Sussistenza.

In tema di associazione per delinquere, la Terza sezione ha affermato che è penalmente rilevante, ai sensi dell’art. 416 cod. pen., la condotta dell’avvocato che eserciti l’attività professionale, pur in formale aderenza ai canoni della professione, con il conclamato scopo di concorrere alla realizzazione del progetto criminoso perseguito dai consociati, trattandosi di reato a forma libera. (La stessa Terza sezione, con sentenza n. 24800 del 13/03/2019, dep. 4/06/2019, ha affermato il medesimo principio in relazione alla figura del commercialista).

 Sez. 3, n. 24799 del 13/03/2019 (dep. 4/06/2019) – Pres. G. Sarno – Est. A. Scarcella.

FINANZE E TRIBUTI – IN GENERE – Dichiarazione infedele – Momento consumativo – Presentazione della dichiarazione annuale – Successiva presentazione di dichiarazione integrativa – Rilevanza – Esclusione.

La Terza sezione ha affermato che il delitto di dichiarazione infedele si consuma con la presentazione della dichiarazione annuale, sì che non rileva l’eventuale presentazione di una dichiarazione integrativa mediante la quale il contribuente abbia emendato il contenuto di quella annuale originaria. (In motivazione la Corte ha disatteso, sulla base della espressa natura “annuale” della dichiarazione, l’assunto difensivo secondo cui nella nozione di “dichiarazione” dovrebbero farsi rientrare anche le eventuali dichiarazioni integrative presentate, nei tempi consentiti dalle norme tributarie, a rettifica della prima).

Sez. 3, n. 23810 dell’8 aprile 2019 (dep. 29 maggio 2019) – Pres. E. Rosi – Est. A. Scarcella

SICUREZZA PUBBLICA – MISURE DI PREVENZIONE – REVOCA, MODIFICAZIONE O SOSPENSIONE – Provvedimento definitivo di confisca – Proposto e terzo che abbia partecipato al procedimento – Revocazione ex art. 28 d.lgs. n. 159 del 2011 – Possibilità – Incidente di esecuzione – Ammissibilità – Esclusione – Ragioni.

La Sesta sezione ha affermato che, nel vigente sistema della prevenzione reale, il proposto ed il terzo che abbia partecipato al procedimento, qualora intendano ottenere la revoca del provvedimento definitivo di confisca, sono tenuti a presentare istanza di revocazione nei limiti ed alle condizioni di cui all’art. 28 del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, essendo invece loro preclusa, in ragione dell’inammissibilità di una rivalutazione dei medesimi fatti “sine die” e “ad nutum”, l’instaurazione di un incidente di esecuzione ex art. 666 cod. proc. pen., del quale può giovarsi unicamente il terzo che non abbia partecipato al procedimento per non essere stato messo nelle condizioni di farlo.

Sez. 6, n. 23839 del 26 aprile 2019 (dep. 29 maggio 2019) – Pres. G. Fidelbo – Est. R. Amoroso.

MISURE CAUTELARI – PERSONALI – MISURE COERCITIVE – IN GENERE – Divieto di avvicinamento alla persona offesa e ai luoghi da essa frequentati – Collocazione della persona offesa in una struttura protetta – Elemento ostativo all’applicabilità della misura – Esclusione – Ragioni.

In tema di misure cautelari, la Terza sezione ha affermato che la collocazione della persona offesa in una struttura protetta non è, di per sé, ostativa all’applicazione del divieto di avvicinamento ai luoghi abitualmente frequentati dalla stessa, ex art. 282-ter cod. proc. pen., non valendo comunque tale collocazione ad escludere l’esigenza cautelare del pericolo di recidiva.

Terza Sezione, udienza 27/03/2019 (dep. 28/05/2019), n.23472 – Pres. E. Rosi, Rel. A. Scarcella.

Indagini preliminari – In genere – Ordine di allontanamento urgente dall’abitazione familiare ex art. 384-bis cod. pen. – Irreperibilità dell’indagato – Assenza del medesimo all’udienza di convalida ed impossibilità di assumerne l’interrogatorio – Convalida del provvedimento – Impedimento – Esclusione.

La Sesta Sezione ha affermato che, qualora l’indagato, raggiunto da un ordine di allontanamento urgente dall’abitazione familiare ai sensi dell’art. 384-bis cod. proc. pen., si renda irreperibile, ponendosi pertanto nella condizione di non essere raggiunto dall’avviso di fissazione dell’udienza di convalida e di non rendere l’interrogatorio di garanzia, si realizza una causa impeditiva che non esonera il giudice dal dovere di procedere comunque alla convalida, in presenza dei presupposti di legge.

Sez. 6, n. 22524 del 16 gennaio 2019 (dep. 22 maggio 2019) – Pres. A. Capozzi – Est. P. Silvestri

PROCEDIMENTO – Indagini preliminari – Ordine di allontanamento urgente dall’abitazione familiare ex art. 384-bis cod. pen. – Irreperibilità dell’indagato – Assenza del medesimo all’udienza di convalida ed impossibilità di assumerne l’interrogatorio – Convalida del provvedimento – Impedimento – Esclusione.

La Sesta Sezione ha affermato che, qualora l’indagato, raggiunto da un ordine di allontanamento urgente dall’abitazione familiare ai sensi dell’art. 384-bis cod. proc. pen., si renda irreperibile, ponendosi pertanto nella condizione di non essere raggiunto dall’avviso di fissazione dell’udienza di convalida e di non rendere l’interrogatorio di garanzia, si realizza una causa impeditiva di forza maggiore, che non esonera il giudice dal dovere di procedere comunque alla convalida, in presenza dei presupposti di legge.

Sez. 6, n. 22524 del 16 gennaio 2019 (dep. 22 maggio 2019) – Pres. A. Capozzi – Est. P. Silvestri

REATI CONTRO LA PERSONA – DELITTI CONTRO LA LIBERTA’ INDIVIDUALE – VIOLAZIONE DI DOMICILIO – IN GENERE – Delitto di cui all’art. 615-quater cod. pen. – Assorbimento nel delitto di cui all’art. 615-ter cod. pen. – Configurabilità – Condizioni.

In tema di tutela del domicilio informatico, la Seconda sezione ha affermato che il delitto di cui all’art. 615-quater cod. pen., non concorre bensì è assorbito nel più grave reato di cui all’art. 615-ter cod. pen., di cui costituisce un antecedente necessario, sempre che quest’ultimo sia contestato, procedibile e integrato nel medesimo contesto spazio-temporale, in danno della medesima persona fisica.

Seconda Sezione, udienza 14/01/2019 (dep. 20/05/2019), n. 21987 – Pres. U. De Crescienzo, Rel. S. Beltrani.

REATO – ESTINZIONE (CAUSE DI) – PRESCRIZIONE – Precedenti condanne – Esclusione delle attenuanti generiche – Riconoscimento implicito della recidiva – Esclusione – Conseguenze.

Le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno affermato che la valorizzazione dei precedenti penali dell’imputato ai fini della negazione delle attenuanti generiche non implica il riconoscimento della recidiva in assenza di aumento della pena a tale titolo o di giudizio di comparazione tra le circostanze concorrenti eterogenee sicché, in tal caso, la recidiva non rileva ai fini del calcolo dei termini di prescrizione del reato.

Sezioni Unite, udienza del 25/10/2018 R.g. 20808/19 (dep. 15/05/2019), Pres. D. Carcano, Estensore S. Dovere.

MISURE DI SICUREZZA – PERSONALI – Espulsione dello straniero titolare di permesso per “protezione sussidiaria” – Condizioni – Indicazione.

In tema di protezione internazionale, la Terza sezione della Corte di cassazione ha affermato che ai fini dell’espulsione ex art. 86, comma 2, d.P.R. n. 309 del 1990, dello straniero titolare di permesso di soggiorno per “protezione sussidiaria”, il giudice è tenuto a verificare, in concreto, alla luce delle allegazioni difensive, se l’esecuzione della misura di sicurezza possa esporre l’imputato a rischi per la sua incolumità.

Terza sezione, n. 19662 del 19/03/2019 (dep. 08/05/2019), Presidente E. Rosi, Relatore E. Gai.

IMPUGNAZIONI – INAMMISSIBILITÀ – IN GENERE – Inammissibilità del ricorso per cassazione – Manifesta infondatezza – Valutazione – Indicazioni.

In tema di declaratoria di inammissibilità del ricorso per cassazione, la Seconda sezione della Corte di cassazione ha affermato che, ai fini della valutazione circa la manifesta infondatezza dei motivi, il giudice di legittimità deve valutare:

  • con riferimento ai motivi che deducano inosservanza o erronea applicazione di leggi, se essi risultino affetti da evidenti errori di interpretazione della norma posta a fondamento del ricorso, come nei casi in cui si invochi una norma inesistente, si disconosca il significato univoco di una disposizione di legge o si riproponga una questione costantemente decisa dal Supremo collegio senza addurre motivi nuovi o diversi;
  • con riferimento ai motivi che deducano vizi di motivazione, se essi muovano sul fatto, sul processo o sulla sentenza impugnata, censure o critiche vuote di significato in quanto manifestamente in contrasto con gli atti processuali.

Sezione seconda, n. 19411 del 12/03/2019 (dep. 08/05/2019), Presidente M. Cammino, Relatore S. Beltrani.

REATI CONTRO L’AMMINISTRAZIONE DELLA GIUSTIZIA – IN GENERE – False informazioni al pubblico ministero – Sospensione del procedimento – Esercizio dell’azione penale – Condizioni – Indicazione.

In tema di false informazioni al pubblico ministero, la Sesta sezione della Corte di cassazione ha affermato che, a seguito della sospensione “ope legis” del procedimento ai sensi dell’art. 371-bis, comma secondo, cod. pen., l’azione penale non può essere esercitata fino all’intervenuta definizione, secondo le forme provvedimentali alternativamente tipizzate dal legislatore, proprio di “quel” procedimento nel cui ambito le false informazioni siano state rese, essendo irrilevante la eventuale definizione di un procedimento diverso, formato per separazione da quello principale ed iscritto solo relativamente ad una delle fattispecie di reato investite dall’ipotizzata realizzazione della condotta di mendacio.

Sesta sezione, n. 19775 del 07/02/2019 (dep. 08/05/2019), Presidente A. Petruzzellis, Estensore G. De Amicis.

DIFESA E DIFENSORI – IN GENERE – Astensione dalle udienze – Procedimenti per reati in relazione ad alcuni dei quali la prescrizione maturi nei termini previsti dal Codice di autoregolamentazione – Rinvio – Possibilità.

In tema di rinvio del processo per adesione del difensore all’astensione proclamata dalla categoria professionale, la Terza sezione della Corte di cassazione ha affermato che il divieto di astensione nei procedimenti e processi relativi a reati la cui prescrizione maturi entro i termini previsti dall’art. 4 del relativo Codice di autoregolamentazione, adottato il 4 aprile 2007, non opera nel caso in cui solo alcuni dei reati per cui si procede si prescrivano entro detto termine, essendo in tal caso rimessa alla discrezionalità del giudice procedente la valutazione in ordine all’accoglibilità o meno dell’istanza sulla base del necessario bilanciamento tra l’esercizio di un diritto costituzionalmente protetto del difensore e l’interesse dello Stato alla prosecuzione del giudizio.

Sezione Terza, u.p. 05/02/2019 (dep.06/05/2019), n. 18844, Presidente A. Aceto, Estensore  A. Scarcella.

“In tema di atti sessuali con minorenne, la Terza sezione della Corte di Cassazione ha affermato che le condotte poste in essere mediante comunicazione telematica non presentano – per il solo fatto di svolgersi in assenza di contatto fisico con la vittima – connotazioni di minore lesività sulla sfera psichica del minore tali da rendere applicabile, in ogni caso, l’attenuante prevista dall’art. 609-quater, quarto comma, cod. pen., per i casi di minore gravità.” (Cass., Sez. III,  Pres. Mannino, Rel. Pezzella, sentenza n. 16616, 25 marzo 2015 Up., dep. 21  aprile 2015, P.M. Baldi).

Procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 28 del 2015 – Rilevabilità nel giudizio di legittimità – Condizioni – Fattispecie.

La Corte di cassazione, pronunciandosi in relazione all’istituto della esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, previsto dall’art. 131- bis cod. pen., introdotto dal d.lgs. n. 28 del 2015, ha, in particolare, affermato che: il nuovo istituto ha natura sostanziale ed è, quindi, applicabile nei procedimenti in corso alla data della sua entrata in vigore, a norma dell’art. 2, quarto comma, cod. pen.; nei giudizi già pendenti in sede di legittimità alla data della entrata in vigore dell’art. 131-bis cod. pen., la questione della sua applicabilità è rilevabile di ufficio a norma dell’art. 609, comma 2, cod. proc. pen.; la Corte di cassazione, a tal fine, deve valutare la sussistenza, in astratto, delle condizioni di applicabilità del nuovo istituto, fondandosi sui dati emersi nel corso del giudizio di merito, in particolare tenendo conto di quanto emerge dalla motivazione della sentenza impugnata, e, in caso di valutazione positiva, annullare con rinvio al giudice di merito.(Nella specie, la Corte ha escluso l’esistenza dei presupposti per il riconoscimento della causa di non punibilità, rilevando dalla sentenza impugnata elementi indicativi della gravità dei fatti addebitati all’imputato, incompatibili con un giudizio di particolare tenuità degli stessi).
Sezione Terza Penale, Pres. Mannino, Rel. Ramacci, sentenza n. 15449, 8 aprile 2015 Up., dep. 15 aprile 2015, P.M. Salzano (concl. conf.)

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Con la sentenza n. 15232 depositata il 14 aprile 2015, le Sezioni Unite Penali della Corte di Cassazione hanno affermato il seguente principio: “Nelle udienze penali, a partecipazione del difensore facoltativa, l’astensione del difensore della parte civile o della persona offesa, prevista dall’art. 3, comma 2, del codice di autoregolamentazione degli avvocati pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 4 gennaio 2008, non dà diritto al rinvio qualora il difensore dell’imputato o del dell’indagato non abbia espressamente o implicitamente manifestato analoga dichiarazione di astensione, così mostrando un proprio interesse ad una celere definizione del procedimento.
Con sentenza n. 11170 depositata il 17 marzo 2015, le Sezioni Unite Penali della Corte di Cassazione hanno affermato i seguenti principi:- “il curatore fallimentare non è legittimato a proporre impugnazione contro il provvedimento di sequestro adottato ai sensi dell’art. 19 del d.lgs. n. 231 del 2001”; – “la verifica delle ragioni dei terzi al fine di accertarne la buona fede spetta al giudice penale e non al giudice fallimentare”.
Con sentenza n. 6240 depositata il 12 febbraio 2015, le Sezioni Unite Penali della Corte di Cassazione hanno affermato il seguente principio: “L’applicazione di una pena accessoria extra o contra legem dal parte del giudice della cognizione può essere rilevata, anche dopo il passaggio in giudicato della sentenza, dal giudice dell’esecuzione purché essa sia determinata per legge (o determinabile, senza alcuna discrezionalità,) nella specie e nella durata, e non derivi da errore valutativo del giudice della cognizione”.

Nella medesima sentenza è, altresì, chiarito – dirimendo così il contrasto registratosi nella giurisprudenza di legittimità – che sono riconducibili al novero delle pene accessorie non espressamente determinate dalla legge quelle per le quali sia previsto un minimo e un massimo edittale ovvero uno soltanto dei suddetti limiti, ragione per la quale la loro durata deve essere dal giudice uniformata, ai sensi dell’art. 37 cod. pen., a quella della pena principale inflitta.

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Si riportano di seguito le massime relative alle prime pronunce della Corte di Cassazione sull’art. 275, comma 2 bis, c.p.p., , come sostituito dall’art. 8 del d.l. 26 giugno 2014, n. 92, convertito con modificazioni dalla legge 11 agosto 2014, n. 117.
A) Sez. 2, Sentenza n. 4418 del 14/01/2015 Cc. (dep. 30/01/2015 ) Rv. 262377
 
MISURE CAUTELARI – PERSONALI – DISPOSIZIONI GENERALI – CONDIZIONI DI APPLICABILITÀ – IN GENERE – Misure cautelari diverse dalla custodia in carcere – Prevedibile inflizione di una pena non superiore a tre anni – Divieto di adozione della misura – Esclusione.
 Il divieto, ai sensi dell’art. 275, comma secondo bis, cod. proc. pen., di applicazione della misura cautelare della custodia in carcere, nel caso in cui il giudice ritenga che, all’esito del giudizio, la pena detentiva irrogata non sarà superiore a tre anni, non si estende agli arresti domiciliari o alle altre più tenui misure coercitive, che, pertanto, possono essere applicate anche ove il giudice preveda l’inflizione di una pena detentiva non superiore a tre anni.
B) Sez. 6, Sentenza n. 1798 del 16/12/2014 Cc. (dep. 15/01/2015 ) Rv. 262059
 
MISURE CAUTELARI – PERSONALI – DISPOSIZIONI GENERALI – SCELTA DELLE MISURE (CRITERI) – D.L. n. 92 del 2014 – Testo anteriore alla legge di conversione n. 117 del 2014 – Modifica dell’art. 275, comma secondo bis, cod. proc. pen. – Applicazione della custodia cautelare in carcere – Presupposti – Limite di tre anni di pena detentiva – Operatività – Condizioni.
 In materia di misure cautelari personali, il limite di tre anni di pena detentiva necessario per l’applicazione della custodia in carcere, previsto dall’art. 275, comma secondo bis, cod. proc. pen., come novellato dal D.L. 26 giugno 2014, n. 92, nel testo anteriore alle modificazioni introdotte dalla legge di conversione 11 agosto 2014, n. 117, deve essere oggetto di valutazione prognostica solo al momento di applicazione della misura, ma non anche nel corso della protrazione della stessa, con la conseguenza che il presupposto assume rilievo non in termini di automatismo, ma solo ai fini del giudizio di perdurante adeguatezza del provvedimento coercitivo, a norma dell’art. 299, cod. proc. pen.
C) Sez. 1, Sentenza n. 53541 del 10/12/2014 Cc. (dep. 23/12/2014 ) Rv. 261609
 
MISURE CAUTELARI – PERSONALI – DISPOSIZIONI GENERALI – SCELTA DELLE MISURE (CRITERI) – D.L. n. 92 del 2014 convertito nella legge n. 117 del 2014 – Divieto di applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari – Presupposti.
In materia di misure cautelari personali, il divieto della applicazione della misura degli arresti domiciliari, previsto dall’art. 275 comma secondo bis cod.proc.pen., cosìcome novellato dal D.L. 26 giugno 2014 n.92, convertito con modificazioni nella Legge 11 agosto 2014, n. 117, consegue esclusivamente alla prognosi di prevedibile concessione della sospensione condizionale della pena e, non anche a quella di prevedibile irrogazione di una pena detentiva non superiore ai tre anni.
D) Sez. 6, Sentenza n. 41124 del 19/09/2014 Cc. (dep. 03/10/2014 ) Rv. 260336
 
MISURE CAUTELARI – PERSONALI – DISPOSIZIONI GENERALI – SCELTA DELLE MISURE (CRITERI) – D.L. n. 92 del 2014 convertito con modificazioni nella legge n. 117 del 2014 – Divieto di custodia cautelare in carcere in caso di previsione dell’irrogazione di una pena detentiva non superiore a tre anni – Incidenza dello “ius superveniens” sulle misure cautelari in corso di esecuzione – Sussistenza – Conseguenze – Esame da parte del giudice procedente sulla sussistenza dei “nuovi” presupposti applicativi della misura in atto – Necessità – Fattispecie.
 L’entrata in vigore del nuovo testo dell’art. 275, comma secondo bis, cod. proc. pen. (introdotto dalla L. 11 agosto 2014, n. 117, che ha convertito con modificazioni il D.L. 26 giugno 2014, n. 92), ai sensi del quale non può essere disposta l’applicazione della misura cautelare della custodia in carcere ove si preveda l’irrogazione, all’esito del giudizio, di una pena superiore a tre anni, impone la verifica, da parte del giudice procedente, della sussistenza dei “nuovi” presupposti applicativi delle misure custodiali in corso di esecuzione, alla luce della specificità e gravità dell’addebito. (Fattispecie relativa ad illecita detenzione di marijuana, in cui la S.C. ha precisato che la verifica della concreta possibilità di applicare una pena detentiva superiore al limite triennale deve essere effettuata anche alla luce del più favorevole trattamento sanzionatorio tornato in vigore, per le droghe “leggere”, a seguito della sentenza n. 32 del 2014 della Corte costituzionale).
E) Sez. 2, Sentenza n. 1411 del 12/03/2015 Cc. (dep. 8/04/2015)

MISURE CAUTELARI – PERSONALI – MISURE COERCITIVE – ARRESTI DOMICILIARI – Condanna per evasione – Divieto di concessione degli arresti domiciliari – Disposizione di cui all’art. 275, comma 2 bis, cod. proc. pen. – Pena da irrogarsi non superiore a tre anni di reclusione – Esclusione della applicabilità della misura cautelare carceraria – Prevalenza del divieto di concessione degli arresti domiciliari – Configurabilità.

Il divieto di concessione degli arresti domiciliari al condannato per evasione, previsto dall’art. 284, comma 5, cod. proc. pen., ha carattere assoluto e, pertanto, prevale sulla disposizione di cui all’art. 275, comma 2 bis, cod. proc. pen., in base alla quale non può essere applicata la misura cautelare della custodia in carcere quando il giudice ritiene che la pena irrogata non sarà superiore a tre anni.

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a cura di Andrea Penta

Cass. pen. Sez. Unite, Sent., (ud. 26‐02‐2015) 09‐07‐2015, n. 29316

REPUBBLICA ITALIANAIN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE PENALI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:Dott. SANTACROCE Giorgio ‐ Presidente ‐Dott. CHIEFFI Severo ‐ Consigliere ‐Dott. FRANCO Amedeo ‐ Consigliere ‐Dott. CONTI Giovanni ‐ Consigliere ‐Dott. AMORESANO Silvio ‐ Consigliere ‐Dott. FUMO Maurizio ‐ Consigliere ‐Dott. BLAIOTTA Rocco Mar ‐ rel. Consigliere ‐Dott. PICCIALLI Patrizia ‐ Consigliere ‐Dott. FIDELBO Giorgio ‐ Consigliere ‐ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:D.C.S., nato a (OMISSIS);avverso la sentenza del 04/06/2013 della Corte di appello di Ancona;visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;udita la relazione svolta dal componente Rocco Marco Blaiotta;udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato generale Dott. STABILE Carmine, che ha conclusochiedendo l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata;udito il difensore dell’imputato, avv. Rocco Alessandro, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.

Svolgimento del processo

1. Il Tribunale di Pesaro ha affermato la responsabilità di D. C.S. in ordine ai reati seguenti, secondo la rubricazione riportata nell’imputazione originaria:
 A) art. 81 c.p., comma 2, e L. 14 dicembre 2000, n. 376, art. 9, comma 7, (ritenuti in esso assorbiti i reati di cui all’art. 81 c.p., comma 2, art. 648 c.p., e art. 81 c.p., comma 2, e art. 348 c.p., contestati ai capi B ed E dell’originaria imputazione), con riferimento all’acquisto ed al commercio di farmaci e di sostanze farmacologicamente e biologicamente attive come trenbolone, ossandrolone, drostanolone propionato, boldenone undecilenato, nandrolone, efedrina, ormone della crescita, testosterone, medicinalianabolizzanti in classe doping;
 C) art. 81 c.p., comma 2, e D.P.R. n. 309 1990, art. 73, commi 1 e 1 bis, lett. b), con riferimento alla commercializzazione e detenzione illecita di medicinali contenenti nandrolone, sostanza stupefacente e psicotropa indicata nella tabella 2^, sez. A;
 D) art. 81 c.p., comma 2, e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 70, in relazione alla illecita detenzione ed alla commercializzazione di efedrina, sostanza inserita nella categoria 1 dell’allegato 1^ del D.P.R. medesimo;
 G) art. 81 c.p., comma 2, D.Lgs. 24 aprile 2006, n. 219, art. 6, e art. 147, comma 2, con riferimento alla commercializzazione di medicinali di provenienza estera, in assenza di autorizzazione dell’Agenzia italiana per il farmaco.Fatti commessi in Fano sino al 22 agosto 2011.Il Tribunale ha pure disposto la confisca dei veicoli e dei documenti in sequestro nonchè, ai sensi del D.L. 8 giugno 1992, n. 306, art. 12 sexies, convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 1992, n. 356, la confisca dei beni immobili oggetto di sequestro preventivo disposto con decreto del G.i.p. del Tribunale di Pesaro del 26 gennaio 2012, tutti elencati nel dispositivo.La Corte di appello di Ancona ha assolto l’imputato dal reato di cui al capo D per insussistenza del fatto e, ritenuta la continuazione tra i restanti reati, ha rideterminato la pena; confermando nel resto la sentenza del Tribunale.2. Ricorre per cassazione l’imputato, deducendo diversi motivi.2.1. Nullità delle sentenze di primo e secondo grado per violazione dell’art. 179 c.p.p., art. 178 c.p.p., comma 1, lett. b), art. 33 septies c.p.p., perchè, dopo l’instaurazione del giudizio col rito immediato, e quindi senza udienza preliminare, il giudice monocratico, rilevata la competenza per materia del giudice collegiale, ha disposto la trasmissione degli atti al Tribunale in composizione collegiale e non al pubblico ministero, così violando le norme concernenti l’iniziativa del p.m. nell’esercizio dell’azione penale e privando l’imputato della possibilità di accedere al rito abbreviato dinanzi al G.i.p..2.2. Illegittimità del decreto del Ministro della salute in data 11 giugno 2010, per genericità nell’indicazione delle caratteristiche del nandrolone in punto di efficacia drogante. Quale conseguenza dell’illegittimità di tale decreto e di pronunzia assolutoria in ordine al reato di cui al capo C, s’invoca la revoca del sequestro preventivo e della confisca di beni disposta ai sensi del D.L. n. 306 del 1992, art. 12 sexies, convertito dalla  . n. 356 del 1992.2.3. Erroneità dell’applicazione del richiamato art. 12 sexies, attesa l’assenza di nesso pertinenziale tra l’illecito di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, ed i beni confiscati, acquistati in epoca anteriore all’inserimento del nandrolone nella tabella 2^, sez. A, del citato D.P.R. n. 309, art. 14.Viene evocata la sentenza della Corte cost. n. 18 del 1996 per sollecitare una interpretazione costituzionalmente orientata del ridetto art. 12 sexies.Si deduce pure l’irrilevanza dell’assorbimento del reato di cui all’art. 648 c.p., in quello previsto dalla L. 14 dicembre 2000, n. 376, art. 9, comma 7, stante il principio di specialità:erroneamente il giudice di merito ha collegato la confisca al reato assorbito.2.4. Vizio della motivazione per la mancanza di congrua spiegazione in ordine alla confisca di beni derivanti da attività lecita e comunque in misura non proporzionata all’entità dei fatti; trascurando o erroneamente interpretando le allegazioni difensive.2.5. Violazione del divieto di reformatio in pejus: la Corte di appello, pur in presenza dell’impugnazione del solo imputato, ha considerato quale pena‐base la stessa sanzione irrogata dal primo giudice, nonostante l’intervenuta assoluzione dal reato di cui al capo D, concernente l’efedrina, che il Tribunale aveva individuato quale reato più grave.Analoga violazione si prospetta in ordine alla determinazione dell’aumento di pena per la continuazione interna nella misura di sei mesi: il Tribunale aveva operato gli aumenti in continuazione per i singoli reatisatellite e non globalmente e quindi la Corte territoriale, intervenuta l’assoluzione per il reato di cui al capo D, non avrebbe potuto “ritenere la sussistenza della configurazione continuata della singola fattispecie, continuazione interna che non apparteneva più al processo”.2.6. In via subordinata rispetto al secondo motivo, si propone questione di costituzionalità della L. n. 49 del 2006, art. 4 bis, per ciò che attiene all’eliminazione, ai fini sanzionatori, della differenza tra droghe “leggere” e droghe “pesanti”.Il ricorso, in tema d’incostituzionalità della normativa, evoca l’ordinanza della Corte di cassazione dalla quale è scaturita la sentenza costituzionale n. 32 del 2014.2.7. Quale censura subordinata rispetto a quella oggetto del quarto motivo, viene sollevata questione di costituzionalità del richiamato art. 12 sexies in riferimento all’art. 117 Cost., comma 1, nell’interpretazione adottata dalla giurisprudenza di legittimità, per contrasto con l’art. 7, e art. 6, comma 2, della CEDU: la natura sostanzialmente penale della confisca, secondo i parametri interpretativi dettati dalla giurisprudenza Europea, rende la disciplina confliggente con la presunzione di innocenza prevista dall’art. 6, comma 2, CEDU. 2.8. Con motivi nuovi depositati il 30 settembre 2014, muovendo dalla sentenza della Corte cost. n. 32 del 2014, con cui è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale del D.L. 30 dicembre 2005, n. 272, artt. 4 bis e 4 vicies ter, convertito dalla L. 21 febbraio 2006, n. 49, si prospetta l’intervenuta abolitio criminis in relazione ai fatti contestati al capo C dell’imputazione, afferenti a violazioni del ridetto D.P.R. n. 309, art. 73, commi 1 e 1 bis.Si assume che è intervenuta la caducazione dell’intero sistema tabellare delle sostanze stupefacenti e psicotrope, con reviviscenza del sistema tabellare precedente alla novella del 2006. Tale caducazione riguarda in particolare il nandrolone, inserito nelle tabelle 1^ e 2^, sez. A, previste dalla legge del 2006 solo con il D.M. 11 giugno 2010; e coglie le condotte contestate fino al 22 agosto 2011 e quindi poste in essere nella vigenza della disciplina di legge e tabellare travolta dalla pronunzia d’incostituzionalità.La deduzione, secondo la prospettazione difensiva, ha carattere preliminare ed assorbente rispetto a tutti i motivi di ricorso, fatta eccezione per il motivo n. 1, che concerne una questione procedurale.Il ricorrente osserva pure che in seguito alla declaratoria di incostituzionalità è stato adottato il D.L. 20 marzo 2014, n. 36, al fine di reinserire nelle tabelle le sostanze che vi erano state introdotte dalla novella del 2006 oppure da decreti ministeriali successivi. Tale intervento, si assume, è volto ad assicurare per il futuro la rilevanza penale di condotte aventi ad oggetto dette sostanze, ma non ha effetto retroattivo, ostandovi il principio costituzionale d’irretroattività della legge penale di cui all’art. 25 Cost., comma 2. Si aggiunge che la volontà del legislatore di operare solo per il futuro risulta, inoltre, dalla modifica apportata dalla legge di conversione del citato decreto‐legge: la formulazione “a decorrere dalla data di ntrata in vigore del presente decreto‐legge continuano a produrre effetti gli atti amministrativi adottati ino alla data di pubblicazione della sentenza della Corte Costituzionale n. 32 del 12 febbraio 2014” è stata modificata nel senso che il verbo “continuano” è stato sostituito con “riprendono”. Tale tesi, si assume, trova conferma nel parere del Comitato per la legislazione, che ha rappresentato l’opportunità di tale modifica “sotto il profilo della chiarezza e della proprietà della formulazione … nel presupposto che l’intento perseguito con l’art. 2, sia quello di agire esclusivamente pro futuro”. Si cita, inoltre, il dossier del Servizio Studi del Senato, secondo il quale l’utilizzo dell’espressione “riprendono”, in luogo della precedente formulazione, evidenzia che “quegli atti amministrativi ‐ fra i quali sono inclusi i decreti ministeriali che, a partire dal 2006, hanno provveduto all’inclusione nelle tabelle delle nuove sostanze stupefacenti ‐ hanno processato di produrre i loro effetti e, proprio per questo, si prevede che riprendono a produrli. Ciò peraltro, in assenza di una disposizione espressa in senso diverso, non potrebbe valere che per l’avvenire”.Infine, si rappresenta che anche l’incriminazione introdotta dalla nuova disciplina presenta criticità interpretative, poichè per effetto del D.L. n. 36 del 2014, le sostanze inserite dopo l’entrata in vigore della L. n. 49 del 2006, risultano tutte equiparate alle droghe “pesanti” non per le loro qualità psicoattive ma per un dato formale, non essendo stato modificato l’apparato sanzionatorio rispristinatosi per effetto della sentenza di illegittimità costituzionale.Nei motivi aggiunti sono state altresì formulate anche ulteriori argomentazioni ad integrazione dei motivi dedotti con il ricorso iniziale.2.9. Ha fatto seguito la presentazione di una memoria con la quale si espone che le sostanze introdotte nelle tabelle di cui si discute nel vigore della disciplina affetta da incostituzionalità sono solo 32.3. Con ordinanza depositata in data 1 dicembre 2014, la Quarta Sezione penale ha rimesso alle Sezioni Unite la questione della perdurante rilevanza penale delle condotte afferenti a stupefacenti commesse in epoca antecedente all’entrata in vigore del richiamato D.L. 20 marzo 2014, n. 36, convertito, con modificazioni, dalla L. 16 maggio 2014, n. 79, aventi ad oggetto sostanze droganti come il nandrolone, inserite per la prima volta nelle tabelle introdotte nel vigore del D.L. 30 dicembre 2005, n. 272, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 febbraio 2006, n. 49, caducate per effetto della pronuncia della Corte cost. n.32 del 2014.Si rammenta che la Corte costituzionale ha chiaramente affermato la reviviscenza, tra l’altro, dell’art. 73 T.U. stup. e delle relative tabelle, “in quanto mai validamente abrogati, nella formulazione precedente le modifiche apportate con le disposizioni impugnate”.Hanno dunque ripreso vigore sia le norme incriminatrici contenute nell’originario art. 73 citato (connotate dall’assai diversa entità della risposta sanzionatoria stabilita nei commi 1 e 4, a seconda che l’oggetto della condotta sia costituito, rispettivamente, da droghe “pesanti” ovvero da droghe “leggere”), sia le sei correlate tabelle.Si rammenta che nelle tabelle I e III, richiamate dall’art. 73, comma 1, erano incluse le sostanze ritenute in grado di produrre effetti sul sistema nervoso centrale e di determinare dipendenza psico‐fisica nell’assuntore; nelle tabelle II e IV, richiamate dall’art. 73, comma 4, erano elencate le sostanze connotate da un grado inferiore di dipendenza, nonchè i prodotti di corrente impiego terapeutico contenenti sostanze classificate nelle tabelle I e III, e perciò idonee a creare dipendenza; nelle tabelle V e VI, erano invece inseriti preparati e prodotti medicinali che, pur contenendo sostanze ad effetto stupefacente, erano sottoposti a disciplina e controlli meno rigorosi. Il sistema tabellare della legge del 2006 prevedeva, invece, due tabelle classificatorie: la I per le sostanze stupefacenti e la II per i medicinali.Si considera, altresì, che l’intervento del legislatore del 2014 ha reintrodotto quattro tabelle inserendovi le sostanze che, sulla base della L. n. 49 del 2006, erano raggruppate nelle due tabelle caducate per effetto della sentenza della Corte costituzionale, “in modo che per ciascuna sostanza venga fatto salvo il regime sanzionatorio di cui alle disposizioni originarie del testo unico, ripristinate dalla più volte richiamata sentenza” (come esplicitato dalla Relazione di accompagnamento al disegno di legge di conversione). Tale risultato è stato raggiunto sia attraverso modifiche agli artt. 13 e 14 del T.U. concernenti il numero delle tabelle nonchè i criteri di inclusione delle sostanze al loro interno, sia attraverso la creazione delle nuove tabelle.Si rammenta che le quattro tabelle vigenti prima della legge del 2006, e tornate in vigore dopo la sentenza costituzionale, contenevano sia le sostanze considerate sin dall’entrata in vigore del T.U., sia quelle che erano state man mano incluse attraverso i procedimenti di revisione ed aggiornamento di cui agli artt. 2 e 13, adottati fino al 27 febbraio 2006 (data di entrata in vigore della L. n. 49 del 2006). Le tabelle in questione non contenevano (nè avrebbero potuto contenere) le numerose sostanze che, dopo l’entrata in vigore della normativa del 2006, sono state inserite nella tabella I in forza dei provvedimenti di aggiornamento adottati fino al 5 marzo 2014, data di pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale. Da ciò la necessità di ripristinare l’inclusione nel regime sanzionatorio di numerose sostanze, come il nandrolone, tabellarmente classificate dopo il 27 febbraio 2006, coinvolte dalla caducazione operata dalla sentenza della Corte costituzionale.Dal susseguirsi di tali eventi, secondo l’ordinanza di rimessione, scaturiscono delicate implicazioni in ordine alla rilevanza penale delle condotte, poste in essere prima dell’entrata in vigore del decreto‐legge n. 36 del 2014, aventi ad oggetto le sostanze classificate a decorrere dall’entrata in vigore della disciplina del 2006; alla luce del consolidato principio enunciato nella giurisprudenza della Corte di cassazione, secondo cui non trova applicazione la normativa in materia di stupefacenti ove le condotte abbiano ad oggetto sostanze droganti non incluse nel catalogo di legge, perchè la nozione di sostanza stupefacente ha natura legale, nel senso che sono soggette alla normativa che ne vieta la circolazione solo le sostanze indicate nelle tabelle allegate al T.U. sugli stupefacenti.L’ordinanza da atto che in ordine alla permanente rilevanza penale di condotte poste in essere dall’entrata in vigore della L. n. 49 del 2006, e fino all’entrata in vigore del decreto‐legge n. 36 del 2014, aventi ad oggetto sostanze introdotte per la prima volta nelle tabelle dal 27 febbraio 2006, non si registrano pronunce della giurisprudenza di legittimità. Si rappresenta l’esistenza, tuttavia, di orientamenti dottrinari e della giurisprudenza di merito che prospettano differenti soluzioni.3.1. Secondo una prima tesi, la caducazione della normativa del 2006 e del relativo sistema tabellare ha determinato una serie di abolitiones criminis rispetto ai fatti concernenti le sostanze che sono state introdotte per la prima volta nelle tabelle dal 2006 ad oggi, con conseguenze sui processi in corso, nonchè sulle sentenze passate in giudicato, che andrebbero revocate in forza dell’art. 673 c.p.p.. Il reinserimento delle sostanze in questione nelle quattro tabelle attribuisce rilevanza penale solo alle condotte poste in essere successivamente all’entrata in vigore del D.L. n. 36, ma non ha effetto retroattivo, ostandovi il principio di cui all’art. 25 Cost., comma 2. La stessa mutata formulazione del D.L. n. 36, art. 2, in sede di conversione ad opera della L. n. 79 del 2014, con la previsione che gli atti amministrativi adottati prima della sentenza della Corte costituzionale non già “continuano” a produrre effetto ma piuttosto “riprendono” ad avere effetto, conferma che il legislatore non aveva intenzione di introdurre una disciplina con effetto retroattivo; come del resto esplicitato dal Comitato per la legislazione che propose la modifica in questione.L’ordinanza rammenta che tale approccio si rinviene in un provvedimento della Procura della Repubblica di Busto Arsizio che ha richiesto al giudice dell’esecuzione la revoca della sentenza di patteggiamento emessa per il delitto di illecita importazione della sostanza catha edulis essiccata, ricompresa proprio tra le sostanze inserite nelle tabelle nel vigore della normativa dichiarata incostituzionale.3.2. Un opposto orientamento, invece, ritiene la permanente rilevanza penale delle condotte relative alle sostanze inserite dopo l’entrata in vigore della L. n. 49 del 2006.Tale approccio è stato fatto proprio dalla Procura della Repubblica di Lanciano, in base alla considerazione che il procedimento di inserimento delle sostanze nelle relative tabelle non risulta modificato nel suo nucleo sostanziale dalla legge ritenuta incostituzionale rispetto alla precedente legislazione, sicchè i decreti di aggiornamento delle tabelle non presuppongono la vigenza delle norme incostituzionali e si basano su criteri di classificazione (quelli di cui all’art. 14 del T.U.) coincidenti con quelli previgenti. Per questi motivi tali decreti sarebbero tuttora validi. Peraltro, in una evidente ottica di favor rei, si è proposto di ritenereche tali “nuove” sostanze siano da classificare tra le droghe “leggere”.L’ordinanza da atto che tale punto di vista è stato criticato in dottrina: si è obiettato che tale impostazione si basa su un approccio sostanzialistico, mentre la pronunzia costituzionale ha privilegiato un criterio formale per l’individuazione delle conseguenze derivanti in concreto dalla declaratoria d’illegittimità costituzionale. Dunque, secondo tale opinione, dalla “detabellizzazione” delle sostanze di ultima generazione determinata dalla sentenza costituzionale discende una vera e propria abolitio criminis.Infine, l’ordinanza di rimessione da atto dell’opinione dottrinale che, per contrastare la tesi dell’abolitio criminis, valorizza la originaria formulazione del D.L. n. 36 del 2014, art. 2, che prevedeva, come accennato, che dalla sua entrata in vigore gli atti amministrativi adottati prima della sentenza della Consulta “continuano” a produrre effetti.Secondo tale opinione la norma in questione, per ciò che riguarda i decreti ministeriali che hanno aggiornato la tabella I nel vigore della normativa del 2006, includendovi sostanze “nuove”, avrebbe derogato “non al principio di irretroattività e all’assoluto dovere che grava sul giudice penale di applicare le nuove incriminazioni per i fatti commessi dopo l’entrata in vigore della legge”, bensì solo “al principio della retroattività degli effetti delle sentenze d’incostituzionalità di una norma penale per i processi pendenti e finanche oltre il giudicato di condanna (efficacia iperretroattiva sancita dalla L. n. 87 del 1953, art. 30, comma 4)”. La questione che dovrebbe porsi, in tale prospettiva, sarebbe quindi quella dell’ammissibilità di una “eccezione legislativa” al principio della retroattività della lex mitior per effetto di una declaratoria di  illegittimità costituzionale, qualora si renda necessario operare un bilanciamento con altri principi e valori di rango costituzionale.Secondo tale dottrina, la risposta dovrebbe essere positiva. I referenti costituzionali della retroattività della lex mitior non sono oggi più limitati ai soli principi “interni” (eguaglianza, ragionevolezza delle scelte legislative, proporzione tra disvalore della condotta e sanzione), essendosi aggiunto, dopo la sentenza Scoppola c. Italia della Corte di Strasburgo, anche l’art. 7 CEDU in relazione all’art. 117 Cost. Nonostante tale nuovo inquadramento “convenzionale”, il principio di retroattività della lex mitior non avrebbe comunque assunto le connotazioni assolute e inderogabili proprie del principio di irretroattività della legge sfavorevole:residuerebbe pertanto uno spazio per il legislatore per limitare o derogare alla retroattività della lex mitior, laddove ‐ come nella specie ‐ si renda necessario un bilanciamento ragionevole di interessi di rilevanza costituzionale. Secondo tale opinione, il legislatore avrebbe inserito nel D.L. n. 36 del 2014, art. 2, una vera e propria disposizione transitoria, a garanzia della persistenza dell’efficacia degli atti amministrativi adottati sino alla sentenza della Corte costituzionale.3.3. In presenza delle riportate possibili opzioni ermeneutiche, la Quarta Sezione ha rimesso la decisione della questione alle Sezioni Unite per la sua rilevanza e tenuto conto della mancanza di qualsiasi punto di riferimento riscontrabile nella giurisprudenza della Corte di cassazione, al fine di prevenire eventuali contrasti.4. Il Primo Presidente, con decreto del 9 dicembre 2014, ha assegnato il ricorso alle Sezioni unite fissandone la trattazione per la odierna udienza.

Motivi della decisione

1. Il primo pregiudiziale motivo di ricorso è infondato. L’art. 33 septies c.p.p., regola, nell’ambito del Capo sui provvedimenti sulla composizione collegiale o monocratica del tribunale, i casi di inosservanza delle disposizioni relative all’attribuzione dei reati alla cognizione collegiale o monocratica nel dibattimento di primo grado. Nel comma 1, si prevede che, nel caso in cui il dibattimento sia stato instaurato in seguito ad udienza preliminare, il giudice se ritiene che il reato appartiene alla cognizione del tribunale in composizione diversa, trasmette gli atti al giudice competente.Nel comma 2, invece, con riguardo ai casi diversi da quelli previsti dal comma 1, si prevede che, se il reato appartiene alla cognizione del giudice collegiale, il giudice monocratico investito del processo dispone con ordinanza la trasmissione degli atti al pubblico ministero.La portata della disciplina è stata condivisibilmente chiarita da questa Corte in un caso identico a quello in esame (Sez. 1, n. 34163 del 15/07/2014, Santoro, n.m.). La Corte, accogliendo il ricorso proposto dal pubblico ministero, che deduceva l’abnormità del provvedimento, ha osservato che “l’art. 33 septies c.p.p., non può che essere interpretato nel senso che l’accertamento dell’inosservanza delle disposizioni che regolano l’attribuzione dei reati al giudice collegiale o al giudice monocratico comporta, per regola generale, la mera trasmissione degli atti al giudice competente, senza alcuna regressione di fase e, dunque, senza alcuna restituzione degli atti al pubblico ministero. Solo nel caso, residuale, in cui all’imputato spettava il passaggio alla fase processuale dell’udienza preliminare e tale passaggio gli sia stato arbitrariamente negato, il giudice del dibattimento deve invece trasmettere gli atti al pubblico ministero, così che l’imputato possa essere rimesso nella condizione di accedere alla udienza preliminare e di avanzarerichiesta di riti alternativi nella sede che era per essi propria”; sicchè l’art. 33 septies, comma 2, va “riferito esclusivamente all’ipotesi in cui il giudice del dibattimento rilevi non solo che il reato è stato erroneamente ritenuto tra quelli attribuibili alla cognizione del giudice in composizione monocratica anzichè collegiale, ma che a causa di tale errore è stata altresì erroneamente omessa l’udienza preliminare”.Si veda inoltre, per lo stesso principio, in analoghe fattispecie, Sez. 1, n. 4770 del 15/04/2010, Carella, Rv. 247204; Sez. 6, n. 31758 del 15/06/2006, Carta, Rv. 234864.Dunque correttamente nel caso in esame gli atti sono stati trasmessi al Tribunale in composizione collegiale; senza che ciò abbia recato pregiudizio alcuno al ricorrente.2. Il motivo nuovo afferente agli effetti della sentenza costituzionale n. 32 del 2014 è fondato ed assorbente.Esso chiama in causa la questione devoluta alle Sezioni Unite, che può essere enunciata nei seguenti termini:”Se, a seguito della dichiarazione d’incostituzionalità del D.L. n. 272 del 2005, artt. 4 bis e 4 vicies ‐ ter, come modificato dalla L. n. 49 del 2006, pronunciata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 32 del 2014, debbano ritenersi penalmente rilevanti le condotte che, poste in essere a partire dall’entrata in vigore di detta legge e fino all’entrata in vigore del D.L. n. 36 del 2014, abbiano avuto ad oggetto sostanze stupefacenti incluse nelle tabelle solo successivamente all’entrata in vigore del D.P.R. n. 309 del 1990, nel testo novellato dalla richiamata L. n. 49 del 2006″.L’ordinanza di rimessione espone chiaramente i temi posti all’attenzione delle Sezioni Unite, sicchè ad essa occorre aggiungere solo alcune brevi note.Con la richiamata sentenza n. 32 del 2014 la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.L. 30 dicembre 2005, n. 272, artt. 4 bis e 4 vicies ter, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 febbraio 2006, n. 49, art. 1, comma 1. Il primo articolo aveva modificato l’art. 73 del T.U., unificando il trattamento sanzionatorio delle condotte illecite afferenti alle diverse tipologie di sostanze stupefacenti. Il secondo articolo aveva coerentemente modificato gli artt. 13 e 14 del medesimo atto normativo, collocando nella prima tabella tutte le sostanze stupefacenti o psicotrope e nella seconda tabella, ripartita in cinque sezioni, i medicinali contenenti tali sostanze. Le nuove tabelle sono state allegate all’atto normativo.In estrema sintesi, la Corte ha ritenuto che le norme impugnate, introdotte in sede di conversione del decreto‐legge, difettino manifestamente di connessione logico‐funzionale con le originarie disposizioni del decreto‐legge, e debbano per tale assorbente ragione ritenersi adottate in carenza dei presupposti per il legittimo esercizio del potere legislativo di conversione ai sensi dell’art. 77 Cost., comma 2.La stessa sentenza ha esplicitato che la caducazione della indicata normativa determina la reviviscenza con effetto ex tunc della disciplina contenuta nella originaria versione del T.U. mai validamente abrogata, basata, come è noto, sulla distinzione tra droghe “leggere” e “pesanti”.La pronunzia ha evocato i conseguenti problemi di diritto intertemporale afferenti alla necessità di applicare il trattamento sanzionatorio più favorevole, in aderenza ai principi in materia di successione di leggi penali nel tempo espressi dell’art. 2 c.p..La Corte ha pure chiarito che rientra nei compiti del giudice comune individuare quali norme, successive a quelle impugnate, non siano più applicabili perchè divenute prive del loro oggetto, in quanto rinviano a disposizioni caducate; e quali, invece, debbano continuare ad aver applicazione in quanto non presuppongono la vigenza degli articoli dichiarati incostituzionali.3. La disciplina del 2014 è esplicitamente dettata dal proposito di far fronte alle criticità dovute al venir meno dalle innovazioni recate dalla legislazione del 2006 ed afferenti, tra l’altro, ai numerosi provvedimenti amministrativi adottati in applicazione delle disposizioni caducate, relativi anche all’inserimento di nuove sostanze, come il nandrolone, nelle tabelle già più volte evocate.La nuova normativa ha inteso ridare coerenza alla disciplina, riordinando anche il sistema tabellare, in sintonia con l’impianto sanzionatorio risultante dalla sentenza costituzionale. Con l’art. 1, del decreto‐legge sono stati pertanto modificati gli artt. 13 e 14, del T.U. Sono state previste quattro tabelle corrispondenti al modello legale espresso dalla originaria, rivissuta disciplina sanzionatoria; ed è stata altresì introdotta una quinta tabella dedicata ai medicinali. Tale ultima tabella, conviene subito segnalarlo, non è richiamata dal ridetto art. 73. Il tema sarà ripreso più avanti. Qui occorre porre in luce che la disciplina dei medicinali presenta particolare interesse, perchè la sentenza impugnata ha chiarito che la contestazione mossa e ritenuta afferisce al nandrolone ed al medicinale Deca Durabolin, contenente tale sostanza. Si è aggiunto che si tratta di principio collocato nella sez. A della II tabella, quella dei medicinali, sicchè il reato commesso è quello di cui al D.P.R. n. 309, art. 73, comma 1 bis, lett. b). A conferma di tale approccio, nel determinare la sanzione, è stata applicata la riduzione di pena prevista dal richiamato comma 1 bis.La novella, per quel che qui maggiormente interessa, ha inserito nelle nuove evocate tabelle anche le sostanze collocate nel novero dei principi illeciti per effetto di decreti adottati nelle vigore della caducata disciplina del 2006. Tale inserimento trova giustificazione, come emerge dagli atti che hanno accompagnato l’introduzione della normazione, nella constatazione che la sentenza n. 32, ha travolto anche i provvedimenti amministrativi adottati in applicazione della disciplina incostituzionale, che hanno aggiornato le tabelle introducendovi nuove sostanze come il nandrolone.E’ pure da segnalare che la legge di conversione ha aggiunto l’art. 2, comma 1 bis, del decreto‐legge, enunciando che nei decreti applicativi del T.U. sugli stupefacenti adottati dalla data di entrata in vigore della L. n. 49 del 2006, fino alla data di pubblicazione della sentenza costituzionale n. 32, ogni richiamo alla tabella II è da intendersi riferito alla tabella dei medicinali allegata al D.L. n. 36 del 2014.4. Poste tali premesse, la prima questione problematica da esaminare è se la più volte evocata caducazione della disciplina del 2006 abbia pure travolto i provvedimenti amministrativi che, nel vigore di tale normativa, hanno introdotto nelle tabelle nuove sostanze.Si è visto che tale effetto è stato escluso alla luce di una visione per così dire sostanzialistica del problema.Tale opinione non può essere accolta. Essa si pone in contrasto con principi fortemente consolidati.Nell’attuale ordinamento penale vige, infatti, una nozione legale di stupefacente: sono soggette alla normativa che ne vieta la circolazione tutte e soltanto le sostanze specificamente indicate negli elenchi appositamente predisposti. In tal senso si sono espresse le Sezioni Unite (sent. n. 9973 del 24/06/2011, Kremi, Rv. 211073) e la costante giurisprudenza successiva. Si è pure affermato che “la definizione legislativa di sostanza stupefacente configura una qualificazione proveniente da fonte subprimaria integratrice del disposto penale; per cui, a tale fonte integrativa vanno applicati i principi di cui all’art. 2 c.p., ed in specie quello di non retroattività della legge penale sostanziale. Ne discende che l’utilizzazione di una sostanza contenente principi stupefacenti, ma non inserita nella tabella, non costituisce reato prima del suo formale inserimento nel catalogo” (Sez. 4, n. 27771 del 14/04/2011, Cardoni, Rv. 250693).Le oscillazioni che si rinvengono in alcune pronunzie a proposito della rilevanza penale di determinate sostanze non toccano l’indicato principio, ma attengono alle caratteristiche di particolari formulazioni delle sostanze stesse o di derivati che costituiscono passaggi intermedi del processo di trasformazione di sostanze tabellate (ad es. Sez. 3, n. 11853, del 07/02/2013, Cassotta, Rv. 255026; Sez. 6, n. 14431 del 01/04/2011, Qotbi, Rv. 249396). Si tratta, insomma, di incertezze scientifiche e d’impronta applicativa.L’individuazione della norma incriminatrice e delle sostanze cui essa si riferisce è frutto, in alcuni casi, dell’integrazione tra la disciplina espressa dalla legge e gli atti amministrativi che contribuiscono a definire l’area del penalmente rilevante attraverso la collocazione delle sostanze medesime nelle tabelle cui si è ripetutamente fatto riferimento. Tali tabelle, come pure si è accennato, costituiscono esplicazione delle direttive di carattere generale contenute negli articoli 13 e 14 del Testo Unico.A tale riguardo occorre rammentare che nelle novelle del 2006 e del 2014 le tabelle, conformi ai criteri di cui agli artt. 13 e 14 del T.U., sono state allegate agli atti normativi. Nell’originario assetto della normativa (art. 13 del T.U.), invece, è stato demandato all’Autorità ministeriale di formare le tabelle in conformità ai criteri di cui all’art. 14. In ogni caso, sono state previste procedure per il tempestivo aggiornamento delle ridette tabelle attraverso atti ministeriali come quello di cui si discute, anche in base a quanto previsto dalle convenzioni e dagli accordi internazionali ovvero a nuove acquisizioni scientifiche.Tale struttura dell’incriminazione da luogo ad una fattispecie penale parzialmente in bianco nei casi in cui la specificazione del precetto avviene per effetto di fonti secondarie come i decreti ministeriali di cui si discute. Si tratta di un metodo che, specialmente per ciò che attiene all’aggiornamento delle tabelle che qui interessa, non reca violazione del principio di legalità espresso dall’art. 25 Cost., giacchè corrisponde all’esigenza di pronto adeguamento della normativa al divenire scientifico e criminologico, cui la legge potrebbe non essere in grado di far fronte con la tempestività e puntualità dovute. La Corte costituzionale, a partire dalla sentenza n. 26 del 1966, ha in numerose occasioni affermato che l’indicato principio costituzionale è rispettato quando sia una legge ad indicare con sufficiente specificazione i presupposti, i caratteri, il contenuto ed i limiti dei provvedimenti dell’autorità non legislativa.Tale enunciazione è stata espressa pure in riferimento alla disciplina degli stupefacenti: non contrasta con il principio di riserva di legge la funzione integrativa svolta da un provvedimento amministrativo, rispetto ad elementi normativi del fatto sottratti alla possibilità di un’anticipata indicazione particolareggiata da parte della legge e demandati alla determinazione tecnica della fonte subordinata, quando il contenuto dell’illecito e la sottesa scelta di politica criminale sia comunque definito dalla fonte primaria, come appunto nel caso degli elenchi delle sostanze psicotrope e stupefacenti contenuti in un decretoministeriale, correlati ad un divieto i cui essenziali termini normativi risultano legalmente definiti (così la sentenza Corte cost. n. 333 del 1991 che richiama le precedenti, consonanti, sentenze nn. 36 del 1964 e 9 del 1972).Alla luce di quanto precede emerge con forza l’inscindibile e biunivoco legame che connette la legge agli atti amministrativi che ne costituiscono espressione. L’atto amministrativo individua l’oggetto del reato in base al divenire delle conoscenze, adeguandosi alle direttive di carattere generale espresse dalla legge. In conseguenza, caduta la legge, ne segue con ineluttabile ed evidente necessità il venir meno dei provvedimenti ministeriali che di quella legge costituiscono attuazione.Una diversa soluzione d’impronta sostanzialistica, determinando la sopravvivenza di atti amministrativi non più sorretti dalle norme di carattere direttivo che li avevano ispirati, determinerebbe sicura violazione del principio di legalità. Tale conclusione, imposta dai principi dell’ordinamento, è ulteriormente corroborata dalla constatazione che le direttive legali in tema d’individuazione delle sostanze stupefacenti, quali si rinvengono nelle diverse formulazioni dei citati artt. 13 e 14, sono mutate ripetutamente, sia per ciò che attiene all’individuazione e catalogazione delle sostanze, sia per quanto riguarda le procedure amministrative volte alla concreta individuazione dei principi droganti ed i soggetti pubblici chiamati a concorrere alle pertinenti valutazioni. Pertanto non sarebbe neppure testualmente corretto istituire una connessione derivativa tra i provvedimenti amministrativi adottati nel vigore della disciplina del 2006 e le differenti direttive espresse dalla originaria disciplina recata dal T.U..Occorre dunque pervenire alla conclusione che il decreto ministeriale dell’11 giugno 2010, che ha collocato il nandrolone nelle Tabelle I e II, lettera A, allegate alla novella del 2006, è stato travolto dalla caducazione della legge di cui costituiva espressione. In conseguenza la fattispecie legale afferente a tale sostanza è venuta meno.5. Constatata dunque l’ablazione della normativa concernente il nandrolone, resta da intendere se l’illecito afferente a tale sostanza sia stato nuovamente introdotto dalla disciplina del 2014; e, in caso affermativo, se tale nuova normazione possa applicarsi retroattivamente al caso in esame. Giova a tale proposito rammentare nuovamente che l’illecito ritenuto afferisce a medicinale collocato, con il già indicato decreto ministeriale del 2010, nella tabella II dei medicinali, allegata al T.U. come novellato nel 2006.Il primo interrogativo, contrariamente a quanto potrebbe a tutta prima ritenersi, non è per nulla di agevole soluzione. Occorre partire dalla considerazione che, come si è già accennato, la normativa del 2006, modificando gli artt. 13 e 14 del T.U. aveva previsto e creato due tabelle: una relativa alle sostanze stupefacenti o psicotrope; l’altra afferente ai medicinali ed alle composizioni medicinali, ripartita in cinque sezioni.In parallelo con tale innovazione, gli illeciti afferenti ai medicinali erano stati oggetto di una distinta disciplina sanzionatoria, prevista dalll’art. 73, comma 1 bis, lett. 6), e comma 4, introdotti con la L. del 2006, art. 4 bis.La caducazione della normativa che aveva introdotto tali innovazioni ha prodotto, naturalmente, il venir meno dei detti commi.Occorre allora comprendere se la novella del 2014 abbia introdotto una nuova disciplina penale dei medicinali. Come si è già accennato, essa ha creato cinque tabelle. L’ultima è per l’appunto dedicata ai medicinali ed è divisa in cinque sezioni. Tale distinta tabella è chiaramente espressione della volontà di creare, al riguardo, continuità con la previgente disciplina che, come si è detto, aveva dedicato ai medicinali un’autonoma tabella. Tale volontà è del resto documentata dalla già evocata norma introdotta dalla legge di conversione del decreto‐legge, che all’art. 2, ha aggiunto il comma 1 bis.Il nandrolone compare sia nella tabella I sia nella sezione A della V, afferente appunto ai medicinali, che qui interessa. Si tratta, allora, di comprendere se e quale disciplina penale della novella riguardi i detti medicinali.La disamina della nuova normazione suscita al riguardo interrogativi rilevanti.Il testo dell’art. 73, quale risulta dall’intricato susseguirsi di modifiche, non reca più la disciplina sanzionatoria in precedenza enunciata negli indicati commi 1 bis e 4. La nuova normazione, derivante dalle modifiche introdotte nel 2014, fa riferimento solo alle sostanze di cui alle prime quattro tabelle; e non reca più alcuna menzione dei medicinali di cui alla quinta tabella. Una prima, testuale lettura del dettato normativo conduce, dunque, alla conclusione che la disciplina penale si disinteressa dell’ambito di cui si discute. Si tratta di esito che suscita interrogativi di non poco conto, se solo si considera che nella tabella V si rivengono, per esemplificare, sostanze come codeina, norcodeina, etilmorfina, metadone.Non meno problematica appare la lettura dell’art. 75 del T.U., riscritto dalla novella del 2014, che disciplina gli illeciti amministrativi. Il comma 1, in simmetria con l’art. 73, riguarda le condotte illecite finalizzate all’uso personale relative alle sostanze stupefacenti e psicotrope di cui alle tabelle I, II, III e IV. Tuttavia il successivo comma I‐bis indica le circostanze rilevanti ai fini dell’accertamento della destinazione ad uso esclusivamente personale della “sostanza stupefacente o psicotropa o del medicinale di cui al comma 1”.Tra l’altro si tiene conto della circostanza che “i medicinali contenenti sostanze stupefacenti o psicotrope elencate nella tabella dei medicinali, sezioni A, B, C e D, non eccedano il quantitativo prescritto”. La norma sembra voler alludere a situazioni nelle quali il medicinale, prescritto per l’uso terapeutico che gli è proprio,venga destinato ad uso personale non terapeutico. La disciplina è però testualmente incoerente. Infatti si fa riferimento ai medicinali di cui al comma 1, che, però, in tale comma non sono affatto menzionati.Tentare di comprendere il senso della nuova normazione è impresa difficile. Si tenta il limite della vocazione all’interpretazione delle Sezioni Unite. L’intricato sovrapporsi di norme, di cui non si è conseguito il completo coordinamento, determina una situazione lontana dall’ideale di chiarezza del precetto penale e del suo corredo sanzionatorio, attorno al quale si intrecciano i principi fondanti dell’ordinamento penale su base costituzionale e convenzionale: legalità, determinatezza, tassatività, prevedibilità, accessibilità, colpevolezza. In tale situazione occorre addentrarsi nei testi normativi per cercare di cogliervi un’univocaindicazione di senso.Nella versione originale dell’art. 13, del T.U. è enunciato che le tabelle delle sostanze stupefacenti o psicotrope “devono contenere l’elenco di tutte le sostanze e dei preparati” indicati nelle convenzioni e negli accordi internazionali.Nel successivo art. 14 viene chiarito che nelle tabelle devono essere compresi “tutti gli isomeri, gli esteri, gli eteri ed i sali anche relativi agli isomeri, esteri ed eteri, nonchè gli stereoisomeri nei casi in cui possono essere prodotti, relativi alle sostanze ed ai preparati inclusi nelle tabelle, salvo sia fatta espressa eccezione”.Le medesime formule compaiono nei testi dei detti articoli riscritti dalla novella del 2006.Invece, nella normativa del 2014 la disciplina muta. Nell’art. 14, comma 1, con riferimento al contenuto delle tabelle I, II, III e IV, compare, tra l’altro, la inedita dizione “le preparazioni contenenti le sostanze di cui alla presente lettera in conformità alle modalità indicate nella tabella dei medicinali di cui alla lett. e)”. Nell’art. 14, comma 2, si enuncia che nelle tabelle di cui al comma 1, sono compresi “tutti gli isomeri, gli esteri, gli eteri ed i sali anche relativi agli isomeri, esteri ed eteri, nonchè gli stereoisomeri nei casi in cui possono essere prodotti, relativi alle sostanze incluse nelle tabelle I, II, III e IV e ai medicinali inclusi nelletabelle dei medicinali, salvo sia fatta espressa menzione”.Anche negli artt. 42, 46 e 47 del T.U. modificati dalla normativa del 2014 il termine “preparazioni” è sostituito dal termine “medicinali”.Di certo neppure la valorizzazione di tali novità induce elementi di giudizio immediatamente risolutivi ai fini dell’interpretazione della disciplina penale. Infatti l’espressione “in conformità alle modalità indicate nella tabella dei medicinali” non è di limpida chiarezza per il comune lettore. Tuttavia alcune indicazioni si possono trarre. Il legislatore ha abbandonato il classico riferimento alle preparazioni, interessandosi alla regolamentazione delle sostanze e dei medicinali. Le preparazioni rilevano solo in quanto contengano le sostanze indicate nelle tabelle I, II, III e IV, con le modalità descritte nella tabella dei medicinali. Dunque, si fa in fin dei conti riferimento a preparazioni ed a medicinali che sono oggetto della disciplina penale in quanto contengano sostanze riportate nelle indicate quattro tabelle: sono le tabelle delle sostanze psicotrope e stupefacenti alle quali si riferisce la disciplina sanzionatoria di cui ai richiamati artt. 73 e 75. In breve, conclusivamente, i medicinali rientrano nell’area penale in quanto contengano principi di cui alla ridette tradizionali tabelle.Tale soluzione interpretativa è l’unica che consente di superare la vaghezza ed indeterminatezza della disciplina legale, ancorando saldamente la repressione penale alla presenza di principi attivi inseriti nelle tabelle oggetto della normativa sanzionatoria di cui all’art. 73.Il nandrolone compare sia nella tabella I che in quella dei medicinali, con la conseguenza che nella sua formulazione medicinale è oggetto della disciplina penale di cui all’art. 73 relativa alle sostanze elencate nella detta tabella I. 6.Resta infine da chiarire se la nuova incriminazione possa applicarsi retroattivamente.Una tesi dottrinale, ampiamente evocata dall’ordinanza di rimessione, ammette tale possibilità. Essa, in sintesi, reputa che la novella del 2014 sia ispirata dal proposito di evitare una frattura tra il prima ed il dopo la sentenza n. 32. Gli atti che “riprendono” a produrre effetti sono i provvedimenti amministrativi travolti dalla sentenza costituzionale. Tale “ripresa” non può che essere orientata alla permanenza della pregressa efficacia degli atti amministrativi.Si tratta di una disposizione transitoria volta a derogare ai principi di diritto intertemporale e segnatamente alla retroattività della norma penale più favorevole.Si ritiene, in particolare, che nel caso in esame la caducazione della norma non sia il frutto di abrogazione, cioè di un nuovo atto normativo che abbia determinato l’abolitio criminis per effetto di una nuova scelta politico‐criminale; bensì discenda dalla L. 11 marzo 1953, n. 87, art. 30, comma 3, che fa divieto di applicare la legge dichiarata incostituzionale rispetto a situazioni sostanziali o processuali preesistenti. Ciò determina una modificazione in mitius della disciplina penale; e la novella del 2014 costituisce una deroga all’operatività del principio di retroattività della lex mitior generata dalla sentenza costituzionale. Tale deroga, d’altra parte, è consentita quale frutto del ragionevole bilanciamento, compiuto dal legislatore, tra diversi principi e valori costituzionali.Infatti, si rammenta conclusivamente, il principio di retroattività in mitius, pur trovando base costituzionale e comunitaria, non è assoluto ed inderogabile.Tale opinione, sebbene apprezzabilmente ispirata dal proposito di arginare gli effetti della frattura determinata dalla sentenza n. 32, non può essere condivisa.Non vi è dubbio che il principio di retroattività della legge più favorevole possa essere derogato dal legislatore per effetto del razionale bilanciamento con altri principi e valori costituzionali. Il fatto è, tuttavia, che nel caso in esame la pronunzia costituzionale non ha determinato la semplice reviviscenza di una lex mitior. Essa, al contrario, come si è già esposto, ha prodotto l’ablazione della fattispecie con riferimento alle sostanze inserite nelle tabelle nel vigore della disciplina del 2006. In relazione a tali fattispecie è venuto meno l’oggetto materiale del reato, cioè il suo nucleo essenziale. E’ ben vero che tale escissione è frutto non di abrogazione normativa ma della pronunzia costituzionale, i cui effetti sono disciplinati dalla richiamata L. n. 87, e dall’art. 673 c.p.p.. Tuttavia, ai fini che qui interessano, le due situazioni non differiscono, come è eloquentemente dimostrato dalla comune disciplina prevista dall’art. 673. Esse sono regolate dai medesimi principi di diritto intertemporale, del resto evocati dalla sentenza costituzionale.D’altra parte, il principio della lex mitior si riferisce a situazioni nelle quali la disciplina penale, in epoca successiva a quella di commissione del fatto, abbia subito mere modifiche in melius di qualunque genere (Corte cost., sent. n. 236 del 2011). Al contrario, come si è ripetutamente esposto, per effetto della pronunzia costituzionale le fattispecie aventi ad oggetto il nandrolone e le altre sostanze introdotte nelle tabelle nel vigore della disciplina del 2006, sono venute meno radicalmente. Ne discende che la novella del 2014, che ha rinnovato l’inserimento di tali sostanze nelle tabelle di legge, ha creato nuove incriminazioniche, con tutta evidenza, non possono essere applicate retroattivamente, ostandovi l’art. 25 Cost., comma 2.Così stando le cose, risultano prive di dirimente rilievo le discussioni sul significato e sulla portata della variazione lessicale da “continuano” a “riprendono”, cui si è ripetutamente fatto cenno. Il problema di cui si discute, infatti, trova la sua soluzione nel principio costituzionale d’irretroattività della legge penale incriminatrice.7. Va dunque enunciato il seguente principio di diritto:”A seguito della dichiarazione d’incostituzionalità del D.L. n. 272 del 2005, artt. 4 bis e 4 vicies ‐ ter, come modificato dalla L. n. 49 del 2006, pronunciata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 32 del 2014, deve escludersi la rilevanza penale delle condotte che, poste in essere a partire dall’entrata in vigore di detta legge e fino all’entrata in vigore del D.L. n. 36 del 2014, abbiano avuto ad oggetto sostanze stupefacenti incluse nelle tabelle solo successivamente all’entrata in vigore del D.P.R. n. 309 del 1990, nel testo novellato dalla richiamata L. n. 49 del 2006″.8. Conseguentemente, la sentenza impugnata va annullata senza rinvio, quanto al reato di cui al capo C, perchè il fatto non è previsto dalla legge come reato.9. Il venire meno di tale illecito determina altresì la caducazione della confisca dei beni che ne discendeva per effetto del D.L. n. 306 del 1992, art. 12 sexies.E’ ben vero che la pronunzia d’appello ha collegato tale confisca anche al reato di ricettazione, originariamente contestato al capo B, afferente all’acquisto o comunque alla ricezione di farmaci e sostanze farmacologicamente attive ricomprese nella classi di cui alla L. n. 376 del 2000, art. 2, oggetto di illecita commercializzazione. Si è considerato che il reato di ricettazione non è stato ritenuto inesistente ma solo assorbito nella più ampia fattispecie di cui alla richiamata L. n. 376, art. 9, comma 7, rubricato al capo A. Il tema è stato esaminato funditus ed modo non criticabile dal Tribunale. Si è considerato che il delitto punito dalla L. n. 376, art. 9, e quello di ricettazione possono in astratto concorrere perchè diversi sono la struttura ed il bene giuridico tutelato.Tuttavia, il concorso non può essere ravvisato quando, come nel caso in esame, l’imputato ha condotto un’attività organizzata e continuativa che integra un vero e proprio commercio di farmaci in senso civilistico. L’approvvigionamento illecito delle sostanze rivendute è necessariamente ricompreso nell’art. 9, comma 7, richiamato, oggetto dell’imputazione di cui al capo A, che assorbe, consumandola, la condotta di cui all’art. 648 c.p.. Infatti, prosegue il Tribunale, le sostanze che l’imputato vendeva pervenivano nella sua disponibilità in un medesimo contesto di commercializzazione vietata. L’attività dell’acquistare per vendere non integra una condotta distinta e comprende l’approvvigionamento finalizzato alla cessione a titolo oneroso.In breve, dalla pronunzia di merito emerge che la condotta imputata al reato di ricettazione non ha autonomia giuridica e costituisce un mero frammento del fatto che integra l’altro reato. Ne discende, ai fini che qui interessano, che, non configurandosi un autonomo illecito di ricettazione, dall’indicato frammento della fattispecie ritenuta non si può far discendere la confisca di cui si discute.La statuizione in questione va dunque annullata; e deve essere per l’effetto disposta la restituzione dei beni all’avente diritto.10. Gli atti vanno rinviati alla Corte di appello di Perugia per la rideterminazione della pena in ordine ai residui illeciti di cui ai capi A e G.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente al capo C, perchè il fatto non è previsto dalla legge come reato; e alla confisca dei beni disposta ai sensi del D.L. n. 306 del 1992, art. 12 sexies, e ordina la restituzione degli stessi beni all’avente diritto.

Rinvia alla Corte d’appello di Perugia per la determinazione della pena in ordine ai reati di cui ai capi A e G..

Rigetta nel resto il ricorso.

Così deciso in Roma, il 26 febbraio 2015.

Depositato in Cancelleria il 9 luglio 2015

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a cura di Andrea Penta

n tema di rapporti fra procedimento penale e procedimento disciplinare riguardante i magistrati, il giudicato penale non preclude in sede disciplinare una rinnovata valutazione dei fatti accertati dal giudice penale. Il principio è stato ribadito dal giudice di legittimità con sentenza del 9 luglio 2015, n. 14344.

Cassazione civile Sentenza, Sez. SS.UU., 09/07/2015, n. 14344

Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 9 luglio 2015, n. 14344 – Pres. Rovelli – Rel. Greco

Svolgimento del processo

Il magistrato D.L.C. , sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Potenza, venne incolpata dell’illecito disciplinare di cui agli artt. 1, carena 1, lettera n), e 4, comma 1, lettera d), del d.lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, per aver usato in modo improprio la sua utenza di servizio di telefonia mobile per effettuare tra il maggio e l’ottobre 2003 sessantacinque chiamate ad una utenza a tariffazione speciale riferibile ad un servizio di cartomanzia, astrologia e previsioni del lotto.

Il processo penale, correlato all’ipotizzato delitto di peculato, che aveva determinato la sospensione del procedimento disciplinare, è stato definito in appello con piena formula liberatoria, “perché il fatto non sussiste”, “per difetto del danno economico di rilievo tale da configurare l’elemento materiale del delitto de quo”, atteso che delle 65 telefonate addebitate nel periodo detto, circa 49 si erano risolte in “meri impulsi telefonici ossia in tentativi di contattare l’utenza telefonica chiamata senza successo, della durata di… meno di un minuto”, mentre “solo 16 telefonate avevano sortito delle conversazioni peraltro molte di breve durata con costi del tutto contenuti, restando le rimanenti impulsi senza generazione di costi”.

La Sezione disciplinare, premesso che sussisteva la certezza dell’uso del telefono da parte dell’incolpata per 65 chiamate dirette ai fornitori di servizi di cartomanzia, astrologia e previsioni del lotto nel periodo maggio/ottobre 2003, e che il fatto accertato in sede penale andava ritenuto immutabile, e suscettibile, così come cristallizzato, di valutazione nel giudizio disciplinare, ha rilevato che la disamina del fatto conduceva all’ipotesi disciplinare declinata sia dall’art. 2, lettera n), del d.lgs. n. 109 del 2006, sia dalla disciplina, vigente all’epoca di consumazione dei fatti, riconducibile all’art. 18 del r.d. n. 511 del 1946, evidenziando l’estraneità al dato patrimoniale del bene giuridico presidiato dalle due norme – l’una il principio di buona amministrazione e l’altra l’immagine ed il prestigio della magistratura.

Ha pertanto ritenuto il magistrato responsabile dell’incolpazione di cui all’art. 2, corona 1, lettera n), del d.lgs. n. 109 del 2006, infliggendole la sanzione della censura, mentre l’ha mandata assolta da ogni addebito, in applicazione dell’art. 20 del d.lgs. n. 109 del 2006, “in quanto l’incolpazione di cui all’art. 4, comma 1, lettera d), si aderge esattamente alla specie concreta valutata con giudizio assolutorio dalla Corte d’appello di Catanzaro”.

Per la cassazione della sentenza – la dottoressa D.L. ha proposto ricorso articolando tre motivi.

Il Ministero della giustizia non ha svolto attività.

Motivi della decisione

Con il primo motivo, denunciando “violazione dell’art. 606, comma 1, lettere b) ed e), c.p.p., in relazione agli artt. 20, comma 2, e 2, cortina 1, lettera f), del d.lgs. n. 109 del 2006 – violazione del giudicato, per avere la sentenza disciplinare contraddetto l’accertamento del giudice penale”, la ricorrente si duole non sia stata considerata l’esatta e giusta portata del rapporto tra il procedimento disciplinare ed il giudizio penale definito, a favore della ricorrente, con sentenza assolutoria piena, dichiarativa dell’insussistenza del fatto.

Il motivo è infondato.

Secondo il fermo orientamento di queste Sezioni unite, “in terra di rapporti fra procedimento penale e procedimento disciplinare riguardante i magistrati, il giudicato penale non preclude in sede disciplinare una rinnovata valutazione dei fatti accertati dal giudice penale, essendo diversi i presupposti delle rispettive responsabilità, fermo restando il solo limite dell’immutabilità dell’accertamento dei fatti nella loro materialità, operato da quest’ultimo, cosicché, se è inibito al giudice disciplinare di ricostruire l’episodio posto a fondamento dell’incolpazione in modo diverso da quello risultante dalla sentenza penale dibattimentale passata in giudicato, sussiste tuttavia piena libertà di valutare i medesimi accadimenti nell’ottica dell’illecito disciplinare” (Cass., sez. un. 24 novembre 2010, n. 23778),- la disciplina dei rapportò fra processo penale e procedimento disciplinare nei confronti dei magistrati, “in base a cui nel procedimento disciplinare fa sempre stato l’accertamento dei fatti, oggetto del processo penale, risultanti da sentenza passata in giudicato (regola con cui non contrasta il disposto dell’art. 653 cod. proc. pen. sull’efficacia nel giudizio disciplinare della sentenza penale di assoluzione perché il fatto non sussiste o l’imputato non l’ha connesso), non preclude in sede disciplinare una rinnovata valutazione dei fatti accertati dal giudice penale, essendo diversi i presupposti della responsabilità penale e di quella disciplinare, fermo restando il solo limite dell’immutabilità dell’accertamento dei fatti nella loro materialità” (Cass., sez. un., 18 ottobre 2000, n. 1120).

Nel caso in esame, governato dalla regola fissata con il d.lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, dall’art. 20, comma 3 – a tenore del quale “ha autorità di cosa giudicata nel giudizio disciplinare quanto all’accertamento che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso, la sentenza penale irrevocabile di assoluzione” -, la Sezione disciplinare, cane si è visto supra, ha in primo luogo rilevato che sussisteva la certezza dell’uso del telefono da parte dell’incolpata per 65 chiamate dirette ai fornitori di servizi di cartomanzia, astrologia e previsioni del lotto nel periodo maggio/ottobre 2003, e che il fatto accertato in sede penale andava ritenuto immutabile nel giudizio disciplinare.

In secondo luogo, ha affermato che i fatti cane accertati dal giudice penale “nella loro materialità”, erano suscettibili, così cane cristallizzati, di valutazione nel giudizio disciplinare.

Ed ha infine ritenuto che la disamina del fatto conduceva all’ipotesi di illecito declinata sia dall’art. 2, lettera n), del d.lgs. n. 109 del 2006, sia dalla disciplina, vigente all’epoca di consumazione dei fatti, riconducibile all’art. 18 del r.d. n. 511 del 1946, evidenziando l’estraneità al dato patrimoniale del bene giuridico presidiato dalle due norme – l’una il principio di buona amministrazione e l’altra l’immagine ed il prestigio della magistratura -, di guisa che l’accertamento della mancanza di danno economico, che aveva condotto il giudice penale ad’ escludere la sussistenza del delitto’ di peculato, non spiegava nel giudizio disciplinare (in relazione a tale capo di incolpazione) rilievo alcuno.

Con il secondo motivo denuncia “mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in. ordine alla configurazione dell’illecito”, “soprattutto in relazione all’assoluzione che la Sezione disciplinare ha ritenuto di pronunciare in afferenza alla violazione dell’art. 4, canna 1, lettera d), del d.lgs. 109/2006. Coerenza avrebbe dovuto incorre diversa statuizione”. Con riguardo all’illecito di cui all’art. 2, canna 1, lettera n), del d. lgs. n. 109 del 2006 – del quale ella è stata ritenuta responsabile -, illecito che presuppone che l’inosservanza delle norme regolamentari o delle disposizioni sul servizio giudiziario adottate dagli organi competenti si presenti “grave” o “reiterata”, la ricorrente assume che “in modo inappropriato quanto ingiustificato la Sezione disciplinare ha ritenuto sussistere entrambe le aggettivazioni, seppure normativamente disgiunte, laddove ha ritenuto di escludere proprio l’ipotesi di incolpazione caratterizzata dalla condotta lesiva dell’immagine del magistrato (art. 4 lett. d)”.

Il motivo, pervero formulato in forma non proprio lineare, è infondato, sol che si consideri che l’illecito previsto dall’art. 4, lettera d), del d.lgs. più volte citato è uno degli illeciti disciplinari conseguenti al reato, ed è integrato da “qualunque fatto costituente reato idoneo a ledere l’immagine dei magistrato, anche se il reato è estinto per qualsiasi causa o l’azione penale non può essere iniziata o proseguita”. Ne consegue, cane chiaramente esposto dalla Sezione disciplinare, che una volta escluso dal giudice penale il reato di peculato contestato, viene meno la configurabilità del detto illecito disciplinare, dal quale il magistrato è stata quindi assolta.

E ne consegue ancora, quanto all’illecito disciplinare nell’esercizio delle funzioni individuato dall’art. 2, canna 1, lettera n), del d. lgs. n. 109 del 2006 nella “reiterata o grave inosservanza delle norme regolamentari o delle disposizioni sul servizio giudiziario o sui servizi organizzativi o informatici adottate dagli organi competenti”, che non è “inappropriato o ingiustificato” aver ritenuto sussistente una inosservanza grave e reiterata – laddove la disgiunzione “o” ‘lascia intendere sia sufficiente la ricorrenza di uno solo dei due requisiti -, a condizione che la sentenza contenga in ordine ad essa una valutazione (in proposito, Cass., sez. un., 25 marzo 2013, n. 7383), nella specie presente in forma congrua in ordine ad entrambi i requisiti.

Con il terzo motivo, proposto in via subordinata, la ricorrente, con riferimento all’art. 3 bis del d.lgs. n. 109 del 2006 – secondo cui l’illecito disciplinare non è configurabile quando il fatto è di scarsa importanza – assume che nella specie, in considerazione della mancata compromissione dell’immagine del magistrato e della magistratura, difetterebbe-“a monte qualsivoglia elemento costitutivo dell’illecito disciplinare, ingiustamente ritenuto sussistente, e, in ogni caso, la rilevanza del fatto”.

Il motivo è infondato, in quanto non risulta essere stata richiesta al giudice disciplinare l’applicazione dell’esimente, né la ricorrente deduce sul punto alcunché.

Questa Corte ha affermato il principio a tenore del quale “la previsione di cui all’art. 3-bis del d.lgs 23 febbraio 2006, n. 109 (aggiunta dall’art. 1 della legge 24 ottobre 2006, n. 269), secondo cui l’illecito disciplinare non è configurabile quando il fatto è di scarsa rilevanza, risulta applicabile – sia per il suo tenore letterale che per la sua collocazione sistematica – a tutte le ipotesi di illecito disciplinare, allorché la fattispecie tipica risulta essere stata realizzata ma il fatto, per particolari circostanze anche non riferibili all’incolpato, non risulti in concreto capace di ledere il bene giuridico tutelato, secondo una valutazione che costituisce carpito esclusivo della Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, soggetta a sindacato di legittimità soltanto ove viziata da un errore di impostazione giuridica oppure motivata in modo insufficiente o illogico, fermo restando che un’esplicita motivazione non risulta neppure necessaria quando l’incolpato abbia omesso di sollecitarla” (Cass., sez. un., 29 marzo 2013, n. 7937). Se è infatti “certamente consentita alla Sezione una valutazione negativa formulata con motivazione implicita le volte in cui nessuna espressa richiesta di applicazione provenga dalla difesa (S.U. 14665 del 2011 e 6237 del 2012), la Sezione stessa dovrà farsi carico di una esplicita motivazione dell’eventuale diniego le volte – e tale è il caso sottoposto – in cui la difesa abbia espressamente invocato l’istituto di cui trattasi allegando le ragioni della sua applicabilità: S.U. 20570 e 7934 del 2013” (Cass., sez. un., 25 ottobre 2013, n. 24152, in motivazione).

Il ricorso deve essere pertanto rigettato.

P.Q.M.

La Corte, a sezioni unite, rigetta il ricorso.

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a cura di Andrea Penta

In ambito penale, avuto riguardo agli aspetti processuali, si segnalano due pronunce.

La prima (Sezioni Unite, 26 giugno 2015 – dep. 22 luglio 2015 -, n. 32243; Pres. G. Santacroce, Rel. M. Fumo) ha affrontato il problema delle notificazioni eseguite per via telematica a persona diversa dall’imputato, alla luce del d.l. n. 112 del 2008 e della L. 24 dicembre 2012, n. 228 (modificativa dell’art. 16 del d.l. 18 ottobre 2012, n. 179).

Con questa sentenza le Sezioni Unite Penali della Corte di Cassazione hanno affermato il principio di diritto secondo cui, anche dopo l’entrata in vigore del d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, e relativa conversione in legge, sono valide le notificazioni a persona diversa dall’imputato o indagato eseguite per via telematica, ai sensi del d.l. 25 giugno 2008, n. 112, e relativa conversione in legge, dagli Uffici giudiziari già autorizzati dal decreto 1 ottobre 2012 del Ministro della Giustizia.

La seconda (Sezioni Unite, 26 marzo 2015 – dep. 29 luglio 2015 -, n. 33583; Pres. G. Santacroce, Rel. L. Bianchi) ha risolto la delicata questione delle conseguenze delle dichiarazioni rese, in assenza dell’avvertimento di cui all’art. 64, terzo comma, lett. c), cod. proc. pen., da persona imputata di reato connesso o collegato che non ha reso in precedenza dichiarazioni sulla responsabilità dell’imputato.

Le Sezioni Unite Penali della Corte di Cassazione hanno affermato che, in sede di esame dibattimentale ai sensi dell’art. 210, sesto comma, cod. proc. pen., di imputato di reato connesso ex art. 12, primo comma, lett. c), cod. proc. pen., o collegato ex art. 371, secondo comma, lett. b), cod. proc. pen., l’avvertimento di cui all’art. 64, comma terzo, lett. c), deve essere dato non solo se il soggetto non ha «reso in precedenza dichiarazioni concernenti la responsabilità dell’imputato» (come testualmente prevede il sesto comma dell’art. 210), ma anche se egli abbia già deposto erga alios senza aver ricevuto tale avvertimento, precisando che dal mancato avvertimento consegue l’inutilizzabilità della deposizione testimoniale.

In tema di misure cautelari, la Terza Sezione (Pres. Squassoni, Rel. Aceto; sent. n. 37087 del 19 maggio 2015 Cc., dep. 15 settembre 2015) ha definito i contorni della nozione di attualità del pericolo nell’ambito delle esigenze cautelari e, in particolare, del pericolo di reiterazione.

In particolare, ha affermato – a seguito delle modifiche introdotte dalla legge n. 47 del 2015 all’art. 274,lett. c), cod. proc. pen. – che, per poter affermare che un pericolo “concreto” di reiterazione di condotte criminose sia anche “attuale”, non è più sufficiente ritenere – con certezza o alta probabilità – che l’imputato torni a delinquere ove se ne presenti l’occasione, ma è anche necessario, anzitutto, prevedere (negli stessi termini di certezza o alta probabilità) che un’occasione per compiere nuovi delitti si presenti effettivamente.

La stessa Terza Sezione (Sentenza n. 34932 del 24 giugno 2015 – dep. il 18 agosto 2015 -; Presidente Franco, Relatore Pezzella) ha fornito un ulteriore apporto concreto alla rilevabilità in cassazionedelle cause di non punibilità, di improcedibilità, di estinzione del reato o della pena e, in particolare, della non punibilità per particolare tenuità del fatto.

In tema di “particolare tenuità del fatto”, ha affermato che l’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare l’esclusione della punibilità, prevista dall’art. 131-biscod. pen., per quanto ius superveniens più favorevole al ricorrente.

Di grande impatto pratico è la sentenza n. 31617 delle Sezioni Unite depositata il 21 luglio 2015 in tema di misure di sicurezza patrimoniali e, in particolare, di confisca di cose costituenti prezzo o profitto del reato nel caso di estinzione del reato.

Con la detta sentenza le Sezioni Unite Penali (Sez. un., 26 giugno 2015 – dep. 21 luglio 2015 -, n. 31617; Pres. G. Santacroce, Rel. A. Macchia) hanno affermato i seguenti principi:

– “il giudice, nel dichiarare la estinzione del reato per intervenuta prescrizione, può applicare, a norma dell’art. 240, secondo comma, n. 1, cod. pen., la confisca del prezzo del reato e, a norma dell’art. 322 – ter cod. pen., la confisca del prezzo o del profitto del reato, sempre che si tratti di confisca diretta e vi sia stata una precedente pronuncia di condanna rispetto alla quale il giudizio di merito permanga inalterato quanto alla sussistenza del reato, alla responsabilità dell’imputato ed alla qualificazione del bene da confiscare come profitto o prezzo del reato”;

– “qualora il prezzo o il profitto derivante dal reato sia costituito da denaro, la confisca delle somme di cui il soggetto abbia comunque la disponibilità deve essere qualificata come confisca diretta: in tal caso, tenuto conto della particolare natura del bene, non occorre la prova del nesso di derivazione diretta tra la somma materialmente oggetto della confisca e il reato”.

Sul piano del diritto penale sostanziale, merita di essere segnalata, in tema di delitti contro l’ordine pubblico e, nello specifico, al cospetto del reato di cui all’art. 3 lett. a), n. 654/1975 per  discriminazione per motivi razziali, una pronuncia della Terza Sezione che ha definito i criteri di valutazione dell’odio razziale.

La Sezione Terza (Pres. Franco, Rel. Pezzella,; sentenza n. 36906, 23 giugno 2015 Up., dep. 14 settembre 2015) ha, in particolare, affermato che, ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 3, comma 1, lett. a), legge 13 ottobre 1975, n. 654 e successive modifiche:

– gli “atti di discriminazione per motivi razziali” sono quelli riferiti alla qualità del soggetto e non ai suoi comportamenti;

– l'”odio razziale o etnico” non include ogni sentimento di generica antipatia, insofferenza o rifiuto;

– la valutazione delle specifiche condotte deve essere effettuata dal giudice di merito alla luce del contesto in cui le stesse si collocano, e in considerazione del concreto pericolo di lesione dei principi di pari dignità e non discriminazione e del contemperamento di questi con quello di libertà di espressione.

Nella specie, la Corte ha ritenuto estranea alla previsione incriminatrice l’attività di diffusione, nel corso di una competizione elettorale, di un volantino che recava la scritta “basta usurai-basta stranieri” e manifestava avversione politica verso una serie di comportamenti illeciti attribuiti, con una generalizzazione frutto di evidente forzatura, a soggetti appartenenti a determinate razze od etnie.

Come al solito, consistente e significativa è stata la produzione in tema di stupefacenti. In questa sede vengono riportate tre pronunce.

Le Sezioni Unite, tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 2014 e, dunque, della reviviscenza dell’originario trattamento sanzionatorio, si sono poste il problema, in caso di droghe c.d. “leggere”, della legittimità o meno di rideterminare la pena in sede di esecuzione, a seguito di una sentenza di patteggiamento divenuta irrevocabile dopo la sentenza della Corte costituzionale.

Con sentenza depositata il 15 settembre 2015, le Sezioni Unite (Sez. un., 26 febbraio 2015 – dep. 15 settembre 2015 -, n. 37107; Pres. G. Santacroce, Rel. G. Fidelbo) hanno affermato i seguenti principi di diritto:

– “La pena applicata con la sentenza  di patteggiamento avente ad oggetto uno o più delitti previsti dall’art. 73 d.P.R. 309 del 1990, relativi alle droghe c.d. leggere, divenuta irrevocabile prima della sentenza n. 32 del 2014 della Corte costituzionale, può essere rideterminata in sede di esecuzione in quanto pena illegale”;

– “La rideterminazione avviene ad iniziativa delle parti, con le modalità di cui al procedimento previsto dall’art. 188 disp. att. cod. proc. pen., sottoponendo al giudice dell’esecuzione una nuova pena su cui è stato raggiunto l’accordo”;

– “In caso di mancato accordo o di pena concordata ritenuta non congrua il giudice dell’esecuzione provvede autonomamente alla rideterminazione della pena ai sensi degli artt. 132 e 133 cod. pen.”.

Sulla stessa lunghezza d’onda si è posta altra pronuncia delle Sezioni Unite (Sez. un., 26 febbraio 2015 – dep. 28 luglio 2015 -, n. 33040; Pres. G. Santacroce, Rel. G. Fidelbo), che ha affrontato la questione delle conseguenze della illegalità della pena determinata secondo i limiti edittali di cui alla normativa dichiarata incostituzionale.

Con la menzionata sentenza, le Sezioni Unite Penali hanno affermato i seguenti principi:

– “E’ illegale la pena determinata dal giudice attraverso un procedimento di commisurazione che si sia basato sui limiti edittali dell’art. 73 d.P.R. 309/1990 come modificato dalla legge n. 49 del 2006, in vigore al momento del fatto, ma dichiarato successivamente incostituzionale con sentenza n. 32 del 2014, anche nel caso in cui la pena concretamente inflitta sia compresa entro i limiti edittali previsti dall’originaria formulazione del medesimo articolo, prima della novella del 2006, rivissuto per effetto della stessa sentenza di incostituzionalità”;

– “nel patteggiamento l’illegalità sopraggiunta della pena determina la nullità dell’accordo e la Corte di cassazione deve annullare senza rinvio la sentenza basata su tale accordo”;

–  “nel giudizio di cassazione l’illegalità della pena conseguente a dichiarazione di incostituzionalità di norme riguardanti il trattamento sanzionatorio è rilevabile d’ufficio anche in caso di inammissibilità del ricorso, tranne che nel caso di ricorso tardivo”.

Da ultimo, Sezioni Unite Sentenza n. 29316 (udienza del 26 febbraio 2015 – depositata il 9 luglio 2015 -; Presidente G. Santacroce, Relatore R. M. Blaiotta), sempre prendendo le mosse dagli effetti della dichiarazione di illegittimità costituzionale pronunciata da Corte cost., sent. n. 32 del 2014, ha affrontato il tema della rilevanza penale delle condotte aventi ad oggetto sostanze incluse nelle tabelle degli stupefacenti con atti amministrativi riferiti alla disciplina incostituzionale e, in particolare, delle condotte aventi ad oggetto tali sostanze, poste in essere dall’entrata in vigore della disciplina dichiarata incostituzionale e sino all’entrata in vigore del d.l. n. 36 del 2014.

Le Sezioni Unite, risolvendo questione controversa, hanno affermato:

– l’irrilevanza penale delle condotte aventi ad oggetto sostanze stupefacenti (nella specie Nandrolone) incluse nelle tabelle solo successivamente all’entrata in vigore della legge n. 49 del 2006, modificativa del d.P.R. n. 309/90, dichiarata incostituzionale con sentenza n. 32 del 2014, poste in essere a partire dall’entrata in vigore di tale disciplina incostituzionale e fino all’entrata in vigore del D.l. n. 36 del 2014;

– la rilevanza penale delle condotte aventi ad oggetto medicinali che contengano i principi attivi inclusi nelle tabelle da I a IV del d.P.R. n. 309/1990.

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a cura di Roberta Zizanovich

Le Sezioni Unite:

con la sentenza n. 37107, depositata il 15 settembre scorso, hanno risolto uno dei nodi interpretativi di maggior rilievo sorti all’indomani della pronuncia della sentenza della Corte costituzionale n. 32/2014 in tema di sostanze stupefacenti, ed hanno affermato i seguenti principi di diritto:

– La pena applicata con la sentenza di patteggiamento avente ad oggetto uno o più delitti previsti dall’art. 73 d.P.R. 309 del 1990, relativi alle droghe c.d. leggere, divenuta irrevocabile prima della sentenza n. 32 del 2014 della Corte costituzionale, può essere rideterminata in sede di esecuzione in quanto pena illegale;
– La rideterminazione avviene ad iniziativa delle parti, con le modalità di cui al procedimento previsto dall’art. 188 disp. att. cod. proc. pen., sottoponendo al giudice dell’esecuzione una nuova pena su cui è stato raggiunto l’accordo;
– In caso di mancato accordo o di pena concordata ritenuta non congrua il giudice dell’esecuzione provvede autonomamente alla rideterminazione della pena ai sensi degli artt. 132 e 133 cod. pen.

Con la sentenza n. 38518, depositata il 22 settembre 2015, in tema di calcolo del termine di durata delle misure cautelati, hanno affermato che:

-nel caso di contestazione di più circostanze aggravanti ad effetto speciale, nel calcolo della pena ai fini della determinazione dei termini di durata massima delle fasi processuali precedenti la sentenza di primo grado, deve tenersi conto, ai sensi dell’art. 63, comma quarto, c.p., oltre che della pena stabilita per la circostanza più grave, anche dell’ulteriore aumento complessivo di un terzo per le ulteriori omologhe aggravanti meno gravi.

Le Sezioni semplici:

– la Quarta sezione, con la sentenza n. 24462, si è pronunciata in ordine al contenuto delle posizioni di garanzia, chiarendo che la titolarità di una posizione di garanzia non comporta, in presenza del verificarsi dell’evento, un automatico addebito di responsabilità colposa a carico del garante, imponendo il principio di colpevolezza la verifica in concreto sia della sussistenza della violazione – da parte del garante – di una regola cautelare (generica o specifica), sia della prevedibilità ed evitabilità dell’evento dannoso che la regola cautelare violata mirava a prevenire (cosiddetta concretizzazione del rischio), sia della sussistenza del nesso causale tra la condotta ascrivibile al garante e l’evento dannoso. In applicazione del principio la Corte ha escluso che la circolazione di un autoarticolato lungo la Costiera Amalfitana in giorno festivo, avvenuta in violazione del divieto specifico dettato dalla normativa di settore, potesse determinare la configurabilità del delitto di omicidio colposo a carico del guidatore di detto mezzo, atteso che la disposizione regolamentare sopra richiamata era diretta a tutelare le esigenze del traffico veicolare e non espressamente a prevenire eventuali sinistri.

– la Quarta sezione, con la sentenza n. 33329, in tema di colpa medica, ha affermato che è configurabile l’interruzione del nesso causale tra condotta ed evento quando la causa sopravvenuta innesca un rischio nuovo e incommensurabile, del tutto incongruo rispetto al rischio originario attivato dalla prima condotta. Nella fattispecie la S.C. ha escluso il nesso causale tra l’errore nell’originaria diagnosi dell’entità della patologia, dovuta al mancato espletamento dei necessari accertamenti strumentali, ed il decesso del paziente, giacché l’evento letale era stato determinato da un gravissimo errore dell’anestesista, qualificato dalla Corte “rischio nuovo e drammaticamente incommensurabile”, rispetto a quello innescato dalla prima condotta.

Con la medesima pronuncia, la Corte ha pure precisato che il capo dell’equipe operatoria è titolare di una posizione di garanzia nei confronti del paziente in ragione della quale è tenuto a dirigere e a coordinare l’attività svolta dagli altri medici, sia pure specialisti in altre discipline, controllandone la correttezza e ponendo rimedio, ove necessario, ad errori altrui che siano evidenti e non settoriali o comunque rientranti nella sua sfera di conoscenza e, come tali, siano emendabili con l’ausilio delle comuni conoscenze scientifiche del professionista medio. In applicazione del principio la S.C. ha confermato la sentenza di condanna nei confronti del chirurgo otorino capo equipe, il quale, in presenza di specifica questione anestesiologica di carattere interdisciplinare, da lui pure individuata, non aveva impedito all’anestesista di procedere con più tentativi all’anestesia con curaro, cui conseguiva il decesso del paziente.

– la Prima sezione, con la sentenza n. 36754, ha affermato che l’ordinanza di confisca di cui all’art. 12 sexies legge n. 356 del 1992, emessa de plano dal giudice dell’esecuzione ai sensi degli artt. 676 e 667, comma 4 cod. proc. pen., non è, in via generale, immediatamente esecutiva e che tale diverso regime di esecutività rispetto ai provvedimenti emessi all’esito del contraddittorio tra le parti, trova giustificazione nel mancato esercizio del diritto di difesa da parte del destinatario del provvedimento.

– sempre la Prima Sezione penale della Corte di cassazione ha affermato, in tema di arresti domiciliari, che la prescrizione relativa all’adozione del c.d. “braccialetto elettronico” non attiene al giudizio di adeguatezza della misura, ma alla verifica della capacità dell’indagato di autolimitare la propria libertà di movimento; ne discende che, se ritenuta dal giudice la idoneità della misura domiciliare a soddisfare le concrete esigenze cautelari, è illegittimo il provvedimento che subordina la scarcerazione alla disponibilità ed alla effettiva attivazione del dispositivo elettronico, dovendo il detenuto, in caso di indisponibilità del “braccialetto”,  essere controllato con i mezzi tradizionali (Sez. I, 10 settembre  2015 – dep. 30 settembre   2015 -, n. 39529/15 – Pres. S. Chieffi –  Rel. L. La Posta).

– la Quarta sezione, con la sentenza n. 40069, in sede di prima applicazione della “probation”, ha affermato che, in caso di estinzione del reato di guida in stato di ebbrezza per messa alla prova ex art. 168 bis cod. pen., il giudice penale non può applicare la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida, che è invece rimessa alla competenza del Prefetto ai sensi dell’art. 224 C.d.S.

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di Roberta Zizanovich

Le Sezioni Unite:

con la sentenza n. 43264, depositata il 27 ottobre scorso, hanno affermato che, nel procedimento davanti al giudice di pace, dopo l’esercizio dell’azione penale, Ia mancata comparazione in udienza della persona offesa, ritualmente citata ancorché irreperibile, non è di per sé di ostacolo alla dichiarazione di particolare tenuità del fatto, in quanta l’opposizione prevista come condizione ostativa dall’art. 34 comma 3 d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274, deve essere necessariamente espressa e non può essere desunta da atti o comportamenti che non abbiano il carattere di una formale ed inequivoca manifestazione di volontà in tal senso.

Le Sezioni semplici:

– la Prima sezione, con la sentenza n. 45417, in tema di misure di prevenzione personali, ha affermato che è legittima l’applicazione dell’obbligo di soggiorno, unitamente alla sorveglianza speciale di P.S., anche nell’ipotesi in cui la proposta abbia avuto ad oggetto solo quest’ultima misura, in quanto la valutazione giudiziale in ordine alla concreta pericolosità del prevenuto, ed alla conseguente individuazione delle misure da applicare, è del tutto autonoma dal contenuto dell’iniziale proposta di applicazione formulata da uno dei soggetti legittimati, pur essendo tale proposta indispensabile per l’avvio del procedimento.

– sempre la Prima Sezione, con la sentenza n. 41693,  ha affermato che, nel rideterminare la pena calcolata a titolo di continuazione tra reati di detenzione illecita di droghe c.d. “pesanti” e di droghe c.d. “leggere”, alla luce della più favorevole cornice edittale applicabile a seguito della pronuncia della sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 2014, il giudice dell’esecuzione può rielaborare il rapporto tra “reato-base” e “reati-satellite” modificando l’individuazione del reato più grave.

– la Seconda sezione, con la sentenza n. 45338, in tema di sospensione del procedimento con messa alla prova, ha affermato che, qualora la richiesta di sospensione formulata nel corso dell’udienza preliminare venga rigettata dal g.u.p., l’imputato può impugnare tale decisione con ricorso per cassazione ovvero può riproporre la richiesta nel giudizio, prima dell’apertura del dibattimento, essendogli invece preclusa la facoltà di reiterare la richiesta prima della conclusione dell’udienza preliminare.

– la Terza Sezione, con la sentenza n. 42458, in materia di abusivo trasferimento all’estero di cose di interesse artistico, ha affermato che la confisca obbligatoria prevista dall’art. 174 d.lgs. n. 42 del 22 gennaio 2004, non ha una funzione sanzionatoria ma è una misura recuperatoria di carattere amministrativo e che la sua applicazione può prescindere dall’accertamento della responsabilità penale. La Suprema Corte ha, inoltre, precisato che insubiecta materianon rilevano i principi affermati dalla Corte Edu nel caso Varvara c. Italia in quanto, trattandosi di beni appartenenti al patrimonio indisponibile dello Stato, il provvedimento ablativo non incide sul diritto di proprietà privata .

– la Terza sezione, con la sentenza n. 45278, ha affermato che la disciplina di cui all’art. 169 c.p.p. trova applicazione solo in occasione della prima notifica al soggetto che risulti avere residenza o dimora all’estero, al fine di fornirgli quel “minimum” di informazioni essenziali per renderlo edotto dell’esistenza di un procedimento penale che lo riguarda, con contestuale invito ad eleggere domicilio nel territorio dello Stato per le relative notificazioni; con la conseguenza che non è necessario procedere all’invio della raccomandata all’estero, secondo le modalità e con il contenuto indicati dalla disposizione citata, qualora l’indagato abbia già appreso, in occasione di altro atto (nella specie, sequestro preventivo), del procedimento e dell’invito ad eleggere o dichiarare domicilio, potendosi procedere, nel caso di inottemperanza all’invito, alla notifica ai sensi dell’art. 161, comma quarto, c.p.p., mediante consegna al difensore.

– la Quinta sezione, con lasentenza n. 39797, ha affermato che l’art. 601 cod. pen. (nella nuova formulazione introdotta dal D. Lgs. 4 marzo 2014, n. 24) non assorbe l’aggravante di cui all’art. 602-ter cod. pen., in quanto si limita a stabilire che, allorquando oggetto della tratta siano soggetti minori, la condotta è configurabile anche in assenza delle modalità indicate nel primo comma della disposizione.

– la Quinta sezione, con la sentenza n. 41004, ha affermato che, ricorre la qualità di pubblico ufficiale in capo al protutore dell’incapace poiché questi esercita una funzione pubblica assimilabile a quella del tutore che rileva anche se esercitata in assenza di una designazione formale, ad eccezione dei casi di usurpazione dell’investitura.

– la Sesta Sezione, con la sentenza n. 44683, ha affermato che La Corte di Cassazione può direttamente applicare la causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto ed annullare senza rinvio la sentenza impugnata, ogniqualvolta emerga, dal contenuto di quest’ultima, la sussistenza dei presupposti per l’applicazione dell’istituto previsto dall’art.131 bis cod.proc.pen.

– la Sesta Sezione, con la sentenza n. 44765, ha affermato che, in assenza di diversa specifica indicazione del giudice civile in sede di determinazione dell’assegno di mantenimento, nel caso di genitore naturale lavoratore non affidatario, l’importo degli assegni familiari destinati al figlio minore concorre ad integrare la somma alla cui periodica corresponsione lo stesso è obbligato.

– la Sesta Sezione, con ordinanza n. 38561, ha affermato che è rilevante e non manifestamente infondata la questione di costituzionalità dell’art. 75 bis del d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309 (con il quale è stato introdotto un complesso di stringenti misure di prevenzione limitative della libertà personal e di movimento alle quali il questore può, per ragioni di pubblica sicurezza, sottoporre, anche a prescindere dall’esistenza di una precedente condanna penale passata in giudicato e di un programma terapeutico in corso, i soggetti sanzionati in via amministrativa ai sensi dell’art. 75 d.P.R. n. 309/1990), inserito dall’art. 4 – quater del d.l. 30 dicembre 2005, n. 272, convertito con modificazioni dalla legge 21 febbraio 2006, n. 49, in riferimento all’art. 77, secondo comma, Cost.

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a cura di Andrea Penta

In tema di messa alla prova e di applicazione del principio tempus regit actum, la Consulta ha reputato pienamente legittima, secondo la sentenza n. 240/2015 della Corte costituzionale, l’assenza di una disciplina transitoria che consenta l’applicazione del nuovo istituto in base ad una richiesta formulata, nei processi in corso, anche dopo l’apertura del dibattimento (Corte Costituzionale, sentenza, 26 novembre 2015, n. 240).

In tema di successione di leggi e di legge successiva più favorevole nel trattamento sanzionatorio (cd. ius superveniens), le Sezioni Unite della Corte di cassazione, decidendo su questione riferita alla nuova disciplina in materia di stupefacenti, hanno stabilito che, in caso di ricorso inammissibile per qualunque ragione e privo di motivi relativi al trattamento sanzionatorio, è applicabile d’ufficio, in sede di legittimità, la legge sopravvenuta modificativa del trattamento sanzionatorio in senso più favorevole all’imputato, emanata successivamente alla pronuncia impugnata, e ciò anche nell’ipotesi in cui la pena inflitta rientri nella nuova cornice edittale, alla cui luce il giudice del rinvio deve comunque riesaminare la questione (Sez. U., n. 46653 del 26 giugno 2015, dep. 25 novembre 2015, Presidente G. Santacroce, Relatore C. Brusco). 

Le Sezioni Unite hanno altresì affermato che, in presenza di ricorso inammissibile perché presentato fuori termine, non è rilevabile d’ufficio, in sede di legittimità, l’illegalità della pena, che potrà, tuttavia, essere dedotta davanti al giudice dell’esecuzione (Sezioni unite, Sent. n. 47766 ud. 26/06/2015 – deposito del 3 dicembre 2015, Presidente G. Santacroce, Estensore V. Rotundo).

Le stesse Sezioni Unite,  in tema di circolazione stradale, hanno affermato che al reato di rifiuto di sottoporsi all’accertamento per la verifica dello stato di ebbrezza, disciplinato dall’art. 186 cod. strada, non si applica il raddoppio della durata della sospensione della patente di guida previsto dall’art. 186, comma 2 lett.c) allorquando il veicolo condotto dall’imputato appartenga a persona estranea al reato (Sezioni Unite Penali , Presidente S. Agrò, Relatore P. Piccialli, sentenza n. 46624 del 29 ottobre 2015, depositata il 24 novembre 2015, P.M. I. Zeno – concl. conf. -).  

Con contestuale pronuncia, le Sezioni Unite hanno stabilito che l’aggravante di aver provocato un incidente stradale non è configurabile rispetto al reato di rifiuto di sottoporsi all’accertamento per la verifica dello stato di ebbrezza (Sezioni Unite Penali, Presidente S. Agrò, Relatore P. Piccialli, sentenza n. 46625 del 29 ottobre 2015, depositata il 24 novembre 2015, P.M. G. Izzo – concl. diff. -).

Nell’ambito delle misure cautelari, la Prima Sezione penale ha chiarito che, nella nozione di “delitti commessi con violenza alla persona”, utilizzata dal legislatore nell’art. 299, comma 2-bis, cod. proc. pen. per individuare l’ambito di applicabilità dell’obbligo di notifica alla persona offesa, in caso di revoca o sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere, devono ricomprendersi non soltanto i reati le cui fattispecie legali astratte siano connotate dall’elemento della violenza alla persona, ma anche tutti quelli che, in concreto, si siano manifestati con atti di violenza in danno della persona offesa (Sez. I, sentenza n. 49339/15 del 29 ottobre 2015 – depositata il 15 dicembre 2015. Presidente  M. Vecchio, Relatore E.G. Sandrini).  

Nel medesimo ambito la Terza Sezione ha affermato che, ai fini della valutazione del requisito della attualità del pericolo di reiterazione del reato  di cui all’art. 274, comma 1, lett. c) cod. proc. pen. (per come modificato dalla legge n. 47 del 2015), il giudice che procede ex art. 299 cod. proc. pen., nel provvedere su un’istanza di revoca o sostituzione di misura cautelare personale in atto, deve esaminare anche gli elementi di prova nel frattempo eventualmente acquisiti nel corso dell’istruttoria dibattimentale (Sez. III, c.c. del 10 novembre 2015  dep. 23 dicembre 2015 -, n. 50454/2015, Altea, Pres. A. Franco, Est. E. Rosi).

In caso di custodia cautelare in carcere  il giudice deve motivare sull’inidoneità degli arresti domiciliari “aggravati”. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 45699/2015, alla luce del nuovo art. 275, comma 3-bis, c.p.p., ha annullato l’ordinanza di applicazione della misura cautelare della custodia in carcere in ragione dell’omessa motivazione circa l’idoneità o meno nel caso concreto della misura degli arresti domiciliari con le procedure di controllo, ex art. 275-bis, comma 1, c.p.p. (Cassazione penale, Sez. III, sentenza 18 novembre 2015, n. 45699).

In tema di  intercettazionidi conversazioni o comunicazioni, la Terza Sezione ha affermato che è corretta l’acquisizione di contenuti di attività di messaggistica (nella fattispecie, effettuata con sistema “Blackberry”) mediante intercettazione operata ai sensi degli artt. 266 e ss. cod. proc. pen., atteso che le chat, anche se non contestuali, costituiscono un flusso di comunicazioni (Sez. III, c.c. del 10 novembre 2015 (dep. 23 dicembre 2015), n. 50452/2015, Guarnera ed altri, Pres. A. Franco, Est. E. Rosi).

In tema di espulsione dei cittadini stranieri, sempre la Terza Sezione della Corte di Cassazione ha affermato che la sentenza di non luogo a procedere, prevista dal comma 3-quater dell’articolo 13 del d.lgs n. 286 del 1998, non è applicabile in caso di espulsione  disposta a titolo di sanzione sostitutiva o alternativa alla detenzione di cui al successivo articolo 16 (Sez. III, Pres. Franco, Rel. Ramacci, sent. 48948 ud. 4 novembre 2015 UP., dep. 11 dicembre 2015, P.M. Izzo – concl.  conf. -).  

In tema di competenza per connessionee di effetti sulla competenza per territorio, la medesima Sezione ha affermato che, nel caso di reati connessi di pari gravità , qualora risulti impossibile individuare il luogo di consumazione di uno di essi mentre sia certo quello dell’altro, non è consentito  determinare il giudice territorialmente competente facendo ricorso alle regole suppletive stabilite nell’art. 9 cod. proc. pen., ma si deve invece avere riguardo al luogo di consumazione del reato residuo di pari gravità (Sez. III, udienza del 22 settembre 2015 – deposito 17 dicembre 2015 -, n. 49643, PG in proc. F. e e altri, Pres. Squassoni, Est. Grillo).

La stessa Sezione (Sez. III, Presidente A. Fiale, Relatore L. Ramacci, sentenza n. 47039 dell’8 ottobre 2015, depositata il 27 novembre 2015, P.M. F. Marinelli – concl. conf. – ) ha sostenuto, in tema di declaratoria di non punibilità per particolare tenuità del fatto, che:

a) anche la sentenza di non doversi procedere prevista dall’art. 469, comma 1-bis, cod. proc. pen. presuppone che l’imputato e il pubblico ministero non si oppongano alla declaratoria di improcedibilità;

b) ai fini della pronuncia della sentenza di proscioglimento di cui all’art. 469, comma 1-bis, cod. proc. pen., è necessario consentire alla persona offesa di interloquire sulla questione della tenuità del fatto mediante notifica dell’avviso della fissazione dell’udienza in camera di consiglio, con espresso riferimento alla procedura ex art. 469, comma 1-bis, cod. proc. pen.;  

c) il reato permanente non è riconducibile nell’alveo del comportamento abituale ostativo al riconoscimento del beneficio ex art. 131-bis cod. pen., sebbene possa essere oggetto di valutazione con riferimento all'”indice-criterio” della particolare tenuità dell’offesa; 

d) il concorso formale di reati non consente di considerare operante lo sbarramento dell’abitualità del comportamento che impedisce l’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto;

d) la consistenza dell’intervento abusivo costituisce solo uno dei parametri di valutazione ai fini dell’applicabilità dell’art. 131 bis cod. pen. alle violazioni urbanistiche e paesaggistiche.

Sempre nell’ambito della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto  e di annullamento con rinvio per la verifica della sussistenza dell’art. 131 bis cod.pen., i giudici della Sezione Terza hanno precisato che, nel giudizio di rinvio, a seguito dell’annullamento della sentenza impugnata per la verifica della sussistenza dei presupposti per l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, il giudice non può dichiarare l’estinzione del reato per sopravvenuta prescrizione (Sentenza Sez. III, n. 50215/15 dell’8 ottobre 2015, depositata il 22 dicembre 2015, Presidente A. Fiale, relatore V. Di Nicola).

In tema di indagini preliminari edi archiviazione, la Sesta Sezione ha statuito che, in virtù della natura plurioffensiva del delitto di peculato, il privato danneggiato dalla condotta appropriativa del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio riveste la qualità di persona offesa dal reato, legittimata, in quanto tale, a proporre opposizione alla richiesta di archiviazione (Sez. VI, cc 6 ottobre 2015, dep. 25 novembre 2015, Pres. Agrò – Rel. De Amicis).

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a cura di Andrea Penta

Non si riscontrano nel mese di gennaio del nuovo anno pronunce di particolare rilievo della Suprema Corte nel settore penale.

Meritano, peraltro, di essere segnalate due sentenze della Quinta Sezione.

Con la prima, pronunciandosi in tema di termini di durata delle misure interdittive, è stato affermato che la determinazione di tale durata – non superiore nel massimo a dodici mesi, ex art. 308 cod. proc. pen., come novellato dall’art. 10 della legge 16 aprile 2015, n 47 – è rimessa alla valutazione discrezionale del giudice, sul quale grava l’obbligo di motivare in ordine alle ragioni poste a fondamento della durata della cautela applicata, nonché all’adeguatezza di essa in relazione alle esigenze cautelari da salvaguardare (Sezione quinta, Presidente Marasca, Rel. Pezzullo, sent. n. 1325 del 18 novembre 2015, depositata il 14 gennaio 2015).

Con la seconda, la stessa Sezione ha affermato che è irrevocabile la querela presentata per il reato di atti persecutori, quando la condotta sia stata realizzata con minacce gravi (Sezione Quinta Penale, Presidente G. Marasca, Relatore C. Zaza, sentenza n. 2299 del 17 settembre 2015, depositata il 20 gennaio 2016, P.M. P. Filippi – concl. diff. -).

La Terza Sezione ha, invece, affermato l’estremamente importante principio per cui, in sede diappello cautelare, il tribunale, anche in seguito alle modifiche apportate dalla legge n. 17 del 2015, ha il potere di integrare la motivazione del provvedimento impugnato (Sez. III, Pres. Grillo, Rel. Di Nicola, sent. n. 845 del 17 dicembre 2015, dep. 12 gennaio 2016, P.M. Canevelli – concl. conf. -).

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a cura di Luigi Giordano

REATI CONTRO LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE 

Con sentenza n. 50255/2015 – ud. 13 novembre 2015  – dep. 22 dicembre 2015– la sesta sezione della Corte di Cassazione, in tema di delitto di “Indebita percezione di erogazioni in danno dello Stato”, ha affermato che le indennità elargite dalla Regione, tramite il meccanismo del rimborso, in favore dei propri Consiglieri, per le spese di trasporto da questi sostenute per il raggiungimento del luogo di esercizio del mandato, rientrano, ove indebitamente percepite, tra i contributi assoggettati alla previsione di cui all’art. 316 ter cod. pen.

La condotta del pubblico ufficiale o dell’incaricato di un pubblico servizio che utilizzi il telefono di ufficio per fini personali, al di fuori dei casi di urgenza o di specifiche e legittime autorizzazioni, secondo la sesta sezione della Corte, sentenza n. 1327/2016 – ud. 7 luglio 2015 – dep. 14 gennaio 2016, integra il reato di peculato d’uso solo se produce un danno apprezzabile al patrimonio della Pubblica Amministrazione o di terzi, ovvero una lesione concreta alla funzionalità dell’ufficio; deve ritenersi penalmente irrilevante, invece, se non presenta conseguenze economicamente e funzionalmente significative. In particolare, secondo la decisione, <<emerge che negli oltre due anni considerati dall’imputazione il ricorrente ha effettuato soltanto 192 telefonate private, sì che il preteso uso improprio o indebito del cellulare assume concreti contorni di occasionalità o sporadicità (non più di una telefonata privata a settimana). Ciò implica che il preteso danno (corrispondente alle supposte telefonate ‘”abusive”) di soli 350 Euro subito dalla società, rispetto a conti aziendali dell’ordine di milioni di Euro, deve considerarsi in pratica inesistente>>.

REATI CONTRO LA PERSONA 

Con la sentenza n. 4784/2016 – ud. 15 settembre 2015 – dep. 5 febbraio 2016, la quinta sezione penale ha affermato che integra il reato di ingiuria l’impiego dell’espressione: “ci avete rotto i coglioni….chi cazzo siete ..”. In particolare, <<seppure ai giorni nostri i rapporti interpersonali e le relative comunicazioni sono caratterizzati da una dilagante volgarità, di talché non si può certamente pretendere che tutti si comportino da perfetti gentiluomini (“gentiluomo è” – per il Gelli, autore del più diffuso, nei primi decenni del secolo scorso, codice cavalleresco – “colui che, per una raffinata sensibilità morale, si impone la rigida osservanza di speciali norme, che si chiamano leggi cavalleresche”), non di meno esistono limiti, superati i quali la patente scurrilità delle espressioni adoperate e la intenzionale volgarità delle condotte tenute suonano come – implicita, ma inequivocabile – offesa verso il destinatario>>.

Secondo la sentenza della terza sezione n. 5515/2016 – ud. 14 gennaio 2016 – dep. 10 febbraio 2016, integra il reato di violenza sessuale la condotta dell’imputato che, durante la fasi di accertamento tecnico mediante etilometro, palpeggiava il basso gluteo dell’agente di polizia municipale.

REATI TRIBUTARI – SEQUESTRO PER EQUIVALENTE 

Con la sentenza n. 5728/2016 – c.c.  14 gennaio 2016 – dep. 11 febbraio 2016– la terza sezione penale della Corte ha affrontato il tema degli effetti del nuovo art. 12-bis D. Lgs. n. 74 del 2000,ha affermato che, anche in presenza di piano rateale di versamento del debito tributario, la confisca dei beni che costituiscono il profitto o il prezzo di uno dei delitti previsti dal citato decreto legislativo continua ad essere consentita per gli importi che non sono stati ancora corrisposti all’Erario, così continuando ad essere consentito anche il sequestro preventivo a detta confisca finalizzato.

Con sentenza n. 4097/2016 – c.c. 19 gennaio 2016 – dep. 1 febbraio 2016, relativa all’impugnazione di una sentenza di patteggiamento con cui era stata disposta la confisca per equivalente del profitto del reato di cui all’art. 11 d.lgs. n. 74 del 2000, la Suprema Corte ha affermato che la misura può essere imposta, per un valore corrispondente al prezzo o al profitto del reato, su beni di cui il condannato abbia la disponibilità. Con questa espressione si allude tanto ai beni che sono di proprietà della persona colpita, quanto a quelli su cui quest’ultima possa esercitare un potere dispositivo, anche informale e tramite terzi, sicché possa affermarsi che ricadono nella sua sfera di interessi economici. I beni attinti non necessariamente devono essere “individuati” nel provvedimento, ma quanto meno devono essere “individuabili”. Con questa locuzione, comunque, si allude a beni che siano già presenti nella sfera di disponibilità del condannato al momento della statuizione, ancorché la loro compiuta identificazione intervenga solo dopo che il provvedimento è divenuto definitivo, nella fase dell’esecuzione della sanzione. Sono esclusi dall’ablazione, pertanto, i beni che entrano nel patrimonio del reo dopo detto provvedimento, definiti “futuri”. La decisione si pone in linea con Cass. pen., sez. 3, 27 febbraio 2013, n. 23649 (dep. 31 maggio 2013), rv. 256164; Cass. pen., sez. 1, 15 ottobre 2014, n. 5691 (dep. 6 febbraio 2015) ed in consapevole contrasto con un altro orientamento. E’ stato affermato, infatti, che il debito sanzionatorio del condannato non possa essere vanificato dalla momentanea incapienza del debitore. Il perimetro patrimoniale all’interno del quale deve essere soddisfatto è costituito non solo dai beni “già individuati” nella disponibilità dell’imputato, ma anche da <<quelli che in detta disponibilità si rinvengano o comunque entrino successivamente al provvedimento di confisca, fino alla concorrenza dell’importo determinato>>  (Cass. pen., sez. 6, 23 luglio 2015 (dep. 30 luglio 2015), n. 33765, rv. 265012. Nello stesso solco si pongono anche Cass. pen., Sez. 5, 7 maggio 2013, n. 28336 (dep. 28 giugno 2013), rv. 256775 e Cass. pen., sez. 6, 10 giugno 2014, n. 33861 (dep. 30 luglio 2014),rv. 260176).

Con sentenza n. 4631/2016, la terza sezione ha ribadito che il nuovo amministratore di una società risponde del reato di omesso versamento dell’iva anche se il relativo debito tributario è maturato in vigenza dell’incarico assunto da altri. Egli, infatti, è tenuto ad un controllo preventivo prima dell’accettazione della carica, esponendosi, in caso contrario, volontariamente a responsabilità penale.

STUPEFACENTI – COLTIVAZIONE DI PIANTE DA STUPEFACENTI 

Con sentenza n. 2618/2016 – ud. 21 ottobre 2015 – dep. 21 gennaio 2016, la sesta sezione ha affermato che, ai fini della punibilità della coltivazione di piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti, va accertata l’offensività della condotta in concreto, che sussiste quando la pianta ha un’effettiva ed attuale capacità drogante.

DEPENALIZZAZIONE 

Con sentenza nella camera di consiglio del 16 febbraio 2016, la settima sezione ha affermato che il fatto già previsto come reato dall’art. 635, comma secondo, n. 3, cod. pen. (commesso sulle cose indicate al n. 7 dell’art. 625 cod. pen.) conserva rilevanza penale nella vigenza dle nuovo teso dell’art. 635 cod. pen., introdotto dall’art. 2, comma primo, lett. l), del d. lgs. n. 7 del 2016, perché tra il nuovo ed il previgente teste sussiste un nesso di continuità ed omogeneità.

Nella medesima nella camera di consiglio del 16 febbraio 2016, la settima sezione ha affermato che la ricettazione di bene proveniente dal reato presupposto di cui all’art. 647 cod. pen. conserva rilevanza penale anche a seguito dell’abrogazione dell’art. 647 cod. pen. disposta dall’art. 1, comma primo, del d. lgs. n. 7 del 2016.

CAUSE DI ESTINZIONE DEL REATO- SOSPENSIONE CON MESSA ALLA PROVA 

Con la sentenza n. 3963/16 – ud. 6 luglio 2015 – dep. 29 gennaio 2016, la quinta sezione penale, nel respingere la richiesta di applicazione della causa di non punibilità ex art. 131-bis cod. pen. contenuta nella memoria difensiva presentata tardivamente, ha implicitamente escluso che la Corte di cassazione possa rilevare d’ufficio, ai sensi dell’art. 609 comma 2 cod. proc. pen., la sussistenza della particolare tenuità del fatto.

Con la sentenza n. 4171/16- ud. 21 ottobre 2015 –  dep. 2 febbraio 2016, la sesta sesione penale ha affermato che “in tema di sospensione con messa alla prova, nell’ipotesi di richiesta nel corso delle indagini preliminari, non è impugnabile il provvedimento di rigetto del G.I.P.adottato a seguito del dissenso del P.M.”.

La quarta sezione, con sentenza n. 4527/16 – ud. 20 ottobre 2015 – dep. 3 febbraio 2016  ha affermato, in via incidentale, che, in caso di richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato, il giudice è tenuto a verificare la correttezza della qualificazione giuridica attribuita al fatto dall’accusa e può – ove la ritenga non corretta – modificarla, traendone i conseguenti effetti sul piano della ricorrenza o meno dei presupposti dell’istituto in questione.

La quinta sezione, con sentenza n. 5800/2016 – c.c. 2 luglio 2015 – dep. 11 febbraio 2016, dopo aver premesso che l’istituto di cui all’art. 131-biscod. pen. ha natura ibrida, operante come causa di non punibilità ma disciplinato, nelle sue implicazioni in rito, come causa di improcedibilità, ha affermato che il giudizio sulla particolare tenuità, ascrivendo al fatto contestato una qualificazione giuridica, può essere compiuto d’ufficio anche dalla Corte di cassazione – sulla base dell’accertamento in fatto compiuto dal giudice di merito – con annullamento senza rinvio della sentenza impugnata laddove questa consenta di ravvisare “ictu oculi” la sussistenza dei presupposti richiesti dall’art. 131-bis cod. pen.

In tal guisa ragionando, si è posta in non consapevole contrasto con l’altra pronuncia depositata 13 giorni prima.

INDAGINI PRELIMINARI   

La sesta sezione penale, con sentenza n. 6090/2016 – ud. 21 gennaio 2016 – dep. 12 febbraio 2016, pronunciandosi in tema di archiviazione, ha affermato che il decreto di archiviazione emessode plano in violazione del principio del contraddittorio – in ragione dell’omessa valutazione dell’opposizione della persona offesa – deve essere annullato senza rinvio e gli atti devono essere restituiti al Giudice per le indagini preliminari, avente competenza funzionale, e non al Tribunale.

MISURE CAUTELARI 

Con sentenza n. 6304/2016 – ud.6 novembre 2015 – dep. 16 febbraio 2016, la seconda sezione ha affermato che << la decisione degli arresti domiciliari con presidio elettronico consegue ad una compiuta valutazione delle esigenze cautelaci, rileva un principio di diritto, già affermato da questa sezione, che il collegio ritiene perfettamente aderente al caso, secondo cui:“qualora il giudice reputi che il cd. “braccialetto elettronico” sia una modalità di esecuzione degli arresti domiciliaci necessaria ai fini della concedibilità della misura e, tuttavia, tale misura non possa essere concessa per la concreta mancanza di tale strumento di controllo da parte della PG o dell’Amministrazione penitenziaria, non sussiste alcun vulnus ai principi di cui agli artt. 3 e 13 Cost., ne’ alcuna violazione dei diritti della difesa, perché l’impossibilità della concessione degli arresti domiciliari senza controllo elettronico a distanza dipende pur sempre dall’intensità delle esigenze cautelaci e pertanto è ascrivibile alla persona dell’indagato>>.

Sullo stesso tema, la prima sezione, con ordinanza n. 374/2016, ud. 28 gennaio 2016 – dep. 11 febbraio 2016,ha rimesso alle Sezioni Unite  la questione del mancato accoglimento dell’istanza di concessione degli arresti domiciliari in ragione dell’indisponibilità del cd. braccialetto elettronico.  

Con la sentenza n. 52127/15, la seconda sezione della Corte ha affermato che la notifica alla p.o., prevista a pena d’inammissibilità dall’art. 299 cod. proc. pen. debba essere comunque eseguita anche in caso di mancata nomina di un difensore o di mancata elezione di domicilio.

Con la sentenza n. 4961/2016 – ud. 26 gennaio 2016 – dep. 8 febbraio 2016, la Sezione Seconda della Corte di Cassazione ha affermato che il termine per il deposito della motivazione dell’ordinanza del Tribunale del riesame, emessa ai sensi degli artt. 309 e 310 cod.proc.pen. così come novellati dalla legge del 16 aprile 2015 n.47, decorre dalla data della deliberazione in camera di consiglio attestata nel dispositivo, e non dalla eventuale diversa data del deposito in cancelleria del dispositivo medesimo  .

Con la sentenza n. 5774/2016 – c.c.  14 ottobre 2015 – dep. 11 febbraio2016  la prima sezione penale della Corte ha affermato che, in tema di riesame di misure cautelari personali, la disciplina di cui all’art. 309, comma 10, cod. proc. pen., come modificata dall’art. 11, comma 5, della legge n. 47 del 2015, è applicabile alle decisioni emesse – mediante il deposito del dispositivo – solo dal momento della entrata in vigore della legge medesima.

GIUDIZIO – APPELLO 

Con ordinanza n. 2259/2016 – ud. 26 novembre 2015 – dep. 21 gennaio 2016 – la seconda sezione ha rimesso alle Sezioni unite la seguente questione: “Se, nel giudizio di cassazione, sia rilevabile d’ufficio la violazione dell’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo nel caso in cui la sentenza di appello impugnata abbia riformato quella assolutoria di primo grado sulla base di una diversa valutazione dell’attendibilità dei testimoni, senza procedere alla rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale funzionale ad un nuovo esame testimoniale”.

PROVE 

Con sentenza n. 5550/2016 – ud. 25 novembre 2015 – dep. 10 febbraio 2016, la quinta sezione della Corte di Cassazione ha ribadito che gli artt. 244 e 247 cod. proc. pen., relativi alle ispezioni e alleperquisizioni, impongono l’adozione di “misure tecniche atte ad assicurare la conservazione dei dati originali e ad impedirnel’alterazione” quando ricadono su “materiale informatico”. IL pedinamento tramite GPS, invece, <<nulla ha a che fare con gli istituti sopra ricordati (ispezioni e perquisizioni), meno che mai con l’attività di intercettazione. Si tratta di una ordinaria attività di polizia giudiziaria, posta in essere con l’ausilio di strumenti tecnici e accompagnata, nel caso in scrutinio, da attività di intercettazione ambientale. Essa non è regolata da norme cogenti in riferimento ai dati raccolti. I suoi risultati, per altro, sono veicolati nella istruttoria dibattimentale attraverso le dichiarazioni di chi ha effettuato e/o coordinato l’operazione di “pedinamento”. Si tratta, pertanto, di un problema di attendibilità, non certo di utilizzabilità, né doveva essere attivata la procedura ex art. 360 cpp. >>.

MISURE DI PREVENZIONE 

Nella camera di consiglio del 12 gennaio 2016, la sesta sezione della Corte, in tema di misure di prevenzione patrimoniali nei confronti di soggetti portatori di pericolosità cd. generica, ha affermato che il giudice possa disporre la confisca di beni il cui acquisito è giustificato dal proposto adducendo proventi da evasione fiscale.

GIOCHI D’AZZARDO 

In tema di raccolta non autorizzata di scommesse, la Terza sezione penale ha affermato che la procedura di regolarizzazione dei centri non autorizzati di raccolta di scommesse in Italia per conto di bookmaker stranieri, introdotta dalla legge 23 dicembre 2014, n. 190 e prorogata dalla legge 28 dicembre 2015, n. 208, non si pone in contrasto con le libertà di stabilimento e di prestazione di servizi sancite dagli artt. 49 e 56 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (Sent.n. 6709/16 del 19 gennaio 2016 – deposito del del 19 febbraio 2016; Sezione terza, Presidente S. Amoresano – Estensore A. Scarcella.

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a cura di Luigi Giordano

REATI CONTRO L’AMMINISTRAZIONE DELLA GIUSTIZIA

La Sesta Sezione penale, con sentenza n.  8045/16  – ud. 27 gennaio 2016 – dep.  26 febbraio  2016, confermando il principio secondo cui la falsa denuncia di smarrimento di assegni bancari, presentata da un soggetto dopo averli consegnati ad altra persona in pagamento di un’obbligazione, integra il delitto di calunnia anche quando preceda la negoziazione dei titoli, ha precisato che, sebbene in caso di falsa denuncia di smarrimento non venga formulata direttamente una accusa concernente uno specifico reato, tuttavia, la calunnia deve ritenersi configurabile in quanto, trattandosi di reato di pericolo, è sufficiente che i fatti falsamente rappresentati all’Autorità Giudiziaria, pur se non univocamente indicativi di una fattispecie specifica di reato, siano tali da rendere ragionevolmente prevedibile l’apertura di un procedimento penale, per un fatto procedibile d’ufficio, a carico di una persona determinata. La pronuncia è successiva all’abrogazione dell’art. 647 cod. pen. ad opera del d. lgs. n. 7 del 15 gennaio 2016.

REATI EDILIZI

La Corte di cassazione, con la sentenza n. 9949 del 10 marzo 2016, ha ribadito la natura amministrativa della demolizione, sanzione accessoria oggettivamente amministrativa, sebbene soggettivamente giurisdizionale, esplicazione di un potere autonomo e non alternativo al quello dell’autorità amministrativa, con il quale può essere coordinato nella fase di esecuzione. Ne consegue che coerentemente deve essere negata l’estinzione della sanzione per il decorso del tempo, ai sensi dell’art. 173 cod. pen., in quanto tale norma si riferisce alle sole pene principali, e comunque non alle sanzioni amministrative. L’ordine di demolizione, più precisamente, integra una sanzione ‘ripristinatoria’, che configura un obbligo di fare, imposto per ragioni di tutela del territorio.

REATI SOCIETARI

La Quinta Sezione penale della Corte di Cassazione, in data 2 marzo 2016, con provvedimento n. 676, ha rimesso alle Sezioni Unite la seguente questione:“Se la modifica dell’art. 2621 cod. civ. per effetto dell’art. 9 della legge n. 69 del 2015, nella parte in cui, disciplinando le false comunicazioni sociali, non ha riportato l’inciso “ancorché oggetto di valutazioni”, abbia determinato o meno un effetto parzialmente abrogativo della fattispecie”.

REATI LEGGE GIUOCO E SCOMMESSE

Con sentenza n. 6709 del 19 gennaio 2016 – depositato il 19 febbraio 2016, la Terza Sezione ha affermato che la procedura di regolarizzazione dei centri non autorizzati di raccolta di scommesse in Italia per conto di bookmaker stranieri, introdotta dalla legge 23 dicembre 2014, n. 190 e prorogata dalla legge 28 dicembre 2015, n. 208, non si pone in contrasto con le libertà di stabilimento e di prestazione di servizi sancite dagli artt. 49 e 56 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea.

SEQUESTRO e CONFISCA

La Prima Sezione della Corte di cassazione, con sentenza n. 8317 del 14/1/2016, dep. il 1/3/2016, Presidente M.C. Siotto, Relatore R. Magi in tema di confisca ex art. 12sexiesdella legge n. 356 del 1992 di beni di proprietà di terzi formalmente intestatari, ha sollevato questione di legittimità costituzionale – con riferimento agli artt. 3, 24, 42, 111 e 117 Cost. – degli artt. 573, 579, comma 3, e 593 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevedono, in favore dei terzi incisi nel diritto di proprietà per effetto della sentenza di primo grado, la facoltà di proporre appello sul solo capo contenente la statuizione di confisca.

La Terza Sezione Penale, con sentenza n. 9229 depositata il 7 marzo 2016, ha affermato che il trasferimento dei beni a una società fiduciaria, di per sé, non impedisce l’adozione di un sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente. Anche l’interposizione reale, che si realizza pure per mezzo di un negozio fiduciario come il trust, una volta provata, può rientrare fra i casi in cui è ammessa la confisca. Il giudice deve verificare con attenzione eventuali cointeressenze del “guardiano”, il contenuto del negozio giuridico (a cominciare dalla natura onerosa o gratuita), gli effettivi poteri del trustee e, in definitiva, tutti gli eventuali vizi originari del trust tali da vanificare la segregazione patrimoniale che è propria dell’istituto. “Il semplice utilizzo di un lecito istituto giuridico non è sufficiente ad eludere la rigida normativa prevista nel diritto penale a presidio di norme inderogabili di diritto pubblico”.

PRESCRIZIONE

Con sentenza n. 7914 del 25/1/2016, dep. il 26/2/2016Presidente F.M. Ciampi, Relatore G. Pavich, la Quarta Sezione della Corte di cassazione, decidendo su questione riferita ad una pluralità di condotte di dichiarazione fraudolenta ex art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000, contestate in continuazione, ha stabilito che i principi affermati dalla sentenza CGUE, Grande sezione, Taricco, del 8 settembre 2015, con possibilità di disapplicazione della disciplina sulla prescrizione se idonea a pregiudicare gli obblighi imposti a tutela degli interessi finanziari dell’Unione europea, non si applicano ai fatti già prescritti alla data di pubblicazione di tale pronuncia.

DEPENALIZZAZIONE

Con sentenza del 8 marzo 2016, emessa nel procedimento n. 54481, la Seconda Sezione della Corte di Cassazione ha affermato che, essendovi condanna al risarcimento del danno, il giudice dell’impugnazione nel dichiarare l’estinzione del reato perché il fatto non è previsto dalla legge come reato deve pronunciarsi sulle statuizioni civili nonostante che il decreto legislativo n. 7 del 2016, a differenza di quello n. 8 del 2016, non lo prevede espressamente.

MISURE DI PREVENZIONE

Con sentenza n. del la Corte ha affermato che la confiscabilità dei beni (ai sensi dell’art. 2-ter della legge n. 575 del 1965 (contenente disposizioni contro la mafia) è in stretto rapporto di derivazione dalla pericolosità del soggetto, non solo nel senso che quest’ultima è presupposto della prima, ma anche nel senso non può disporsi confisca di quei beni che non siano stati acquistati nel periodo temporale in cui la condotta del proposto non si è connotata come espressiva di pericolosità sociale. Da ciò consegue che, con riferimento alla c.d. pericolosità qualificata, il giudice deve accertare se questa investa l’intero percorso esistenziale del proposto o se sia invece individuabile un momento iniziale ed un termine finale della pericolosità sociale, al fine di stabilire se siano suscettibili di ablazione tutti i beni riconducibili al proposto ovvero soltanto quelli ricadenti nel periodo temporale individuato. L’affermazione di un diverso ed imprescindibile nesso pertinenziale e temporale tra misura e pericolosità sarebbe infatti incompatibile con i principi affermati in Costituzione quanto alla libera iniziativa economica ed alla proprietà privata (artt. 41 e 42 Cost.) ed i principi convenzionali (art. 1, Protocollo 1, CEDU).

COMPETENZA

La terza sezione penale, con sentenza n. 9950 del 21 gennaio 2016, depositata il 10 marzo 2016 – pronunciandosi in tema di competenza territoriale, a seguito delle disposizioni introdotte con i decreti legislativi n. 155 e 156 del 2012, in materia di revisione delle circoscrizioni giudiziarie, ha affermato che, ai fini dell’applicabilità dell’art. 9, commi 2 bis e 2 ter d. lgs n. 155 del 2012, come modificato dall’art. 8, comma 1, d.lgs n. 14 del 2014 – per il quale i procedimenti penali si considerano pendenti dal momento in cui la notizia di reato è acquisita o è pervenuta agli uffici del P.M. entro il 13 settembre 2013, data di efficacia del d.lgs n. 155 del 2012 – la   nuova notizia di reato rispetto al procedimento iscritto prima del 2013, legittimante una nuova iscrizione, non deve avere alcun collegamento con l’ipotesi investigativa iniziale; di conseguenza non costituisce nuova notizia, con obbligo di iscrizione di un autonomo procedimento penale, la realizzazione del fatto oggetto della iscrizione originaria ad opera di diversi soggetti rispetto a quelli inizialmente iscritti, situazione che comporta solo l’obbligo del P.M. di aggiornare le relative iscrizioni. Nella fattispecie, la S.C. ha ritenuto che  il fatto oggetto della notizia di reato, relativo ad un procedimento iscritto nel 2011 – costituito dalla realizzazione di infrastrutture militari, Mobile User Objective System (c.d. MUOS), che si assumono eseguite in zona sottoposta a vincolo paesaggistico e, pertanto, ritenute abusive – era rimasto identico, a prescindere dalla circostanza che ulteriori soggetti, pur con condotte successive alla data del 13.9.2013 e indipendenti, potessero avere contribuito alla realizzazione del fatto così come all’atto della originaria iscrizione delineato.

MEZZI DI RICERCA DELLA PROVA – INTERCETTAZIONI

Con provvedimento del 10 marzo 2016, la Sesta Sezione della Corte ha rimesso alle Sezione Unite la questione relativa alla necessità di individuazione dei luoghi nel provvedimento che autorizza il compimento di intercettazioni per mezzo di virus informatico autoinstallante (cd. trojan) attivato su apparecchio elettronico portatile. Questa decisione interviene dopo Cass. pen., sez. VI, sent., 11 maggio 2015 n. 27100 (dep. 26 giugno 2015),secondo cuiil decreto che autorizza intercettazioni per mezzo di “captatore informatico” deve individuare con precisione, a pena di inutilizzabilità, i luoghi nei quali può essere compiuto l’ascolto delle conversazioni tra presenti. Le videoregistrazioni di condotte “non comunicative” eseguite nel medesimo modo non sono utilizzabili, se realizzate in luoghi qualificabili come domicilio ai sensi dell’art. 14 Cost.; se compiute in ambienti in cui è tutelata la riservatezza, sono inutilizzabili in mancanza di un preventivo provvedimento autorizzativo dell’Autorità giudiziari”.

MISURE CAUTELARI

La Corte di Cassazione, Sesta Sezione Penale, con la sentenza n. 6864 del 9 febbraio 2016, depositata il 22 febbraio 2016, ha affermato che la richiesta di revoca o di sostituzione di misura cautelare (nel caso di specie, il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalle persone offese), non presentata nel corso dell’udienza, deve essere notificata a pena di inammissibilità presso il difensore della persona offesa o, in mancanza di questo, alla persona offesa anche qualora si tratti di procedimento di atti persecutori, perché tale fattispecie incriminatrice, come quella di maltrattamenti in famiglia, deve essere ritenuta inclusa tra quelle caratterizzate da violenza alla persona. 

Con sentenza n. 54871 del 3 marzo 2016, la Sesta Sezione penale della Corte ha affermato che il provvedimento che nega il differimento della data dell’udienza richiesti ai sensi dell’art. 309, comma 9-bis, cod. proc. pen. può essere impugnato nei limiti della mancanza della motivazione ai sensi dell’art. 125, comma 3, cod. proc. pen.

ARCHIVIAZIONE

Con sentenza n. 10959 del 29 gennaio 2016 – deposito del 16 marzo 2016, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno affermato che la disposizione di cui all’art. 408, comma 3 bis, cod. proc. pen., che stabilisce l’obbligo di dare avviso alla persona offesa della richiesta di archiviazione per i delitti commessi con violenza alla persona, è riferibile anche ai reati di atti persecutori e di maltrattamenti in famiglia previsti rispettivamente dagli artt. 612 bis e 572 cod. pen. perché l’espressione violenza alla persona deve essere intesa alla luce del concetto di violenza di genere, quale risulta dalle pertinenti disposizioni di diritto internazionale recepite e di diritto comunitario.

PROCEDIMENTO PER DECRETO

Con sentenza del 2 dicembre 2015, nel procedimento n. 18109, la Sesta sezione ha affrontato una questione, ricorrente nella pratica, relativa al rigetto della richiesta di decreto penale di condanna da parte del gip sul presupposto che non possa procedersi a conversione della pena detentiva per la prevedibile inadempienza dell’imputato al pagamento della pena pecuniaria. La Corte ha escluso che il provvedimento di rigetto possa essere qualificato come abnorme perché, in caso di richiesta di decreto penale, spettano al gip tutti gli ordinari poteri di valutazione della correttezza formale e sostanziale della pena proposta, ivi comprese le valutazioni sulla richiesta di sostituzione. L’abnormità, invece, ricorre nel diverso caso in cui il gip rigetti la richiesta di decreto penale ritenendo non opportuna la scelta del rito, così attribuendosi poteri del pubblico ministero.

IMPUGNAZIONE

La Quinta sezione della Corte di cassazione, con sentenza n. 7264 del 15 dicembre 2015, depositata il 24 febbraio 2016,  ha affermato che sussiste l’interesse della parte civile ad impugnare, deducendo il vizio di incompetenza per materia, la sentenza dichiarativa di non doversi procedere per la particolare tenuità del fatto, emessa dal giudice di pace (dopo l’apertura del dibattimento, ma prima di procedere all’istruttoria), attribuendo erroneamente al fatto una qualificazione giuridica rientrante nella propria competenza (nella specie, ingiurie in luogo di diffamazione aggravata).

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a cura di Luigi Giordano

RAPPORTO DI CAUSALITA’

Con sentenza n. 12478 del 19/11/2015, depositata il 24 marzo 2016, la Quarta sezione penale della Corte di Cassazione, pronunciandosi in merito alla  responsabilità dei componenti della Commissione Nazionale per la Previsione e la Prevenzione dei Grandi Rischi per i decessi e le lesioni conseguite al terremoto verificatosi in L’Aquila, il 6 aprile 2009, confermando la sentenza di appello, ha, tra l’altro, affermato la configurabilità, anche nell’ambito dei reati colposi, della c.d. “causalità psichica”, da ricostruirsi sulla base di consolidate e riscontrabili massime di esperienza, cui deve necessariamente far seguito il rigoroso e puntuale riscontro critico fornito dalle evidenze probatorie e dalle contingenze del caso concreto. (Nella specie la Corte ha riconosciuto un nesso di derivazione causale tra le informazioni, imprecise e contraddittorie, sulla pericolosità e sui futuri sviluppi dell’attività sismica fornite da uno degli imputati alla cittadinanza e la decisione di alcune delle vittime di rimanere in casa nonostante il protrarsi delle scosse sismiche).

NON PUNIBILITÀ PER PARTICOLARE TENUITÀ DEL FATTO

Le Sezioni Unite Penali della Corte di cassazione, enunciando numerosi principi di diritto relativi alla causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’art. 131-bis cod. pen., con sentenza del 25 febbraio 2016 (dep. 6 aprile 2016), n. 13681, Tushaj, hanno affermato che detta causa di non punibilità è compatibile con il reato di guida in stato di ebbrezza, caratterizzato dalla presenza di soglie di punibilità all’interno della fattispecie tipica, rapportate ai valori di tassi alcolemici accertati.

Con sentenza depositata sempre il 6 aprile 2016, n. 13682, Coccimiglio, le Sezioni Unite Penali della Corte di cassazione hanno affermato che la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, di cui all’art. 131-bis cod. pen., è compatibile con il reato di rifiuto di sottoporsi all’accertamento alcoolimetrico, previsto dall’art. 186, comma 7, cod. strada.

PRESCRIZIONE

La Seconda Sezione, con sentenza del 11 febbraio 2016, n. 15107, depositata il 12 aprile 2016, Esposito e altri, ha affermato che, poiché ai sensi dell’art. 7, comma secondo, della CEDU il principio di irretroattività della legge incriminatrice non si applica ai crimini contro l’umanità che offendono interessi transazionali, il delitto di strage non soggiace alla regola della applicazione della norma più favorevole sulla prescrizione in caso di successione di norme del tempo; con la conseguenza che, avuto riguardo alla attuale disciplina dettata dall’art. 157 cod. pen. in tema di reati punti con la pena astratta dell’ergastolo, la regola della imprescrittibilità va applicata anche ai fatti di strage commessi anteriormente la modifica intervenuta con la legge 5 dicembre 2005, n. 251.

La Corte di cassazione, con sentenza Sez. II,  18 febbraio 2016 (dep. 5 aprile 2016), n. 13463, Giofré, ha affermato che la contestata recidiva reiterata  incide sul calcolo del tempo necessario a prescrivere ex art. 157, comma 2, cod. pen., quale circostanza aggravante ad effetto speciale, e sull’entità della proroga di detto tempo, in presenza di atti interuttivi, ex art. 161, comma 2, cod. pen.

In data 31 marzo 2016, nel procedimento n. 42678/2015, la Terza sezione ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 della legge n. 130 del 2008, che ordina l’esecuzione del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, nella parte che impone di applicare l’art. 325, par. 1 e 2, TFUE dalla quale, nell’interpretazione fornita dalla Corte di Giustizia 8/9/2015, causa C. 105/14, Taricco, discende l’obbligo del giudice nazionale di disapplicare l’art. 160, comma 2, cod. pen., in presenza delle circostanze indicate nella sentenza, allorquando ne derivi la sistematica impunità delle gravi frodi in materia di IVA, anche se dalla disapplicazione e dal conseguente prolungamento del termine di prescrizione discendano effetti sfavorevoli per l’imputato.

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con sentenza n. 12602 del 17/12/2015 (dep. il 25 marzo 2016), Est. N. Milo, risolvendo un contrasto insorto tra le Sezioni semplici, hanno affermato i seguenti principi di diritto:

– l’inammissibilità del ricorso per cassazione preclude la possibilità di rilevare d’ufficio la prescrizione del reato maturata prima della sentenza di appello, ma non rilevata né eccepita in quella sede o nei motivi di ricorso;

– è ammissibile il ricorso per cassazione con il quale si deduce, anche con un unico motivo, l’intervenuta prescrizione del reato maturata prima della sentenza impugnata ed erroneamente non dichiarata dal giudice di merito, integrando tale doglianza un motivo consentito ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen.

ORDINANZA DI SOSPENSIONE CON MESSA ALLA PROVA

La terza Sezione penale, con sentenza  n.  14750 del 20 gennaio 2016, depositata il 11 aprile 2016,  ha affermato che l’ordinanza di sospensione del procedimento con messa alla prova, di cui all’art. 464 quater cod. proc. pen., non determina l’incompatibilità del giudice nel giudizio che prosegua con le forme ordinarie nei confronti di eventuali coimputati, trattandosi di decisione adottata nella medesima fase processuale che non implica una valutazione sul merito dell’accusa ma esclusivamente una delibazione sull’inesistenza di cause di proscioglimento immediato ex art. 129 cod. proc. pen. nonché una verifica dell’idoneità del programma di trattamento e una prognosi favorevole di non recidiva.

REATI CONTRO LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

La Sesta Sezione, con sentenza del 10 marzo 2016, dep. 31 marzo 2016, n. 13038/2016, Bertin, ha affermato che la condotta del pubblico ufficiale o dell’incaricato di un pubblico servizio che utilizza reiteratamente l’autovettura di servizio per finalità attinenti alla vita privata configura il reato di cui all’art. 314, comma primo, cod. pen. in quanto realizza una condotta appropriativa di un bene della pubblica amministrazione per la cui integrazione   è sufficiente l’esercizio da parte dell’agente di un potere uti dominus  tale da sottrarre il bene alla disponibilità dell’ente.

REATI CONTRO L’INVIOLABILITA’ DEL DOMICILIO

La Quinta Sezione, con sentenza del 28 ottobre 2015, dep. 31 marzo 2016, n. 13057, Bastoni, ha affermato che l’accesso abusivo all’altrui casella di posta elettronica configura il  reato di cui all’art. 615-tercod. pen. , perché la casella di posta elettronica è una spazio di memoria, protetto da una password personalizzata,  di un sistema informatico destinato alla memorizzazione di messaggi, o di informazioni di altra natura,  nell’esclusiva disponibilità del suo titolare,  identificato da un account registrato presso il provider del servizio.

REATI CONTRO LA PERSONA

La Terza Sezione, con sentenza n. 11675, 18 febbraio 2016, dep. 21 marzo 2016, , Mengoni, ha stabilito, in tema di offerta o cessione ad altri di materiale pornografico realizzato utilizzando minori di anni diciotto, di cui all’art. 600-ter, comma quarto, cod. pen., che, per l’integrazione del reato, è necessario che il produttore del materiale oggetto di cessione od offerta sia soggetto diverso dal minore raffigurato.

REATI EDILIZI

Le Sezioni Unite, con sentenza del 31 marzo 2016, Cavallo, n. 19763, ha affermato che la sospensione del processo, prevista nel caso di presentazione della istanza di “accertamento di conformità” ex art. 36 d.P.R. n. 380 del 2001 (già art. 13 legge n. 47 del 1985), deve essere considerata ai fini del computo dei termini di prescrizione del reato edilizio; inoltre, in caso di sospensione del processo disposta su richiesta dell’imputato o del suo difensore oltre il termine previsto per la formazione del silenzio-rifiuto ex art. 36 d.P.R.cit., opera la sospensione del corso della prescrizione a norma dell’art. 159, primo comma, n. 3, cod. pen.

DIFENSORE

Con sentenza n. 12603 del 24 novembre 2015, dep. il 25 marzo 2016, le Sez. Un. hanno affermato che il difensore, di fiducia o d’ufficio, dell’indagato o imputato, non munito di procura speciale non può effettuare una valida rinuncia, totale o parziale, all’impugnazione, anche se da lui proposta, a meno che il rappresentato sia presente alla dichiarazione di rinuncia fatta in udienza e non vi si opponga.

IMPUTATO – DICHIARAZIONI ACCUSATORIE RESE NEL CORSO DELLE INDAGINI PRELIMINARI ALLA POLIZIA GIUDIZIARIA NEI CONFRONTI DI IMPUTATI DI REATO CONNESSO

La Corte di Cassazione, con sentenza Sez. I, 22 dicembre 2015 (dep. 16 marzo 2016), n. 11165, ha affermato che le dichiarazioni accusatorie rese nel corso delle indagini preliminari alla polizia giudiziaria dall’indagato che abbia ricevuto solo gli avvisi previsti dall’art. 64, comma terzo, lett. b) e c) cod. proc. pen. e non  quello di cui alla lettera a) della stessa disposizione, sono utilizzabili nei confronti dei soggetti indagati di reato connesso ma non anche nei riguardi del dichiarante.

MISURE CAUTELARI – PERSONALI – IMPUGNAZIONI – RIESAME – PROCEDIMENTO

La Corte di Cassazione, con sentenza Sez. VI, 3 marzo  2016 (dep. 24 marzo  2016), n. 12556, ha affermato che in caso di richiesta dell’imputato di differimento dell’udienza di riesame per “giustificati motivi”, ai sensi dell’art. 309, comma 9 bis, cod. proc. pen., il Tribunale non ha un potere di apprezzamento della qualità delle ragioni addotte che vada oltre la verifica della sussistenza dei motivi, dovendosi limitare ad accertare se questi siano indicati, se  siano attinenti ad esigenze di difesa sostanziale e che non siano meramente pretestuosi.

La Sesta Sezione, con sentenza del 3 marzo 2016 (dep. 31 marzo 2016), n. 13049, ha affermato che la decisione con la quale il tribunale del riesame rigetta l’istanza di differimento  della data dell’udienza presentata ai sensi dell’art. 309 comma 9 – bis cod. proc. pen. non è impugnabile, fatta eccezione per le ipotesi in cui la stessa sia nulla per carenza di motivazione  ovvero presenti una motivazione solo apparente.

La Seconda Sezione, con sentenza del 3 febbraio  2016 (dep. 23 marzo  2016), n. 12325, Rel. S. Recchione, ha affermato che l’istanza di revoca della custodia cautelare in carcere presentata nell’interesse del detenuto nel corso dell’udienza preliminare non deve essere notificata alla persona offesa, assente in udienza, che non abbia nominato un difensore o eletto domicilio, fermo il diritto dell’offeso di ricevere avviso della revoca o della sostituzione della misura.

MISURE CAUTELARI – REALI – SEQUESTRO

Le Sezioni unite della Corte di cassazione, con sentenza n. 15453 del 29 gennaio 2016, dep. 13 aprile 2016, Giudici, hanno stabilito che, in caso di sequestro preventivo disposto di iniziativa della polizia giudiziaria ai sensi dell’art. 321biscod. proc. pen., non sussiste obbligo di dare avviso all’indagato presente al compimento dell’atto della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia ex art. 114 disp. att. cod. proc. pen.

RESPONSABILITÀ DA REATO DEGLI ENTI.

In tema di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, la Sesta Sezione, con sentenza del 12/02/2016, n. 11442 – deposito del 17 marzo 2016 – ha affermato che:

– deve escludersi la illegittimità costituzionale degli artt. da 28 a 33 del d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, che prevedono, in caso di trasformazione o fusione dell’ente, la responsabilità del nuovo soggetto per i reati commessi anteriormente, per violazione l’art. 76 Cost. nonché dell’art. 29 dello stesso decreto per violazione degli artt. 3, 27 e 117 Cost. in relazione all’art. 7 Cedu.

– anche in relazione agli illeciti di cui al d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, il principio del né bis in idem internazionale non costituisce principio o consuetudine di diritto internazionale ma deve trovare la sua fonte  esclusivamente in un obbligo pattizio.

 – qualora il reato presupposto dell’illecito amministrativo sia quello di corruzione, ai fini del calcolo della prescrizione, il momento consumativo si deve individuare nei versamenti effettuati in adempimento degli accordi corruttivi.

di Andrea Penta

Quattro importanti pronunce sono state adottate dalle Sezioni Unite penali della Corte di cassazione nel corso del mese di maggio.

Con la prima (Cass., Sez. un. Pres. Canzio, Rel. Vessichelli, sentenza n. 18954, 31 marzo 2016 Cc., dep. 6 maggio 2016, P.M. Angelillis – concl. conf. -), in tema di riesame avverso provvedimenti di sequestro, hanno affermato i seguenti principi di diritto:

•   il rinvio dell’art. 324, comma 7, ai commi 9 e 9-bis dell’art. 309 cod. proc. pen. comporta, per un verso, l’applicazione integrale della disposizione di cui al comma 9-bis e, per altro verso, la applicazione della disposizione del comma 9 in quanto compatibile con la struttura e la funzione del provvedimento applicativo della misura cautelare reale e del sequestro probatorio, nel senso che il tribunale del riesame annulla il provvedimento impugnato se la motivazione manca o non contiene la autonoma valutazione degli elementi che ne costituiscono il necessario fondamento, nonché degli elementi forniti dalla difesa;

•   il rinvio dell’art. 324, comma 7, al comma 10 dell’art. 309 cod. proc. pen. deve intendersi invece riferito alla formulazione codicistica originaria di quest’ultima norma.

Con la seconda (SS.UU. n. 15427 del 31 marzo 2016 – dep. 13 aprile 2016, imp. Cavallo – Pres. Canzio, Est. Ramacci – ), risolvendo un contrasto interpretativo insorto sulla applicabilità , anche alla disciplina della sanatoria di cui agli artt. 36 e 45 d.P.R. n. 380/2001 (già, artt. 13 e 22 legge n. 47/85), di effetti sulla prescrizione analoghi a quelli conseguenti dalla sospensione del processo che si determinano in caso di “condono edilizio”, hanno affermato che:

a) “Il periodo di sospensione del processo, previsto nel caso di presentazione di istanza di “accertamento di conformità”, ex art. 36 d.P.R. n. 380 del 2001 (già art. 13 della legge n. 47 del 1985, deve essere considerato ai fini del computo dei termini di prescrizione del reato edilizio”;

b) “In caso di sospensione del processo disposta su richiesta dell’imputato o del suo difensore oltre il termine previsto per la formazione del silenzio-rifiuto ex art. 36 d.P.R. n. 380 del 2001, opera la sospensione del corso della prescrizione a norma dell’art. 159, comma 1, n. 3, cod. pen.”.

Con la terza (Cass., Sez. un. Pres. Canzio, Rel. Bruno, sentenza n. 18953, 25 febbraio 2016 Cc., dep. 6 maggio 2016, P.M. Romano – concl. diff. -), in tema di accordo sulla pena raggiunto con riferimento a reato già prescritto, hanno affermato il seguente principio di diritto:

ai fini del valido esercizio del diritto di rinuncia alla prescrizione è necessaria la forma espressa, che non ammette equipollenti, sicché la richiesta di applicazione della pena da parte dell’imputato, o il consenso prestato alla proposta del pubblico ministero, non possono di per sé valere come rinuncia.

Con l’ultima, la più attesa (Sentenza n. 19756/16, Ud. 24 settembre 2015, Dep. 12 maggio 2016, Presidente G. Santacroce, Relatore M. Vecchio), hanno affermato, in tema di prescrizione di reato punibile con l’ergastolo, il seguente principio di diritto: il delitto punibile in astratto con la pena dell’ergastolo, commesso prima della modifica dell’art. 157 cod. pen., per effetto della legge 5 dicembre 2005, n. 251, è imprescrittibile, pur in presenza del riconoscimento di circostanza attenuante dalla quale derivi l’applicazione di pena detentiva temporanea.  

In tema di reati contro l’ordine pubblico e, più precisamente, in materia di reato di omessa comunicazione delle variazioni patrimoniali, previsto dagli artt. 30 e 31 legge 13 settembre 1982 n 646, la Corte di Cassazione (Sentenza n. 17691, del 14 aprile 2016, dep. il 28 aprile 2016, Pres. C. Citterio, Rel. A. Capozzi) ha statuito che non rientrano nella nozione di “variazione patrimoniale” le somme  costituenti rendite provenienti da beni già di proprietà del condannato e rispetto alle quali lo stesso non ha impiegato fonti patrimoniali (nella specie importi relativi a canoni di affitto di terreni già di proprietà del ricorrente).

Particolarmente prolifica è stata la Seconda Sezione.

In tema di recidiva, (Cass., Sez. II,  Pres. Gentile, Rel. Pardo, sentenza n. 20205, 26 aprile 2016 Up., dep. 16 maggio 2016, P.M. Spinaci – concl. diff. -) ha sostenuto che, anche dopo la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 99, comma 5, cod. proc. pen., nella parte in cui prevedeva l’obbligatorietà dell’aumento sanzionatorio per i delitti ivi indicati, tale aumento deve ritenersi legittimo anche se disposto prima della declaratoria di incostituzionalità, qualora sia stato adeguatamente motivato in base alla gravità della condotta e alla negativa personalità dell’imputato.

La stessa Sezione (Sezione Seconda Penale, Presidente M. Gentile, Relatore S. Beltrani, sentenza n. 15695 dell’8 gennaio 2016, depositata il 14 aprile 2016, P.G. S. Tocci  – Diff. -) ha precisato che, ai fini della decorrenza del termine di “dieci giorni dalla ricezione degli atti” entro il quale, ai sensi dell’art. 311, comma 5-biscod. proc. pen., introdotto dall’art. 13 della l. n. 47 del 2015, il giudice del rinvio è tenuto a decidere, nel caso sia stata annullata con rinvio, su ricorso dell’imputato, un’ordinanza che ha disposto o confermato la misura coercitiva ai sensi dell’art. 309, comma 9, cod. proc. pen., non è sufficiente la mera ricezione della sentenza rescindente, ma occorre anche la ricezione degli atti presentati a norma dell’art. 291, comma 1, cod. proc. pen., nonché di tutti gli elementi eventualmente sopravvenuti in favore della persona sottoposta alle indagini. 

In tema di impugnazioni, ha affermato che è inammissibile, per sopravvenuta carenza di interesse, il ricorso per cassazione proposto dalla parte civile avverso una sentenza di assoluzione dal reato di danneggiamento “semplice”, trasformato dal d.lgs. 16 gennaio 2016, n. 7 in illecito civile (Cass., Sez. II,  Pres. Fiandanese, Rel. Pardo, sentenza n. 20206, 27 aprile 2016 Up., dep. 16 maggio 2016, P.M. Fraticelli – concl. diff. -).

Infine, decidendo in materia di autorizzazione ad assentarsi dal luogo degli arresti domiciliariaisensi dell’art. 284, comma 3, cod. proc. pen., ha affermato (Sentenza n. 16964 del 30/3/2016, dep. il 22/3/2016, Presidente  A. Prestipino, Rel. L. Agostinacchio) che la nozione di “indispensabili esigenze di vita” deve essere intesa non in senso meramente materiale o economico, bensì tenendo conto della necessità di tutelare i diritti inviolabili della persona individuati dall’art. 2 Cost. (Fattispecie in cui la S.C. ha annullato l’ordinanza del riesame che aveva rigettato la richiesta di un padre, finalizzata a garantire il rapporto genitoriale, di poter incontrare la figlia minore fuori dal domicilio di restrizione, nei tempi prescritti nel provvedimento di separazione legale).

Nel solco delle numerose decisioni che si sono pronunciate sul tema, la Quinta Sezione ha affermato che la sussistenza della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto ex art. 131 biscod. pen. può essere pronunciata anche con sentenza di non luogo a procedere ai sensi dell’art. 425 cod. proc. pen. (Sez. 5, n. 21409 del 12/2/2016, Presidente G. Lapalorcia, Relatore S. Gorjan).  

La stessa Sezione ha chiarito che, anche nel giudizio di rinvio a seguito di annullamento della ordinanza applicativa di una misura cautelare personale  coercitiva, il Tribunale del riesame può disporre, nei casi in cui la stesura della motivazione sia particolarmente complessa per il numero degli arrestati o la gravità delle imputazioni, il deposito dell’ordinanza in un termine superiore ai trenta giorni, indicati nell’art. 311, comma 5 bis, cod. proc. pen, ma comunque non superiore ai quarantacinque giorni da quello della decisione, secondo quanto previsto dall’art. 309, comma 10, cod. proc. pen. (Sez. V,  8 gennaio 2016  (dep. 4 maggio 2016), n. 18571 – Pres. C. Zaza – Rel. G. De Marzo).

La Sesta Sezione (Sez. VI, Pres. G. Conti, Rel. G. Fidelbo,  sent. n. 20685/16 del 13 maggio 2016  Cc., dep. 18 maggio 2016, P.M. G. Mazzotta  – concl. conf. -), in tema di ricusazione del giudice, ha escluso che, nel giudizio di legittimità, integri un’ipotesi di incompatibilità, che possa dar luogo alla ricusazione, l’attività di “spoglio” diretta alla selezione dei ricorsi prima facie inammissibili, svolta dal magistrato che, successivamente, faccia parte del collegio della apposita sezione prevista dall’art. 610 cod. proc. pen. a cui quello stesso ricorso viene assegnato.

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a cura di Luigi Giordano

RAPPORTO DI CAUSALITA’ – CAUSA SOPRAVVENUTA SUFFICIENTE A DETERMINARE L’EVENTO.

La Corte di Cassazione, Sez. IV, con sentenza n. 15493 depositata il 14 aprile 2016, ha affermato che è configurabile l’interruzione del nesso causale tra condotta ed evento quando la causa sopravvenuta innesca un rischio nuovo e del tutto eccentrico rispetto a quello originario attivato dalla prima condotta. (Nella fattispecie la S.C. ha escluso il nesso causale tra l’errore del pediatra, che aveva sottovalutato l’urgenza di un intervento sanitario adeguato in ambiente ospedaliero, ed il decesso del paziente, giacché l’evento letale era stato determinato da un gravissimo errore dell’anestesista, qualificato dalla Corte “rischio nuovo e drammaticamente incommensurabile”, rispetto a quello innescato dalla prima condotta).

CIRCOSTANZE – CONCORSO

Con sentenza n. 74 del 2016, la Corte Costituzionale ha nuovamente dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma, del codice penale, come sostituito dall’art. 3 della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all’art. 73, comma 7, del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza) sulla recidiva reiterata prevista dall’art. 99, quarto comma, cod. pen.

REATO CONTINUATO – AUMENTO DELLA PENA NEL CASO DI IMPUTATO RECIDIVO

La Sez. V, all’udienza del 12 aprile 2016, nel procedimento n. 18935 ha rimesso alle Sezioni Unite la seguente questione di diritto: “Se il limite di aumento di pena non inferiore ad un terzo della pena stabilita per il reato più grave, di cui all’art. 81, quarto comma, cod. pen. nei confronti dei soggetti ai quali sia stata applicata la recidiva prevista dall’art. 99, quarto comma, stesso codice, operi anche quando il giudice consideri la recidiva stessa equivalente alle riconosciute attenuanti”.

Al riguardo, secondo l’indirizzo giurisprudenziale consolidato (cfr. da ultimo Cass. n. 20100 del 2016), il limite di aumento minimo per la continuazione, pari ad un terzo della pena stabilita per il reato più grave, previsto dall’art. 81, comma quarto, cod. pen., si applica nei soli casi in cui l’imputato sia stato ritenuto recidivo reiterato con una sentenza definitiva emessa precedentemente al momento della commissione dei reati per i quali si procede e non anche quando egli sia ritenuto recidivo reiterato in relazione agli stessi reati uniti dal vincolo della continuazione del cui trattamento sanzionatorio si discute.  

CONCORSO DI PERSONE NEL REATO – ASSOCIAZIONE PER DELINQUERE.

La Corte di Cassazione, Sez. II, con sentenza del 19 maggio 2016, ha affermato che il cd. concorso esterno in associazioni di tipo mafioso anche straniere non è un istituto di creazione giurisprudenziale, ma è incriminato in forza della clausola generale di cui all’art. 110 cod. pen. che estende l’ambito delle fattispecie penalmente rilevanti in modo da ricomprendere i casi in cui il soggetto agente non ha posto in essere la condotta tipica, ma ha fornito un contributo atipico, casualmente rilevante e consapevole, alla condotta tipica posta in essere da uno o più concorrenti. Ne deriva che è pienamente rispetto il principio di legalità e che è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli art. 110 e 416-bis cod. pen. che non contrastano con gli art. 7 CEDU e 117 Cost. nella parte in cui permettono di incriminare il concorso esterno nell’associazione mafiosa.

La Sez. I, della Suprema Corte, in data 13 maggio 2016, ha rimesso alle Sezioni Unite la questione relativa alla configurabilità del concorso esterno nell’associazione per delinquere di cui all’art. 416 cod. pen.  

PARTICOLARE TENUITA’ DEL FATTO

Con sentenza n. 13681 del 2016 (Imputato Tushaj, ud. 25 febbraio 2016, depositata in data 6 aprile 2016), le Sezioni unite hanno affermato che l’art. 131-biscod. pen. si applica ad ogni fattispecie criminosa, in presenza dei presupposti e nel rispetto dei limiti fissati dalla medesima norma. Il comportamento è abituale quando l’autore ha commesso, anche successivamente, più reati della stessa indole, oltre quello oggetto del procedimento. Alla esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto consegue l’applicazione, demandata al Prefetto, delle sanzioni amministrative accessorie stabilite dalla legge. L’inammissibilità del ricorso per cassazione preclude la deducibilità e la rilevabilità di ufficio di tale causa di esclusione della punibilità. 

Con sentenza n. 13682 del 2016, (Imputato Coccimiglio, ud. 25 febbraio 2016, depositato il 6 aprile 2016), le Sezioni unite hanno affermato che La causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, di cui all’art. 131-bis cod. pen., è compatibile con il reato di rifiuto di sottoporsi all’accertamento alcoolimetrico, previsto dall’art. 186, comma 7, cod. strada.

ESTINZIONE DEL REATO – OBLAZIONE – PROCEDIMENTO PER DECRETO.

La Prima Sezione penale, richiamando la sentenza interpretativa di rigetto della Corte costituzionale n. 14 del 28 gennaio 2015, ha affermato che è ammissibile la domanda di oblazione presentata, in sede di opposizione a decreto penale di condanna, in via subordinata rispetto alla richiesta di applicazione dell’art. 129 cod. proc. pen.

DEPENALIZZAZIONE

Secondo Cass., sez. V, n. 19464 del 2016, depositata il 10 maggio 2016, in tema di giudizio di cassazione, l’annullamento senza rinvio della sentenza di condanna per una delle fattispecie criminose abrogate dal d. lgs. 15 gennaio 2016 n. 7 comporta la revoca della statuizioni civili. In senso contrario si sono espresse, Cass. Sez. V, n. 19516 del 2016; Cass. Sez. V, n. 24099 del 2016; Sez. V, n. 24299 del 2016; in senso conforme, Cass. Sez. V, n. 21721 del 2016).

In data 15 giugno 2016, la Sez. II, della Suprema Corte ha rimesso la questione alle Sezioni unite.

PROFESSIONISTI – MEDICI E CHIRURGHI – COLPA SANITARIA – ART. 3 LEGGE 8 NOVEMBRE 2012 N.189

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 23283 del 2016 , u.p. del 11  maggio 2016  – depositata il 6 giugno 2016, in tema di responsabilità sanitaria, ha affermato che  l’intervenuta  parziale abrogatio criminis realizzata dall’art. 3 legge  n. 189 del 2012  in relazione alle ipotesi di omicidio e lesioni colpose connotate da colpa lieve, comporta che nei procedimenti relativi a tali reati,  pendenti in sede di merito alla data di entrata in vigore della novella,  il giudice, in applicazione  dell’art. 2, comma 2 cod. pen., deve procedere d’ufficio all’accertamento del grado di colpa, in particolare, verificando se la condotta tenuta dal sanitario poteva dirsi aderente ad accreditate linee guida.

MEZZI DI RICERCA DELLA PROVA – INTERCETTAZIONI AMBIENTALI

Le Sezioni unite, in data 28 aprile 2016, nel procedimento Scurato hanno affrontato la seguente questione: Se – anche nei luoghi di privata dimora ex art. 614 cod. pen., pure non singolarmente individuati e anche se ivi non si stia svolgendo l’attività criminosa – sia consentita l’intercettazione di conversazioni o comunicazioni tra presenti, mediante l’installazione di un “captatore informatico” in dispositivi elettronici portatili (ad es., personal computer, tablet, smartphone ecc.). la soluzione adottata è positiva, limitatamente a procedimenti relativi a delitti di criminalità organizzata, anche terroristica (a norma dell’art. 13 d.l. n. 152 del 1991), intendendosi per tali quelli elencati nell’art. 51, commi 3-bis e 3-quater, cod. proc. pen., nonché quelli comunque facenti capo a un’associazione per delinquere, con esclusione del mero concorso di persone nel reato.

MISURE CAUTELARI – PERSONALI – ARRESTI DOMICILIARI

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 16964 del 30/3/2016, dep. il 22/3/2016, Presidente  A. Prestipino, Rel. L. Agostinacchio, decidendo in materia di autorizzazione ad assentarsi dal luogo degli arresti domiciliari ai sensi dell’art. 284, comma 3, cod. proc. pen., ha affermato che la nozione di “indispensabili esigenze di vita” deve essere interpretata tenendo conto della necessità di tutelare i diritti inviolabili della persona individuati dall’art. 2 Cost. e non in senso meramente materiale o economico (Fattispecie in cui la S.C. ha annullato l’ordinanza del riesame che aveva rigettato la richiesta di un padre, finalizzata a garantire il rapporto genitoriale, di poter incontrare la figlia minore fuori dal domicilio di restrizione, nei tempi prescritti nel provvedimento di separazione legale).

Le Sezioni unite, in data 28 aprile 2016, nel procedimento Lovisi, hanno affrontato la seguente questioni: Se il giudice, investito di una richiesta di applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari con c.d. “braccialetto elettronico”, o di sostituzione della custodia in carcere con la predetta misura, in caso di indisponibilità di tale dispositivo elettronico, debba applicare la misura più grave della custodia in carcere ovvero quella meno grave degli arresti domiciliari. La soluzione adottate è la seguente: “Il giudice, escluso ogni automatismo nei criteri di scelta delle misure, qualora abbia accertato l’indisponibilità del suddetto dispositivo elettronico, deve valutare, ai fini dell’applicazione o della sostituzione della misura coercitiva, la specifica idoneità, adeguatezza e proporzionalità di ciascuna di esse in relazione alle esigenze cautelari da soddisfare nel caso concreto”.

MISURE CAUTELARI – PERSONALI – RIESAME.

La Corte di cassazione, Sez. V,  8 gennaio 2016 dep. 4 maggio 2016, n. 18571, ha affermato che anche nel giudizio di rinvio a seguito di annullamento della ordinanza applicativa di una misura cautelare personale, nei casi in cui la stesura della motivazione sia particolarmente complessa per il numero degli arrestati o la gravità delle imputazioni, il Tribunale del riesame può disporre, il deposito dell’ordinanza in un termine superiore ai trenta giorni, indicati nell’art. 311, comma 5-bis, cod. proc. pen, ma comunque non superiore ai quarantacinque giorni da quello della decisione, secondo quanto previsto dall’art. 309, comma 10, cod. proc. pen.

MANIFESTAZIONI SPORTIVE – OBBLIGO DI PRESENTAZIONE AD UN UFFICIO O COMANDO DI POLIZIA –  ART. 6, COMMA 2, L. N. 401 DEL 1989.

In tema di violenza negli stadi, la Terza Sezione, nel procedimento n. 24819 del 8 aprile 2016 (dep. 15 giugno 2016), Pres. Aldo Fiale, Rel. Enrico Mengoni, ha affermato che competente a decidere sulla richiesta di revoca o di modifica del provvedimento impositivo dell’obbligo, previsto dall’art. 6 comma 2, L. n. 401 del 1989, di comparire ad un ufficio o comando di polizia in coincidenza di manifestazioni sportive, è il giudice per le indagini preliminari già investito della convalida del provvedimento medesimo.

PROCEDIMENTI SPECIALI – PATTEGGIAMENTO – ACCORDO CONCERNENTE UN REATO PRESCRITTO – EFFETTI.

Le Sezioni unite della Corte di cassazione, con sentenza  n. 18953,  del 25 febbraio 2016 Cc., dep. 6 maggio 2016, hanno affermato che ai fini del valido esercizio del diritto di rinuncia alla prescrizione è necessaria la forma espressa, che non ammette equipollenti, sicché la richiesta di applicazione della pena da parte dell’imputato, o il consenso prestato alla proposta del pubblico ministero, non possono di per sé valere come rinuncia.

GENERICITA’ O INDETERMINATEZZA IMPUTAZIONE

Con sentenza del 12 maggio 2016, depositata in data 8 giugno 2016, n. 23832, la Sez. VI, Pres. V. Rotundo, Rel. C. Citterio, ha affermato che, in caso di genericità o indeterminatezza del fatto descritto nel capo di imputazione, il giudice del dibattimento deve dichiarare la nullità prevista dall’art. 429, comma 2, cod. pen., senza previamente sollecitare il pubblico ministero ad integrare o precisare la contestazione. In senso contrario, di recente, Cass. Sez. VI, del 25 novembre 2015, depositata il 25 febbraio 2016, n. 7756, secondo cui è affetto da abnormità il provvedimento con cui il giudice del dibattimento dispone la restituzione degli atti al pubblico ministero per genericità o indeterminatezza dell’imputazione, senza avergli previamente richiesto di precisarla, poiché, alla luce del principio costituzionale della ragionevole durata del processo, è configurabile il vizio dell’abnormità in ogni fattispecie di indebita regressione del procedimento in grado di alterarne l’ordinata sequenza logico-cronologica.  

PROCEDIMENTO ESECUTIVO – CONTINUAZIONE

La Corte di Cassazione, nel procedimento n. 20113, u.p. del 27 novembre 2015, depositata il 13 maggio 2016  del 2016, ha affermato che, nell’ipotesi in cui venga riconosciuta, la continuazione tra più reati, oggetto, alcuni, di condanna all’esito di giudizio abbreviato e, altri, di condanna all’esito di giudizio ordinario, la riduzione ex art. 442 cod. proc. pen. va applicata, – qualora il reato più grave sia stato giudicato con il rito speciale – sulla pena finale determinata dopo l’aumento disposto per i reati satellite, anche se definiti con il rito ordinario; qualora invece il giudice procedente individui, quale reato più grave, quello giudicato con rito ordinario, la riduzione di pena dovrà essere disposta per i soli reati satellite giudicati con rito abbreviato. In senso contrario, da ultimo, Cass. n. 3764 del 21/10/2015 Cc.  (dep. 28/01/2016 ), secondo cui L’applicazione in sede esecutiva della continuazione tra reati giudicati con il rito ordinario e altri con il rito abbreviato, comporta che soltanto a questi ultimi – siano essi reati satellite o violazione più grave – deve essere applicata la riduzione di un terzo della pena, a norma dell’art. 442, comma secondo, cod. proc. pen.

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  • Numero Registro Generale: 4706/2016      Ricorrente: CULASSO

“Se le questioni attinenti alla impignorabilità dei beni sottoposti a sequestro conservativo possano essere proposte al tribunale del riesame, nell’incidente cautelare, ovvero se la competenza funzionale a deciderle sia devoluta al giudice dell’esecuzione civile una volta che, passata in giudicato la sentenza penale di condanna, il sequestro conservativo si converta in pignoramento”.

Riferimenti Normativi:Cod. proc. pen., artt. 316, 317, 318, 320, 324; Cod. civ., artt. 167, 170; R. D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 46.

Udienza del:21/07/2016

Relatore:M. Vessichelli

Ordinanza di rimessione:21419/2016                                Culasso (pdf)

  • Numero Registro Generale: 51468/2015      Ricorrente: NUNZIATA

“Se sia ammissibile il ricorso straordinario per errore materiale o di fatto avverso la sentenza della Corte di cassazione che si sia pronunciata nel giudizio di revisione”

Riferimenti Normativi:Cod. proc. pen., artt.625-bis, 629, 630, 636, 637, 639, 640.

Udienza del:21/07/2016

Relatore:G. Fidelbo

Ordinanza di rimessione:22833/2016                                 Nunziata (pdf)

  • Numero Registro Generale: 43674/2015      Ricorrente: P.G. in proc. FILOSOFI

“Se il limite di aumento di pena non inferiore ad un terzo di quella stabilita per il reato più grave, previsto dall’art. 81, comma 4, cod. pen. nei confronti dei soggetti ai quali è stata applicata la recidiva di cui all’art. 99, comma 4, cod. pen., operi anche quando il giudice consideri la recidiva stessa equivalente alle riconosciute attenuanti”.

Riferimenti Normativi:Cod. pen., artt. 69, 81, comma 4, 99.

Udienza del:23/06/2016

Relatore:L. Ramacci

Ordinanza di rimessione:18935/2016                             Filosofi (pdf)

  • Numero Registro Generale: 27487/2015      Ricorrente: Confl. Comp. in proc. ZIMARMANI

1) Se alla udienza partecipata davanti alla Corte regolatrice del conflitto di giurisdizione, promosso dal giudice militare nei confronti di quello ordinario, debba intervenire, in qualità di pubblico ministero, il Procuratore generale della Corte di cassazione, o il Procuratore generale militare, ovvero entrambi.

2) Se in sede di regolamento del conflitto positivo di giurisdizione tra il giudice ordinario e quello militare, che si trovino entrambi in grado di appello, sia riconosciuta alla Corte regolatrice la possibilità di escludere uno dei reati per il quale sia già intervenuta sentenza di condanna in primo grado.

Riferimenti normativi:
1) Cost., artt. 25, 103; cod. proc. pen., artt. 28, 32, 127; legge 7.5.1981, n. 180, art. 5; d.lgs. 15.3.2010, n. 66, art. 58; cod. pen. mil. pace, art. 13, comma 2, 264, comma 2;

2) Cod. pen. mil. pace , artt. 37, 213; cod. pen., artt. 15, 336, 266; cod. proc. pen., artt. 13, 25, 28, 32, 127.

Riferimenti Normativi:vedi sopra

Udienza del:23/06/2016

Relatore:g. Paoloni

Ordinanza di rimessione:18956/2016                        Zimarmani (pdf)

  • Numero Registro Generale: 55394/2016      Ricorrente: P.M. in proc. DEL VECCHIO

“Se il riconoscimento della natura d’impeto del dolo nella commissione di un delitto violento possa far escludere la sussistenza della circostanza aggravante dell’aver agito con crudeltà”

Riferimenti Normativi:Cod. pen., artt. 43, 61, comma 1, n. 4.

Udienza del:23/06/2016

Relatore:R. M. Blaiotta

Ordinanza di rimessione:18955/2016         Del_Vecchio_18955_2016 (pdf)

  • Numero Registro Generale: 36727/2014  Ricorrente: P.G. in proc. PASTORE

“Se nel procedimento dinanzi al giudice di pace, instaurato a seguito di citazione disposta dal pubblico ministero, configura remissione tacita di querela la mancata comparizione del querelante previamente ed espressamente avvisato che l’eventuale sua assenza sarebbe stata interpretata come volontà di non insistere nell’istanza di punizione”.

  • Numero Registro Generale: 26446/2015 Ricorrente: NIFO SARRAPOCHIELLO E ALTRI

Se l’obbligo di nominare un sostituto processuale, ovvero di fornire specifica ragione dell’impossibilità di nominarlo, sussista per il difensore anche quando il proprio impedimento legittimo, che può giustificare la richiesta di rinvio dell’udienza, sia costituito da serie ragioni di salute, tempestivamente comunicate al giudice.

  • Numero Registro Generale: 39909/2015      Ricorrente: Aiello

Se, in presenza di un ricorso per cassazione “cumulativo” riguardante plurimi ed autonomi capi di imputazione, per i quali sia sopravvenuto il decorso dei termini di prescrizione dopo la pronuncia della sentenza di appello, l’ammissibilità del ricorso con riguardo ad uno o più capi, con conseguente declaratoria di estinzione dei reati per prescrizione, comporti l’estinzione per prescrizione anche degli altri reati di cui ai distinti ed autonomi capi per i quali, viceversa, il ricorso risulti inammissibile. 

Riferimenti Normativi:Cod. pen., art. 157; cod. proc. pen., artt. 129, 606 comma 3, 620, comma 1, lett. a), e 624

Udienza del:27/05/2016

Relatore:M. Cammino

Soluzione:Negativa. L’operatività della prescrizione è preclusa per i reati in ordine ai quali il ricorso per cassazione risulti inammissibile.

Ordinanza di rimessione:7730/2016                                                Aiello (pdf)

  • Numero Registro Generale: 3131/2016      Ricorrente: Cozzolino

Se, disposta la sospensione dei termini di custodia cautelare nella fase del giudizio ex art. 304, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., durante la pendenza dei termini previsti dall’art. 544, commi 2 e 3, debba farsi riferimento, ai fini della ripresa della decorrenza dei termini di fase, alla scadenza del termine stabilito dalla legge o determinato dal giudice per il deposito della sentenza, ovvero alla diversa, antecedente, data in cui la sentenza sia stata effettivamente depositata.

Inserito il:21/03/2016 

Riferimenti Normativi:Cost., art. 13; cod. proc. pen., artt. 304, comma 1, lett. c), e 544 commi 2 e 3.

Udienza del:25/05/2016

Relatore: G. Diotallevi

Soluzione:I termini di fase riprendono a decorrere dalla scadenza del termine stabilito dalla legge o determinato dal giudice per il deposito della sentenza.

Ordinanza di rimessione:9553/2016                                         Cozzolino (pdf)

  • Numero Registro Generale: 6889/2016      Ricorrente: Scurato

Se – anche nei luoghi di privata dimora ex art. 614 cod. pen., pure non singolarmente individuati e anche se ivi non si stia svolgendo l’attività criminosa – sia consentita l’intercettazione di conversazioni o comunicazioni tra presenti, mediante l’installazione di un “captatore informatico” in dispositivi elettronici portatili (ad es., personal computer, tablet, smartphone ecc.).

Inserito il:07/04/2016 

Riferimenti Normativi:Cost., artt. 14, 15; CEDU, art. 8; cod. proc. pen., artt. 266, 267, 271; d.l. 13 maggio 1991, n. 152, conv. dalla legge n. 203 del 1991, art. 13; Decisione Quadro 2008/841/GAI del Consiglio del 24 ottobre 2008, art. 1.

Udienza del:28/04/2016

Relatore:V. Romis

Soluzione:Affermativa, limitatamente a procedimenti relativi a delitti di criminalità organizzata, anche terroristica (a norma dell’art. 13 d.l. n. 152 del 1991), intendendosi per tali quelli elencati nell’art. 51, commi 3-bis e 3-quater, cod. proc. pen., nonché quelli comunque facenti capo a un’associazione per delinquere, con esclusione del mero concorso di persone nel reato.

Ordinanza di rimessione:13884/2016                         Scurato_13884_2016 (pdf)

  • Numero Registro Generale: 41839/2015      Ricorrente: AHMED SOLAH

Se sia ammissibile il ricorso per cassazione proposto da avvocato iscritto nell’albo speciale della Corte di cassazione, nominato quale sostituto dal difensore dell’imputato, di fiducia o di ufficio, non cassazionista.

Inserito il:01/03/2016 

Riferimenti Normativi:Cod. proc. pen., artt. 96, 97, 102, 613; disp. att. cod. proc. pen., artt. 30, 34.

Udienza del:28/04/2016

Relatore:V. Rotundo

Soluzione:Affermativa.

Ordinanza di rimessione:6328/2016                                     6328_2016 (pdf)

  • Numero Registro Generale: 40685/2015      Ricorrente: TAYSIR

Se sia ammissibile il ricorso per cassazione proposto da avvocato iscritto nell’albo speciale della Corte di cassazione, nominato quale sostituto dal difensore dell’imputato, di fiducia o di ufficio, non cassazionista.

Inserito il:01/03/2016 

Riferimenti Normativi:Cod. proc. pen., artt. 96, 97, 102, 613; disp. att. cod. proc. pen., artt. 30, 34.

Udienza del:28/04/2016

Relatore:V. Rotundo

Soluzione: Affermativa.                                                           Taysir (pdf)

  • Numero Registro Generale: 43190/2015      Ricorrente: LOVISI

Se il giudice, investito di una richiesta di applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari con c.d. “braccialetto elettronico”, o di sostituzione della custodia in carcere con la predetta misura, in caso di indisponibilità di tale dispositivo elettronico, debba applicare la misura più grave della custodia in carcere ovvero quella meno grave degli arresti domiciliari.

Inserito il:23/02/2016

  • Numero Registro Generale: 19058/2014      Ricorrente: DASGUPTA

Se, nel caso di appello del pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa ritenuta decisiva, il giudice di appello debba disporre la rinnovazione della istruzione dibattimentale.

Riferimenti Normativi:Cost., art. 111, comma terzo; CEDU, art. 6, par. 3, lett. d); Cod. proc. pen., artt. 533, comma 1, 602, 603, 606, comma 1, lett. e).

Udienza del:28/04/2016

Relatore:G. Conti

Soluzione:Affermativa. Il giudice di appello, qualora ritenga di riformare nel senso dell’affermazione di responsabilità dell’imputato la sentenza di proscioglimento di primo grado, sulla base di una diversa valutazione della prova dichiarativa ritenuta decisiva dal primo giudice, deve disporre la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale mediante l’esame dei soggetti che hanno reso le relative dichiarazioni; e ciò in ragione di una interpretazione convenzionalmente orientata (ex art. 6, par. 3, lett. d, CEDU) dell’art. 603 cod. proc. pen. La sentenza del giudice di appello che, in riforma di quella di proscioglimento di primo grado, affermi la responsabilità dell’imputato sulla base di una diversa valutazione della prova dichiarativa, ritenuta decisiva, senza avere proceduto alla rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, è affetta da vizio di motivazione deducibile dal ricorrente a norma dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., in quanto la condanna contrasta, in tal caso, con la regola di giudizio “al di là di ogni ragionevole dubbio” di cui all’art. 533, comma 1, cod. proc. pen. Gli stessi principi trovano applicazione nel caso di riforma della sentenza di proscioglimento di primo grado sull’appello promosso dalla parte civile.

Ordinanza di rimessione:2259/2016                                 Dasgupta (pdf)

  • Numero Registro Generale: 38682/2015      Ricorrente: PASSARELLI E ALTRO

Se, ai fini della configurabilità del delitto di false comunicazioni sociali, abbia tuttora rilevanza il falso “valutativo” pur dopo la riforma di cui alla legge n. 69 del 2015.

Riferimenti Normativi:Cod. civ., artt. 2423-2435-ter, 2621 e segg.; r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 216 e 223; legge 27 maggio 2015, n. 69 artt. 9, 10 e 11.

Udienza del:31/03/2016

Relatore:M. Fumo

Soluzione:Affermativa. Sussiste il delitto di false comunicazioni sociali, con riguardo alla esposizione o alla omissione di fatti oggetto di “valutazione”, se, in presenza di criteri di valutazione normativamente fissati o di criteri tecnici generalmente accettati, l’agente da tali criteri si discosti consapevolmente e senza darne adeguata informazione giustificativa in modo concretamente idoneo ad indurre in errore i destinatari delle comunicazioni.

Ordinanza di rimessione:9186/2016                     PASSARELLI E ALTRO (pdf)

  • Numero Registro Generale: 37651/2016      Ricorrente: SORCINELLI

(1.) Se l’ordinanza con cui il giudice dell’udienza preliminare rigetta la richiesta dell’imputato di ammissione al procedimento con messa alla prova sia autonomamente ricorribile per cassazione ovvero sia impugnabile solo congiuntamente alla sentenza a norma dell’art. 586 cod. proc. pen.

(2.) Se, ai fini della individuazione dei reati per i quali è ammessa la sospensione del procedimento con messa alla prova, debba tenersi conto, per la determinazione del limite edittale fissato dall’art. 168-bis, prima comma, cod. pen., delle circostanze aggravanti per le quali la legge prevede una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale.

Riferimenti Normativi:Cod . pen., art.168-bis; cod. proc. pen., artt. 464-bis, 464-ter, 464-quater, 586.

Udienza del:31/03/2016

Relatore:G. Fidelbo

Soluzione:(1.) L’ordinanza non e immediatamente impugnabile, in quanto la richiesta può essere riproposta nel giudizio, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, sicché il ricorso immediato e autonomo per cassazione avverso l’ordinanza e inammissibile; nel caso in cui anche la richiesta riproposta sia rigettata, la relativa ordinanza è impugnabile solo congiuntamente alla sentenza. Soluzione (2.) Ai fini della individuazione dei reati – non ricompresi nel comma 2 dell’art. 550 cod. proc. pen. – per i quali è ammessa la sospensione del procedimento con messa alla prova, occorre avere riguardo esclusivamente alla pena edittale massima prevista per la fattispecie base, prescindendo dalla contestazione delle circostanze aggravanti, ivi comprese quelle per le quali la legge prevede una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale.

Ordinanza di rimessione:8014/2016                                 Sorcinelli (pdf)

  • Numero Registro Generale: 19763/2015      Ricorrente: CAVALLO

(1.) Se la sospensione del processo, prevista nel caso di presentazione dell’istanza di “accertamento di conformita” ex art. 36 d.P.R. n. 380 del 2001 (già art. 13 legge n. 47 del 1985), debba essere considerata ai fini del computo dei termini di prescrizione del reato edilizio.

(2.) Se, in caso di sospensione del processo disposta su richiesta dell’imputato o del suo difensore oltre il termine previsto per la formazione del silenzio-rifiuto ex art. 36 d.P.R. cit., operi la sospensione del corso della prescrizione a norma dell’art. 159, primo comma, n . 3, cod. pen.

Riferimenti Normativi:Cod . pen., art. 159; d.P.R. n. 380 del 2001, artt. 36 e 45.

Udienza del:31/03/2016

Relatore:L. Ramacci

Soluzione:(1.) Affermativa. (2.) Affermativa.

Ordinanza di rimessione:49652/2015                                 Cavallo (pdf)

  • Numero Registro Generale: 28195/2015      Ricorrente: RIGACCI

Se l’ordinanza con cui il giudice del dibattimento rigetta la richiesta dell’imputato di ammissione al procedimento con messa alla prova sia autonomamente ricorribile per cassazione ovvero sia impugnabile solo congiuntamente alla sentenza a norma dell’art. 586 cod. proc. pen.

Riferimenti Normativi:Cod. pen., art. 168-bis e segg.; cod. proc. pen., artt. 464-bis, 464-ter, 464-quater, 586.

Udienza del:31/03/2016

Relatore:G. Fidelbo

Soluzione:L’ordinanza è impugnabile solo congiuntamente alla sentenza, sicché il ricorso immediato e autonomo per cassazione avverso l’ordinanza e inammissibile.

Ordinanza di rimessione:50278/15                          Rigacci_50278_15 (pdf)

  • Numero Registro Generale: 38245/2015      Ricorrente: CAPASSO

Se e in quali limiti le disposizioni dell’art. 309, commi 9, 9-bis e 10, cod. proc. pen., come novellate dalla legge 16 aprile 2015, n. 47, siano applicabili nel procedimento di riesame di misure cautelari reali e di sequestro probatorio, in forza del rinvio alle medesime disposizioni operato dall’art. 324, comma 7, pure modificato dalla stessa legge.

  • Numero Registro Generale: 19089/2015      Ricorrente: TUSHAJ

Se la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto sia compatibile con il reato di guida in stato di ebbrezza.

Riferimenti Normativi:Cod. pen., artt. 2, quarto comma, e 131-bis; cod. proc. pen. artt. 129, comma 1, 609, comma 2, e 620, comma 1, lett. l); d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285, art. 186, comma 2, lett. b) e c).

Udienza del:25/02/2016

Relatore:M. R. Blaiotta

Soluzione:Affermativa. Le Sezioni Unite hanno ritenuto che: -l’art . 131-bis cod. pen. si applica ad ogni fattispecie criminosa, nella sussistenza dei presupposti e nel rispetto dei limiti fissati dalla medesima norma; -il comportamento è abituale quando l’autore ha commesso, anche successivamente, più reati della stessa indole, oltre quello oggetto del procedimento; -alla esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto consegue l’applicazione, demandata al Prefetto, delle sanzioni amministrative accessorie stabilite dalla legge; -la inammissibilità del ricorso per cassazione preclude la deducibilità e la rilevabilità di ufficio della suddetta causa di non punibilità; -per contro, nei soli procedimenti pendenti davanti alla Corte di cassazione per fatti commessi prima dell’entrata in vigore dell’art. 131-bis cod. pen., la relativa questione (in forza dell’art. 2, quarto comma, cod. pen.) è deducibile e rilevabile d’ufficio ai sensi dell’art. 609, comma 2, cod . proc . pen .; – la Corte di cassazione, se riconosce la sussistenza della suddetta causa di non punibilità, la dichiara anche d’ufficio ex art. 129, comma 1, cod. proc. pen., annullando senza rinvio la sentenza impugnata a norma dell’art. 620, comma 1 lett. l) cod. proc. pen.

Ordinanza di rimessione:49824/2015                     Tushaj_49824_2015 (pdf)

  • Numero Registro Generale: 21513/2015      Ricorrente: COCCIMIGLIO

Se la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto sia compatibile con il reato di rifiuto di sottoporsi all’accertamento alcoolometrico.

Riferimenti Normativi:Cod. pen., art. 131-bis; d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285, art. 186 comma 7.

Udienza del:25/02/2016

Relatore:R. M. Blaiotta

Soluzione:Affermativa (v. anche Informazione provvisoria n. 4/2016)

Ordinanza di rimessione:49825/2015                               Coccimiglio (pdf)

  • Numero Registro Generale: 30418/2015      Ricorrente: PIERGOTTI

Se la richiesta di applicazione della pena da parte dell’imputato, o il consenso da questi prestato alla proposta del pubblico ministero, possano valere come rinuncia alla prescrizione.

Riferimenti Normativi:Cod. Pen., art. 157; Cod. Proc. Pen., artt.129 e 444

Udienza del:25/02/2016

Relatore:P. A. Bruno

Soluzione:Negativa

Ordinanza di rimessione:48711/2015                Piergotti_48711/2015 (pdf)

  • Numero Registro Generale: 4305/2015      Ricorrente: FOSSATI

Se il reato di cui all’art. 612-bis cod. pen. sia da ritenere incluso fra quelli per i quali l’art. 408, comma 3-bis, cod. proc. pen. prevede la necessaria notifica alla persona offesa dell’avviso della richiesta di archiviazione.

Riferimenti Normativi:Cod. proc. pen. artt. 408, comma 3-bis; Cod. pen. artt. 612 bis e 572.

Udienza del:28/01/2016

Relatore:L. Bianchi

Soluzione:Affermativa (anche con riguardo al reato di cui all’art. 572 cod. pen.)

Ordinanza di rimessione:42220/2015                   Fossati_42220_2015 (pdf)

  • Numero Registro Generale: 3652/2015      Ricorrente: GIUDICI

Se, in caso di sequestro preventivo disposto di iniziativa dalla polizia giudiziaria, questa abbia l’obbligo, a pena di nullità, di dare avviso all’indagato presente al compimento dell’atto della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia.

Riferimenti Normativi:Cod. Proc. Pen., artt. 178, 321, comma 3-bis, 356; Disp. Att. Cod. Proc. Pen., art. 114.

Udienza del:28/01/2016

Relatore:S. Amoresano

Soluzione:Negativa

Ordinanza di rimessione:39188/2015                          39188/2015 (pdf)

  • Numero Registro Generale: 28475/2015      Ricorrente: Maresca+1

Se, in caso di ricorso per cassazione proposto a norma dell’art. 325 cod. proc. pen., la Corte debba procedere in camera di consiglio secondo la disciplina c.d. partecipata prevista dall’art. 127 cod. proc. pen., ovvero osservando la procedura di cui all’art. 611 cod. proc. pen.

  • Numero Registro Generale: 54296/2014      Ricorrente: RICCI

Se la Corte di cassazione, adita con ricorso inammissibile, possa dichiarare la prescrizione del reato intervenuta prima della sentenza di appello, ma non rilevata ne’ eccepita in quella sede o nei motivi di ricorso.

Riferimenti Normativi:Cod. pen., art. 157; Cod. proc. pen., artt. 129, 591, 606, 609 co. 2.

Udienza del:17/12/2015

Relatore:N. Milo

Soluzione:Negativa; con la precisazione che il ricorso non può considerarsi inammissibile se con esso viene dedotta – anche se con un unico motivo – l’intervenuta prescrizione del reato maturata prima della sentenza di appello.

Ordinanza di rimessione:28790/2015                            28790/2015 (pdf)

  • Numero Registro Generale: 8933/2015      Ricorrente: CELSO

Se il difensore dell’indagato o imputato non munito di procura speciale possa validamente rinunciare all’impugnazione da lui atonomamente proposta.

Riferimenti Normativi:Cod. pen., artt. 99, 571, 589

Udienza del:24/11/2015

Relatore:A. Franco

Soluzione:Negativa

Ordinanza di rimessione:36312/2015                            36312/2015 (pdf)

  • Numero Registro Generale: 37275/2014      Ricorrente: P.M. in proc. MRAIDI

Se è consentito al giudice dell’esecuzione revocare, ai sensi dell’art. 673 cod. proc. pen., una sentenza di condanna pronunciata dopo l’entrata in vigore della legge che ha abrogato la fattispecie incriminatrice, allorché la evenienza della “abolitio criminis” non è stata presa in esame dal giudice della cognizione (nel caso in esame è stato ritenuto che il giudice della cognizione avesse preso in esame tale evenienza).

Riferimenti Normativi:Cost., art. 25; Cod. Pen., art. 2; Cod. proc. pen., art. 673.

Udienza del:29/10/2015

Relatore:M. Cammino

Soluzione:Affermativa

Ordinanza di rimessione:24399/2015                           24399/2015 (pdf)

  • Numero Registro Generale: 24057/2015      Ricorrente: TRUBIA

Se il delitto di omicidio aggravato, punibile in astratto con la pena dell’ergastolo, commesso prima della modifica dell’art. 157 cod. pen. per effetto della legge 5 dicembre 2005, n. 251, sia imprescrittibile pure in presenza del riconoscimento dell’attenuante di cui all’ art. 8 del d.l. 13 maggio 1991, n. 152, convertito in legge 12 luglio 1991, n. 203.

Riferimenti Normativi:Cod. pen., artt. 157, 575, 577; Legge 3 dicembre 2005, n. 251, artt. 6, 10; Decreto legge 13 maggio 1991, n. 152, art. 8; Legge 12 luglio 1991, n. 203

Udienza del:24/09/2015

Relatore:M. Vecchio

Soluzione:Affermativa. Cod. pen., artt. 69, Legge 3 dicembre 2005, n. 251.

Ordinanza di rimessione:26859/2015                          26859/2015 (pdf)

  • Numero Registro Generale: 35474/2014      Ricorrente: STEGER Thomas

Se, nei procedimenti davanti al giudice di pace, la mancata comparizione della persona offesa in udienza rappresenti univoca manifestazione della volontà di non opporsi alla dichiarazione di improcedibilità dell’azione penale per la particolare tenuità del fatto.

Riferimenti Normativi:D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274, art. 34, comma 3.

Udienza del:16/07/2015

Relatore:G. Conti

Soluzione:Affermativa

Ordinanza di rimessione:20346/2015                           20346/2015 (pdf)

  • Numero Registro Generale: 35579/2014      Ricorrente: DELLA FAZIA DOMENICO

Se siano rilevabili di ufficio, in sede di legittimità, anche in presenza di ricorso manifestamente infondato, e privo di censure in ordine al trattamento sanzionatorio, gli effetti delle modifiche normative sopravvenute con riguardo alla più mite disciplina prevista in materia di stupefacenti per le fattispecie di lieve entità, anche quando la pena irrogata rientri nella cornice edittale della previgente disciplina come ripristinata per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 2014.

  

  • Numero Registro Generale: 42873/2013      Ricorrente: LUCCI CAMILLO

1) Se, ed eventualmente con quali limiti, possa essere ordinata, ai sensi degli artt. 240, comma secondo, n. 1, e/o 322-ter cod. pen., la confisca diretta del prezzo o del profitto del reato nel caso in cui il processo si concluda con una sentenza dichiarativa di estinzione del reato per prescrizione;
2) Se, nel caso in cui il prezzo o il profitto derivante dal reato sia costituito da denaro, la confisca delle somme di cui il soggetto abbia la disponibilità debba essere qualificata come confisca per equivalente ovvero come confisca diretta e, ove si ritenga che si tratti di confisca diretta, se debba ricercarsi il nesso pertinenziale tra reato e denaro.

Riferimenti Normativi:Cost. artt. 27 e 111; Cedu artt. 6 e 7; Cod. pen. artt. 157, 210, 236, 240, 322-ter; Cod. proc. pen., art. 129.

Udienza del:26/06/2015

Relatore:Alberto Macchia

Soluzione:1) Affermativa, se vi è stata una precedente pronuncia di condanna; 2) Si tratta in ogni caso di confisca diretta per la quale non è richiesto l’accertamento di un nesso di pertinenzialità.

Ordinanza di rimessione:12924/2015                               12924/2015 (pdf)

  • Numero Registro Generale: 37200/2014      Ricorrente: BUTERA

Se sia rilevabile di ufficio, in sede di legittimità, in presenza di ricorso presentato fuori termine, l’illegalità della pena.

Riferimenti Normativi:Cost., art. 25, 27; Cod. pen., artt. 2; Cod. proc. pen., artt. 585, 591, 648.

Udienza del:26/06/2015

Relatore:R. Zizanovich

Soluzione:Negativa; ferma restando la deducibilità della illegalità della pena davanti al giudice della esecuzione.

Ordinanza di rimessione:15233/2015                                   15233_15 (pdf)

  • Numero Registro Generale: 35786/2014      Ricorrente: NEDZVETSKYI DMYTRU

Se, anche dopo l’entrata in vigore del d.l. 18 ottobre 2012, n. 179  e relativa conversione in legge, siano valide le notificazioni a persona diversa dall’imputato, eseguite per via telematica, ai sensi del d.l. 25 giugno 2008, n. 112, e relativa conversione in legge, dagli uffici giudiziari già autorizzati dal decreto 1° ottobre 2012 del Ministro dell giustizia.

Riferimenti Normativi:D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, art. 16; Legge 17 dicembre 2012, n. 221; D.L. 25 giugno 2008 n. 112, art. 51; Legge 6 agosto 2008, n. 133; D.L. 29 dicembre 2009, n. 193, art. 4; Legge 22/02/2010, n. 124; c.p.p., artt. 148, co. 2 bis, 149, 150, 151, co. 2.

Udienza del:25/06/2015

Relatore:M. Fumo

Soluzione:Sentenza n. 32243 udienza del 26 giugno 2015 – depositata il 22 luglio 2015

Ordinanza di rimessione:16634/2015                                16634/2015 (pdf)

Sentenza n. 32243 udienza del 26 giugno 2015 – depositata il 22 luglio 2015 (pdf)

  • Numero Registro Generale: 48811/2013      Ricorrente: MARITAN

Se l’omesso avviso dell’udienza al difensore di fiducia tempestivamente nominato dall’imputato o dal condannato integri una nullità assoluta o, invece, una nullità generale a regime intermedio, che può essere sanata ai sensi dell’art. 182, commi 2 e 3, cod. proc. pen., per effetto dell’acquiescenza del difensore di ufficio e della decadenza della parte dal diritto di far valere l’invalidità.

Riferimenti Normativi:Cod. proc. pen., artt. 178, 179, 180, 182.

Udienza del:26/03/2015

Relatore:M. Cassano

Soluzione:Integra una nullità assoluta

Ordinanza di rimessione:1624_15                                     1624/2015 (pdf)

Sentenza n. 24630 c.c. del 26 marzo 2015 – depositata 10 giugno 2015 (pdf)

a cura di Luigi Giordano

PRESCRIZIONE

La Terza sezione della Corte di Cassazione,con ordinanza n. 28346 del 30 marzo 2016, depositata in data 8 luglio 2016 in un procedimento penale nel quale ricorrevano le medesime condizioni  esaminate dalla Corte di Giustizia, Grande sezione, con la sentenza dell’8 settembre 2015, nella causa C-105/14, Taricco, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 della legge della legge 2 agosto 2008, n.130 di esecuzione del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, come modificato dall’art. 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007(TFUE), nella parte in cui impone di applicare l’art.325. par.1 e 2 del TFUE, dal quale discende- nell’interpretazione di esso fornita dalla Corte di Giustizia nella suddetta pronuncia- l’obbligo per il giudice nazionale di disapplicare- nelle ipotesi di frodi gravi che ledano gli interessi dell’Unione Europea, allorquando ne derivi la “sistematica impunità”- le disposizioni in materia di prescrizione di cui agli artt. 160, comma 3 e 161, comma 2 cod. pen., “anche quando dalla disapplicazione, e dal conseguente prolungamento della prescrizione, discendano effetti sfavorevoli per l’imputato”.

STUPEFACENTI

In materia di stupefacenti, la Terza sezione penale, con la sentenza n.27770 del 11 giugno 2016, depositata il 6 luglio 2016, ha affermato che, in caso di condanna per il reato di associazione per  delinquere  finalizzata  alla  commissione di  fatti  di  lieve  entità di cui all’ art. 74, comma sesto, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, non può essere disposta la  confisca  di  beni  ai  sensi dell’art. 12 sexies comma 1 della  l. 7 agosto 1992, n. 356, potendo il giudice solo disporre la confisca ex art. 240 cod. pen. qualora si tratti di beni ritenuti profitto o prodotto del reato.

REATO DI PREPARAZIONE E DETENZIONE DI ALIMENTI IN CATTIVO STATO DI CONSERVAZIONE – VIOLAZIONE DELLE DISPOSIZIONI SULLA TRACCIABILITÀ DELLE MATERIE PRIME

In tema di alimenti, la Terza Sezione della Corte di cassazione, con la sentenza n. 31035 del 9 giugno 2016, C.C., dep. 20 luglio 2016, ha affermato che integra il reato previsto dall’art. 5, lett. b), della legge 30 aprile 1962, n. 283, l’impiego, nella preparazione di alimenti, di materia prima di provenienza “non tracciabile” unitamente ad altra “sicura”.

BENI CULTURALI E AMBIENTALI – OBBLIGO DI DENUNCIA DI BENI FORTUITAMENTE SCOPERTI

In tema di beni culturali, la Terza sezione della Corte di cassazione, con sentenza n. 30383, 30 marzo 2016 Up., dep. 18 luglio 2016, ha affermato che l’obbligo di immediata denuncia della cosa fortuitamente scoperta, la cui omissione è penalmente sanzionata ai sensi dell’art. 175, comma 1, lett. b), d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, grava solo sullo scopritore, ma non anche su chi si trovi successivamente a detenere la cosa, in quanto tale soggetto può essere chiamato a rispondere, ai sensi del predetto art. 175, solo della eventuale violazione del diverso obbligo su di lui gravante, relativo alla conservazione temporanea del bene.

CONZIONI DI PROCEDIBILITA’ – QUERELA

Le sezioni Unite, con sentenza del 23 giugno 2016, nel procedimento n. 36727, hanno affermato che configura remissione tacita di querela la mancata comparizione alla udienza dibattimentale, sia davanti al giudice di pace sia davanti al tribunale ordinario, del querelante previamente ed espressamente avvisato dal giudice che l’eventuale sua assenza sarà interpretata come fatto incompatibile con la volontà di persistere nella querela.

SOSPENSIONE DEL PROCEDIMENTO CON MESSA ALLA PROVA – RICHIESTA DI SOSPENSIONE AVANZATA IN SEDE DI OPPOSIZIONE A DECRETO PENALE DI CONDANNA – COMPETENZA.

La Prima Sezione penale, con provvedimento del 3 febbraio 2016 n. 25867, depositato il 22 giugno 2016, risolvendo un conflitto negativo di competenza, ha affermato che, in caso di richiesta di messa alla prova ex  art. 464 bis cod. pen. avanzata in sede di opposizione a decreto penale di condanna, competente a conoscere della stessa è il giudice dibattimentale e non il giudice per le indagini preliminari, diversamente da quanto previsto dal codice per le richieste di riti alternativi formulate con l’opposizione stessa.

PROVE – MEZZI DI RICERCA DELLA PROVA

La Quinta Sezione della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 27898 del 28 aprile 2016, depositata il 6 luglio 2016, ha affermato che è legittimo l’inserimento nel fascicolo del dibattimento, come documenti ai sensi dell’art. 234 cod. proc. pen., dei verbali delle dichiarazioni raccolte dal Giudice Delegato nella procedura fallimentare.

La Terza sezione, con sentenza depositata il 7 luglio 2016, n. 28216, ha affermato che la mancata indicazione, nel verbale di esecuzione delle intercettazioni, delle generalità dell’interprete straniero che aveva proceduto alla traduzione del contenuto delle conversazioni captate, comporta l’inutilizzabilità delle risultanze delle intercettazioni telefoniche disposte nel corso delle indagini per l’impossibilità di desumere la capacità dell’ausiliario di svolgere adeguatamente il compito affidatogli.

MISURE CAUTELARI

La Prima sezione della Corte di Cassazione, con sentenza del 15 luglio 2016 ha affermato che la misura cautelare del divieto di espatrio può essere applicata pur in assenza di pericolo di fuga, in caso di sussistenza del pericolo di reiterazione del reato.

UDIENZA PRELIMINARE – SENTENZA DI NON LUOGO A PROCEDERE

La Terza sezione penale, pronunciandosi in materia di reati tributari, con sentenza del 7 luglio 2016, n. 28237, ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso per Cassazione proposto dal P.M. avverso la sentenza di non luogo a procedere laddove l’atto di impugnazione, in una situazione di incertezza probatoria, si limiti a contestare il merito dell’apprezzamento del G.U.P., senza dedurre specificamente gli ulteriori elementi di prova che avrebbero potuto essere acquisiti al dibattimento, né i punti del quadro probatorio suscettibili di integrazione per mezzo del il contraddittorio dibattimentale.

DIBATTIMENTO PENALE – GENERICITÀ O INDETERMINATEZZA DEL CAPO DI IMPUTAZIONE

La Sesta sezione della Corte di Cassazione, con sentenza n. 23832, depositata in data 8 giugno 2016, ha affermato che, in caso di genericità o indeterminatezza del fatto descritto nel capo di imputazione, il giudice del dibattimento deve dichiarare la nullità prevista dall’art. 429, comma 2, cod. pen., senza previamente sollecitare il pubblico  ministero ad integrare o precisare la contestazione. In precedenza, la stessa sezione VI, con sentenza n. 7756 del 25 novembre 2015, depositata il 25 febbraio 2016, aveva sostenuto che è affetto da abnormità il provvedimento con cui il giudice del dibattimento dispone la restituzione degli atti al pubblico ministero per genericità o indeterminatezza dell’imputazione, senza avergli previamente richiesto di precisarla, poiché, alla luce del principio costituzionale della ragionevole durata del processo, è configurabile il vizio dell’abnormità in ogni fattispecie di indebita regressione del procedimento in grado di alterarne l’ordinata sequenza logico-cronologica.

IMPUGNAZIONI – APPELLO – DIBATTIMENTO –  RIFORMA DI SENTENZA ASSOLUTORIA

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 27620 del 28 aprile 2016, depositata il 6 luglio 2016, risolvendo un contrasto insorto tra le Sezioni semplici, hanno affermato i seguenti principi di diritto:

– è affetta da vizio di motivazione ex art.  606,  comma  1, lett.  e), cod. proc. pen., per mancato  rispetto del canone di giudizio dell’ “oltre ogni ragionevole dubbio” di cui all’art. 533,  comma  1, cod. proc. pen., la sentenza di appello che, su impugnazione del pubblico ministero, riformi in peius una sentenza assolutoria operando una diversa valutazione di prove dichiarative ritenute decisive, delle quali non sia stata disposta la rinnovazione a norma dell’art. 603, comma  3, cod. proc. pen.

– in caso di ricorso avverso tale sentenza per mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità  della  motivazione con  riguardo  alla  valutazione di  prove  dichiarative ritenute decisive,  pur in assenza di specifico riferimento  al  principio  contenuto nell’art. 6,  par.  3,  lett.   d),  CEDU, la  Corte di cassazione, ove non rilevi l’inammissibilità dell’impugnazione, deve annullare  con rinvio  la sentenza  impugnata.

– tali principi  trovano applicazione anche in caso  di riforma della sentenza  di proscioglimento di primo  grado,  ai fini delle statuizioni civili,  sull’appello  proposto dalla parte civile.

GIUDICE DELL’ESECUZIONE – APPLICAZIONE DELLA DISCIPLINA DEL REATO CONTINUATO

La Prima sezione della Corte di Cassazione, in data 22 giugno 2016, ha rimesso alle Sezione Unite la questione se il giudice dell’esecuzione, nella rideterminazione della pena complessiva in dipendenza del riconoscimento della continuazione, una volta individuata la violazione più grave e fatto salvo il contenimento del trattamento sanzionatorio entro il limite della somma delle pene inflitte con ciascuna condanna, come stabilito dall’art. 671 cod. proc. pen., possa quantificare l’aumento per un determinato reato satellite in misura superiore all’aumento originariamente applicato per quel reato.

GIUDICE DELL’ESECUZIONE – ABOLIZIONE DEL REATO

Le Sezioni Unite, con la sentenza n. 26259 del 29 ottobre 2015, depositata il 23 giugno 2016, risolvendo un contrasto giurisprudenziale insorto in ordine alla possibilità, per il giudice dell’esecuzione, di revocare perabolitio criminisuna sentenza di condanna emessa nei confronti di uno straniero irregolare per il reato di cui all’art. 6, terzo comma, T.U. Imm., dopo le modifiche apportate a tale articolo dalla legge 15 luglio 2009, n. 94, ed interpretate dalle Sezioni Unite nel senso che soggetto attivo del reato può ormai essere il solo straniero regolarmente soggiornante (cfr. Sez. U, n. 16453 del 24/02/2011, Alacev), hanno affermato che il giudice dell’esecuzione può revocare, ai sensi dell’art. 673 cod. proc. pen., una sentenza di condanna pronunciata dopo l’entrata in vigore della legge che ha abrogato la norma incriminatrice, quando l’evenienza diabolitio criminisnon sia stata rilevata dal giudice della cognizione.

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di Luigi Giordano

INDUZIONE INDEBITA – VIOLENZA SESSUALE – CONCORSO – ESCLUSIONE

Con la sentenza n. 33049, del 17 maggio 2016, depositata il 28 luglio 2016, la Terza sezione della Corte di cassazione ha affermato che non è configurabile il concorso di reati tra il delitto di violenza sessuale mediante costrizione e quello di induzione indebita, previsto dall’art. 319 quater cod. pen.

DIFFAMAZIONE – ELEMENTO OGGETTIVO

Con sentenza del 29 febbraio 2016, depositata il 26 agosto 2016, la Quinta sezione della Suprema Corte ha ritenuto immune da censure la valutazione del giudice di merito secondo cui il termine “animali” utilizzato nel rivolgersi alle persone offese si presenta offensivo dell’onore e decoro dei destinatari, con esso volendosi attribuire alle persone offese mancanza di senso civico e di educazione, caratteristica questa, secondo la comune sensibilità, lesiva dell’ altrui reputazione.

MINACCIA – ELEMENTO OGGETTIVO

Con sentenza n. 35018, del 3 maggio 2016, depositata il 18 agosto 2016, la Quarta sezione ha ribadito che, ai fini dell’integrazione del delitto di cui all’art. 612 cod. pen., è necessaria una minaccia che sia idonea a cagionare effetti intimidatori sul soggetto passivo, ancorché il turbamento psichico non si verifichi in concreto, da valutarsi con criterio medio ed in relazione alle concrete circostanze del fatto. Risponde di tale reato, pertanto, l’insegnante che minacci un suo allievo con un coltello a serramanico, dicendogli «stai zitto o ti squarcio» anche se le circostanze del fatto e la reazione dell’insegnante successiva al fatto possano abbiano ridimensionato la gravità del fatto e dato allo stesso una connotazione scherzosa, tanto che «nessuno si era spaventato» e che «la cosa si era risolta in una risata generale».

REATI CONTRO IL PATRIMONIO – AUTORICICLAGGIO

La Corte di cassazione, Seconda sezione, con la sentenza n. 33074 del 14 luglio 2016, depositata il 28 luglio 2016 della Seconda Sezione ha affermato che non costituisce l’elemento oggettivo del delitto di autoriciclaggio la condotta di versamento del profitto del furto su una carta prepagata intestata allo stesso autore del delitto presupposto, difettando la capacità di occultare la provenienza delittuosa del denaro oggetto del profitto.

ACQUE- INQUINAMENTO IDRICO – TUTELA PENALE – SCARICO DI ACQUE REFLUE.

La Corte di Cassazione, Sez. III, con sentenza n. 35850 del 10/05/2016 (dep. 31/08/2016) ha affermato che, in tema di inquinamento idrico, lo scarico di acque reflue provenienti da un centro di emodialisi configura il reato di cui all’art. 137, comma 1,  del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, trattandosi di acque provenienti da un’attività che ha ad oggetto l’effettuazione di prestazioni terapeutiche caratterizzate dall’impiego di sostanze estranee sia al metabolismo umano che alle attività domestiche.

MISURE CAUTELARI PERSONALI – ATTUALITA’ DEL PERICOLO.

La Corte di cassazione, Sez. Sesta, con sentenza n. 24476 del 4 maggio 2016, depositata il 13 giugno 2016, Rv. 266999, ha affermato che “l’art. 274, lett. c), cod. proc. pen., nel testo introdotto dalla legge 16 aprile 2015, n. 47, richiede che il pericolo che l’imputato commetta altri delitti deve essere non solo concreto, ma anche attuale; ne deriva che non è più sufficiente ritenere altamente probabile che l’imputato torni a delinquere qualora se ne presenti l’occasione, ma è anche necessario prevedere che all’imputato si presenti effettivamente un’occasione per compiere ulteriori delitti”.

MISURE CAUTELARI PERSONALI – SCELTA DELLA MISURA – PROGNOSI DI CONDANNA SUPERIORE AD ANNI TRE DI RECLUSIONE

La Corte di cassazione, con sentenza del 27 gennaio 2016, n. 11045, depositata il 16 marzo 2016), affrontando il delicato tema dell’applicabilità della custodia cautelare in carcere per il reato di evasione, ha affermato che «… i limiti di applicabilità della misura della custodia cautelare in carcere previsti dall’art. 275 comma 2-bis, secondo periodo, cod. proc. pen. possono essere superati dal giudice qualora ritenga, secondo quanto previsto dal successivo comma terzo, prima parte, della norma citata, comunque inadeguata a soddisfare le esigenze cautelari ogni altra misura meno afflittiva (in questo senso, Sez. 3, n. 32702 del 27/03/2015, Jabbar; Sez. 4, n. 43631 del 18/09/2015, Jovanovic)».

Al riguardo, la Corte di cassazione, con sentenza del 23 giugno 2016, n. 31583, Halilovic, depositata il 21 luglio 2016, in motivazione ha affermato che il legislatore «disegna un sistema normativo che affida in modo tutt’altro che illogico la reazione alla trasgressione delle prescrizioni concernenti il divieto di allontanarsi dai luoghi in cui sono attuate le misure cautelari e detentive domiciliari unicamente agli specifici meccanismi propri alla gestione di quelle misure, eliminando la sovrapposizione di valutazioni – e la possibilità di confliggenti esiti – permessa, prima della citata novella, dall’art. 391, comma 5, cod. proc. pen. in tutti i casi di evasione puniti ai sensi del primo comma dell’art. 385 cod. pen.Al di là dei giudizi di opportunità relativi a tale innovazione normativa, non sembra quindi possibile – nel contesto sopra richiamato e tenuto conto dei sopra citati principi costituzionali (artt. 13, comma 2; 27, comma 3; 32 Cost.) – liquidare tale novella e il mancato richiamo dell’art. 275, comma 2 bis, tra le norme di cui l’art. 391, comma 5, consente, in caso di arresto convalidato, la deroga a fini dell’applicazione di una misura coercitiva, come dati manifestamente illogici, frutto di una semplice svista del legislatore. Al contrario, si impone all’interprete l’obbligo di registrare il chiaro tenore testuale delle norme in esame, che attengono ai presupposti e alle condizioni di legalità delle limitazioni che possono essere tassativamente imposte alle libertà della persona ex artt. 13, comma 2, Cost. e 272 cod. proc. pen. e sono quindi insuscettibili di interpretazione analogica o estensiva».

Sul medesimo tema, la Suprema Corte, con sentenza del 17 maggio 2016, n. 24111, depositata il 9 giugno 2016,  ha affermato che, ai fini dell’applicazione del limite all’adozione della misura della custodia in carcere previsto dall’art. 275, comma 2-bis. cod. proc. pen., deve trovare applicazione il principio secondo cui le diminuenti connesse a riti speciali non hanno incidenza ai fini delle valutazioni prognostiche da operare ex art. 275, cod. proc. pen., in sede di applicazione delle misure cautelari”

MISURE CAUTELARI PERSONALI – DICHIARAZIONE DI INEFFICACIA PER MOTIVI FORMALI – LIMITI ALLA RIEMISSIONE DELLA MISURA – NECESSITA’ DELLA SUSSISTENZA DI ECCEZIONI RAGIONI DI CAUTELA – NOZIONE

La Corte di cassazione, con sentenza n. 29921/2016, depositata il 14 luglio 2016, ha affermato che «per quanto riguarda la nozione ed i criteri per identificare la sussistenza di “esigenze cautelari di eccezionale rilevanza” sul punto si è formato un consolidato orientamento giurisprudenziale, in relazione alle norme di cui all’art. 275, quarto comma, cod. proc. pen. Secondo tale indirizzo le esigenze cautelari di eccezionale rilevanza si distinguono da quelle ordinarie solo per il grado del pericolo, che deve superare la semplice concretezza richiesta dall’art. 274 cod. proc. pen., per raggiungere la soglia della sostanziale certezza che l’indagato, ove sottoposto a misure cautelari diverse dalla custodia in carcere, continui nella commissione di delitti della stessa specie di quello per cui si procede – e sono desumibili dagli stessi elementi indicati per le ordinarie esigenza cautelari e, pertanto, dalle specifiche modalità e circostanze del fatto e dalla personalità dell’indagato desunta da comportamenti o atti concreti o dai suoi precedenti penali».

Sullo stesso tema, la Corte di cassazione, con sentenza n. 28002-2016, depositata il 6 luglio 2016, ha affermato che «…le eccezionali esigenze cautelari richieste per l’emissione di una nuova ordinanza cautelare non vanno equivocate con la necessità di un quid pluris rispetto alla situazione precedente né con la necessità di elementi nuovi sopraggiunti. … Il requisito delle eccezionali esigenze cautelari costituisce un rafforzamento degli indicatori del pericolo di reiterazione, il quale diviene elevata probabilità di ripetizione delle azioni delittuose. In altri termini, esse non coincidono con una normale situazione di pericolosità, ma si identificano in una esposizione al pericolo per la collettività di tale consistenza da non risultare compensabile se non con l’imposizione di una misura coercitiva. Ma, al contempo, tali esigenze sono comunque desumibili dagli stessi elementi indicati per le ordinarie esigenze cautelari …».

Con la sentenza n. 28957-2016, depositata il 12 luglio 2016, infine, la Corte di cassazione ha affermato che «… tra i parametri di valutazione della sussistenza delle “eccezionali esigenze cautelari” va annoverata anche la ‘doppia’ presunzione relativa (ovvero, nei casi residui, assoluta), di sussistenza delle esigenze e di adeguatezza, prevista dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. … Nel caso della rinnovazione della misura ex art. 309, comma 10, c.p.p., invece, è la stessa presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della custodia in carcere, salvo ‘prova contraria’, sancita dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., a fondare un giudizio, formulato in astratto ed ex ante dal legislatore, di “eccezionalità”; tale, cioè, da fondare una valutazione di costante ed invariabile pericolo ‘cautelare’, salvo ‘prova contraria’. …  l’antinomia’ tra l’art. 275, comma 3, e l’art. 309, comma 10, cod. proc. pen., non può essere risolta, interpretativamente, in favore della prevalenza della seconda norma, che è generale, laddove la prima norma, che sancisce la presunzione relativa, è speciale; secondo il tradizionale criterio interpretativo cronologico lexspecialisderogatlegi generali, lexposteriorgeneralis non derogat priori speciali, dunque, la presunzione di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., in particolare nella dimensione della ‘sussistenza delle esigenze cautelari’, deve ritenersi prevalente sulla norma di cui all’art. 309, comma 10, cod. proc. pen., nel senso che l’ “eccezionalità” delle esigenze cautelari deve intendersi, salvo ‘prova contraria’, insita proprio nel giudizio di astratta e costante ‘pericolosità cautelare’ formulato ex ante dal legislatore. Di conseguenza, nel caso in cui il titolo cautelare riguardi i reati indicati nell’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. (tra i quali l’associazione per delinquere finalizzata al narcotraffico), la presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari deve ritenersi, salvo ‘prova contraria’ (recte, salvo che emergano elementi di segno contrario), integrare le “eccezionali esigenze cautelari” richieste dall’art. 309, comma 10, cod. proc. pen. per la rinnovazione della misura estinta».

MISURE CAUTELARI – PERSONALI – PROVVEDIMENTI – ORDINANZA DEL GIUDICE – REQUISITI – MOTIVAZIONE

La Terza sezione, con sentenza n. 18501 del 2 febbraio 2016 depositata il 4 maggio 2016, ha affermato che in tema di motivazione delle ordinanze cautelari personali, la prescrizione della necessaria autonoma valutazione delle esigenze cautelari e dei gravi indizi di colpevolezza, contenuta nell’art. 292, comma primo, lett. c), cod. proc. pen., come modificato dalla legge 16 aprile 2015, n. 47, va osservata anche nell’ipotesi di ordinanza che applichi nuovamente la custodia cautelare che abbia perduto efficacia per omesso interrogatorio di garanzia, essendo prescritta una nuova valutazione che “attualizzi” la sussistenza delle predette condizioni anche in base alle risultanze dell’interrogatorio. (Nella fattispecie, la S.C. ha ritenuto legittima l’ordinanza emessa ai sensi dell’art. 302 cod. proc. pen. che aveva operato un integrale rinvio “per relationem” all’ordinanza genetica -allegandola in copia – quanto all’individuazione dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari, e ne aveva attualizzato la valutazione richiamando, per incorporazione, le esigenze cautelari evidenziate nella nuova richiesta del P.M., nonché il contenuto delle dichiarazioni rese dall’indagato nel corso dell’interrogatorio di garanzia, ritenuto privo di elementi di novità suscettibili di diversa valutazione cautelare).

TRIBUNALE DEL RIESAME – POTERI

La Corte di cassazione, sezione Seconda, con sentenza n. 10150 del 24 febbraio 2016, depositata in data 11 marzo 2016, Rv. 266190, ha affermato che ilTribunale del riesame ha il potere-dovere di integrare le insufficienze motivazionali dell’ordinanza di custodia cautelare relative alla valutazione di inadeguatezza della misura degli arresti domiciliari con l’uso del braccialetto elettronico atteso che l’art. 309 comma nono cod. proc. pen. non prevede quale causa di annullamento dell’ordinanza cautelare la mancanza di indicazioni sull’adeguatezza della misura. (Nella fattispecie il g.i.p. si era limitato a valutare l’inadeguatezza delle altre misure coercitive facendo riferimento all’assenza di una fissa dimora dell’indagato).

MISURE CAUTELARI REALI – SEQUESTRO CONSERVATIVO – RIESAME – QUESTIONI ATTINENTI LA PIGNORABILITÀ DEI BENI- COMPETENZA DEL TRIBUNALE DEL RIESAME – SUSSISTENZA.

Le Sezioni Unite della corte di Cassazione, con sentenza del 21 luglio 2016 (dep. 16 settembre 2016), n. 38670 in materia di sequestro conservativo, hanno affermato che le questioni  attinenti alla pignorabilità dei beni sono deducibili con la richiesta di riesame e devono essere decise dal giudice penale, non sussistendo una riserva di competenza del giudice civile a deciderle dopo la conversione del sequestro conservativo in pignoramento, a seguito della irrevocabilità della sentenza.

ARCHIVIAZIONE – RICHIESTA DEL PUBBLICO MINISTERO – OPPOSIZIONE DELLA PERSONA OFFESA – ARCHIVIAZIONE PER PARTICOLARE TENUITÀ DEL FATTO IN LUOGO DEI DIVERSI MOTIVI INDICATI DAL P.M. – MANCATA OSSERVANZA DELLE DISPOSIZIONI DI CUI ALL’ART. 411, COMMA 1 BIS, COD. PROC. PEN. – CONSEGUENZE.

Con sentenza n. 36857 del 7/07/2016 (dep. 5/09/2016), la Quinta sezione penale della Corte di Cassazione ha affermato che è nulla l’ordinanza di archiviazione per particolare tenuità del fatto pronunciata ai sensi dell’art. 411, comma 1, cod. proc. pen., in luogo dei diversi motivi di merito indicati nella richiesta del p.m., senza l’osservanza della speciale procedura prevista al comma 1 bis, non essendo le disposizioni generali contenute negli artt. 408 e ss. cod. proc. pen. idonee a garantire il necessario contraddittorio sul punto. 

IMPUGNAZIONI – APPELLO

Con sentenza n. 33563 del 14 luglio 2016, depositata il 1 agosto 2016, la Seconda Sezione ha affermato che non viola il divieto di reformatio in peius il giudice dell’appello che, derubricando il reato, individui una pena base di entità maggiore rispetto a quella stabilita per l’originaria ipotesi di reato, purchè venga irrogata in concreto una sanzione finale non superiore a quella inflitta dal giudice di primo grado.

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a cura di Luigi Giordano

TRUFFA CONTRATTUALE – PAGAMENTO DA PARTE DELLA VITTIMA A MEZZO BONIFICO BANCARIO – MOMENTO DELLA CONSUMAZIONE DEL REATO – ACCREDITO DELLA SOMMA SUL CONTO CORRENTE DEL DESTINATARIO.

La Sezione feriale, con sentenza del 30 agosto 2016 (dep. 8 settembre 2016), n. 37400, Ferrari, ha ribadito l’orientamento consolidato secondo cui il momento consumativo del delitto di truffa, anche agli effetti della competenza territoriale, è quello dell’effettivo conseguimento dell’ingiusto profitto, con correlativo danno alla persona offesa, e tale momento si verifica all’atto dell’effettiva prestazione del bene economico da parte del raggirato, con susseguente passaggio dello stesso nella sfera di disponibilità dell’agente. Ha poi aggiunto che, nel caso di truffa contrattuale con pagamento da parte della vittima di un importo per mezzo di bonifico bancario, bonifico bancario, «il momento dell’ordine di pagamento impartito alla banca da parte della persona offesa non è contestuale a quello della ricezione della somma da parte del destinatario, avendo il denaro, oggetto dell’operazione bancaria, come destinazione un conto corrente diverso da quello dell’ordinante, acceso presso la banca del destinatario in luogo che può essere differente e potendo, il bonifico bancario, essere revocato dall’ordinante nelle more della transazione impedendo al reato di giungere a consumazione». La consumazione del reato, di conseguenza, presuppone che la somma di denaro bonificata venga accreditata sul conto corrente del destinatario, con conseguente e successivo addebito sul conto corrente dell’ordinante che ne perde definitivamente la disponibilità, occorrendo «un consolidamento in termini economici dell’operazione in capo al soggetto attivo». Fino al momento dell’accredito sul conto del destinatario, «la semplice disposizione impartita all’istituto bancario, non consolidando l’operazione, non comporta alcuna consumazione del reato, posto che il soggetto attivo non ha ancora acquisito la valuta».

REATI CONTRO IL PATRIMONIO – DELITTI – TRUFFA – IN GENERE – FRODE INFORMATICA – MOMENTO CONSUMATIVO.

La Sezione I penale della Corte, con sentenza n. 36359 del 20 maggio 2016 (dep. 1 settembre 2016), ha affermato che il reato di frode informatica si consuma nel momento e nel luogo in cui il soggetto agente consegue l’ingiusto profitto con correlativo danno patrimoniale altrui e non in quelli in cui interviene l’attività di manipolazione del sistema di elaborazione dati o di alterazione del funzionamento del sistema.

REATO – CIRCOSTANZE – AGGRAVANTI COMUNI – SEVIZIE E CRUDELTA’ – NATURA SOGGETTIVA – COMPATIBILITÀ CON IL DOLO D’IMPETO – SUSSISTENZA.

Con sentenza n. 40516 del 23 giugno 2016 (dep. 29 settembre 2016), Del Vecchio, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno affermato che la circostanza aggravante dell’aver agito con crudeltà, di cui all’art. 61, primo comma, n. 4, cod. pen., ha natura soggettiva e non è incompatibile con il dolo d’impeto.

SICUREZZA PUBBLICA – STRANIERI – REATO DI INGIUSTIFICATA INOSSERVANZA DELL’ORDINE DI ALLONTANAMENTO DEL QUESTORE DI CUI ALL’ART. 14, COMMA 5-TER D.LGS. N. 286 DEL 1998 – MODIFICA NORMATIVA INTRODOTTA DAL D.L. N. 89 DEL 2011, CONVERTITO NELLA LEGGE N. 129/2011 – NUOVA INCRIMINAZIONE – CONSEGUENZE.

La Sezione I penale, con sentenza n. 36363 del 26 maggio 2016, dep. il 1 settembre 2016, Mamanaj, ha ribadito che la nuova formulazione del reato di cui all’art. 14, comma 5-ter, D.Lgs. n. 286 del 1998, introdotta dall’art. 3 del D.L. n. 89 del 2011, convertito con modificazioni nella legge n. 129 del 2011, non si pone in continuità normativa con la precedente fattispecie di reato (non più applicabile nell’ordinamento a seguito della sentenza della Corte di Giustizia U.E. 28 aprile 2011, ElDridi), sia per lo iato temporale intercorrente dalla scadenza del termine di recepimento della direttiva 2008/115/CE del Parlamento e del Consiglio (cd. direttiva “rimpatri”) al momento dell’entrata in vigore delle nuove disposizioni, sia per la diversità dei presupposti e la differente tipologia delle condotte integranti l’illecito delineato, dando luogo, pertanto, ad una nuova incriminazione, applicabile solo ai fatti verificatisi dopo l’entrata in vigore della normativa sopra citata. In motivazione, la Corte ha precisato che, a differenza di quanto previsto in precedenza, all’intimazione di allontanamento si può pervenire solo all’esito infruttuoso dei meccanismi agevolatori della partenza volontaria ed allo spirare del periodo di trattenimento presso un centro a ciò deputato.

STUPEFACENTI – IN GENERE – CIRCOSTANZA AGGRAVANTE DELLA INGENTE QUANTITÀ – CONFIGURABILITÀ – SEQUESTRO DELLA SOSTANZA – NECESSITÀ – ESCLUSIONE.

Con sentenza n. 35042 del 1 marzo 2016, dep. 19 agosto 2016, Gjeja, la Corte di Cassazione ha affermato che, in tema di stupefacenti, la circostanza aggravante della detenzione di ingente quantità di cui all’art. 80, comma secondo, d.P.R. n. 309 del 1990 può essere configurata anche in mancanza del sequestro della sostanza, purché vi siano elementi di prova certi che consentano di pervenire per via indiretta alla individuazione del dato ponderale. Nella fattispecie, la sussistenza dell’aggravante è stata desunta dalle conversazioni telefoniche intercettate, che provavano ripetute massicce importazioni di marjuana, di cui era riferita l’ottima qualità, confermate dalle cospicue disponibilità finanziarie dei co-indagati, immediatamente ricollegabili ai traffici, e dall’elevato principio attivo riscontrato nella droga sequestrata ad alcuni acquirenti.

STUPEFACENTI – IN GENERE – ASSOCIAZIONE FINALIZZATA AL TRAFFICO ILLECITO DI SOSTANZE STUPEFACENTI – STABILE ACQUIRENTE DELLA SOSTANZA – PARTECIPAZIONE ALL’ASSOCIAZIONE – CONDIZIONI.

Con sentenza n. 30233 del 15 gennaio 2016, dep. 17 luglio 2016, la Corte di Cassazione ha affermato che integra la condotta di partecipazione ad un’associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti la costante disponibilità all’acquisto delle sostanze stupefacenti di cui il sodalizio illecito fa traffico, ove sussista la consapevolezza che la stabilità del rapporto instaurato garantisce l’operatività dell’associazione, rivelando in tal modo la presenza del cd. affectiosocietatis tra l’acquirente ed i fornitori. In particolare, è stato sostenuto che la partecipazione all’associazione non è esclusa dal fatto che l’indagato, pur di continuare a spacciare, fosse stato costretto, con minaccia, a rifornirsi costantemente di droga dal sodalizio criminale.

MISURE CAUTELARI – PERSONALI – ESTINZIONE – TERMINE DI DURATA MASSIMA DELLA CUSTODIA CAUTELARE -UDIENZA PRELIMINARE – ORDINANZA DI TRASMISSIONE DEGLI ATTI AL P.M., AI SENSI DELL’ART. 33-SEXIES COD. PROC. PEN., PER L’EMISSIONE DEL DECRETO DI CITAZIONE DIRETTA A GIUDIZIO – DECORRENZA “EX NOVO” DEI TERMINI DI DURATA MASSIMA – ESCLUSIONE.

Con sentenza del 8 settembre 2016, dep. 14 ottobre 2016), n. 43666, la Sezione II della Corte ha affermato che, in tema di estinzione della custodia cautelare per il decorso dei termini di durata massima, i termini stabiliti dall’art. 303, comma 1, lett. a), cod. proc. pen., per la fase che inizia con l’esecuzione della misura cautelare e si conclude con il provvedimento che dispone il giudizio, non decorrono nuovamente qualora, nel corso dell’udienza preliminare, il giudice – ritenendo che per il reato contestato debba procedersi con citazione diretta a giudizio – pronunci ordinanza di trasmissione degli atti al pubblico ministero, ai sensi dell’art. 33-sexies cod. proc. pen.,  per l’emissione del decreto di citazione.

MISURE CAUTELARI – PERSONALI – IMPUGNAZIONI – RIESAME – DECISIONE – IN GENERE – MOTIVAZIONE DELL’ORDINANZA EMESSA IN SEDE DI RIESAME – ECCEZIONE DI DIFETTO DI AUTONOMA VALUTAZIONE – RIGETTO – GENERICO RINVIO “A PIÙ PARTI” DELL’ORDINANZA DEL G.I.P. – SUFFICIENZA – ESCLUSIONE.

Con sentenza n. 23869 del 22 aprile 2016, dep. 8 giugno 2016, Perricciolo, la Sezione I della Corte di Cassazione ha affermato che è meramente apparente la motivazione con la quale il tribunale del riesame, di fronte all’eccezione difensiva relativa alla mancanza di un’autonoma valutazione da parte del G.i.p. dei requisiti normativi previsti per l’adozione della misura coercitiva, confermi il provvedimento cautelare limitandosi ad affermare, in modo generico e sintetico, che il giudice, “in più parti”, ha inserito le proprie conclusioni ed indicato gli elementi valutativi, senza precisare in quali punti, passaggi o pagine dell’ordinanza potesse rinvenirsi l’autonoma valutazione che l’art. 292 cod. proc. pen. richiede a pena di nullità.

MISURE CAUTELARI – PERSONALI – IMPUGNAZIONI – RIESAME – PROCEDIMENTO – TRIBUNALE DEL RIESAME – ESPLETAMENTO DI ATTIVITÀ ISTRUTTORIA – POTERE – ESCLUSIONE.

Con sentenza n. 23869 del 22 aprile 2016, dep. 8 giugno 2016, Perricciolo, la Sezione I della Corte di Cassazione ha ribadito che il tribunale del riesame è privo di poteri istruttori in relazione ai fatti relativi all’imputazione, incompatibili con la speditezza del procedimento incidentale de libertate, dovendo limitarsi, ai fini della decisione, alla valutazione delle risultanze processuali già acquisite o degli elementi eventualmente prodotti dalle parti nel corso dell’udienza.

MISURE CAUTELARI – REALI – SEQUESTRO PREVENTIVO – PERDITA DI EFFICACIA – SENTENZA DI PROSCIOGLIMENTO NEI CONFRONTI DELL’INTESTATARIO FORMALE DEL BENE – CONFISCABILITÀ DEL BENE NEI CONFRONTI DEL PROPRIETARIO EFFETTIVO – RESTITUZIONE DEL CESPITE – POSSIBILITÀ – ESCLUSIONE.

Con sentenza n. 36365 del 1 giugno 2016, dep. 1 settembre 2016, Galasso, la Sezione I penale della Corte di Cassazione ha affermato che, in tema di sequestro preventivo, la pronuncia di sentenza di proscioglimento nei confronti del titolare formale del bene sottoposto a vincolo non determina, ex art. 323 cod. proc. pen., la revoca della misura cautelare reale e la restituzione della cosa qualora sia disposta la condanna, con conseguente confisca, nei confronti del titolare effettivo del bene medesimo. Nel caso concreto, il titolare formale del bene era stato assolto, mentre la confisca era stata disposta a norma dell’art. 12 sexies del D.L. 8 giugno 1992, n. 306nei confronti del proprietario effettivo.

MISURE CAUTELARI – REALI – SEQUESTRO PREVENTIVO – ESECUZIONE ALL’ESTERO – CONTROLLO GIURISDIZIONALE – POSSIBILITA’

Con sentenza del 19 ottobre 2016, la Sezione VI della Corte di Cassazione ha affermato che è ammissibile il controllo giurisdizionale sui presupposti del sequestro preventivo eseguito all’estero su richiesta dell’Autorità giudiziaria italiana. Nella fattispecie, si trattava di un sequestro eseguito in Svizzera. La Corte ha annullato l’ordinanza del tribunale che, in sede di appello ex art. 322-bis cod. proc. pen. aveva dichiarato inammissibile l’istanza dell’interessato volta ad ottenere il controllo sui presupposti legittimanti il sequestro ai fini di confisca.

INDAGINI PRELIMINARI – ARRESTO IN FLAGRANZA – CONDIZIONI – STATO DI FLAGRANZA – INFORMAZIONI DA PARTE DELLA VITTIMA O DI TERZI ASSUNTE NELLA IMMEDIATEZZA DEL FATTO – POSSIBILITÀ – ESCLUSIONE.

Le Sezioni Unite Penali della Corte di cassazione, con sentenza del 24 novembre 2015 (dep. 21 settembre 2016), n. 39131, Ventrice hanno affermato che non può procedersi all’arresto in flagranza sulla base di informazioni della vittima o di terzi fornite nella immediatezza del fatto.

IMPUGNAZIONI – APPELLO – COGNIZIONE DEL GIUDICE D’APPELLO – DIVIETO DI “REFORMATIO IN PEIUS” – DIVERSA QUALIFICAZIONE GIURIDICA DEL FATTO DA PARTE DEL GIUDICE DI APPELLO – REATO PROCEDIBILE DI UFFICIO IN LUOGO DI ALTRO PROCEDIBILE A QUERELA – VIOLAZIONE DEL DIVIETO – SUSSISTENZA.

La Corte di Cassazione, Sezione V, con sentenza del 20 luglio 2016 (dep.7 ottobre 2016, n. 42577/16, Anetrini, ha affermato che, in assenza di impugnazione da parte del pubblico ministero, viola il divieto di “reformatio in peius” la diversa qualificazione giuridica del fatto da parte del giudice del gravame, qualora a ciò consegua la configurazione di un delitto procedibile di ufficio, escluso dal primo giudice, in luogo di uno procedibile a querela.

GIUDICE DELL’ESECUZIONE – CORTE COST., SENT. N. 32 DEL 2014 – EFFETTI – REVIVISCENZA DELL’ORIGINARIO TRATTAMENTO SANZIONATORIO – DROGHE COSIDDETTE “LEGGERE” – REGIME DI MAGGIOR FAVORE PER IL REO – CONSEGUENZE – SENTENZA IRREVOCABILE DI CONDANNA – DOVERE DI PROCEDERE ALLA RIDETERMINAZIONE DELLA PENA – SUSSISTENZA – CONTENUTO.

Con sentenza n. 35805 del 20 aprile 2016, dep. il 30 agosto 2016, Marcianò, la Corte di Cassazione, in tema di stupefacenti, ha affermato che il giudice dell’esecuzione – richiesto di adeguare il trattamento sanzionatorio in precedenza determinato per l’illecita detenzione di “droghe leggere” sulla base dei limiti edittali di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990, come modificato dalla legge n. 49 del 2006, in vigore al momento del fatto, ma dichiarato successivamente incostituzionale con sentenza n. 32 del 2014 – deve procedere alla rideterminazione della pena sulla base dei criteri previsti dall’art. 133 cod. pen., anche nel caso in cui la pena concretamente inflitta sia compresa entro i limiti edittali previsti dalla normativa oggetto di reviviscenza appena indicati.

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a cura di Luigi Giordano

REATI CONTRO LA PERSONA – DELITTI CONTRO LA LIBERTÀ INDIVIDUALE – VIOLENZA SESSUALE – IN GENERE – ATTI SESSUALI – NOZIONE – NECESSITÀ DEL COINVOLGIMENTO FISICO O EMOTIVO DELLA VITTIMA – ESCLUSIONE – FATTISPECIE.

La Sez. 3 della Corte di Cassazione, con sentenza n. 47980 del 28 settembre 2016, depositata il 14 novembre 2016, ha affermato che, ai fini della consumazione del reato di cui all’art. 609-quater cod. pen., è sufficiente il compimento di un atto sessuale con un minorenne, non essendo necessario il coinvolgimento fisico o emotivo di quest’ultimo o la consapevolezza dell’offesa arrecata allo sviluppo della sua personalità sessuale. (Fattispecie consistita in atti sessuali di autoerotismo compiuti dall’imputato mentre teneva la nipote di mesi undici sulle ginocchia).

REATI CONTRO LA LIBERTÀ INDIVIDUALE – VIOLENZA SESSUALE – AGGRAVANTE DI CUI ALL’ART. 61 N. 11-QUINQUIESCOD. PEN. – MINORE CHE HA ASSISTITO AL FATTO –  LEGITTIMAZIONE ALLA COSTITUZIONE DI PARTE CIVILE E ALL’IMPUGNAZIONE – SUSSISTENZA.

La Sezione 3 della Corte di Cassazione, all’udienza del 17 maggio 2016, con sentenza depositata il 27 ottobre 2016, n. 45403,  ha affermato che nei delitti di violenza sessuale aggravati ai sensi  dell’art. 61 n. 11-quinquies cod. pen., il minore che ha assistito al fatto delittuoso riveste la qualifica di persona offesa ed è, pertanto, legittimato alla  costituzione di parte civile ed all’ impugnazione della sentenza.

SANITA’ PUBBLICA – IN GENERE – LEGGE N. 68 DEL 22 MAGGIO 2015 – DELITTI CONTRO L’AMBIENTE – ART. 452-BISCOD. PEN. – INQUINAMENTO AMBIENTALE – “COMPROMISSIONE” O DETERIORAMENTO” – NOZIONE.

La Terza sezione, con sentenza n. 46170 del 21 settembre 2016, (depositata il 3 novembre 2016, ha affermato che la “compromissione” o il “deterioramento”, di cui al delitto di inquinamento ambientale previsto dall’art. 452- bis cod. pen., introdotto dalla legge n. 68 del 2015, si risolvono in una alterazione, significativa e misurabile, della originaria consistenza  della matrice ambientale o dell’ecosistema, caratterizzata, nel caso della “compromissione”, da una condizione di squilibrio “funzionale”, incidente sui processi naturali correlati alla specificità della matrice o dell’ecosistema medesimi e, nel caso del “deterioramento”, da una condizione di squilibrio “strutturale”, connesso al decadimento dello stato o della qualità degli stessi. 

STUPEFACENTI – IN GENERE – CIRCOSTANZE AGGRAVANTI – INGENTE QUANTITÀ – CONFIGURABILITÀ – CRITERI DI INDIVIDUAZIONE

La Terza sezione della Corte di cassazione, con la sentenza del 28 settembre 2016, n. 47978, depositata il 14 novembre 2016, ha affermato che, in tema di produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti del tipo “hascisc”, poiché l’art. 1 del d.m. 4 agosto 2006 che, raddoppiando il moltiplicatore della dose media giornaliera previsto al punto 40 della tabella allegata al d.m. 11 aprile 2006, aveva portato da mg. 500 a mg. 1000 il quantitativo di principio giornaliero di THC riferibile ad un uso esclusivamente personale, è stato annullato dal Tar Lazio, con la sentenza n. 2487 del 2007, l’aggravante della ingente quantità di cui all’art. 80, comma secondo, d.P.R. n. 309 del 1990 non è di norma ravvisabile quando la quantità sia inferiore non a 2.000, ma a 4000 volte il valore massimo, in milligrammi (valore – soglia), determinato per ogni sostanza nella predetta tabella allegata al d.m. 11 aprile 2006, ferma restando la discrezionale valutazione del giudice di merito, quando tale quantità sia superata. 

MISURE DI SICUREZZA – PATRIMONIALI – CONFISCA – GIUDICE DELL’ESECUZIONE – ISTANZA DEL TERZO ESTRANEO AL PROCESSO – SOSTITUZIONE DEL BENE CONFISCATO CON DENARO – POSSIBILITÀ – ESCLUSIONE.

La Prima Sez. della Suprema Corte, all’udienza del 15 settembre 2016, con provvedimento depositato il 4 novembre 2016, n. 46559, ha affermato che, in tema di confisca, il giudice dell’esecuzione non può disporre, su istanza del terzo rimasto estraneo al processo, la sostituzione del bene confiscato con una somma di denaro di pari valore.

COMPETENZA – DICHIARAZIONE DI INCOMPETENZA – TRASMISSIONE ATTI ALLA CORTE DI ASSISE ANZICHÉ AL PM

La Sezione Quinta della Corte di Cassazione, con ordinanza del 3-4 novembre 2016, ha rimesso alle Sezioni Unite la seguente questione: “Se la trasmissione degli atti da parte del Tribunale – dichiaratosi incompetente per materia con sentenza ex art. 23 c.p. in ordine ad uno dei delitti di cui all’art. 51, comma 3-bis, cod. proc. pen.  – alla Corte di Assise anziché al Pubblico ministero, determini la nullità di tutti gli atti conseguenti”

MEZZI DI RICERCA DELLA PROVA – INTERCETTAZIONI – INFORMATICHE

La Quarta sezione, con sentenza n. 40903 del 28 giugno 2016, depositata il 30 settembre 2016, ha affermato che le e-mail pervenute o inviate al destinatario e archiviate da questi nelle cartelle della posta elettronica possono essere oggetto di intercettazione, in quanto sono il frutto di un flusso di dati già avvenuto, mentre è irrilevante la mancanza del presupposto della loro apprensione contestualmente alla comunicazione. Esulano, invece, dal materiale intercettabile le e-mail “bozza”, cioè quelle non inviate al destinatario”, le quali possono comunque essere acquisite per mezzo di un sequestro di dati informatici”.

MISURE CAUTELARI – URGENZA DI PROVVEDERE – DINIEGO – IMPUGNAZIONE

La Sezione prima, con sentenza del 6 ottobre 2016, n. 46588, depositata il 4 novembre 2016, ha affermato che non è impugnabile l’ordinanza del G.i.p. declinatoria della competenza, che abbia ritenuto l’insussistenza dell’urgenza di cui all’art. 291, comma 2, c.p.p., a prescindere dalla correttezza, o meno, della relativa decisione (in una fattispecie di richiesta di convalida presentata al G.i.p.).

MISURE CAUTELARI – PERSONALI – DIVIETO DI ESPATRIO – ESIGENZE CAUTELARI – PERICOLO DI REITERAZIONE DEL REATO – APPLICABILITÀ.

La Prima Sezione della Corte di Cassazione, all’udienza 15 luglio 2016, con sentenza depositata il 24 ottobre 2016, n. 44727, ha affermato che la misura coercitiva del divieto di espatrio può essere applicata anche per il soddisfacimento delle esigenze cautelari relative al pericolo di reiterazione del reato, di cui all’art. 274, lett. c), cod. proc. pen.

MISURE CAUTELARI – REALI – SEQUESTRO PREVENTIVO – OGGETTO –  SEQUESTRO PREVENTIVO FUNZIONALE ALLA CONFISCA PER EQUIVALENTE – TRATTAMENTI PENSIONISTICI – AMMISSIBILITÀ – LIMITI – FATTISPECIE. 

Con sentenza del 7 aprile 2016, depositata il 26 ottobre 2016, n. 44912, la III Sezione della Corte di Cassazione ha affermato che, in tema di sequestro preventivo funzionale alla successiva confisca per equivalente, il divieto di pignoramento di trattamenti pensionistici o ad essi assimilati in misura eccedente un quinto del loro importo stabilito dall’art. 545 cod. proc. civ., essendo previsto a tutela dell’interesse pubblicistico a garantire al pensionato mezzi adeguati alle proprie esigenze di vita, non opera quando le somme erogate a titolo di pensione siano già state corrisposte all’avente diritto e si trovino confuse con il suo restante patrimonio mobiliare. (In motivazione, la Corte ha precisato che la somma percepita come pensione perde detta natura e può essere sottoposta a vincolo a seguito del suo accredito sul conto corrente bancario del creditore e della conseguente confusione con l’ulteriore denaro ivi depositato).

PROVE – MEZZI DI RICERCA DELLA PROVA – PERQUISIZIONI – SEQUESTRO – RICERCA DELLA NOTIZIA DI REATO O DI FATTI NON EMERSI IN PRECEDENZA – FINALITÀ ESPLORATIVA –  SUSSISTENZA – LEGITTIMITÀ – ESCLUSIONE.

Con sentenza del 14 giugno 2016, n. 44928, depositata il 25 ottobre 2016, la III Sezione della Corte di cassazione ha affermato che, in tema di ispezione, perquisizione e sequestro, deve ritenersi illegittimo, perché sorretta da finalità meramente esplorative, l’attività volta ad acquisire la “notitia criminis” in ordine ad un eventuale illecito non ancora individuato nella sua qualificazione giuridica e riguardante fatti non emersi in precedenza. (Nella fattispecie la Corte ha escluso che ricorreva detta finalità nel provvedimento adottato per verificare se le modalità presuntivamente illecite di gestione di un plesso industriale fossero applicate dal medesimo gruppo imprenditoriale anche in altro sito operativo, che presentava analoghe caratteristiche costruttive e di prestazioni).

IMPUGNAZIONI – APPELLO – DIBATTIMENTO – RINNOVAZIONE DELL’ISTRUZIONE – IN GENERE –   “REFORMATIO IN PEIUS” DI UNA SENTENZA DI ASSOLUZIONE – PRINCIPI DELLA CORTE EDU – PRESUPPOSTI DI OPERATIVITÀ

La Sez. III, con la sentenza del 12 luglio 2016, depositata il 13 ottobre 2016, n. 43242, si è discostata dalla decisione delle Sezioni Unite n. 27620 del 2016, affermando che il giudice di appello, investito della impugnazione del pubblico ministero avverso la sentenza di assoluzione di primo grado, anche se emessa all’esito del giudizio abbreviato, con cui si adduca una erronea valutazione delle prove dichiarative, può riformare la sentenza impugnata, affermando la responsabilità penale dell’imputato, senza avere proceduto, anche d’ufficio, ai sensi dell’art. 603, comma 3, c.p.p., a rinnovare l’istruzione dibattimentale attraverso l’esame dei soggetti che abbiano reso dichiarazioni sui fatti del processo, ritenute decisive ai fini del giudizio assolutorio di primo grado.

Successivamente, la questione in esame è stata rimessa alle Sezioni unite dalla Sez. II, con ordinanza del 28 ottobre 2016, n. 47015, depositata in data 9 novembre 2016, che ha chiesto di valutare se, nel caso di impugnazione del pubblico ministero contro una pronuncia di assoluzione emessa nell’ambito di un giudizio abbreviato, ove tale decisione sia basata su una valutazione delle prove dichiarative ritenute decisive dal giudice e il cui valore sia posto in discussione dall’organo dell’accusa impugnante, il giudice di appello debba porre in essere i poteri di integrazione probatoria e procedere all’assunzione diretta  dei dichiaranti. In quest’ordinanza è stato rilevato che l’esercizio di poteri istruttori da parte del giudice dell’appello avverso la sentenza emessa nel giudizio abbreviato in base alla citata pronuncia della Corte Costituzionale non costituisce un obbligo, ma una mera facoltà da porre in essere quando è assolutamente necessario. L’allargamento della tutela prevista dalla Convenzione europea, nell’obiettivo di massima estensione delle regole dell’equo processo, trova un limite nella struttura del rito abbreviato non condizionato e nella sua natura negoziale. I principi fondamentali della oralità della prova, dell’immediatezza della sua formazione davanti al giudice chiamato a decidere e della dialettica delle parti «non costituiscono un dogma processuale, ma possono essere sacrificati, per scelta dello stesso imputato, in funzione dei vantaggi assicurati dal rito stesso, senza per ciò compromettere l’equità del procedimento che termini in un giudizio di condanna».

IMPUGNAZIONE – APPELLO – SPECIFICITÀ DEI MOTIVI – INAMMISSIBILITA’

Le Sezioni Unite, all’udienza del 27 ottobre 2016, nel ricorso n. 29607/2016, hanno affermato che l’appello (al pari del ricorso per cassazione) è inammissibile per difetto di specificità dei motivi quando non risultano esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici rispetto alle ragioni di fatto o di diritto poste a fondamento della sentenza impugnata.

IMPUGNAZIONI – IN GENERE – SENTENZA DI CONDANNA – REATO ABROGATO – TRASFORMAZIONE IN ILLECITO CIVILE – GIUDICE DELL’IMPUGNAZIONE – REVOCA DELLE STATUIZIONI SUGLI INTERESSI CIVILI.

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con sentenza n. 46688, del 29 settembre 2016, depositata il 7 novembre 2016),  hanno affermato che, in caso di sentenza di condanna relativa a un reato successivamente abrogato e qualificato come illecito civile ai sensi del d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 7, il giudice dell’ impugnazione, nel dichiarare che il fatto non è più previsto dalla legge come  reato,  deve  revocare anche i capi della sentenza che concernono gli interessi civili. (Nella stessa pronuncia le Sezioni unite hanno affermato, altresì, che nel medesimo caso, il giudice dell’ esecuzione, revoca,  con la stessa formula, la sentenza  di condanna o il decreto irrevocabili, lasciando ferme le disposizioni e i capi che concernono  gli interessi civili).

IMPUGNAZIONI – REVISIONE – IN GENERE – SENTENZA DI ESTINZIONE DEL REATO CON CONFERMA DELLE STATUIZIONI CIVILI – ASSOGGETTABILITÀ A REVISIONE – AMMISSIBILITÀ.

La Quinta Sezione della Corte di cassazione, con sentenza del 3 ottobre 2016, depositata in data 8 novembre 2016, n. 46707, ha affermato che è ammissibile la richiesta di revisione, proposta ai sensi dell’art. 630, comma 1 lett. c), cod. proc. pen., avverso la sentenza del giudice di appello che abbia prosciolto l’imputato per intervenuta prescrizione del reato e confermato, contestualmente, la condanna dello stesso al risarcimento del danno nei confronti della parte civile.

MISURE DI PREVENZIONE – RIGETTO SEQUESTRAO E CONFISCA – IMPUGNAZIONE

Con ordinanza del 10 novembre 2016, la VI Sezione penale della Corte di Cassazione ha rimesso alle sezioni Unite sa seguente questione: “Se il provvedimento con cui il tribunale, in tema di misure di prevenzione, rigetta la richiesta di sequestro e di confisca dei beni, sia appellabile o soltanto ricorribile per cassazione”.

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a cura di Luigi Giordano

RECIDIVA – RILIEVO AI FINI DEL TEMPO NECESSARIO ALLA PRESCRIZIONE DEL REATO

La Corte di Cassazione, Sez. IV, con la sentenza del 16 novembre 2016 (dep. 16 dicembre 2016), n. 14241, ha affermato che, ai fini della determinazione del tempo necessario alla prescrizione di un reato colposo, è possibile applicare contemporaneamente la disposizione dell’art. 157 cod. pen. previgente alla legge n. 251 del 2015 (nota come ex Cirielli), ritenuta quale legge più favorevole al reo, e la disposizione di cui all’art. 4 della stessa legge n. 251 del 2005, che ha abolito la previsione della recidiva per i reati colposi.

REATI CONTRO LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – ABUSO DI UFFICIO – DANNO INGIUSTO – LESIONE DELLE PREROGATIVE DEI MEMBRI DEL PARLAMENTO – CONFIGURABILITÀ.

In tema di reato di abuso d’ufficio, la Corte di Cassazione, Sez. VI, con sentenza del 22 settembre 2016 (dep. 22 novembre 2016) n. 49538, ha affermato, tra l’altro, che il danno ingiusto può essere costituito anche dalla lesione delle prerogative parlamentari, configurabile nell’ipotesi di acquisizione di tabulati di comunicazioni relativi ad utenze riferibili a deputati o senatori, senza l’autorizzazione della Camera di appartenenza, ovvero mediante l’elaborazione di tali dati.

REATI CONTRO IL PATRIMONIO – DELITTI – ESTORSIONE – ESTORSIONE ED ESERCIZIO ARBITRARIO DELLE PROPRIE RAGIONI – CRITERI DISTINTIVI – INDICAZIONE.

 La Corte di Cassazione, Sez. II, con sentenza 28 giugno 2016 (dep. 3 novembre 2016), n. 46288, ha approfondito la tematica relativa al controverso rapporto tra  i reati di esercizio arbitrario delle proprie ragioni ed estorsione ed ha ribadito, superando le preesistenti incertezze, una serie di principi in ordine alla individuazione dei criteri distintivi tra le due fattispecie criminose.

PERSONA GIURIDICA- RESPONSABILITÀ DA REATO DEGLI ENTI- CONNOTAZIONI E LIMITI.                                                                                                                              

La Corte di Cassazione, Sez. II, con la sentenza 27 settembre 2016 (dep. 9 dicembre 2016), n.52316, ha affermato alcuni principi in tema di responsabilità da reato degli enti, riguardanti, in particolare:

– le connotazioni ed i limiti della responsabilità della holding, per illeciti commessi  nell’interesse e/o a vantaggio di una partecipata;

– la valutazione di idoneità dei modelli organizzativi, ai fini del criterio ascrittivo della responsabilità dell’ente, nella particolare  ipotesi della istituzione di un organismo di vigilanza privo di autonomi ed effettivi poteri di controllo;

– l’incidenza della prescrizione del reato presupposto sulla responsabilità amministrativa da reato dell’ente.

ATTI PROCESSUALI – TRADUZIONE DEGLI ATTI – IN GENERE – IMPUTATO ALLOGLOTTA – ELEZIONE DI DOMICILIO PRESSO IL DIFENSORE D’UFFICIO – NOTIFICAZIONE PRESSO IL DIFENSORE – TRADUZIONE DEGLI ATTI – NECESSITÀ.

La Sez. V della Corte di cassazione, con sentenza 28/09/2016 (dep. 18/11/2016) n. 48916, ha affermato che sussiste l’obbligo di traduzione degli atti in favore dell’imputato alloglotta anche nel caso in cui questi abbia eletto domicilio presso il difensore d’ufficio, avendo quest’ultimo solo l’obbligo di ricevere gli atti destinati al proprio assistito, ma non anche quello di procedere alla loro traduzione.

ATTI PROCESSUALI – IMPUTATO STRANIERO AUTORIZZATO AD ALLONTANARSI DALL’AULA DI UDIENZA PRIMA DELLA LETTURA DELLA SENTENZA – RINUNCIA IMPLICITA ALLA TRADUZIONE DELLA SENTENZA – SUSSISTENZA.

La Sez. II penale, con sentenza del  13 settembre 2016,  n. 53609,  dep. 16 dicembre 2016, ha affermato che l’imputato straniero autorizzato ad allontanarsi dall’aula di udienza prima della lettura della sentenza, di fatto rinuncia sia alla traduzione dell’atto al momento della lettura, a cui avrebbe diritto qualora non si allontani, sia alla traduzione scritta della sentenza, alla quale avrebbe diritto nel caso in cui non sia mai stato presente in giudizio e ne abbia fatto esplicita richiesta.

SENTENZA – PROVVISIONALE- DOMANDA PROPOSTA DALLA PARTE CIVILE NON IMPUGNANTE PER LA PRIMA VOLTA IN APPELLO -REFORMATIO IN PEIUS- ESCLUSIONE.

Le Sezioni unite della Corte di cassazione, con sentenza del 27 ottobre 2016, n. 53153, dep. 15 dicembre 2016, hanno affermato che non viola il principio devolutivo, né il divieto di reformatio in peius la sentenza di appello che accolga la richiesta di una provvisionale proposta per la prima volta in quel giudizio dalla parte civile non appellante.

TERMINI PROCESSUALI – SENTENZA CONTUMACIALE – DISCIPLINA – ART. 175, COMMA 2, COD. PROC. PEN. – PROCEDIMENTI IN CORSO ALLA DATA DI ENTRATA IN VIGORE DELLA L. 28 APRILE 2014, N. 67 – RIMESSIONE IN TERMINI PER LA PROPOSIZIONE DELL’APPELLO – POSSIBILITÀ PER L’IMPUTATO RIMESSO NEL TERMINE DI ACCEDERE AI RITI ALTERNATIVI.

Le Sezioni Unite della Corte di cassazione, con sentenza del 29 settembre 2016 (dep. 7 dicembre 2016), n. 52274 hanno affermato che l’imputato, rimesso nel termine per appellare la sentenza contumaciale di primo grado per omessa conoscenza del procedimento, ai sensi dell’art. 175, comma 2, cod. proc. pen., nel testo vigente prima dell’entrata in vigore della l. 28 aprile 2014, n. 67,  applicabile ai procedimenti in corso a norma dell’art. 15-bis della legge citata,  può chiedere al giudice di appello di essere ammesso a un rito alternativo (nella specie: giudizio abbreviato).

ESECUZIONE – SOSPENSIONE DI  PENE DETENTIVE –  DIVIETO  PER REATI OSTATIVI – CONDANNA PER IL REATO DI MALTRATTAMENTI IN DANNO DI MINORE INFRAQUATTORDICENNE – FORMALE ABROGAZIONE DELL’ART. 572, COMMA 2, COD. PEN. – RILEVANZA –  ESCLUSIONE – RAGIONI.

La Corte di Cassazione, Sez. I, con sentenza del 8 novembre 2016 (dep. 7 dicembre 2016), n. 52181, in tema di  sospensione dell’ordine di esecuzione di pene detentive, ha affermato che  la condanna per il  reato previsto dall’art. 572, comma 2, cod. pen. costituisce causa ostativa alla sospensione dell’ordine di esecuzione, nonostante l’abrogazione di detta norma operata dall’art.1, comma 1 bis, del d.l. 14 agosto n. 93, convertito nella legge 15 ottobre 2013, n.119, attesa la natura “mobile” del rinvio contenuto nell’art. 656, comma 9, cod. proc. pen. all’art. 572, comma 2, cod. proc. pen. e la continuità normativa tra l’ipotesi formalmente abrogata e l’analoga previsione di cui all’art. 570, comma primo – 61, comma primo, n.11-quinquies, cod. pen.

SICUREZZA PUBBLICA  –  MISURE DI PREVENZIONE PERSONALI – SORVEGLIANZA SPECIALE – APPLICABILITÀ A SOGGETTO RESIDENTE ALL’ESTERO – POSSIBILITÀ.

La Corte di Cassazione Sez. V, in data 6 ottobre 2016 (dep. 30 novembre 2016), n. 50847, ha affermato che la misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale è applicabile anche a soggetto residente all’estero, ferma restando la necessità della presenza del proposto nel territorio soggetto alla sovranità dello Stato per procedere alla esecuzione della misura.

RAPPORTI GIURISDIZIONALI CON AUTORITÀ STRANIERE – M.A.E. –  NULLITÀ  DELL’ORDINANZA CHE DISPONE LA CONSEGNA  TEMPORANEA  – ESTENSIONE DEGLI EFFETTI ALLA SENTENZA EMESSA DALL’AUTORITÀ GIUDIZIARIA DELLO STATO DI EMISSIONE – ESCLUSIONE – RICONOSCIMENTO DELLA SENTENZA DI CONDANNA – POSSIBILITÀ

In tema di mandato di arresto europeo e di riconoscimento di sentenza penale estera, la Sez. IV penale, con sentenza 6 dicembre 2016,  n. 53455,  dep. 16 dicembre 2016, ha affermato che la nullità dell’ordinanza che dispone il trasferimento temporaneo della persona richiesta in consegna, esaurisce i suoi effetti all’interno del procedimento incidentale e non si estende automaticamente né agli atti del procedimento di merito celebrato nello Stato di emissione, né alla sentenza di condanna di cui si chiede il riconoscimento.

ISTITUTI DI PREVENZIONE E DI PENA (ORDINAMENTO PENITENZIARIO) – DIVIETO DI TRATTAMENTI INUMANI O DEGRADANTI – INTERPRETAZIONE DELLA CORTE EDU – SPAZIO INDIVIDUALE MINIMO INTRAMURARIO – MODALITÀ DI COMPUTO – AREA OCCUPATA DAL LETTO – RILEVANZA.

La Corte di cassazione, Sez. I, con sentenza del 9 settembre 2016, n. 52819 (dep. 13 dicembre 2016), ha affermato che ai fini della determinazione dello spazio individuale minimo intramurario, pari o superiore a tre metri quadrati da assicurare a ogni detenuto affinchè lo Stato non incorra nella violazione del divieto di trattamenti inumani o degradanti, stabilito dall’art. 3 della Convenzione dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, così come interpretato dalla conforme giurisprudenza della Corte EDU in data 8 gennaio 2013 nel caso Torreggiani c. Italia, dalla superficie lorda della cella devono essere detratte l’area destinata ai servizi igienici e quella occupata da strutture tendenzialmente fisse, tra cui il letto, mentre non rilevano gli altri arredi facilmente amovibili.

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di Luigi Giordano

CAUSE DI GIUSTIFICAZIONE – ADEMPIMENTO DEL DOVERE – RAPPORTI DI SUBORDINAZIONE TRA DATORE DI LAVORO E DIPENDENTE – APPLICABILITÀ – ESCLUSIONE.

La  Terza sezione della corte di Cassazione, con sentenza del 13 ottobre 2016, depositata il 30 novembre 2016, ha affermato che la disposizione dell’art. 51 cod. pen., che considera non punibili i fatti preveduti dalla legge come reati se commessi per adempiere ad un dovere derivante da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica autorità, prende in considerazione esclusivamente i rapporti di subordinazione previsti dal diritto pubblico e non anche quelli di diritto privato, sicché il dipendente privato che riceva dal proprio datore di lavoro una qualunque disposizione operativa, è tenuto a verificarne la rispondenza alla legge secondo gli ordinari canoni di diligenza e, qualora riscontri l’illegittimità della disposizione medesima, deve rifiutarne l’esecuzione.

STUPEFACENTI – ART. 73, COMMA 1, D.P.R. N. 309 DEL 1990 – PENA MINIMA EDITTALE MAGGIORE RISPETTO AL TESTO ANTERIORE ALLA SENTENZA DELLA CORTE COST. N. 32 DEL 2014 – QUESTIONE DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE.

La Sesta Sezione della Corte di Cassazione, con sentenza del 13 dicembre 2016 (dep. 12 gennaio 2017), n. 1418, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale, per contrasto con gli artt. 25, 3 e 27 Cost., dell’art. 73, comma 1, d.P.R. n. 309 del 1990, nella parte in cui prevede – a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 2014 – la pena minima edittale di anni otto di reclusione anziché quella di sei anni introdotta dal D.L. 30 dicembre 2005, n. 272, convertito con modificazioni dalla legge 21 febbraio 2006, n. 49.   

FINANZE E TRIBUTI – REATO DI CUI ALL’ART. 3 D.LGS. N. 74 DEL 2000 – REGIME FISCALE DEL CONSOLIDATO NAZIONALE- CONFIGURABILITÀ.

La Seconda Sezione, con sentenza del 18 ottobre 2016 (dep. 13 gennaio 2017), n. 1673, ha affermato che è configurabile il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici, previsto dall’art. 3 D.Lgs. n. 74 del 2000, anche nell’ambito del regime fiscale del consolidato nazionale, introdotto con il D.Lgs. n. 344 del 2003.

FINANZE E TRIBUTI – IN GENERE – REATI TRIBUTARI – DETERMINAZIONE DELL’IMPOSTA EVASA – CRITERI – DEDUZIONE DI COSTI NON CONTABILIZZATI – POSSIBILITÀ – LIMITI.

La Terza sezione della Corte di cassazione, con sentenza del 1 giugno 2016, depositata il 20 dicembre 2016, n. 53907, ha affermato che, in tema di reati tributari, per accertare l’ammontare dell’imposta evasa ai fini della verifica del superamento delle soglie di punibilità, le regole stabilite dalla legislazione fiscale per quantificare l’imponibile subiscono limitazioni che derivano dalla diversa finalità dell’accertamento tributario, con la conseguenza che i costi non contabilizzati debbono essere considerati solo in presenza di allegazioni fattuali da cui si desuma la certezza o comunque il ragionevole dubbio della loro esistenza.

SICUREZZA PUBBLICA – IN GENERE – DASPO AMMINISTRATIVO – CONDOTTA COMMESSA “IN OCCASIONE O A CAUSA DI MANIFESTAZIONI SPORTIVE” – ATTI DI VIOLENZA REALIZZATI ALL’INTERNO DI UN IMPIANTO SPORTIVO MA NON DURANTE L’EFFETTIVO SVOLGIMENTO DELLA MANIFESTAZIONE SPORTIVA – CONFIGURABILITÀ DEI PRESUPPOSTI PER IL DASPO – INDICAZIONE. 

La Terza Sezione della Corte di cassazione, con sentenza del 7 aprile 2016 (dep. 16 gennaio 2017) n. 1767, ha affermato che è legittima l’imposizione da parte del Questore di un provvedimento di DASPO amministrativo, con relative prescrizioni, anche nel caso in cui gli atti di violenza siano stati realizzati non durante l’effettivo svolgimento della manifestazione sportiva, bensì in un momento diverso e non contestuale, a condizione che tali atti siano in rapporto di immediato ed univoco nesso eziologico con essa (nel caso di specie, si trattava di un’aggressione, nei confronti di giocatori ed allenatore di una squadra di calcio, da parte di un gruppo di propri tifosi all’interno dell’impianto sportivo di riferimento, per contestarne il rendimento).

SICUREZZA PUBBLICA – STRANIERI – REATO DI FAVOREGGIAMENTO IMMIGRAZIONE CLANDESTINA – PROVA – DICHIARAZIONI DEI TRASPORTATI SU IMBARCAZIONE AFFONDATA SOCCORSI IN ACQUE INTERNAZIONALI E CONDOTTI IN ITALIA – UTILIZZABILITÀ – SUSSISTENZA – RAGIONI.

La Sezione prima della Corte di Cassazione, con sentenza del 16 novembre 2016, depositata il 16 dicembre 2016, n. 53691, ha affermato che, al fine di provare il reato di favoreggiamento della immigrazione clandestina nei confronti di un membro dell’equipaggio di un’imbarcazione carica di cittadini extracomunitari, soccorsa in acque internazionali, sono utilizzabili le sommarie informazioni rese dai trasportati, non essendo configurabile nei loro confronti il reato di cui all’art. 10-bis d. lgs. n. 286 del 1998, in quanto l’ingresso nel territorio dello stato di tali soggetti è avvenuto legittimamente per necessità di pubblico soccorso, né potendo ipotizzarsi che il pericolo di vita cui è seguita l’azione di salvataggio sia stato dagli stessi previsto e artatamente creato.

PERSONA GIURIDICA – RESPONSABILITÀ DA REATO – ENTE COSTITUITOSI AI SENSI DELL’ART. 39 D.LGS. N. 231 DEL 2001 – RICHIESTA DI RIESAME AVVERSO DECRETO DI SEQUESTRO PREVENTIVO – PROPOSIZIONE AD OPERA DI DIFENSORE DIVERSO DA QUELLO INDICATO NELL’ATTO DI COSTITUZIONE – PROCURA SPECIALE – NECESSITÀ – OMESSO INVIO DELL’INFORMAZIONE DI GARANZIA – RILEVANZA – ESCLUSIONE.

La Seconda sezione della Corte di cassazione, con sentenza del  16 settembre 2016 (dep. 19 gennaio 2017), n. 2655, in tema di responsabilità da reato delle persone giuridiche, ha affermato che è inammissibile, in assenza di procura speciale, la richiesta di riesame di un decreto di sequestro preventivo presentata, nell’interesse di un ente già costituitosi nel procedimento ai sensi dell’art. 39 D.Lgs. n. 231 del 2001, da un difensore diverso da quello indicato nell’atto di costituzione, a nulla rilevando, ai fini della valutazione di ammissibilità del gravame, il fatto che il predetto ente non abbia ricevuto l’informazione di garanzia di cui all’art. 57 del citato D.Lgs. n. 231.

PROVE – MEZZI DI PROVA – TESTIMONIANZA – ASTENSIONE – IN GENERE – PROSSIMO CONGIUNTO – DICHIARAZIONI IN VIOLAZIONE DELL’ART. 199 COD. PROC. PEN. – GIUDIZIO ABBREVIATO – UTILIZZABILITÀ.

La Sezione prima della Corte di cassazione, con sentenza del 30 marzo 2016, depositata il 21 dicembre 2016, ha affermato che, in tema di giudizio abbreviato, sono utilizzabili le dichiarazioni rese dal prossimo congiunto nel corso delle indagini preliminari, ancorché viziate da nullità relativa per l’omissione dell’avviso della facoltà di astensione, in quanto, con la scelta del rito, l’imputato ha acconsentito all’utilizzazione di tutti gli elementi di prova acquisiti dal pubblico ministero ed inseriti nel fascicolo di cui all’art. 416, comma 2, cod. proc. pen. (Fattispecie relativa alla richiesta di giudizio abbreviato a seguito della notifica di decreto di giudizio immediato).

MISURE CAUTELARI PERSONALI – REVOCA O SOSTITUZIONE DELLE MISURE PREVISTE DAGLI ARTT. 282-BIS, 282-TER, 283, 284, 285, 286 COD. PROC. PEN. – PROCEDIMENTI AVENTI AD OGGETTO DELITTI COMMESSI CON VIOLENZA ALLA PERSONA – NOTIFICA AL DIFENSORE DELLA PERSONA OFFESA – A MEZZO PEC – VALIDITA’

La Seconda Sezione penale della Corte di Cassazione, con sentenza emessa all’udienza del 11 gennaio 2017, ha affermato che, nei procedimenti aventi ad oggetto delitti commessi con violenza alla persona, è valida la notifica della revoca o della sostituzione delle misure previste dagli artt. 282-bis, 282-ter, 283, 284, 285, 286 cod. proc. pen. al difensore della persona offesa a mezzo “pec”.

MISURE CAUTELARI – REALI – SEQUESTRO PREVENTIVO – OGGETTO –  ATTI PERSECUTORI – AUTOMEZZO UTILIZZATO PER COMMETTERE IL REATO – SEQUESTRO PREVENTIVO – LEGITTIMITÀ  – CONDIZIONI.

La Quinta Sezione della Corte di cassazione, con sentenza del 24 ottobre 2016 (dep. 16  gennaio 2017) n. 1826, ha affermato la legittimità del sequestro preventivo dell’automezzo utilizzato per commettere il reato di atti persecutori, in presenza dell’uso reiterato e sistematico di esso, finalizzato a produrre uno degli eventi previsti dalla fattispecie di cui all’art. 612-bis cod. pen.

MISURE CAUTELARI – REALI – SEQUESTRO PREVENTIVO – IN GENERE – SEQUESTRO PER EQUIVALENTE – ALIENAZIONE DI COSE CHE POSSONO ALTERARSI – AUTOVETTURA – DEPREZZAMENTO CONSEGUENTE AL TRASCORRERE DEL TEMPO – RILEVANZA.

La Sezione Seconda della Corte di cassazione, con sentenza del  9 dicembre 2016 (dep. 16 gennaio 2017), n. 1916, ha affermato che, ai fini della alienazione di cose in sequestro che possono alterarsi (art. 260, comma 3, cod. proc. pen.), rileva anche il progressivo intrinseco deprezzamento del bene in ragione del trascorrere del tempo; ne consegue che è legittima la vendita di una autovettura, oggetto di sequestro per equivalente, in quanto funzionale alla ottimizzazione della fruttuosità della misura ablatoria.

SPESE GIUDIZIALI IN MATERIA PENALE – CONDANNA DI PLURALITÀ DI IMPUTATI IN FAVORE DELLA PARTE CIVILE – SOLIDARIETÀ – APPLICABILITÀ – CONDIZIONI. 

La Seconda Sezione, con sentenza 25 novembre 2016 (dep. 13 gennaio 2017), n. 1681, ha affermato che più imputati possono essere condannati in solido al pagamento delle spese in favore della parte civile costituita nei loro confronti  quando vi sia una responsabilità solidale in ordine all’obbligazione dedotta in giudizio ovvero una comunanza di interessi tra loro, ravvisabile anche in base a convergenti atteggiamenti difensivi.

IMPUGNAZIONI – APPELLO – RIFORMA SENTENZA DI ASSOLUZIONE – DIVERSO APPREZZAMENTO DI PROVA DICHIARATIVA DECISIVA – DICHIARAZIONE DI PERITO E DI CONSULENTE TECNICO – RINNOVAZIONE DIBATTIMENTALE – NECESSITÀ – ESCLUSIONE

La Quinta Sezione della Corte di Cassazione, con sentenza del 14 settembre 2016 (dep. 13 gennaio 2017), n. 1691, ha affermato che la dichiarazione resa dal perito o dal consulente tecnico non costituisce prova dichiarativa assimilabile a quella del testimone, rispetto alla quale, se decisiva, il giudice di appello ha la necessità di procedere alla rinnovazione dibattimentale nel caso di riforma della sentenza di assoluzione sulla base di un diverso apprezzamento di essa.

GIUDICE DELL’ESECUZIONE – APPLICAZIONE DELLA CONTINUAZIONE – RISPETTO DEL LIMITE DEL TRIPLO DELLA PENA INFLITTA

La Sezione prima della Corte di Cassazione, in data 17 gennaio 2017, ha rimesso alle Sezioni unite la seguente questione: se il giudice dell’esecuzione, in caso di riconoscimento della continuazione ex art. 671 cod. proc. pen., tra più violazioni di legge giudicate in distinte decisioni irrevocabili, sia tenuto, nel determinare la pena più grave, al rispetto del limite del triplo della pena inflitta per la violazione più grave (art. 81, comma 1 e 2, cod. pen.) o se in tale sede trovi applicazione solo il limite di cui all’art. 671, comma 2, cod. proc. pen. 

ESECUZIONE – PENE DETENTIVE – CONDANNATO ULTRASETTANTENNE E MALATO – ISTANZA DI DETENZIONE DOMICILIARE O DI DIFFERIMENTO DELL’ESECUZIONE DELLA PENA – PROVVEDIMENTO DI RIGETTO – MOTIVAZIONE SPECIFICA SULL’ETÀ –  OBBLIGO – SUSSISTENZA.

La Sezione prima della Corte di Cassazione, con sentenza del 13 luglio 2016, depositata il 14 dicembre 2016, n. 52979, ha affermato che, in caso istanza di misura alternativa alla detenzione proposta da condannato ultrasettantenne malato, il tribunale è tenuto a motivare specificamente sulla compatibilità del mantenimento in carcere con la tutela del diritto alla salute, con la funzione rieducativa della pena e con il senso di umanità, incidendo inevitabilmente l’età del detenuto sulle valutazioni richieste dagli artt. 147 cod. pen. o 47-ter ord. pen. e dalle norme costituzionali di riferimento. (Fattispecie nella quale la Corte annullava con rinvio l’ordinanza di rigetto dell’istanza di detenzione domiciliare o di differimento della pena di soggetto di anni settantacinque, gravemente cardiopatico, cieco ad un occhio e non in condizioni di camminare)

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a cura di Luigi Giordano

REATO – CIRCOSTANZE – ATTENUANTI COMUNI – DANNO PATRIMONIALE DI SPECIALE TENUITÀ – REATO CONTINUATO – VALUTAZIONE DEL DANNO CON RIFERIMENTO AD OGNI SINGOLO FATTO – REATO – NECESSITÀ

La Seconda sezione penale della corte di cassazione, con sentenza del 1 febbraio 2017, depositata il 20 febbraio 2017, ha affermato che, ai fini dell’applicazione della circostanza attenuante di cui all’art. 62, n. 4, cod. pen., la valutazione della speciale tenuità, nel caso di reato continuato, non va effettuata in relazione all’importo del danno patrimoniale complessivamente determinato, ma con riguardo a quello cagionato per ogni singolo fatto-reato. Nel caso di specie, la Corte ha annullato la sentenza che aveva riconosciuto l’attenuante sulla base della valutazione della somma complessiva illecitamente percepita in relazione a due distinti episodi di truffa, senza considerare che i reati erano stati commessi ai danni di due persone differenti.

REATI CONTRO L’ORDINE PUBBLICO – DELITTI – ASSOCIAZIONE PER DELINQUERE – IN GENERE – PARTECIPAZIONE AD AUTONOME ASSOCIAZIONI DI TIPO MAFIOSO TRA LORO COLLEGATE – CONCORSO DI REATI – SUSSISTENZA.

La Quinta sezione penale della corte di cassazione, con sentenza del 13 ottobre 2016, depositata il 27 febbraio 2017, ha affermato che, in tema di associazione per delinquere di tipo mafioso, risponde di distinti reati associativi colui che agisce per conto di due consorterie criminali, le quali, pur se tra loro federate e funzionalmente collegate, conservano entrambe autonomia decisionale ed operativa.

TRUFFA – MALVERSAZIONE IN DANNO DELLO STATO – CONCORSO

Con sentenza del 23 febbraio 2017, le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno affermato che il reato di malversazione in danno dello Stato (art. 316-bis c.p.) concorre con quello di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche (art. 640-bis c.p.).

REATI CONTRO LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – NOZIONE DI INCARICATO DI PUBBLICO SERVIZIO – ENTE POSTE – ATTIVITÀ DI “BANCOPOSTA”-  RACCOLTA DI RISPARMIO POSTALE – DIPENDENTE ADDETTO AL SERVIZIO – QUALIFICA DI INCARICATO DI PUBBLICO SERVIZIO – SUSSISTENZA.

La Sesta Sezione della Corte di cassazione, con sentenza del 23 novembre 2016 (dep. 6 marzo 2017), n. 10875, ha affermato che il dipendente di Poste Italiane S.p.a. che svolga attività di bancoposta afferente alla raccolta di risparmio postale riveste la qualità di persona incaricata di pubblico servizio.

STRANIERI – FAVOREGGIAMENTO DELL’IMMIGRAZIONE CLANDESTINA – MODESTO IMPORTO DEL COMPENSO CORRISPOSTO DALLO STRANIERO – ATTENUANTE DEL DANNO PATRIMONIALE DI SPECIALE TENUITÀ – CONFIGURABILITÀ – ESCLUSIONE.

La Prima Sezione della Corte di Cassazione, con sentenza del 13/05/2016 (dep. 27/02/2017), n. 9636, ha affermato, in tema di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, che non è configurabile l’attenuante comune del danno patrimoniale di speciale tenuità in ragione del modesto importo del compenso corrisposto, o promesso, dallo straniero favorito.

DIFESA E DIFENSORI – NOMINA – MANDATO DIFENSIVO – OPERATIVITÀ IN RIFERIMENTO AL PROCEDIMENTO PRINCIPALE ED A QUELLI INCIDENTALI DERIVATINE – APPLICAZIONE ANCHE NEL CASO DI SEPARAZIONE DLE PROCEDIMENTO IN DASE D’INDAGINE

La  Prima sezione della corte di Cassazione, con sentenza del 19 gennaio 2017, depositata il 22 febbraio 2017, ha affermato che il principio secondo cui, salvo che risulti un’espressa manifestazione di volontà in senso contrario dell’interessato, la nomina del difensore di fiducia è valida non solo per il procedimento principale nel quale sia intervenuta, ma anche per quelli incidentali direttamente derivatine, pur se di competenza di un ufficio giudiziario diverso, trova applicazione pure nel caso in cui il pubblico ministero, in fase di indagini, abbia separato i procedimenti, individuando una diversa competenza territoriale per taluni dei reati oggetto di investigazione.

MISURE DI PREVENZIONE – FATTISPECIE A PERICOLOSITÀ GENERICA – SENTENZA CORTE EDU DE TOMMASO C. ITALIA – CONSEGUENZE

In data 14 marzo 2017, il Primo Presidente della Corte di Cassazione, su segnalazione della Prima sezione penale, est. Magi, ha rimesso alle sezioni Unite per l’udienza del 27 aprile del 2017 la questione avente ad oggetto l’interpretazione della condotta di cui all’art. 75, comma secondo, d.lgs. n. 159 del 2011, in relazione all’art. 8 del medesimo decreto, in punto di violazione della prescrizione di “vivere onestamente e rispettare le leggi”. L’intervento delle Sezioni unite è stato richiesto perché, in data 23 febbraio 2017, la Corte EDU ha ritenuto sussistente la violazione dell’art. 2 del protocollo n. 4 CEDU ravvisando un deficit di precisione e prevedibilità delle condotte prese in considerazione per la valutazione della pericolosità di un individuo ai fini dell’applicazione di una misura di prevenzione.

MISURE DI PREVENZIONE – RICHIESTA – RIGETTO – IMPUGNAZIONE.

Con sentenza del 23 febbraio 2017, le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno affermato che il decreto con cui il giudice rigetta la richiesta del pubblico ministero di applicazione della misura di prevenzione patrimoniale della confisca, anche qualora non preceduta da sequestro, è appellabile.

ISTITUTI DI PREVENZIONE E DI PENA (ORDINAMENTO PENITENZIARIO) – DIVIETO DI TRATTAMENTI INUMANI O DEGRADANTI – SPAZIO INDIVIDUALE INTRAMURARIO INFERIORE A TRE METRI QUADRATI – PRESUNZIONE DI VIOLAZIONE DELL’ART. 3 CEDU – SUSSISTENZA – LIMITI.

La Seconda sezione, con sentenza del 10 marzo 2017 (dep. 13 marzo 2017), n. 11980, ha affermato che, ai fini dell’accertamento della violazione del divieto di trattamenti inumani o degradanti, se lo spazio delle celle è inferiore ai  tre  metri quadrati esiste una forte presunzione di violazione dell’art. 3 della  Convenzione Edu, vincibile solo attraverso la valutazione dell’esistenza di adeguati fattori compensativi che si individuano nella durata della restrizione carceraria, nella misura  della  libertà di circolazione, nell’offerta di attività da svolgere in spazi ampi fuori dalle celle e nel decoro complessivo delle condizioni di detenzione.

NOTIFICHE – FORME PARTICOLARI – NOTIFICA A MEZZO PEC DA PARTE DEL DIFENSORE DELL’IMPUTATO A QUELLO DELLA PERSONA OFFESA- LEGITTIMITÀ- SUSSISTENZA.

La Seconda Sezione della Corte di Cassazione, con sentenza del  11/1/2017 (dep. 10/2/2017), n. 6320, ha affermato che è legittima la notifica, effettuata ai sensi dell’art. 299, comma 4 bis cod. proc. pen., inviata tramite posta elettronica certificata, dal difensore dell’imputato a quello della persona offesa.

ATTI PROCESSUALI – TRADUZIONE DEGLI ATTI – INTERPRETE – INFORMAZIONE DELLA PERSONA SOTTOPOSTA ALLE INDAGINI SUL DIRITTO DI DIFESA – OMISSIONE DELL’AVVISO RELATIVO AL DIRITTO ALL’INTERPRETE ED ALLA TRADUZIONE DI ATTI FONDAMENTALI – CONSEGUENZE – NULLITÀ A REGIME INTERMEDIO – SUSSISTENZA – CONDIZIONI.

La  Prima sezione della corte di Cassazione, con sentenza del 6 dicembre 2016, depositata il 22 febbraio 2017, ha affermato che, in tema di informazione della persona sottoposta alle indagini sul diritto di difesa, la violazione dell’art. 369-bis, comma 2, lett. d-bis), cod. proc. pen., relativo alla dell’informazione del diritto all’interprete ed alla traduzione di atti fondamentali, e dell’art. 143 cod. proc. pen. può configurare una nullità ex art. 178, comma primo, lettera c), cod. proc. pen. solo se determina un’effettiva lesione del diritto di assistenza dell’imputato, il quale ha l’onere di precisare il pregiudizio concretamente subito, allegando l’impossibilità di sviluppare argomenti o deduzioni ovvero altra lacuna difensiva determinata dalla specifica carenza di informazione sul contenuto dell’accusa. Nella fattispecie, la Corte ha escluso la sussistenza di una concreta lesione del diritto di difesa in quanto, nonostante  che all’indagato non fosse stata fornita l’informazione dapprima indicata in occasione dell’esecuzione del fermo, gli era stata comunque garantita la traduzione nella propria lingua, seppur in forma orale, di tutti gli atti del procedimento compiuti fino a quel momento ad opera di un interprete nominato dal Consolato della propria nazione di appartenenza ed alla presenza del difensore.

MISURE CAUTELARI PERSONALI – APPELLO – ACCOGLIMENTO DELLA DOMANDA CAUTELARE IN RIFORMA DELLA DECISIONE DI RIGETTO DEL G.I.P. – ONERE DELLA C.D. MOTIVAZIONE RAFFORZATA – SUSSISTENZA – ESCLUSIONE – RAGIONI.

La Sesta sezione della Corte di cassazione, all’udienza 15 febbraio 2017 (dep. 9 marzo 2017), n. 11550, ha affermato che il tribunale della libertà, qualora accolga la domanda cautelare riformando in sede di appello ex art. 310 cod. proc. pen. la decisione di rigetto del G.i.p., non è gravato dall’onere della c.d. motivazione rafforzata, in quanto tale onere è configurabile solo in sede di giudizio, dove il canone valutativo è costituito non dalla gravità indiziaria, ma dalla certezza processuale della responsabilità dell’imputato oltre ogni ragionevole dubbio. 

MISURE CAUTELARI REALI – ISTANZA DI RIESAME – POSSIBILITA DI PRESENTARE L’ISTANZA NELLA CANCELLERIA DEL TRIBUNALE O DEL GIUDICE DI PACE IN CUI SI TROVANO MLE PARTI PRIVATE O I DIFENSORI.

All’udienza del 14 marzo 2017, la Terza sezione penale ha rimesso alle sezioni unite la questione se la richiesta di riesame delle misure cautelari reali di cui all’art. 324 cod. proc. pen. debba essere preentata nella cancelleria del Tribuale capoluogo di provincia nella quale ha sede l’ufficio che ha emesso il provvedimento impugnato o possa essere anche presentata mnella cancelleria del tribunale o dell’ufficio dle giudice di pace in cui si trovano le parti provate o difensori.

MISURE CAUTELARI – MISURE COERCITIVE – SOSTITUZIONE DELLA MISURA DEGLI ARRESTI DOMICILIARI – ART. 299, COMMA 2, COD. PROC. PEN. – APPLICAZIONE CUMULATIVA DELL’OBBLIGO DI PRESENTAZIONE ALLA POLIZIA GIUDIZIARIA E DELL’OBBLIGO DI DIMORA NEL COMUNE DI RESIDENZA – LEGITTIMITÀ – LIMITI.

La  Quinta Sezione della Corte di cassazione, con sentenza del 23/11/2016 (dep. 13/02/2017), n. 6790, ha affermato che, in caso di sostituzione della misura  degli arresti domiciliari, ai sensi dell’art. 299, comma 2, cod. proc. pen.,  è legittima l’applicazione cumulativa dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria e dell’obbligo di dimora nel comune di residenza, se le misure congiuntamente applicate non determinano una  condizione di maggiore afflittività per l’imputato.

UDIENZA PRELIMINARE – ATTI INTRODUTTIVI – NOTIFICAZIONI – OMESSA NOTIFICAZIONE ALL’IMPUTATO DELL’AVVISO DI FISSAZIONE DELL’UDIENZA PRELIMINARE – NULLITÀ ASSOLUTA ED INSANABILE – SUSSISTENZA.

Le Sezioni Unite della Corte di cassazione, con sentenza del 24/11/2016 (dep. 17/02/2017) n. 7697, hanno affermato che l’omessa notifica all’imputato dell’avviso di fissazione dell’udienza preliminare configura un’ipotesi di nullità assoluta, insanabile e rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento, derivante dalla omessa citazione dell’imputato.

CAUSE DI NON PUNIBILITA’ – DECLARATORIA DI NON PUNIBILITÀ PER PARTICOLARE TENUITÀ DEL FATTO – RILEVABILITÀ D’UFFICIO –  SUSSISTENZA   – LIMITI.

La Terza Sezione della Corte di cassazione, con sentenza del 28/04/2016 (dep. 14/02/2017), n. 6870, ha affermato che la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’art. 131-bis cod. pen., è rilevabile d’ufficio in qualsiasi fase e stato del giudizio,  salva la eventuale formazione del giudicato, anche implicito, idoneo ad escludere la qualificazione del fatto in termini di particolare tenuità.

PROCESSO PENALE – SENTENZA – MOTIVAZIONE – DEPOSITO – TERMINI

La Quarta sezione penale, all’udienza del 14 marzo 2017, ha rimesso alle Sezioni unite la questione se, anche dopo l’entrata in vigore della legge n. 67 del 2014 e le modifiche apportate dal decreto legge n. 132 del 2014, convertito con modificazioni dalla legge n. 162 del 2014, il termine per la redazione della sentenza di cui all’art. 544 cod. proc. pen., quale presupposto di decorrenza dell’ulteriore termine per l’impugnazione ai sensi dell’art. 585 cod. proc. pen., non possa ritenersi soggetto alla sospensione nel periodo feriale a norma dell’art. 1 della legge n. 742 del 1969.

SENTENZA – REQUISITI – GENERALITA’ DELLE PARTI – TRATTAMENTO DEI DATI IN AMBITO GIUDIZIARIO – ISTANZA DI OSCURAMENTO DEI DATI RIPORTATI SULLA SENTENZA O ALTRO PROVVEDIMENTO – “MOTIVI LEGITTIMI” SU CUI SI DEVE FONDARE LA RICHIESTA – INDICAZIONE.

La Sesta sezione della Corte di cassazione, all’udienza del 15 febbraio 2017 (dep. 13 marzo 2017), n. 11959, ha affermato che, in tema di trattamento di dati personali, la richiesta di oscuramento delle generalità e degli altri dati identificativi dell’interessato riportati sulla sentenza o altro provvedimento, di cui all’art. 52, comma primo, d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, deve essere fondata su “motivi legittimi”, che, alla luce delle indicazioni rese dalle linee guida dettate dal Garante della privacy in data 2 dicembre 2010, devono riferirsi alla particolare natura dei dati contenuti nel provvedimento quali “dati sensibili”, ovvero alla “delicatezza della vicenda oggetto del giudizio”.

IMPUGNAZIONI – RICORSO PER CASSAZIONE – FORMA –  SPECIFICITÀ DEI MOTIVI – ARTICOLAZIONE   IN UN NUMERO ABNORME DI MOTIVI – CONSEGUENZE – GENERICITÀ DEL RICORSO – RAGIONI.

La  Sesta Sezione della Corte di cassazione, con sentenza del 10 febbraio 2017 (dep. 3 marzo 2017), n. 10539, ha affermato che assume carattere di genericità del ricorso per cassazione la sua articolazione  in un numero abnorme di motivi (nella specie settantanove) concernenti gli stessi capi d’imputazione e i medesimi punti e questioni oggetto della decisione, così da rendere confusa l’esposizione delle doglianze e difficoltosa l’individuazione delle questioni sottoposte al vaglio della Corte.

IMPUGNAZIONI – APPELLO – SPECIFICITÀ DEI MOTIVI – DIFETTO – INAMMISSIBILITÀ.

Le Sezioni unite, con sentenza del 27/10/2016 (dep. 22/02/2017), n. 8825, hanno affermato il principio secondo cui anche l’appello – al pari del ricorso per cassazione – è inammissibile per difetto di specificità dei motivi, quando non risultano esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici rispetto alle ragioni di fatto o di diritto poste a fondamento della sentenza impugnata, precisando, inoltre,  che tale onere di specificità è direttamente proporzionale alla specificità delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata.

IMPUGNAZIONI – RICORSO PER CASSAZIONE – REATI IN CONTINUAZIONE – PRESCRIZIONE PER UNO DI ESSI – INAMMISSIBILITÀ DEI MOTIVI DI RICORSO RELATIVI A TALE REATO – DICHIARAZIONE DI ESTINZIONE DEL REATO PER PRESCRIZIONE – LEGITTIMITÀ.

La Terza Sezione della Corte, con sentenza del 1/6/2016 (dep. 20/2/2017), n. 7937, ha affermato che, in caso di ricorso per cassazione avverso una sentenza di condanna relativa a più reati unificati per continuazione, l’intervenuta prescrizione per uno solo di essi va dichiarata anche se i motivi di ricorso riferiti a tale reato siano inammissibili.

IMPUGNAZIONI – CASSAZIONE – COGNIZIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE – CONDANNA RELATIVA A PIÙ REATI ASCRITTI ALLO STESSO IMPUTATO – INAMMISSIBILITÀ DEL RICORSO PER ALCUNI REATI – RILEVABILITÀ PER QUESTI REATI DELLA PRESCRIZIONE MATURATA DOPO LA SENTENZA IMPUGNATA – ESCLUSIONE – RAGIONI.

Le Sezioni Unite della Suprema corte, con sentenza n. 06903, udienza 27/05/2016 (dep. 14/02/2017), hanno affermato che, in caso di ricorso cumulativo avverso una sentenza di condanna relativa a più reati ascritti allo stesso imputato, per i quali sia intervenuta la prescrizione dopo la sentenza di appello, attesa l’autonomia dei rapporti processuali inerenti ai singoli capi di imputazione, l’accoglimento di motivi afferenti un capo non consente di dichiarare la prescrizione anche per i distinti ed autonomi capi di imputazione i cui pertinenti motivi di ricorso siano invece giudicati inammissibili.

RAPPORTI GIURISDIZIONALI CON AUTORITÀ STRANIERE – ESTRADIZIONE PER L’ESTERO – PROCEDIMENTO – DECISIONE – CONDIZIONI – ESTRADIZIONE PER L’ESTERO – INDULTO CONCESSO DALLO STATO RICHIESTO – RILEVANZA – LIMITI.

In tema di estradizione per l’estero, la Sesta Sezione, con sentenza n. 8529/17, (ud.13/01/2017), dep. 22/02/2017, ha affermato che l’indulto concesso dallo Stato richiesto costituisce causa ostativa all’estradizione esecutiva soltanto nel caso in cui quest’ultimo abbia giurisdizione concorrente sui reati oggetto della domanda (art. 4 del Secondo Protocollo addizionale alla Convenzione europea di estradizione del 17 marzo 1978). (Nella specie la Corte ha escluso rilevanza ostativa all’indulto invocato dal ricorrente, in quanto la domanda di estradizione, proveniente dalla Romania, si riferiva a reati per i quali non sussisteva alcun collegamento con lo Stato italiano, in quanto punibili solo in via suppletiva, ai sensi dell’art. 10, ult. comma, cod. pen.).

CONFISCA – TUTELA DEL TERZO PROPRIETARIO DEL BENE CONFISCATO – INCIDENTE DI ESECUZIONE

La Prima sezione penale della Corte di Cassazione, in data 21 febbraio 2017, ha rimesso alle Sezioni unite la questione se il terzo proprietario del bene confiscato, rimasto estraneo al giudizio di cognizione, sia legittimato a proporre incidente di esecuzione prima dell’irrevocabilità della sentenza che contenga la statuizione di confisca.

a cura di Luigi Giordano

REATI CONTRO LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – MALVERSAZIONE IN DANNO DELLO STATO – CONCORSO FORMALE CON LA TRUFFA AGGRAVATA PER IL CONSEGUIMENTO DI EROGAZIONI PUBBLICHE – SUSSISTENZA.

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con sentenza del 23/2/2017 (dep. 28 aprile 2017), n. 20664/17, hanno affermato che il delitto di malversazione in danno dello Stato, previsto dall’art. 316 bis cod. pen., può concorrere con quello di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche di cui all’art. 640 bis cod. pen.

REATI CONTRO IL PATRIMONIO – DELITTI – TRUFFA – IN GENERE – DESTINATARIO DEGLI ARTIFICI E RAGGIRI – IDENTITÀ CON LA PERSONA CHE SUBISCE IL DANNO PATRIMONIALE – NECESSITÀ – LIMITI- CONSEGUENZE.

La Quinta Sezione della Corte di cassazione, con sentenza del 18/01/2017 (dep. 20/04/2017), n. 18968, ha affermato che è configurabile il reato di furto commesso con mezzo fraudolento e non quello di truffa quando il soggetto indotto in errore è diverso dal soggetto che subisce il danno, atteso che nel reato di truffa l’atto di disposizione patrimoniale, da cui deriva il pregiudizio economico, non può essere compiuto dal terzo, salvo il caso in cui quest’ultimo abbia la libera disponibilità del patrimonio del soggetto passivo danneggiato.

REATI CONTRO IL PATRIMONIO  –  ESTORSIONE – PROCEDIMENTO DI ESECUZIONE IMMOBILIARE – AGGIUDICATARIO PROVVISORIO “PER PERSONA DA NOMINARE” – RICHIESTA E PERCEZIONE DI UNA SOMMA DI DENARO DAL DEBITORE ESECUTATO IN CAMBIO DELLA RINUNCIA ALL’AGGIUDICAZIONE DEFINITIVA – CONFIGURABILITÀ DEL REATO – SUSSISTENZA.

La Seconda Sezione, con sentenza del 17/02/2017 (dep. 13/03/2017), n. 11979, ha affermato che configura il reato di estorsione la condotta dell’aggiudicatario provvisorio nella procedura di esecuzione immobiliare – cui ha partecipato “per persona da nominare”-  consistita nel farsi consegnare dal debitore esecutato una somma di denaro in cambio della rinuncia a proseguire nel procedimento sino alla aggiudicazione definitiva del bene.

SICUREZZA PUBBLICA – MISURE DI PREVENZIONE – IMPUGNAZIONI – RICHIESTA DI CONFISCA NON PRECEDUTA DA SEQUESTRO ANTICIPATORIO – DECRETO DI RIGETTO – RICORSO PER CASSAZIONE – ESCLUSIONE APPELLO – CONFIGURABILITÀ.

In tema di misure di prevenzione, le Sezioni Unite della Suprema corte, con sentenza n. 20215, udienza 23/02/2017 (dep. 27/04/2017), hanno affermato che, il decreto di rigetto della richiesta del pubblico ministero di applicazione della confisca non preceduta dal sequestro anticipatorio di cui agli artt. 20 e 22 d.lgs. n. 159 del 2011, è impugnabile mediante appello e non mediante ricorso per cassazione.

SICUREZZA PUBBLICA – MISURE DI PREVENZIONE – PROCEDIMENTO – AVVISO A COMPARIRE – MANCATA INDICAZIONE DEL TIPO DI PERICOLOSITÀ CONTESTATA –  CONSEGUENZE – NULLITÀ – ESCLUSIONE

La Quinta Sezione della Corte di cassazione, con sentenza del 13/01/2017 (dep. 5/05/2017), n. 21831, ha affermato che nel procedimento di prevenzione, l’avviso di fissazione dell’udienza in camera di consiglio, previsto dall’art. 7 d. lgs. n. 159 del 2011, non deve contenere, a pena di nullità, anche l’indicazione della forma di pericolosità contestata.

SICUREZZA PUBBLICA – MISURE DI PREVENZIONE – SORVEGLIANZA SPECIALE – REVOCA – GIUDIZIO DI PERSISTENTE PERICOLOSITÀ SOCIALE – NECESSITÀ – PRESUPPOSTI – ELEMENTI DI VALUTAZIONE.

La Prima Sezione della Corte di cassazione, con sentenza del 24/01/2017 (dep.26/04/2017), n. 19657, ha affermato che, ai fini della revoca della misura di prevenzione personale, l’art. 11, d. lgs.,  n. 159 del 2011 richiede un complessivo scrutinio della persistente condizione di pericolosità sociale che, senza alcun automatismo valutativo e  decisorio, tenga conto degli elementi originariamente acquisiti, correlandoli a quelli relativi all’evoluzione della personalità in relazione all’eventuale periodo di detenzione patito, ed alle ulteriori emergenze processuali. 

PREVIDENZA E ASSISTENZA (ASSICURAZIONI SOCIALI) – CONTRIBUTI – OMESSO VERSAMENTO DELLE RITENUTE PREVIDENZIALI ED ASSISTENZIALI – MODIFICHE APPORTATE DAL D.LGS. 15 GENNAIO 2016, N. 8 – NUOVA SOGLIA DI PUNIBILITÀ ANNUA – DETERMINAZIONE – INDICAZIONI.

La Sezione III, con sentenza del 11/01/2017, dep. 08/05/2017, n. 22140, ha affermato che, in tema di omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali, al fine di accertare il superamento della soglia di punibilità di euro 10.000 annui (introdotta dall’art. 3, comma sesto, del d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 8), l’ammontare delle ritenute omesse deve essere verificato in riferimento al momento in cui le obbligazioni rimaste inadempiute sono sorte, a prescindere dal termine di scadenza previsto per il versamento, che rileva esclusivamente ai fini della individuazione del momento consumativo del reato.

SICUREZZA PUBBLICA – MISURE DI PREVENZIONE – PROCEDIMENTO – MISURE DI PREVENZIONE PERSONALI – INTERRUZIONE A SEGUITO DI DETENZIONE DEL PROPOSTO – RIPRISTINO – NUOVA VERIFICA DELL’ATTUALITÀ DELLA PERICOLOSITÀ SOCIALE – GIUDICE COMPETENTE – INDIVIDUAZIONE.

La Quinta Sezione della Corte di Cassazione, con sentenza n. 21250/17, del 01/03/2017, dep. 04/05/2017, ha affermato che ai fini del ripristino dell’esecuzione di una misura di prevenzione personale, sospesa durante la concomitante carcerazione del sottoposto per espiazione pena, è funzionalmente competente alla rivalutazione dell’attualità della pericolosità il giudice che ha deliberato il provvedimento, da individuarsi nella corte di appello, nel caso in cui la misura sia stata emessa da quest’ultima in riforma del decreto di rigetto del tribunale.

SANITÀ PUBBLICA – GESTIONE DEI RIFIUTI – REATO DI CUI ALL’ART. 256, COMMA 2, D.LGS. N. 152 DEL 2006 A CARICO DEL RAPPRESENTANTE DI ASSOCIAZIONE SPORTIVA DILETTANTISTICA DI TIRO A VOLO – SUSSISTENZA – RAGIONI.

La Terza Sezione penale della Corte di cassazione, con sentenza n. 20237 del 16/3/2017, dep. il 28/4/2017ha affermato che sussiste il reato di cui all’art. 256, comma 2, D.Lgs. n. 152 del 2006 a carico del rappresentante di un’associazione sportiva dilettantistica (nella specie di tiro a volo) per l’abbandono di rifiuti derivanti da tale attività, rientrando anche tali associazioni senza scopo di lucro nella nozione di enti ai quali fa riferimento la disposizione citata. 

REATI FALLIMENTARI – BANCAROTTA FRAUDOLENTA – BANCAROTTA PATRIMONIALE PREFALLIMENTARE – NATURA – REATO DI PERICOLO CONCRETO- CONDIZIONI.

La Quinta Sezione della Corte di Cassazione, con sentenza del  24 marzo 2017 (dep. 7aprile 2017) n. 17819, ha affermato che il reato di bancarotta patrimoniale prefallimentare è un reato di pericolo concreto, nel senso che l’atto di depauperamento deve risultare idoneo ad esporre a pericolo l’entità del patrimonio della società in relazione agli interessi della massa dei creditori e deve permanere tale fino all’epoca che precede l’ apertura della procedura fallimentare.

FINANZE E TRIBUTI – OMESSO VERSAMENTO IVA – ART. 325 TFUE – SENTENZA DELLA CGUE, TARICCO E ALTRI DEL 8 SETTEMBRE 2015 – APPLICABILITÀ – ESCLUSIONE – RAGIONI.

La Terza Sezione, con sentenza del  16/12/2016 (dep. 31/03/2017), n. 16458, ha affermato, in tema di reato di omesso versamento di IVA, che l’art. 325 TFUE, come interpretato dalla sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, Grande sezione, Taricco e altri del 8 settembre 2015, C-105/14, non si applica ai reati strutturalmente non caratterizzati da frode, come è quello previsto dall’art. 10-ter del D.Lgs. n. 74 del 2000. 

COMPETENZA – IN GENERE – DECRETO PENALE DI CONDANNA – OPPOSIZIONE – COMPETENZA A DECIDERE – GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI – SUSSISTENZA.

La Prima Sezione della Corte di Cassazione, con sentenza n. 21324/17, del 02/02/2017, dep. 04/05/2017, ha affermato che sulla richiesta di sospensione del procedimento e di messa alla prova ex art. 464 bis cod. proc. pen., avanzata in sede di opposizione a decreto penale di condanna è competente a decidere il giudice per le indagini preliminari e non il giudice del dibattimento.

NOTIFICAZIONI – ALL’IMPUTATO – INTERDETTO O INFERMO DI MENTE – IMPUTATO INABILITATO O SOTTOPOSTO AD AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO – RICORSO ALLE FORME DI CUI ALL’ART. 166 COD. PROC. PEN. – PRESUPPOSTO – INDIVIDUAZIONE.

La Prima Sezione, con sentenza del 22 marzo 2017 (dep. 10 aprile 2017), n. 18141, ha affermato che il presupposto per l’esecuzione delle notificazione integrativa, prevista dall’art. 166 cod. proc. pen per il curatore speciale dell’imputato inabilitato o, analogamente, di quello sottoposto ad amministratore di sostegno, è costituito dalla esistenza di una condizione patologica rilevante ai sensi dell’art. 71, comma 1, dello stesso codice.

PROCEDIMENTI SPECIALI – GIUDIZIO ABBREVIATO – IN GENERE – DEDUCIBILITÀ IN APPELLO DEL DINIEGO DELLA RICHIESTA DI MESSA ALLA PROVA – POSSIBILITÀ – ESCLUSIONE.

La Sesta Sezione, con sentenza n. 22545 del 28/3/2017 (dep. 9/5/2017) ha affermato che, una volta celebrato il giudizio di primo grado nelle forme del rito abbreviato, l’imputato non può dedurre, in sede di appello, l’ingiustificato diniego della richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova.

IMPUGNAZIONI – APPELLO – RINNOVAZIONE DELL’ISTRUZIONE – IN GENERE – GIUDIZIO ABBREVIATO – SENTENZA DI ASSOLUZIONE – “REFORMATIO IN PEIUS” – DIVERSO APPREZZAMENTO DI PROVA ORALE DECISIVA – RINNOVAZIONE DELLA PROVA IN APPELLO – NECESSITÀ – CONSEGUENZE.

Le Sezioni Unite, con sentenza del 19 gennaio 2017 (dep. 14 aprile 2017), n. 18620, hanno affermato che è affetta da vizio di motivazione, per mancato rispetto del canone di giudizio “al di là di ogni ragionevole dubbio”, la sentenza di appello che, su impugnazione del pubblico ministero avverso assoluzione disposta all’esito di giudizio abbreviato non condizionato, affermi la responsabilità dell’imputato operando una diversa valutazione di prove dichiarative ritenute decisive, senza che nel giudizio di appello si sia proceduto all’esame delle persone che abbiano reso tali dichiarazioni.

ESECUZIONE – PENE DETENTIVE – SOSPENSIONE DELL’ESECUZIONE – RICHIESTA CORRELATA AD UNA ISTANZA DI AFFIDAMENTO IN PROVA AL SERVIZIO SOCIALE EX ART. 47, COMMA 3 BIS, ORD. PEN. – LIMITI EDITTALI – INDIVIDUAZIONE – RAGIONI.

In tema di esecuzione di pene brevi, la Prima Sezione, con sentenza n. 51864/16, P.U. del 31/05/2016, dep. 05/12/2016ha affermato che, in considerazione del richiamo operato dall’art. 656, comma 5, cod. proc. pen. all’art. 47 ord. pen., ai fini della sospensione dell’ordine di esecuzione, correlata ad una istanza di affidamento in prova ai sensi dell’art. 47, comma 3 bis, ord. pen., il limite edittale non è quello di tre anni, ma di una pena da espiare, anche residua, non superiore a quattro anni.

ISTITUTI DI PREVENZIONE E DI PENA (ORDINAMENTO PENITENZIARIO) – Competenza del Magistrato o del Tribunale di sorveglianza – Natura funzionale – Sussistenza – Conseguenze.

La Sezione Prima, con sentenza n. 19385  del 13/12/2016 (dep. 21/4/2017), ha affermato che la competenza del Magistrato e del Tribunale di sorveglianza ha natura funzionale ed inderogabile, non inquadrabile nella mera competenza territoriale, per cui la sua eventuale inosservanza può essere rilevata, anche d’ufficio, in ogni stato e grado del procedimento.

CONFISCA – BENI FORMALMENTE INTESTATI A TERZI ESTRANEI AL PROCEDIMENTO – RICHIESTA DI REVOCA DELLA CONFISCA – INAMMISSIBILITÀ DICHIARATA “DE PLANO” – OPPOSIZIONE – PROCEDIMENTO – INSTAURAZIONE DEL CONTRADDITTORIO – NECESSITÀ – RICHIESTA DI TRATTAZIONE IN PUBBLICA UDIENZA – OMISSIONE – CONSEGUENZE.

In tema di confisca di beni nella formale titolarità di terzi estranei al procedimento penale, la Prima sezione della Corte di cassazione, con sentenza del 10/06/2016 (dep. 14/04/2017), n. 18691, ha affermato che, qualora la richiesta di revoca della confisca proposta dal terzo venga dichiarata “de plano” inammissibile, ai sensi dell’art. 667, comma 4, cod. proc. pen., e tale soggetto proponga opposizione, il giudice dell’esecuzione è  tenuto ad instaurare il contraddittorio tra le parti ai sensi dell’art. 666, commi 3 e 4, cod. proc. pen., a pena di nullità assoluta dell’ordinanza che definisce il procedimento, e deve altresì disporre la trattazione nelle forme della pubblica udienza, qualora l’opponente ne abbia fatto esplicita richiesta, configurandosi, in difetto, una nullità relativa.

a cura di Luigi Giordano

REATO – CIRCOSTANZE – ATTENUANTI COMUNI – PROVOCAZIONE – PROVOCAZIONE “PER ACCUMULO” – ELEMENTI COSTITUTIVI – FATTISPECIE.

La Sez. I della Corte di Cassazione, con sentenza n. 28292/2017, ha affermato che, ai fini della configurabilità della circostanza attenuante della provocazione, pur nella forma c.d. “per accumulo”, si richiede la prova dell’esistenza di un fattore scatenante che giustifichi l’esplosione, in relazione ed in occasione di un ultimo episodio, pur apparentemente minore, della carica di dolore o sofferenza che si affermi sedimentata nel tempo, la cui esistenza è, tuttavia, da escludersi, pur in presenza di fatti apparentemente ingiusti della vittima, allorché la reazione appaia sotto ogni profilo eccessiva e talmente inadeguata rispetto all’ultimo episodio dal quale trae origine, da fare escludere la sussistenza di un nesso causale tra offesa, sia pure potenziata dall’accumulo, e reazione.

REATI CONTRO LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – DELITTI – DEI PRIVATI – INCANTI – TURBATA LIBERTÀ DEGLI INCANTI – TURBATIVA REALIZZATA SUCCESSIVAMENTE ALLA CHIUSURA DELL’ASTA – REATO – SUSSISTENZA.

La Seconda Sezione, con sentenza n. 28388 del 21/4/2017 (dep. 8/6/2017), ha affermato che il reato di turbata libertà degli incanti (art. 353 cod. pen.) è integrato da tutte le condotte tipiche che si inseriscono nella procedura di incanto, anche se intervenute successivamente alla chiusura dell’asta.

REATI CONTRO LA PERSONA – DELITTI CONTRO LA LIBERTÀ INDIVIDUALE – STATO DI INCAPACITÀ PROCURATO MEDIANTE VIOLENZA – AGGRAVANTE DI CUI ALL’ART. 609-TER, COMMA 1, COD. PEN. – NATURA – CIRCOSTANZA C.D. “INDIPENDENTE” – AUMENTO DELLA PENA NON SUPERIORE AD UN TERZO – CIRCOSTANZA “AD EFFETTO SPECIALE” – ESCLUSIONE.

Con sentenza n. 28953/17, u.p. 27/04/2017, dep. 09/06/2017, le Sezioni Unite Penali della Corte di cassazione hanno affermato che, ai fini della determinazione del tempo necessario a prescrivere, le circostanze c.d. indipendenti che comportano un aumento di pena non superiore ad un terzo (nella specie quella di cui all’art. 609-ter, primo comma, cod. pen.) non rientrano nella categoria delle circostanze ad effetto speciale.

REATI CONTRO IL PATRIMONIO – DELITTI – FURTO – CIRCOSTANZE AGGRAVANTI – INTRODUZIONE IN ABITAZIONE – LUOGO DI PRIVATA DIMORA – NOZIONE -INTRODUZIONE IN UN LUOGO DI LAVORO – APPLICABILITÀ – ESCLUSIONE – RAGIONI.

Le Sezioni Unite Penali della Corte di cassazione, con sentenza n. 31345/2017, u.p. 23/03/2017, dep. 22/06/2017, hanno affermato che, ai fini della configurabilità del reato previsto dall’art. 624-biscod. pen., rientrano nella nozione di privata dimora esclusivamente i luoghi, anche destinati ad attività lavorativa o professionale, nei quali si svolgono non occasionalmente atti della vita privata, e che non siano aperti al pubblico né accessibili a terzi senza il consenso del titolare.

PROFESSIONISTI – MEDICI E CHIRURGHI –  LEGGE 8 MARZO 2017, N. 24 – ART. 590-SEXIES COD. PEN. –  RESPONSABILITÀ COLPOSA PER MORTE O LESIONI PERSONALI IN AMBITO SANITARIO – CRITERI INTERPRETATIVI – INDIVIDUAZIONE.

La Quarta Sezione, con sentenza n. 28187 del 20/4/2017 (dep. 7/6/2017) ha reso importanti principi in tema di responsabilità penale in ambito sanitario, affermando tra l’altro che il nuovo quadro disciplinare dettato dall’art.590-sexies cod. pen. (disposizione introdotta dalla legge n. 24 del 2017) non trova applicazione:

– negli ambiti che, per qualunque ragione, non siano governati da linee guida;

– nelle situazioni concrete in cui tali raccomandazioni debbano essere radicalmente disattese per via delle peculiarità della condizione del paziente o per qualunque altra ragione imposta da esigenze scientificamente qualificate;

– nelle condotte che, sebbene poste in essere dell’ambito di approccio terapeutico regolato da linee guida pertinenti e appropriate, non risultino per nulla disciplinate in quel contesto regolativo, come nel caso di errore nell’esecuzione materiale di atto chirurgico pur correttamente impostato secondo le relative linee guida.

Ha inoltre affermato che per i fatti anteriori può trovare ancora applicazione, ai sensi dell’art. 2 cod. pen., la disposizione di cui all’abrogato art. 3, comma 1, della legge n. 189 del 2012 che aveva escluso la rilevanza penale delle condotte lesive connotate da colpa lieve, nei contesti regolati da linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica.

SICUREZZA PUBBLICA – MISURE DI PREVENZIONE – SINGOLE MISURE – SORVEGLIANZA SPECIALE – DIVIETO DI FREQUENTARE OD ASSOCIARSI A PREGIUDICATI – VIOLAZIONE – ABITUALITÀ DEI COMPORTAMENTI – INCONTRI SUPERIORI A DUE PER CIASCUN PREGIUDICATO – NECESSITÀ – FATTISPECIE.

La Sez. I della Corte di Cassazione, con sentenza n. 27049/2017, ha affermato che il reato di cui all’art. 75 del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, che punisce la violazione della prescrizione che impone alla persona sottoposta alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale “di non associarsi abitualmente alle persone che hanno subito condanne e sono sottoposte a misure di prevenzione o di sicurezza”, prevista dall’art. 8, comma 4, del medesimo d.lgs., implica un’abitualità o serialità di comportamenti, essendo, conseguentemente, configurabile nel caso di plurimi e stabili contatti e frequentazioni con pregiudicati, caratterizzati, per quanto riguarda il singolo soggetto pregiudicato, da un numero apprezzabile di contatti, certamente superiore a due. (In applicazione di questo principio, la Suprema Corte ha escluso la sussistenza del reato in una fattispecie in cui l’imputato era stato notato incontrarsi sulla pubblica via, fugacemente e separatamente, con sei diversi pregiudicati, ciascuno dei quali incontrato in un’unica occasione, e in due contestuali occasioni con un’altra persona, pure pregiudicata).

GIURISDIZIONE – COGNIZIONE DEL GIUDICE – ATTO AMMINISTRATIVO – PRESUPPOSTO DEL REATO – ILLEGITTIMITÀ – QUESTIONE OGGETTO DI GIUDICATO AMMINISTRATIVO – PRECLUSIONE PER IL GIUDICE PENALE – SUSSISTENZA – CONDIZIONI.

La Terza sezione della Corte di cassazione, con sentenza del 24/05/2017 (dep. 22/06/2017), n. 31282/2017, ha affermato che la valutazione del giudice penale in ordine alla legittimità di un atto amministrativo, che costituisca il presupposto di un reato, non è preclusa da un giudicato amministrativo formatosi all’esito di una controversia instaurata sulla base di documentazione incompleta, o comunque fondata su elementi di fatto rappresentati in modo parziale o addirittura non veritiero, sempre che tali criticità risultino da dati obiettivi preesistenti e sconosciuti al giudice amministrativo, ovvero sopravvenuti alla formazione del giudicato.

PROVA PENALE – PERIZIA – PERIZIA PSICHIATRICA -ITER DIAGNOSTICO- ACCERTAMENTO DI DATI FATTUALI E SUCCESSIVO GIUDIZIO DIAGNOSTICO – POTERI DEL GIUDICE – DISSENSO DALLE CONCLUSIONI DEL PERITO – MOTIVAZIONE – CONTENUTO – FATTISPECIE.

La Sez. I, con sentenza n. 24082/2017, ha affermato che, in tema di valutazione della perizia psichiatrica, sviluppandosi l’ “iter” diagnostico dei periti attraverso due operazioni successive, connesse ed interdipendenti in relazione al risultato finale, cioè la percezione dei dati storici e il successivo giudizio diagnostico fondato sulla prima, il giudice deve discostarsi dalle conclusioni raggiunte quando queste si basano su dati fattuali dimostratisi erronei che, viziando il percorso logico dei periti, rende inattendibili le loro conclusioni. (Fattispecie in cui la Corte ha annullato la decisione della Corte di assise di appello che, senza mettere in discussione la correttezza del dato fattuale accertato in sede peritale, riguardante l’esistenza di un disturbo della personalità dell’imputato riconducibile al novero delle infermità mentali rilevanti ex art. 89 cod. pen., ha disatteso, in assenza di un adeguato supporto scientifico, il giudizio diagnostico successivo, avente ad oggetto l’esistenza di una relazione causale dello stato viziato di mente con il delitto di omicidio commesso dall’imputato).

AZIONE PENALE – QUERELA – PERSONE GIURIDICHE, ENTI E ASSOCIAZIONI – SOCIETÀ FALLITA – – FURTO DI BENI FACENTI PARTE DELLA MASSA FALLIMENTARE – QUERELA – AMMINISTRATORE – LEGITTIMAZIONE – SUSSISTENZA.

La Sezione Quinta, con sentenza del 04/05/2017, dep. 09/06/2017), n. 28746, ha affermato che, ai fini della procedibilità per il reato di furto commesso su beni facenti parte della massa fallimentare di una società di capitali dichiarata fallita, è legittimato a proporre querela non solo il curatore ma anche l’amministratore della persona giuridica che, seppure privata della disponibilità dei beni, ne mantiene la proprietà e il possesso.

MISURE CAUTELARI – PERSONALI – ESTINZIONE – IN GENERE – REITERAZIONE AI SENSI DELL’ART. 309, COMMA 10, COD. PROC. PEN. – PRESUPPOSTI – ESIGENZE CAUTELARI DI ECCEZIONALE RILEVANZA – REATO DI ASSOCIAZIONE MAFIOSA – NECESSITÀ – INTERROGATORIO DI GARANZIA – NECESSITÀ – CONDIZIONI –

In tema di rinnovazione dell’ordinanza cautelare ai sensi dell’art. 309, comma 10, cod. proc. pen., la Seconda Sezione della Corte di cassazione, con sentenza del 21/04/2017 (dep. 30/05/2017), n. 26904, ha affermato che:

– il presupposto delle “eccezionali esigenze cautelari” deve essere valutato anche nel caso in cui si proceda per il reato di associazione mafiosa;

– l’interrogatorio di garanzia dell’indagato è necessario solo quando alla base della seconda ordinanza siano posti elementi di prova nuovi, mentre può essere omesso quando il giudice della cautela si limiti ad effettuare una diversa valutazione di elementi già presenti in atti.

INDAGINI PRELIMINARI – ARCHIVIAZIONE – PARTICOLARE TENUITÀ DEL FATTO – RICORSO PER CASSAZIONE – AMMISSIBILITÀ – ESCLUSIONE.

La Terza Sezione, con sentenza del 26/01/2017 (dep. 20/06/2017), n. 30685ha affermato che il provvedimento di archiviazione per particolare tenuità del fatto non è ricorribile per cassazione, ad esclusione delle ipotesi previste nel comma 6, dell’art. 409 cod. proc. pen.

DIFESA E DIFENSORI – LEGITTIMO IMPEDIMENTO – ISTANZA DI RINVIO DELL’UDIENZA PER IL CONTEMPORANEO IMPEGNO DEL DIFENSORE QUALE DOCENTE IN UNA SCUOLA DI SPECIALIZZAZIONE PER LE PROFESSIONI LEGALI – CONFIGURABILITÀ DI UN LEGITTIMO IMPEDIMENTO – ESCLUSIONE.

La Seconda sezione della Corte di cassazione, con sentenza del 26/05/2017 (dep. 07/06/2017), n. 28363, ha affermato che non costituisce legittimo impedimento del difensore, idoneo a dar luogo ad un rinvio dell’udienza ai sensi dell’art. 420-ter cod. proc. pen., il contemporaneo impegno assunto dal difensore in attività di docenza presso una scuola di specializzazione per le professioni legali, dovendo escludersi che tale tipologia di impegno possa essere ricondotta ad un impedimento di natura professionale.

IMPUGNAZIONI – SENTENZA DI CONDANNA IN PRIMO GRADO – APPELLO DEL PUBBLICO MINISTERO – RIQUALIFICAZIONE GIURIDICA DEL FATTO CONTRA REUM- RIVALUTAZIONE DELLE PROVE DICHIARATIVE RITENUTE DECISIVE – OBBLIGO DI RINNOVAZIONE DIBATTIMENTALE – SUSSISTENZA.

La Prima Sezione della Corte di cassazione, con sentenza del 18/5/2017 (dep. 12 giugno 2017), n. 29165, ha affermato che l’obbligo del giudice di appello di procedere alla rinnovazione della prova dichiarativa, di cui  procede a rivalutazione ai fini della riforma contra reum della decisione, sussiste non solo nel caso di ribaltamento di una  precedente sentenza di assoluzione, ma anche nel caso di riqualificazione giuridica dell’ipotesi originaria di  reato, a seguito di impugnazione del Pubblico Ministero di una sentenza di condanna.

IMPUGNAZIONI – CORTE DI APPELLO – SENTENZA DICHIARATIVA DELLA PRESCRIZIONE  PRONUNCIATA “DE PLANO” IN FASE PREDIBATTIMENTALE  –  VIOLAZIONE DEL CONTRADDITTORIO – NULLITÀ – PREVALENZA DELLA CAUSA DI ESTINZIONE DEL REATO.

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con sentenza del 27/04/2017 (dep. 9/06/2017) n. 28954, hanno affermato che nell’ipotesi di sentenza predibattimentale d’appello, pronunciata in violazione del contraddittorio, con la quale, in riforma della sentenza di condanna di primo grado, è stata dichiarata l’estinzione del reato per prescrizione, la causa estintiva del reato prevale sulla nullità assoluta ed insanabile della sentenza, sempreché non risulti evidente la prova dell’innocenza dell’imputato, dovendo la Corte di cassazione adottare in tal caso la formula di merito di cui all’art. 129, comma 2, cod. proc. pen.

ESECUZIONE – GIUDICE DELL’ESECUZIONE – CONCORSO FORMALE E REATO CONTINUATO – RICONOSCIMENTO DELLA CONTINUAZIONE – RIDETERMINAZIONE DELLA PENA – LIMITE DEL TRIPLO DELLA PENA STABILITA PER IL REATO PIÙ GRAVE – SUSSISTENZA.

Con sentenza depositata l’8 giugno 2017, le Sezioni Unite Penali della Corte di cassazione hanno affermato che in tema di applicazione della continuazione in sede esecutiva il giudice è tenuto, nella determinazione della pena, al rispetto del limite del triplo della pena stabilita per la violazione più grave previsto dall’art. 81, comma 2, cod. pen. e di quello fissato dall’art. 671, comma 2, cod. proc. pen., costituito dalla somma delle pene inflitte con ciascuna delle decisioni irrevocabili considerate.

ESECUZIONE – GIUDICE DELL’ESECUZIONE – CONCORSO FORMALE E REATO CONTINUATO – QUANTIFICAZIONE DELL’AUMENTO DI PENA PER LA CONTINUAZIONE – OBBLIGO DI AUTONOMA E SPECIFICA MOTIVAZIONE – NECESSITÀ.

La Sez. I della corte di cassazione, con sentenza n. 24096/2017, ha affermato che, in tema di quantificazione della pena a seguito di riconoscimento della continuazione tra diversi reati in sede esecutiva, il giudice è tenuto a fornire una congrua motivazione non solo in ordine alla individuazione della pena base, ma anche all’entità dell’aumento ex art. 81 cod. pen., valutando le specifiche condotte poste in essere e non ricorrendo a “mere clausole di stile”.

ESECUZIONE – PROCEDIMENTO – MEZZI DI PROVA – PERIZIA – OMESSO AVVISO AL DIFENSORE DEL CONFERIMENTO DELL’INCARICO PERITALE – CONSEGUENZE – NULLITÀ ASSOLUTA – SUSSISTENZA – RAGIONI.

La Terza Sezione, con sentenza del 9/05/2017 (dep. 15/06/2017), n. 30167, ha affermato che l’omesso avviso al difensore del ricorrente del conferimento dell’incarico peritale disposto dal giudice dell’esecuzione integra una nullità assoluta per violazione dell’artt. 178 lett. c) e 179 cod. proc. pen., in quanto incide sul diritto delle parti al contraddittorio nell’assunzione delle prove.

ESECUZIONE – MAGISTRATURA DI SORVEGLIANZA – PROCEDIMENTO – UDIENZA – RINVIO -LEGITTIMO IMPEDIMENTO DEL DIFENSORE PER RAGIONI DI SALUTE – NECESSITÀ – SUSSISTENZA.

La Prima Sezione penale della Corte di cassazione, con sentenza n. 27074 del 3/5/2017, dep. il 30/5/2017, ha affermato che, nel procedimento di sorveglianza, il legittimo impedimento del difensore per ragioni di salute, adeguatamente provato e tempestivamente comunicato, costituisce causa di rinvio dell’udienza in camera di consiglio ai sensi dell’art. 127 cod. proc. pen. 

DIFESA E DIFENSORI – IN GENERE – ASTENSIONE DALLE UDIENZE –  PRESTAZIONI INDISPENSABILI –  MANDATO ARRESTO EUROPEO – PROCEDIMENTO DI CONSEGNA  – ADESIONE – LEGITTIMO IMPEDIMENTO –  ESCLUSIONE.

In tema di mandato di arresto europeo, la Sesta Sezione della Corte di cassazione, con sentenza del 29/05/2017 (dep. 1/06/2017), n. 27482, ha affermato che nel procedimento camerale di consegna previsto dalla legge 22 aprile 2005, n. 69, non è consentita l’astensione dalle udienze da parte del difensore che aderisca ad una iniziativa regolarmente indetta degli organismi di categoria.

ISTITUTI DI PREVENZIONE E DI PENA (ORDINAMENTO PENITENZIARIO) – PROVVEDIMENTO INCIDENTALE DI ACCERTAMENTO DELLA COLLABORAZIONE CON LA GIUSTIZIA – IMPUGNABILITÀ CON RICORSO PER CASSAZIONE – SUSSISTENZA.

La Sezione 1, all’udienza 07/04/2017 (dep. 26/05/2017), n. 26567, ha affermato che il provvedimento del tribunale di sorveglianza che accerta preventivamente l’eventuale collaborazione con la giustizia del detenuto, anche in relazione alla richiesta di concessione di benefici penitenziari di competenza del magistrato di sorveglianza, è autonomamente impugnabile con ricorso per cassazione.

SICUREZZA PUBBLICA – MISURE DI PREVENZIONE – APPARTENENTI AD ASSOCIAZIONI MAFIOSE – PROVVEDIMENTO DI REVOCA DELL’AMMINISTRATORE GIUDIZIARIO AI SENSI DELL’ART. 35 D.LGS. 6 SETTEMBRE 2011, N. 159 – IMPUGNABILITÀ – ESCLUSIONE.

La Sez. I della Corte di Cassazione, con sentenza n. 28644/2017, ha affermato che il provvedimento di revoca dell’amministratore giudiziario, assunto ai sensi dell’art. 35 D.Lgs. n. 159 del 2011, non è suscettibile di reclamo o impugnazione, anche ai sensi dell’art. 111 Cost., in quanto l’amministratore non vanta un diritto al mantenimento di un incarico di matrice pubblicistica, ma basato su una consistente componente fiduciaria finalizzata al primario interesse al corretto svolgimento della procedura di sequestro e confisca.

RASSEGNA DI GIURISPRUDENZA DELLA CORTE DI CASSAZIONE PENALE

REATO – CIRCOSTANZE – ATTENUANTI COMUNI – PROVOCAZIONE – PROVOCAZIONE “PER ACCUMULO” – ELEMENTI COSTITUTIVI – FATTISPECIE.

La Sez. I della Corte di Cassazione, con sentenza n. 28292/2017, haaffermato che, ai fini della configurabilità della circostanza attenuante della provocazione, pur nella forma c.d. “per accumulo”, si richiede la prova dell’esistenza di un fattore scatenante che giustifichi l’esplosione, in relazione ed in occasione di un ultimo episodio, pur apparentemente minore, della carica di dolore o sofferenza che si affermi sedimentata nel tempo, la cui esistenza è, tuttavia, da escludersi, pur in presenza di fatti apparentemente ingiusti della vittima, allorché la reazione appaia sotto ogni profilo eccessiva e talmente inadeguata rispetto all’ultimo episodio dal quale trae origine, da fare escludere la sussistenza di un nesso causale tra offesa, sia pure potenziata dall’accumulo, e reazione.

REATI CONTRO LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – DELITTI – DEI PRIVATI – INCANTI – TURBATA LIBERTÀ DEGLI INCANTI – TURBATIVA REALIZZATA SUCCESSIVAMENTE ALLA CHIUSURA DELL’ASTA – REATO – SUSSISTENZA.

La Seconda Sezione, con sentenza n. 28388 del 21/4/2017 (dep. 8/6/2017), ha affermato che il reato di turbata libertà degli incanti (art. 353 cod. pen.) è integrato da tutte le condotte tipiche che si inseriscono nella procedura di incanto, anche se intervenute successivamente alla chiusura dell’asta.

REATI CONTRO LA PERSONA – DELITTI CONTRO LA LIBERTÀ INDIVIDUALE – STATO DI INCAPACITÀ PROCURATO MEDIANTE VIOLENZA – AGGRAVANTE DI CUI ALL’ART. 609-TER, COMMA 1, COD. PEN. – NATURA – CIRCOSTANZA C.D. “INDIPENDENTE” – AUMENTO DELLA PENA NON SUPERIORE AD UN TERZO – CIRCOSTANZA “AD EFFETTO SPECIALE” – ESCLUSIONE.

Con sentenza n. 28953/17, u.p. 27/04/2017, dep. 09/06/2017, le Sezioni Unite Penali della Corte di cassazione hanno affermato che, ai fini della determinazione del tempo necessario a prescrivere, le circostanze c.d. indipendenti che comportano un aumento di pena non superiore ad un terzo (nella specie quella di cui all’art. 609-ter, primo comma, cod. pen.) non rientrano nella categoria delle circostanze ad effetto speciale.

REATI CONTRO IL PATRIMONIO – DELITTI – FURTO – CIRCOSTANZE AGGRAVANTI – INTRODUZIONE IN ABITAZIONE – LUOGO DI PRIVATA DIMORA – NOZIONE -INTRODUZIONE IN UN LUOGO DI LAVORO – APPLICABILITÀ – ESCLUSIONE – RAGIONI.

Le Sezioni Unite Penali della Corte di cassazione, con sentenza n. 31345/2017, u.p. 23/03/2017, dep. 22/06/2017, hanno affermato che, ai fini della configurabilità del reato previsto dall’art. 624-bis cod. pen., rientrano nella nozione di privata dimora esclusivamente i luoghi, anche destinati ad attività lavorativa o professionale, nei quali si svolgono non occasionalmente atti della vita privata, e che non siano aperti al pubblico né accessibili a terzi senza il consenso del titolare.

PROFESSIONISTI – MEDICI E CHIRURGHI –  LEGGE 8 MARZO 2017, N. 24 – ART. 590-SEXIES COD. PEN. –  RESPONSABILITÀ COLPOSA PER MORTE O LESIONI PERSONALI IN AMBITO SANITARIO – CRITERI INTERPRETATIVI – INDIVIDUAZIONE.

La Quarta Sezione, con sentenza n. 28187 del 20/4/2017 (dep. 7/6/2017) ha reso importanti principi in tema di responsabilità penale in ambito sanitario, affermando tra l’altro che il nuovo quadro disciplinare dettato dall’art.590-sexies cod. pen. (disposizione introdotta dalla legge n. 24 del 2017) non trova applicazione:

  • negli ambiti che, per qualunque ragione, non siano governati da linee guida;
  • nelle situazioni concrete in cui tali raccomandazioni debbano essere radicalmente disattese per via delle peculiarità della condizione del paziente o per qualunque altra ragione imposta da esigenze scientificamente qualificate;
  • nelle condotte che, sebbene poste in essere dell’ambito di approccio terapeutico regolato da linee guida pertinenti e appropriate, non risultino per nulla disciplinate in quel contesto regolativo, come nel caso di errore nell’esecuzione materiale di atto chirurgico pur correttamente impostato secondo le relative linee guida.

Ha inoltre affermato che per i fatti anteriori può trovare ancora applicazione, ai sensi dell’art. 2 cod. pen., la disposizione di cui all’abrogato art. 3, comma 1, della legge n. 189 del 2012 che aveva escluso la rilevanza penale delle condotte lesive connotate da colpa lieve, nei contesti regolati da linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica.

SICUREZZA PUBBLICA – MISURE DI PREVENZIONE – SINGOLE MISURE – SORVEGLIANZA SPECIALE – DIVIETO DI FREQUENTARE OD ASSOCIARSI A PREGIUDICATI – VIOLAZIONE – ABITUALITÀ DEI COMPORTAMENTI – INCONTRI SUPERIORI A DUE PER CIASCUN PREGIUDICATO – NECESSITÀ – FATTISPECIE.

La Sez. I della Corte di Cassazione, con sentenza n. 27049/2017, ha affermato che il reato di cui all’art. 75 del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, che punisce la violazione della prescrizione che impone alla persona sottoposta alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale “di non associarsi abitualmente alle persone che hanno subito condanne e sono sottoposte a misure di prevenzione o di sicurezza”, prevista dall’art. 8, comma 4, del medesimo d.lgs., implica un’abitualità o serialità di comportamenti, essendo, conseguentemente, configurabile nel caso di plurimi e stabili contatti e frequentazioni con pregiudicati, caratterizzati, per quanto riguarda il singolo soggetto pregiudicato, da un numero apprezzabile di contatti, certamente superiore a due. (In applicazione di questo principio, la Suprema Corte ha escluso la sussistenza del reato in una fattispecie in cui l’imputato era stato notato incontrarsi sulla pubblica via, fugacemente e separatamente, con sei diversi pregiudicati, ciascuno dei quali incontrato in un’unica occasione, e in due contestuali occasioni con un’altra persona, pure pregiudicata).

GIURISDIZIONE – COGNIZIONE DEL GIUDICE – ATTO AMMINISTRATIVO – PRESUPPOSTO DEL REATO – ILLEGITTIMITÀ – QUESTIONE OGGETTO DI GIUDICATO AMMINISTRATIVO – PRECLUSIONE PER IL GIUDICE PENALE – SUSSISTENZA – CONDIZIONI.

La Terza sezione della Corte di cassazione, con sentenza del 24/05/2017 (dep. 22/06/2017), n. 31282/2017, ha affermato che la valutazione del giudice penale in ordine alla legittimità di un atto amministrativo, che costituisca il presupposto di un reato, non è preclusa da un giudicato amministrativo formatosi all’esito di una controversia instaurata sulla base di documentazione incompleta, o comunque fondata su elementi di fatto rappresentati in modo parziale o addirittura non veritiero, sempre che tali criticità risultino da dati obiettivi preesistenti e sconosciuti al giudice amministrativo, ovvero sopravvenuti alla formazione del giudicato.

PROVA PENALE – PERIZIA – PERIZIA PSICHIATRICA – ITER DIAGNOSTICO – ACCERTAMENTO DI DATI FATTUALI E SUCCESSIVO GIUDIZIO DIAGNOSTICO – POTERI DEL GIUDICE – DISSENSO DALLE CONCLUSIONI DEL PERITO – MOTIVAZIONE – CONTENUTO – FATTISPECIE.

La Sez. I, con sentenza n. 24082/2017, ha affermato che, in tema di valutazione della perizia psichiatrica, sviluppandosi l’ “iter” diagnostico dei periti attraverso due operazioni successive, connesse ed interdipendenti in relazione al risultato finale, cioè la percezione dei dati storici e il successivo giudizio diagnostico fondato sulla prima, il giudice deve discostarsi dalle conclusioni raggiunte quando queste si basano su dati fattuali dimostratisi erronei che, viziando il percorso logico dei periti, rende inattendibili le loro conclusioni. (Fattispecie in cui la Corte ha annullato la decisione della Corte di assise di appello che, senza mettere in discussione la correttezza del dato fattuale accertato in sede peritale, riguardante l’esistenza di un disturbo della personalità dell’imputato riconducibile al novero delle infermità mentali rilevanti ex art. 89 cod. pen., ha disatteso, in assenza di un adeguato supporto scientifico, il giudizio diagnostico successivo, avente ad oggetto l’esistenza di una relazione causale dello stato viziato di mente con il delitto di omicidio commesso dall’imputato).

AZIONE PENALE – QUERELA – PERSONE GIURIDICHE, ENTI E ASSOCIAZIONI – SOCIETÀ FALLITA – – FURTO DI BENI FACENTI PARTE DELLA MASSA FALLIMENTARE – QUERELA – AMMINISTRATORE – LEGITTIMAZIONE – SUSSISTENZA.

La Sezione Quinta, con sentenza del 04/05/2017, dep. 09/06/2017), n. 28746, ha affermato che, ai fini della procedibilità per il reato di furto commesso su beni facenti parte della massa fallimentare di una società di capitali dichiarata fallita, è legittimato a proporre querela non solo il curatore ma anche l’amministratore della persona giuridica che, seppure privata della disponibilità dei beni, ne mantiene la proprietà e il possesso.

MISURE CAUTELARI – PERSONALI – ESTINZIONE – IN GENERE – REITERAZIONE AI SENSI DELL’ART. 309, COMMA 10, COD. PROC. PEN. – PRESUPPOSTI – ESIGENZE CAUTELARI DI ECCEZIONALE RILEVANZA – REATO DI ASSOCIAZIONE MAFIOSA – NECESSITÀ – INTERROGATORIO DI GARANZIA – NECESSITÀ – CONDIZIONI

In tema di rinnovazione dell’ordinanza cautelare ai sensi dell’art. 309, comma 10, cod. proc. pen., la Seconda Sezione della Corte di cassazione, con sentenza del 21/04/2017 (dep. 30/05/2017), n. 26904, ha affermato che:

  • il presupposto delle “eccezionali esigenze cautelari” deve essere valutato anche nel caso in cui si proceda per il reato di associazione mafiosa;
  • l’interrogatorio di garanzia dell’indagato è necessario solo quando alla base della seconda ordinanza siano posti elementi di prova nuovi, mentre può essere omesso quando il giudice della cautela si limiti ad effettuare una diversa valutazione di elementi già presenti in atti.

INDAGINI PRELIMINARI – ARCHIVIAZIONE – PARTICOLARE TENUITÀ DEL FATTO – RICORSO PER CASSAZIONE – AMMISSIBILITÀ – ESCLUSIONE.

La Terza Sezione, con sentenza del 26/01/2017 (dep. 20/06/2017), n. 30685ha affermato che il provvedimento di archiviazione per particolare tenuità del fatto non è ricorribile per cassazione, ad esclusione delle ipotesi previste nel comma 6, dell’art. 409 cod. proc. pen.

DIFESA E DIFENSORI – LEGITTIMO IMPEDIMENTO – ISTANZA DI RINVIO DELL’UDIENZA PER IL CONTEMPORANEO IMPEGNO DEL DIFENSORE QUALE DOCENTE IN UNA SCUOLA DI SPECIALIZZAZIONE PER LE PROFESSIONI LEGALI – CONFIGURABILITÀ DI UN LEGITTIMO IMPEDIMENTO – ESCLUSIONE.

La Seconda sezione della Corte di cassazione, con sentenza del 26/05/2017 (dep. 07/06/2017), n. 28363, ha affermato che non costituisce legittimo impedimento del difensore, idoneo a dar luogo ad un rinvio dell’udienza ai sensi dell’art. 420-ter cod. proc. pen., il contemporaneo impegno assunto dal difensore in attività di docenza presso una scuola di specializzazione per le professioni legali, dovendo escludersi che tale tipologia di impegno possa essere ricondotta ad un impedimento di natura professionale.

IMPUGNAZIONI – SENTENZA DI CONDANNA IN PRIMO GRADO – APPELLO DEL PUBBLICO MINISTERO – RIQUALIFICAZIONE GIURIDICA DEL FATTO CONTRA REUM- RIVALUTAZIONE DELLE PROVE DICHIARATIVE RITENUTE DECISIVE – OBBLIGO DI RINNOVAZIONE DIBATTIMENTALE – SUSSISTENZA.

La Prima Sezione della Corte di cassazione, con sentenza del 18/5/2017 (dep. 12 giugno 2017), n. 29165, ha affermato che l’obbligo del giudice di appello di procedere alla rinnovazione della prova dichiarativa, di cui  procede a rivalutazione ai fini della riforma contra reum della decisione, sussiste non solo nel caso di ribaltamento di una  precedente sentenza di assoluzione, ma anche nel caso di riqualificazione giuridica dell’ipotesi originaria di  reato, a seguito di impugnazione del Pubblico Ministero di una sentenza di condanna.

IMPUGNAZIONI – CORTE DI APPELLO – SENTENZA DICHIARATIVA DELLA PRESCRIZIONE  PRONUNCIATA “DE PLANO” IN FASE PREDIBATTIMENTALE  –  VIOLAZIONE DEL CONTRADDITTORIO – NULLITÀ – PREVALENZA DELLA CAUSA DI ESTINZIONE DEL REATO.

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con sentenza del 27/04/2017 (dep. 9/06/2017) n. 28954, hanno affermato che nell’ipotesi di sentenza predibattimentale d’appello, pronunciata in violazione del contraddittorio, con la quale, in riforma della sentenza di condanna di primo grado, è stata dichiarata l’estinzione del reato per prescrizione, la causa estintiva del reato prevale sulla nullità assoluta ed insanabile della sentenza, sempreché non risulti evidente la prova dell’innocenza dell’imputato, dovendo la Corte di cassazione adottare in tal caso la formula di merito di cui all’art. 129, comma 2, cod. proc. pen.

ESECUZIONE – GIUDICE DELL’ESECUZIONE – CONCORSO FORMALE E REATO CONTINUATO – RICONOSCIMENTO DELLA CONTINUAZIONE – RIDETERMINAZIONE DELLA PENA – LIMITE DEL TRIPLO DELLA PENA STABILITA PER IL REATO PIÙ GRAVE – SUSSISTENZA.

Con sentenza depositata l’8 giugno 2017, le Sezioni Unite Penali della Corte di cassazione hanno affermato che in tema di applicazione della continuazione in sede esecutiva il giudice è tenuto, nella determinazione della pena, al rispetto del limite del triplo della pena stabilita per la violazione più grave previsto dall’art. 81, comma 2, cod. pen. e di quello fissato dall’art. 671, comma 2, cod. proc. pen., costituito dalla somma delle pene inflitte con ciascuna delle decisioni irrevocabili considerate.

ESECUZIONE – GIUDICE DELL’ESECUZIONE – CONCORSO FORMALE E REATO CONTINUATO – QUANTIFICAZIONE DELL’AUMENTO DI PENA PER LA CONTINUAZIONE – OBBLIGO DI AUTONOMA E SPECIFICA MOTIVAZIONE – NECESSITÀ.

La Sez. I della corte di cassazione, con sentenza n. 24096/2017, ha affermato che, in tema di quantificazione della pena a seguito di riconoscimento della continuazione tra diversi reati in sede esecutiva, il giudice è tenuto a fornire una congrua motivazione non solo in ordine alla individuazione della pena base, ma anche all’entità dell’aumento ex art. 81 cod. pen., valutando le specifiche condotte poste in essere e non ricorrendo a “mere clausole di stile”.

ESECUZIONE – PROCEDIMENTO – MEZZI DI PROVA – PERIZIA – OMESSO AVVISO AL DIFENSORE DEL CONFERIMENTO DELL’INCARICO PERITALE – CONSEGUENZE – NULLITÀ ASSOLUTA – SUSSISTENZA – RAGIONI.

La Terza Sezione, con sentenza del 9/05/2017 (dep. 15/06/2017), n. 30167, ha affermato che l’omesso avviso al difensore del ricorrente del conferimento dell’incarico peritale disposto dal giudice dell’esecuzione integra una nullità assoluta per violazione dell’artt. 178 lett. c) e 179 cod. proc. pen., in quanto incide sul diritto delle parti al contraddittorio nell’assunzione delle prove.

ESECUZIONE – MAGISTRATURA DI SORVEGLIANZA – PROCEDIMENTO – UDIENZA – RINVIO -LEGITTIMO IMPEDIMENTO DEL DIFENSORE PER RAGIONI DI SALUTE – NECESSITÀ – SUSSISTENZA.

La Prima Sezione penale della Corte di cassazione, con sentenza n. 27074 del 3/5/2017, dep. il 30/5/2017, ha affermato che, nel procedimento di sorveglianza, il legittimo impedimento del difensore per ragioni di salute, adeguatamente provato e tempestivamente comunicato, costituisce causa di rinvio dell’udienza in camera di consiglio ai sensi dell’art. 127 cod. proc. pen.

DIFESA E DIFENSORI – IN GENERE – ASTENSIONE DALLE UDIENZE –  PRESTAZIONI INDISPENSABILI –  MANDATO ARRESTO EUROPEO – PROCEDIMENTO DI CONSEGNA  – ADESIONE – LEGITTIMO IMPEDIMENTO –  ESCLUSIONE.

In tema di mandato di arresto europeo, la Sesta Sezione della Corte di cassazione, con sentenza del 29/05/2017 (dep. 1/06/2017), n. 27482, ha affermato che nel procedimento camerale di consegna previsto dalla legge 22 aprile 2005, n. 69, non è consentita l’astensione dalle udienze da parte del difensore che aderisca ad una iniziativa regolarmente indetta degli organismi di categoria.

ISTITUTI DI PREVENZIONE E DI PENA (ORDINAMENTO PENITENZIARIO) – PROVVEDIMENTO INCIDENTALE DI ACCERTAMENTO DELLA COLLABORAZIONE CON LA GIUSTIZIA – IMPUGNABILITÀ CON RICORSO PER CASSAZIONE – SUSSISTENZA.

La Sezione 1, all’udienza 07/04/2017 (dep. 26/05/2017), n. 26567, ha affermato che il provvedimento del tribunale di sorveglianza che accerta preventivamente l’eventuale collaborazione con la giustizia del detenuto, anche in relazione alla richiesta di concessione di benefici penitenziari di competenza del magistrato di sorveglianza, è autonomamente impugnabile con ricorso per cassazione.

SICUREZZA PUBBLICA – MISURE DI PREVENZIONE – APPARTENENTI AD ASSOCIAZIONI MAFIOSE – PROVVEDIMENTO DI REVOCA DELL’AMMINISTRATORE GIUDIZIARIO AI SENSI DELL’ART. 35 D.LGS. 6 SETTEMBRE 2011, N. 159 – IMPUGNABILITÀ – ESCLUSIONE.

La Sez. I della Corte di Cassazione, con sentenza n. 28644/2017, ha affermato che il provvedimento di revoca dell’amministratore giudiziario, assunto ai sensi dell’art. 35 D.Lgs. n. 159 del 2011, non è suscettibile di reclamo o impugnazione, anche ai sensi dell’art. 111 Cost., in quanto l’amministratore non vanta un diritto al mantenimento di un incarico di matrice pubblicistica, ma basato su una consistente componente fiduciaria finalizzata al primario interesse al corretto svolgimento della procedura di sequestro e confisca.

a cura di Luigi Giordano

REATI CONTRO LA PERSONA – DELITTI CONTRO LA LIBERTA’ INDIVIDUALE – ACCESSO ABUSIVO AD UN SISTEMA INFORMATICO O TELEMATICO – FATTO COMMESSO DA PUBBLICO UFFICIALE O DA INCARICATO DI PUBBLICO SERVIZIO ABILITATO, MA PER RAGIONI DIVERSE DA QUELLE CONSENTITE – CONFIGURABILITÀ DEL REATO – SUSSISTENZA.

Con sentenza del 18 maggio 2017, depositata in data 8 settembre 2017, n. 41210, le Sezioni unite penali della Corte di cassazione hanno affermato che integra il delitto previsto dall’art. 615-ter, secondo comma, n. 1, cod. pen. la condotta del pubblico ufficiale o dell’incaricato di un pubblico servizio che, pur essendo abilitato e pur non violando le prescrizioni formali impartite dal titolare di un sistema informatico o telematico protetto per delimitarne l’accesso (nella specie, il Registro informatizzato delle notizie di reato, c.d. Re.Ge.), acceda o si mantenga nel sistema per ragioni ontologicamente estranee e comunque diverse rispetto a quelle per le quali, soltanto, la facoltà di accesso gli è attribuita.

REATI CONTRO IL PATRIMONIO  – DELITTI – FURTO – CIRCOSTANZE AGGRAVANTI – DESTREZZA (BORSEGGIO) – NOZIONE – APPROFITTAMENTO DELLA DISATTENZIONE DELLA VITTIMA – ESCLUSIONE.

Le Sezioni Unite Penali della Corte di cassazione, con sentenza del 27 aprile 2017 (dep. 12 luglio 2017), n. 34, risolvendo il relativo contrasto, hanno affermato che, in relazione al delitto di furto, ai fini della configurabilità della circostanza aggravante della destrezza, di cui all’art. 625, comma primo, n. 4), cod. pen., è necessario che l’agente abbia posto in essere – prima o durante l’impossessamento del bene mobile altrui – una condotta caratterizzata da particolari abilità, astuzia o avvedutezza ed idonea a sorprendere, attenuare o eludere la sorveglianza del detentore sulla “res”, non essendo invece sufficiente che egli si limiti ad approfittare di situazioni, cui non abbia dato causa, di disattenzione o momentaneo allontanamento del detentore medesimo.

REATI CONTRO LA PERSONA – DELITTI CONTRO LA VITA E L’INCOLUMITÀ INDIVIDUALE – OMICIDIO COLPOSO – IN GENERE –  REATI DI OMICIDIO STRADALE E LESIONI PERSONALI STRADALI GRAVI E GRAVISSIME (ARTT. 589-BIS E 590-BIS COD. PEN.) – RAPPORTO CON I REATI DI OMICIDIO E LESIONI COLPOSE – AUTONOMIA – SUSSISTENZA.

La Quarta Sezione della Corte di cassazione, con sentenza del  1 marzo 2017 (dep. 14 giugno 2017), n. 29721, ha affermato che i nuovi delitti di omicidio stradale e lesioni personali stradali gravi e gravissime, previsti dagli artt. 589-bis e 590-bis, costituiscono fattispecie autonome e non ipotesi aggravate dei reati di omicidio colposo e lesioni colpose.

DETENZIONE E PORTO ILLEGALI DI ARMA COMUNE DA SPARO – DETENZIONE E PORTO DI ARMA CLANDESTINA – CONCORSO DI REATI – CONFIGURABILITÀ – ESCLUSIONE.

Le Sezioni Unite penali della Corte di Cassazione, con sentenza del  22 giugno 2017 (dep. 12 settembre 2017), n.  41588, hanno affermato che le condotte di detenzione e porto in luogo pubblico o aperto al pubblico di un’arma comune da sparo clandestina configurano, esclusivamente, le ipotesi delittuose  previste dall’art. 23, primo, terzo e quarto comma, legge 18 aprile 1975 n.110, dovendosi escludere,  in  ragione dell’ operatività del principio di specialità di cui all’art. 15 cod. pen.,  il concorso formale tra i suddetti delitti e quelli, rispettivamente, di porto e detenzione illegale in luogo pubblico o aperto al pubblico di arma comune da sparo, previsti dagli artt. 2, 4 e 7 della legge 2 ottobre 1967, n.895.

SICUREZZA PUBBLICA – MISURE DI PREVENZIONE – SINGOLE MISURE – SORVEGLIANZA SPECIALE – INOSSERVANZA DELLE PRESCRIZIONI DI VIVERE ONESTAMENTE E DI RISPETTARE LE LEGGI – REATO DI CUI ALL’ART. 75, COMMA 2, D.LGS. N. 159 DEL 2011 – CONFIGURABILITÀ – ESCLUSIONE – – RILEVANZA AI FINI DELL’EVENTUALE AGGRAVAMENTO DELLA MISURA – SUSSISTENZA.

Con sentenza n. 40076, del 27 aprile 2017, depositata il 5 settembre 2017, le Sezioni unite penali della Corte di cassazione hanno affermato che l’inosservanza delle prescrizioni generiche di <<vivere onestamente>> e <<rispettare le leggi>>, da parte del soggetto sottoposto alla sorveglianza speciale con obbligo o divieto di soggiorno, non integra la norma incriminatrice di cui all’art. 75, comma 2, d.lgs. n. 159 del 2011. Essa può, tuttavia, rilevare ai fini dell’eventuale aggravamento della misura di prevenzione personale.  

SICUREZZA PUBBLICA – MISURE DI PREVENZIONE E ANTIMAFIA – CONFISCA DI PREVENZIONE – UDIENZA DI VERIFICA DEI CREDITI – PARTECIPAZIONE DELL’AGENZIA NAZIONALE PER L’AMMINISTRAZIONE E LA GESTIONE DEI BENI SEQUESTRATI E CONFISCATI – OBBLIGATORIETÀ – ESCLUSIONE – CONDIZIONI.

In tema di misure di prevenzione patrimoniali, la Prima Sezione della Corte di Cassazione, con sentenza del 15 giugno 2017 (dep. 18 agosto 2017), n. 39258, ha affermato che la partecipazione dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la  destinazione dei beni sequestrati e confiscati all’udienza di verifica dei crediti, ai sensi dell’art. 59, comma 2, D. Lgs. n. 159 del 2001, è facoltativa e non obbligatoria, onde la mancata instaurazione del contraddittorio nei suoi confronti non costituisce causa di nullità della decisione, qualora la domanda di ammissione del credito da parte del terzo sia stata presentata prima che il provvedimento di confisca di prevenzione sia divenuto irrevocabile.

REATI FALLIMENTARI – BANCAROTTA FRAUDOLENTA – IN GENERE – BANCAROTTA FRAUDOLENTA PER DISTRAZIONE – REATO DI PERICOLO CONCRETO – ELEMENTO OGGETTIVO E DOLO GENERICO – ACCERTAMENTO – CONTENUTO – “INDICI DI FRAUDOLENZA”

In tema di bancarotta fraudolenta per distrazione, la Sezione Quinta, con sentenza del 23 giugno 2017,  (dep. 01 agosto 2017), n. 38396, ha affermato che l’accertamento dell’elemento oggettivo del reato di pericolo concreto e del dolo generico deve valorizzare la ricerca di “indici di fraudolenza”, necessari a dar corpo alla prognosi postuma di concreta messa in pericolo dell’integrità del patrimonio dell’impresa, funzionale ad assicurare la garanzia dei creditori, e alla relativa proiezione soggettiva.

REATI FALLIMENTARI – BANCAROTTA FRAUDOLENTA – IN GENERE – BANCAROTTA IMPROPRIA DA REATO SOCIETARIO – INFEDELTÀ PATRIMONIALE – INERZIA DELL’AMMINISTRATORE – RILEVANZA – LIMITI.

La Sezione Quinta, con sentenza del 12 maggio 2017 (dep. 28 luglio 2017), n. 37932, ha affermato che, ai fini della configurabilità del reato di infedeltà patrimoniale ex art. 2634 cod. civ., può assumere rilievo anche l’inerzia dell’amministratore, quando sia tale da determinare la compromissione dell’integrità del patrimonio sociale.

BELLEZZE NATURALI – IN GENERE – CORTE COST., SENTENZA N. 56 DEL 2016 – EFFETTI – NUOVA STRUTTURA DELL’ILLECITO PAESAGGISTICO – CONSEGUENZE – GIUDIZIO DI ESECUZIONE – POTERE DEL GIUDICE DI DICHIARARE L’ESTINZIONE DEL REATO RIQUALIFICATO COME CONTRAVVENZIONE PER MATURATA PRESCRIZIONE – SUSSISTENZA – CONDIZIONI.

La Terza Sezione, con sentenza n. 38691 del 11 luglio 2017 (dep. 3 agosto 2017, ha affermato che rientra tra i poteri del giudice dell’esecuzione, adito per la rideterminazione della pena a seguito della dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 181, comma 1-bis, D.Lgs. n. 42 del 2004, dichiarare l’estinzione per prescrizione del reato oggetto della sentenza definitiva di condanna, riqualificato come contravvenzione ai sensi del comma 1 della norma citata, qualora la prescrizione sia maturata in pendenza del procedimento di cognizione, e fatti salvi i rapporti ormai esauriti.

FINANZE E TRIBUTI – IN GENERE – CONDANNA  RELATIVA A REATI TRIBUTARI – AMMINISTRATORE DI SOCIETÀ COOPERATIVA – PROFITTO – CONFISCA PER EQUIVALENTE – VIOLAZIONE DEL NE BIS IN IDEM – ESCLUSIONE.

La  Terza Sezione della Corte di cassazione, con sentenza  del 1 marzo 2017 (dep. 18 luglio 2017), n. 35156, ha affermato che non sussiste violazione  del principio del ne bis in idem convenzionale,  come interpretato dalla sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo nella causa A e B c. Norvegia del 15 novembre 2016, nel caso in cui con la sentenza di condanna per reati tributari commessi  dall’imputato in qualità di amministratore di una società  sia disposta nei confronti dello stesso la confisca di somme di denaro per un valore equivalente al profitto diretto, derivante dagli stessi reati, conseguito dall’ente.

DIFESA E DIFENSORI DI UFFICIO – NOMINA IN UDIENZA – APPLICABILITÀ DELL’OBBLIGO DI COMUNICAZIONE DEL NOMINATIVO DEL DIFENSORE D’UFFICIO – ESCLUSIONE.

La Quinta Sezione della Corte di cassazione, con sentenza del 28 aprile 2017 (dep. 28 luglio 2017) n. 37920, ha affermato che l’obbligo, posto dall’art. 28 disp. att. cod. proc. pen., di comunicare all’imputato il nominativo del difensore d’ufficio nominatogli non si applica nel caso in cui la nomina avvenga in udienza, dove l’imputato è presente o deve ritenersi presente.

DIFESA E DIFENSORI – PERQUISIZIONE PERSONALE – AVVERTIMENTO ALL’INDAGATO DELLA FACOLTÀ DI FARSI ASSISTERE DA UN DIFENSORE DI FIDUCIA – NECESSITÀ – SEQUESTRO CONSEGUENTE A PERQUISIZIONE – ULTERIORE AVVERTIMENTO – NECESSITÀ – ESCLUSIONE.

La Quinta sezione della Corte di cassazione, con sentenza del  18 maggio 2017 (dep. 24 luglio 2017), n. 36724, ha affermato che qualora l’indagato sia stato ritualmente avvisato, al momento della perquisizione personale, della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia, non è necessario che egli riceva un ulteriore, analogo avvertimento al momento dell’esecuzione del sequestro conseguente alla predetta perquisizione.

PROVE – MEZZI DI RICERCA DELLA PROVA – SEQUESTRI – OGGETTO – DATI INFORMATICI – ESTRAZIONE DI COPIA DEI DATI CONTENUTI NEL COMPUTER IN SEQUESTRO – RICHIESTA DI RIESAME – CONFERMA DEL DECRETO DI SEQUESTRO – RESTITUZIONE DEL COMPUTER ALL’AVENTE DIRITTO – RICORSO PER CASSAZIONE – AMMISSIBILITÀ – CONDIZIONI.

Con sentenza n. 40963 del 20 luglio 2017, depositata il 7 settembre 2017, le Sezioni unite penali della Corte di cassazione hanno affermato che è ammissibile il ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del tribunale del riesame di conferma del sequestro probatorio di un computer o di un supporto informatico, nel caso in cui ne risulti la restituzione previa estrazione di copia dei dati ivi contenuti, sempre che sia dedotto l’interesse, concreto e attuale, alla esclusiva disponibilità dei dati.

PROCEDIMENTI SPECIALI – GIUDIZIO ABBREVIATO – ATTI INTEGRATIVI DI INDAGINE ACQUISITI DOPO L’AMMISSIONE AL RITO SPECIALE – UTILIZZABILITÀ AI FINI DELLA CONFISCA EX ART. 12 SEXIES D.L. N. 306 DEL 1992 – LEGITTIMITÀ – CONDIZIONI.

In tema di giudizio abbreviato, la Seconda Sezione penale della Corte di cassazione, con sentenza del 19/04/2017 (dep. 07/09/2017), n. 40855, ha affermato che la confisca prevista dall’art. 12-sexies d.l. 8 giugno 1992, n. 306, convertito in legge 8 agosto 1994, n. 501, può essere disposta anche sulla base di atti integrativi di indagine acquisiti, dopo l’ammissione al rito speciale, senza le formalità di cui all’art. 441, comma 5, cod. proc. pen., ma pur sempre nel contraddittorio ovvero consentendo alle parti l’esplicazione di ogni utile attività difensiva.

SENTENZA  –  REDAZIONE – TERMINE – SOSPENSIONE NEL PERIODO FERIALE – APPLICABILITÀ – ESCLUSIONE. 

Le Sezioni unite della Corte di cassazione, con sentenza del  20 luglio 2017, n. 42361, depositata in data 18 settembre 2017, hanno affermato che anche a seguito della riduzione del periodo annuale di ferie dei magistrati da 45 a 30 giorni, stabilita dal d.l. n. 132 del 2014 convertito, con modificazioni, dalla legge 10 novembre 2014, n. 162, art. 16, i termini per la redazione della sentenza non sono soggetti alla sospensione del periodo feriale.

PARTE CIVILE – SPESE – ASSOLUZIONE DELL’IMPUTATO IN APPELLO – REATO TRASFORMATO IN ILLECITO CIVILE EX D.LGS. N. 7 DEL 2016 – CONDANNA ALLE SPESE SOSTENUTE DALLA PARTE CIVILE – LEGITTIMITÀ -RAGIONI.

La Sezione Terza, con sentenza del 16 marzo 2017, dep. 27 luglio 2017, n. 1014, ha affermato che è legittima la condanna dell’imputato al pagamento delle spese sostenute dalla parte civile in caso di assoluzione in appello per la trasformazione del reato in illecito civile ai sensi del D.Lgs. 15 gennaio 2016 n. 7 ed annullamento delle statuizioni civili di condanna al risarcimento del danno, non risultando la parte civile soccombente.

IMPUGNAZIONI – RICORSO PER CASSAZIONE – LEGGE 23 GIUGNO 2017, N.103 – INAMMISSIBILITÀ DEL RICORSO PERSONALE DELL’INTERESSATO A SEGUITO DELLA MODIFICA DEGLI ARTT. 571, COMMA 1 E 613, COMMA 1, COD. PROC. PEN. – APPLICABILITÀ AI RICORSI IN MATERIA DI CONSEGNA A SEGUITO DI  MANDATO DI ARRESTO EUROPEO – SUSSISTENZA.

La Sesta Sezione della Corte di Cassazione, con sentenza del  13 settembre 2017, n. 42062, (dep. 15 settembre 2017), ha affermato che gli  artt. 571, comma 1 e 613, comma 1, cod. proc. pen. – così come, rispettivamente, modificati dall’art.1, commi 54 e 55, legge 23 giugno 2017, n. 103- che escludono la possibilità per l’imputato di presentare personalmente ricorso per cassazione, si applicano anche al ricorso formulato,  ai sensi dell’art. 22, legge n. 22 aprile 2005, n.69, avverso la sentenza che dispone la consegna a seguito di mandato di arresto europeo, con conseguente inammissibilità del ricorso medesimo.(In tale pronuncia la Corte ha, altresì, ritenuto manifestamente infondata la questione della illegittimità costituzionale dell’art. 613, comma 1, cod. proc. pen,, nella formulazione introdotta dalla legge n. 103 del 2017,   per asserita violazione degli artt. 111, comma settimo, Cost. e 13 CEDU).

IMPUGNAZIONI – CASSAZIONE – CAUSE DI NON PUNIBILITÀ, DI IMPROCEDIBILITÀ, DI ESTINZIONE DEL REATO O DELLA PENA – CONCORSO DI CAUSA DI ESTINZIONE DEL REATO E DI NULLITÀ ASSOLUTA E INSANABILE – CAUSA PREVALENTE – INDICAZIONE – CONDIZIONI.

La Terza Sezione, con sentenza n. 38662 del 31 maggio 2017 (dep. 2 agosto 2017, ha affermato che nell’ipotesi di sentenza predibattimentale d’appello, pronunciata in violazione del contraddittorio, con la quale, in riforma della sentenza di condanna di primo grado, è stata dichiarata l’estinzione del reato per prescrizione, la causa estintiva del reato prevale sulla nullità assoluta e insanabile della sentenza, a condizione che – oltre a non risultare evidente la prova della innocenza dell’imputato (dovendo la Corte di Cassazione adottare in tal caso la formula di cui all’art. 129, comma 2, cod. proc. pen.) – non sussista una questione civile da valutare.

TERMINI PROCESSUALI – RESTITUZIONE NEL TERMINE – VERIFICA DELLA TEMPESTIVITÀ DELLA RICHIESTA – SPEDIZIONE DELLA DOMANDA A MEZZO POSTA – TERMINE DI RIFERIMENTO – DATA DELLA SPEDIZIONE.

Le Sezioni Unite della Corte di cassazione, con sentenza n. 42043 del 18 maggio 2017, dep. il 15 settembre 2017, hanno affermato che, ai fini della verifica della tempestività della richiesta di restituzione nel termine a norma dell’art. 175, comma 2-bis, cod. proc. pen., il giudice, nel caso in cui la richiesta sia presentata a mezzo del servizio postale, deve fare riferimento alla data di spedizione della richiesta.

a cura di Luigi Giordano

REATO – CIRCOSTANZE – AGGRAVANTI IN GENERE – CONTESTAZIONE – MODALITÀ – FORMULA SPECIFICA – NECESSITÀ – ESCLUSIONE – INDICAZIONE DEGLI ELEMENTI DI FATTO – SUFFICIENZA.

La Prima Sezione della Corte, con sentenza del 8.02.2017, depositata il 9.11.2017, n. 51260, ha affermato che, ai fini della contestazione di una circostanza aggravante non è indispensabile una formula specifica espressa con enunciazione letterale, né l’indicazione della disposizione di legge che la prevede, essendo sufficiente che, conformemente al principio di correlazione tra accusa e decisione, l’imputato sia posto nelle condizioni di espletare pienamente la difesa sugli elementi di fatto integranti l’aggravante.

SANITÀ PUBBLICA – DELITTI CONTRO L’AMBIENTE – INQUINAMENTO AMBIENTALE – SEQUESTRO PREVENTIVO – PRESUPPOSTI – “FUMUS COMMISSI DELICTI” – CONTENUTO.

In tema di inquinamento ambientale, con sentenza del 06/07/2017 (dep. 16/11/2017), n. 52436, la Terza Sezione della Corte di cassazione ha affermato che, per integrare il “fumus” del reato di cui all’art. 452-bis cod. pen. ai fini dell’emissione di un provvedimento di sequestro preventivo, occorre accertare la sussistenza di un’alta probabilità di compromissione o di deterioramento significativo dei beni tutelati, in considerazione della natura e dalla durata nel tempo degli scarichi abusivi. 

REATI CONTRO LA PERSONALITÀ DELLO STATO – ASSOCIAZIONI SOVVERSIVE – COMPONENTI DELLA CELLULA DI ISPIRAZIONE JIHADISTA OPERANTE SUL TERRITORIO NAZIONALE – PARTECIPAZIONE AD ASSOCIAZIONE TERRORISTICA INTERNAZIONALE.

La  Quinta Sezione della Corte di cassazione, con una decisione emessa in sede cautelare in data 13/07/2017 (dep. 03/11/2017), n. 50189, è intervenuta sul  tema dell’adesione e della partecipazione di appartenenti ad una cellula di ispirazione jihadista, operante sul territorio nazionale, all’associazione terroristica internazionale di riferimento, denominata ISIS.

PROFESSIONISTI – MEDICI E CHIRURGHI – RESPONSABILITÀ COLPOSA PER MORTE O LESIONI PERSONALI – LEGGE 8 MARZO 2017, N. 24 – ART. 590-SEXIESCOD. PEN. – CAUSA DI NON PUNIBILITÀ –  CONFIGURABILITÀ – AMBITO DI APPLICAZIONE – INDICAZIONI.

In tema di colpa medica, la Quarta Sezione penale della Corte di cassazione, con sentenza n. 50078 del 19/10/2017, dep. il 31/10/2017, ha affermato il seguente principio di diritto: “Il secondo comma dell’art. 590-sexies cod. pen., introdotto dalla legge 8 marzo 2017, n. 24 (c.d. legge Gelli-Bianco), prevede una causa di non punibilità  dell’esercente la professione sanitaria operante, ricorrendo le condizioni previste dalla disposizione  normativa (rispetto delle linee guida  o, in  mancanza, delle  buone  pratiche  clinico-assistenziali, adeguate alla specificità del caso), nel solo caso di imperizia, indipendentemente dal  grado della  colpa, essendo compatibile il  rispetto delle linee guide e delle buone pratiche  con la condotta imperita nell’applicazione delle stesse.

Successivamente, in data 13/11/2017, è stata rimessa alle Sezioni unite per l’udienza del 21/12/2017, la seguente questione: Quale sia, in tema di responsabilità colposa dell’esercente la professione sanitaria per morte o lesioni, l’ambito applicativo della previsione di “non punibilità” prevista dall’art. 590-sexies cod. pen., introdotto dalla legge 8 marzo 2017, n. 24, anche con riguardo alla precedente disciplina della materia, dettata dall’art. 3, comma 1, d.l. 13 settembre 2012, n. 158, convertito, con modificazioni, dalla l. 8 novembre 2012, n. 189.

SICUREZZA PUBBLICA – STRANIERI – MISURA DI SICUREZZA DELL’ESPULSIONE AI SENSI DELL’ART. 86 D.P.R. N. 309 DEL 1990 – RISCHIO DI TRATTAMENTI INUMANI O DEGRADANTI PER IL SOGGETTO ESPULSO – RILEVANZA – CONSEGUENZE – INESEGUIBILITÀ DELL’ESPULSIONE.

La Prima Sezione penale della Corte di cassazione, con sentenza  n. 49242 del 18/5/2017, dep. il 26/10/2017, ha affermato che il provvedimento di espulsione dello straniero, disposto ai sensi del testo unico sugli stupefacenti, è ineseguibile qualora sussista serio rischio che il soggetto espulso venga sottoposto nel Paese di origine alla pena di morte, ovvero a trattamenti inumani o degradanti, precisando l’irrilevanza, a tal fine, della valutazione relativa alla gravità del reato ed alla pericolosità sociale.

MISURE DI PREVENZIONE – ART.1, D.LGS. 6 SETTEMBRE 2011, N.159 – APPLICABILITÀ IN RELAZIONE AI REATI DI NATURA TRIBUTARIA – PRESUPPOSTI .

La Sezione sesta, con sentenza n. 53003 del 21/09/2017 (dep. 21/11/2017), ha è intervenuta, in materia di misure di prevenzione, sui presupposti oggettivi della cosiddetta pericolosità sociale generica, ai sensi dell’art.1, D.Lgs. 6 settembre 2011, n.159, in relazione alle condotte dell’evasore fiscale seriale.

SICUREZZA PUBBLICA – MISURE DI PREVENZIONE – APPARTENENTI AD ASSOCIAZIONI MAFIOSE – CONFISCA DI BENI IN SEQUESTRO – CREDITO GARANTITO DA IPOTECA – CESSIONE DEL CREDITO “IN BLOCCO” EX ART. 58 D.LGS. N. 385 DEL 1993 – OPPONIBILITÀ – CONDIZIONI – BUONA FEDE DEL CESSIONARIO – INDIVIDUAZIONE – FATTISPECIE.

La Prima Sezione della Corte, con sentenza n. 51467 del 2017, ha affermato che in materia di misure di prevenzione patrimoniale, ai fini dell’ammissione del credito garantito da ipoteca iscritta anteriormente al sequestro sul bene sottoposto a confisca, acquistato “in blocco” nell’ambito di un’operazione di cartolarizzazione ai sensi dell’art. 58 del d.lgs 1 settembre 1993, n. 385 dopo la trascrizione della misura ablatoria, è necessario che il cessionario dia prova della propria buona fede, potendo, anche in questo caso, condurre indagini sulla posizione del venditore, consultando i registri immobiliari e i documenti relativi alla specifica vicenda contrattuale. (Nella fattispecie, la Corte ha annullato con rinvio l’ordinanza del Tribunale che, in sede di verifica ai sensi degli artt. 52 e 58 del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, aveva escluso l’ammissione del credito vantato dalla società creditrice, cessionaria “in blocco” di una pluralità di crediti, non ravvisandone l’affidamento incolpevole per l’omessa valutazione della convenienza economica dell’operazione e della solvibilità del debitore, senza verificare invece il rispetto da parte di detta società delle disposizioni emanate dall’autorità preposta alla vigilanza su queste operazioni finanziarie e delle procedure interne finalizzate, in vista della concessione di finanziamenti, a ricostruire la capacità finanziaria, le condizioni patrimoniali e la possibilità, in funzione dei redditi e dei beni disponibili, di restituire il finanziamento del debitore e senza considerare le finalità del negozio giuridico stipulato in merito all’effettiva operatività dei soggetti economici interessati nonché la regolarità amministrativa e penale dell’operazione quanto al rispetto della disciplina antiriciclaggio).

COMPETENZA PER CONNESSIONE – CONNESSIONE TELEOLOGICA – IDENTITÀ FRA GLI AUTORI DEI REATI – NECESSITÀ – ESCLUSIONE.

Le Sezioni Unite della Corte di cassazione, con sentenza del  26/10/2017 (dep.24/11/2017), n. 53390, hanno affermato che, ferma restando la necessità di individuare un effettivo legame finalistico fra i reati, non è richiesta l’identità tra gli autori ai fini della configurabilità della connessione teleologica prevista dall’art. 12, comma 1, lett. c) cod. proc. pen.

MISURE CAUTELARI – PERSONALI – DISPOSIZIONI GENERALI – ESIGENZE CAUTELARI – PERICOLO DI REITERAZIONE – FATTI CRIMINOSI IN FASE DI ACCERTAMENTO IN ALTRI PROCEDIMENTI PENALI – VALUTAZIONE – LEGITTIMITÀ – FATTISPECIE.

La Prima Sezione penale, con sentenza n. 51030 del 2017, ha affermato che, in tema di esigenze cautelari, l’esistenza di un procedimento pendente a carico dell’indagato per reati ai danni della medesima persona offesa costituisce un elemento rilevante ai fini della valutazione della sussistenza del pericolo di reiterazione della condotta criminosa di cui all’art. 274, lett. c), cod. proc. pen. (Fattispecie nella quale la Corte ha rigettato il ricorso avverso il diniego di sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere applicata  per i reati di maltrattamenti in famiglia, sequestro di persona e tentato omicidio commessi ai danni della moglie separata all’indagato nei cui confronti pendeva un procedimento per i delitti di maltrattamenti in famiglia ed atti persecutori nei confronti della medesima persona offesa).

PERSONA GIURIDICA – SEQUESTRO PREVENTIVO FINALIZZATO ALLA CONFISCA DI BENI DELLA SOCIETÀ – SOCIETÀ IN AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA PREFETTIZIA, DI CUI ALL’ART. 32 D.L. N. 90 DEL 2014, CONVERTITO, CON MODIFICAZIONI, DALLA LEGGE N. 114 DEL 2014 – REATI COMMESSI DAGLI ORGANI SOCIALI DELLA PRECEDENTE AMMINISTRAZIONE ORDINARIA – SEQUESTRABILITÀ DELLE SOMME CONFLUITE NEL FONDO COSTITUITO DALL’AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA – POSSIBILITÀ – CONDIZIONI.

La Terza Sezione, con sentenza del  26/09/2017 (dep. 9/11/2017), n. 51085, ha affermato che nell’ipotesi di società soggetta ad amministrazione straordinaria temporanea prefettizia, di cui all’art. 32 d.l. n. 90 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 114 del 2014, il denaro pervenuto alla società durante la gestione straordinaria ed accantonato nell’apposito fondo costituto, può essere soggetto a sequestro preventivo finalizzato alla confisca in relazione ai reati che si assumono precedentemente commessi dagli organi della amministrazione ordinaria, a condizione che emerga la diretta derivazione delle predette somme dagli illeciti ipotizzati. 

MISURE CAUTELARI REALI – SEQUESTRO PREVENTIVO- CONFISCA- SENTENZA NON IRREVOCABILE – TERZO ESTRANEO AL PROCESSO PROPRIETARIO DEL BENE – ISTANZA DI RESTITUZIONE AL GIUDICE CHE PROCEDE – POSSIBILITÀ – RIGETTO- APPELLO AL TRIBUNALE DEL RIESAME – AMMISSIBILITÀ.

Le Sezioni Unite della Corte di cassazione, con sentenza del 20/07/2017 (dep.19/10/2017), n. 48126 Muscari, hanno affermato che il terzo rimasto estraneo al processo, proprietario del bene, già in sequestro, di cui sia stata disposta  con sentenza la confisca, può chiedere al giudice della cognizione, prima che la sentenza sia divenuta irrevocabile, la restituzione del bene sequestrato e, in caso di diniego, proporre appello dinanzi al tribunale del riesame. Qualora sia stata erroneamente proposta opposizione mediante incidente di esecuzione, questa va qualificata come appello e trasmessa al tribunale del riesame.

IMPUGNAZIONI – CASSAZIONE – CAUSE DI NON PUNIBILITÀ, DI IMPROCEDIBILITÀ, DI ESTINZIONE DEL REATO O DELLA PENA – PORTO DI OGGETTI ATTI AD OFFENDERE – ESCLUSIONE DELLA NON PUNIBILITÀ PER PARTICOLARE TENUITÀ DEL FATTO – RICONOSCIMENTO DELL’ATTENUANTE DELLA LIEVE ENTITÀ DEL FATTO EX ART. 4 LEGGE N. 110 DEL 1975 – POSSIBILITÀ – RAGIONI.

La Prima sezione della corte con sentenza del 7.03.2017, depositata il 9.11.2017, n. 51261, ha affermato che l’esclusione del beneficio della non punibilità per la particolare tenuità del fatto ex art. 131-bis cod. pen. non impedisce il riconoscimento della circostanza attenuante della lieve entità relativa al porto di oggetti atti ad offendere di cui all’art. 4, comma terzo, della legge 18 aprile 1975, n. 110. (In motivazione, la Corte ha precisato che il fatto di “particolare tenuità” ai fini della declaratoria di non punibilità presenta una minore rilevanza offensiva rispetto a quello di lieve entità che attenua il reato).

IMPUGNAZIONI – GIUDIZIO PER CASSAZIONE – RINUNCIA ALL’IMPUGNAZIONE – DECLARATORIA DI INAMMISSIBILITÀ DE PLANO AI SENSI DELL’ARTICOLO 610, COMMA 5 BIS, COD. PROC. PEN. –   ATTO IMPUGNATO EMESSO NELLA VIGENZA DELLA PRECEDENTE DISCIPLINA -AMMISSIBILITÀ –  RAGIONI.

La Prima Sezione della Corte di cassazione, con sentenza del  7/11/2017 (dep. 15/11/2017), n. 52268, ha affermato che la declaratoria di inammissibilità per rinuncia al ricorso, può essere pronunciata “de plano”, ai sensi dell’art. 610, comma 5 bis, cod. proc. pen. – introdotto dalla legge 23 giugno 2017, n. 103 -, anche se l’atto impugnato sia stato emesso prima della entrata in vigore della nuova disposizione,  trattandosi di causa d’inammissibilità già prevista e riferendosi  la nuova norma al procedimento dinanzi la Corte di cassazione e non al regime delle impugnazioni.

APPELLO – RINNOVAZIONE DELLA PROVA DICHIRATIVA

La Sezione Seconda della Corte di cassazione, con ordinanza del 8 novembre 2017, ha rimesso alle Sezioni Unite la questione se nel processo con rito abbreviato la condanna in appello di imputati assolti in primo grado fondata sulla rivalutazione di elementi già presenti agli atti (intercettazioni) e sulla rinnovazione parziale del dibattimento, attraverso l’esame di due collaboratori di giustizia, che hanno fornito informazioni su dati di contesto, comporti la necessità di procedere all’esame delle persone offese che hanno sporto denuncia in ordine ai fatti incriminati in conformità alla decisione delle Sezioni unite Patalano del 2017 ovvero se tale principio non risulti superato alla luce del nuovo art. 603, comma 3-bis cod. proc. pen. introdotto dalla legge n. 103 del 2017 secondo cui Nel caso di appello del pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa, il giudice dispone la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, norma che sotto il profilo letterale escluderebbe la necessità di rinnovare le prove cartolari.

ESECUZIONE – GIUDICE DELL’ESECUZIONE – PROCEDIMENTO – IN GENERE – PARTECIPAZIONE DEL PUBBLICO MINISTERO – OBBLIGO DI CONCLUDERE – SUSSISTENZA – ESCLUSIONE.

La Sezione Prima della Corte, con sentenza n. 50176 del 2017 ha affermato che, in tema di procedimento di esecuzione, l’obbligo di partecipazione del pubblico ministero non implica che questi debba svolgere le sue conclusioni, orali o scritte, su tutte le questioni che si possono prospettare in relazione alle possibili statuizioni del giudice. (In motivazione, la Corte ha affermato che il condannato non è legittimato a far valere la nullità di ordine generale a regime intermedio derivante dalla mancata partecipazione del pubblico ministero all’udienza). 

ESECUZIONE – QUESTIONI SUL TITOLO ESECUTIVO – SENTENZA IRREVOCABILE DI CONDANNA – SOPRAVVENUTA DICHIARAZIONE DI PARZIALE ILLEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE DELL’ART. 181, COMMA 1-BIS, D. LGS. N. 42 DEL 2004 – CONSEGUENTE RIQUALIFICAZIONE DEL REATO QUALE CONTRAVVENZIONE – POTERE DEL GIUDICE DELL’ESECUZIONE DI RILEVARE LA PRESCRIZIONE – SUSSISTENZA – CONDIZIONI.

La Terza Sezione della Corte di cassazione, con sentenza del  11/07/2017 (dep. 16/11/2017), n. 52438, ha affermato che, nei processi in cui la  dichiarazione di parziale incostituzionalità dell’art. 181, comma 1-bis, d. lgs.  22 gennaio 2004, n. 42 (sent. Corte cost. n. 56 del 2016) sia intervenuta dopo il passaggio in giudicato della sentenza di condanna, il giudice dell’esecuzione, riqualificato il reato come contravvenzione ai sensi del comma 1 dell’art. 181 citato, deve dichiarare l’estinzione del reato per la prescrizione maturata nel corso del procedimento di cognizione.

PENA – APPLICAZIONE – IN GENERE – LAVORO DI PUBBLICA UTILITÀ – REVOCA DELLA MISURA SOSTITUTIVA – RIPRISTINO DELLA SOLA PENA DETENTIVA RESIDUA – FATTISPECIE RELATIVA ALL’ART. 73, COMMA 5-BIS D.P.R. N. 309 DEL 1990.

La Prima Sezione della Corte di cassazione, con sentenza del 25/05/2017 (dep. 10/10/2017) n. 46551, pronunciandosi con riferimento all’ipotesi prevista dall’art. 73, comma 5-bis D.P.R. n. 309 del 1990, ha ribadito il principio, già affermato in materia di circolazione stradale, secondo cui la revoca della sanzione sostitutiva del lavoro di pubblica utilità comporta il ripristino della sola pena residua, calcolata sottraendo dalla pena complessivamente inflitta il periodo di positivo svolgimento dell’attività, mediante un criterio di esatta corrispondenza temporale.

ESECUZIONE – MAGISTRATURA DI SORVEGLIANZA – PROCEDIMENTO – UDIENZA – UDIENZA CAMERALE PARTECIPATA AI SENSI DELL’ART. 127 COD. PROC. PEN. – LEGITTIMO IMPEDIMENTO DEL DIFENSORE – RILEVANZA AI FINI DELL’EVENTUALE RINVIO DELL’UDIENZA – ESCLUSIONE – RAGIONI.

La Prima Sezione della Corte, con sentenza n. 50160 del 2017 ha affermato che, nel procedimento di sorveglianza, ai fini dell’eventuale rinvio dell’udienza camerale, non è rilevante l’impedimento del difensore in assenza di espresse disposizioni normative in tal senso e per la specificità del giudizio che risiede nella necessità di assicurare celerità nell’applicazione del giudicato, dovendo sopperirsi alla mancanza del difensore di fiducia con la nomina di uno d’ufficio (In motivazione la Corte ha precisato che l’impedimento è invece rilevante nel giudizio camerale di appello nel quale trova applicazione l’art. 420-ter, comma quinto, cod. proc. pen.).

ORDINAMENTO PENITENZIARIO – AZIONE RISARCITORIA AI SENSI DELL’ART. 35-TER L. 26 LUGLIO 1975, N. 354 – ISTANZA PROPOSTA DA DETENUTO AFFIDATO IN PROVA AL SERVIZIO SOCIALE – COMPETENZA – MAGISTRATO DI SORVEGLIANZA – SUSSISTENZA.

In materia di rimedi risarcitori conseguenti alla violazione dell’art. 3 CEDU nei confronti di soggetti detenuti o internati, la Prima Sezione penale della Corte, con sentenza del 18/05/2017 (dep. 12/10/2017), n. 47052, ha affermato che appartiene al Magistrato di sorveglianza la competenza a provvedere sull’istanza riparatoria di cui all’art. 35-ter ord. pen. proposta dal detenuto in stato di affidamento in prova al servizio sociale. 

a cura di Luigi Giordano

SENTENZA – CORRELAZIONE TRA ACCUSA E SENTENZA – IN GENERE – IMPUTAZIONE DI PARTECIPAZIONE AD ASSOCIAZIONE DI TIPO MAFIOSO – CONTRIBUTO COSTITUITO DA AUTONOMI FATTI DI REATO NON CONTESTATI AUTONOMAMENTE ALL’IMPUTATO – VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DI NECESSARIA CORRISPONDENZA TRA FATTO CONTESTATO E FATTO RITENUTO IN SENTENZA – ESCLUSIONE.

La prima sezione, con sentenza n. 53601 del 2/3/2017, dep. 27/11/2017, ha affermato che non integra violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza la condanna per il delitto di partecipazione ad associazione di tipo mafioso, con riferimento ad una condotta nella quale il contributo dell’imputato alla vita ed al rafforzamento della compagine criminosa sia costituito da fatti costituenti autonome fattispecie criminose (nella specie, estorsioni) allo stesso non contestate autonomamente.

REATI CONTRO LA FAMIGLIA – DELITTI CONTRO L’ASSISTENZA FAMILIARE – MALTRATTAMENTI IN FAMIGLIA – IN GENERE – RAPPORTI DI CONVIVENZA “PARAFAMILIARI” – CONFIGURABILITÀ DEL REATO – SUSSISTENZA.

La Prima sezione, con sentenza n. 206 del 19/04/2017, dep. 8/1/2018, ha affermato che il delitto di maltrattamenti di cui all’art. 572 cod. pen. è configurabile  anche nell’ambito di rapporti di convivenza caratterizzati dal presupposto della “parafamiliarità”, intesa come sottoposizione di una persona all’autorità di un’altra, che non deriva da un rapporto di lavoro, ma si sviluppa in un contesto di prossimità permanente, di affidamento e di soggezione del sottoposto rispetto a chi assume una posizione di supremazia. (Fattispecie in cui la Corte ha confermato la decisione di merito che ha ravvisato il reato nella condotta dell’imputata, conosciuta come badante di una persona anziana anche se in mancanza di una formale rapporto di lavoro, che lasciava la vittima per ore chiusa a chiave nell’appartamento, senza assistenza e senza aiuto, determinando i suoi orari e le sue abitudini di vita e precludendole la libertà di locomozione e di frequentare altri).

TRIBUTI – COMPENSAZIONE A SEGUITO DI ACCOLLO FISCALE – REATO DI INDEBITA COMPENSAZIONE EX ART. 10-QUATERD.LGS. N. 74 DEL 2000 – CONFIGURABILITÀ.

La Terza Sezione, con sentenza n. 1999 del 14 novembre 2017 (dep. 18 gennaio 2018), pronunciandosi in tema di reati tributari, ha affermato che integra il delitto di indebita compensazione di cui all’art. 10-quaterdel d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, il pagamento di debiti verso l’erario effettuato mediante compensazione a seguito di accollo fiscale, atteso che la compensazione può aver luogo esclusivamente tra i medesimi soggetti del rapporto d’imposta e che l’accollo non è contemplato dall’art. 17 del d.lgs. 9 luglio 1997, n. 241, come modalità rilevante agli effetti del perfezionamento della compensazione.

REATO – CIRCOSTANZE – AGGRAVANTI IN GENERE – CIRCOSTANZA AGGRAVANTE DI CUI ALL’ART. 7 D.L. N. 152 DEL 1991 – AGEVOLAZIONE MAFIOSA – CRITERIO DI IMPUTAZIONE SOGGETTIVA PER I CONCORRENTI – DOLO SPECIFICO – NECESSITÀ – RAGIONI.

La prima sezione, con sentenza n. 54085 del 15/11/2017, dep. 30/11/2017, ha affermato che la circostanza aggravante dell’agevolazione dell’attività di un’associazione di tipo mafioso prevista dall’art. 7 del d.l. 13 maggio 1991, n. 152, convertito nella legge 12 luglio 1991, n. 203, in quanto connotata dal profilo del dolo specifico, che risulta assorbente rispetto a quello attinente alle modalità di esecuzione dell’azione che denota la diversa fattispecie aggravatrice correlata all’utilizzo del metodo mafioso, ha natura soggettiva, con la conseguenza che è applicabile a ciascun concorrente nel delitto, anche a partecipazione necessaria, solo previo accertamento che il medesimo abbia agito con lo scopo di agevolare l’attività di un’associazione di tipo mafioso, o, comunque, abbia fatto propria tale finalità.

PARTICOLARE TENUITA’ DEL FATTO – VALUTAZIONE DEL GIP SULLA RICHIESTA DI DECRETO PENALE DI CONDANNA

Le Sezioni unite, con sentenza del 18 gennaio 2018, hanno affermato che non è abnorme e, pertanto, ricorribile per cassazione, il provvedimento con il quale il giudice per le indagini preliminari restituisca gli atti, pervenuti con richiesta di decreto penale di condanna, affinché il pubblico ministero valuti la possibilità di chiedere l’archiviazione del procedimento per particolare tenuità del fatto.

GIUDICE DI PACE – GIUDIZIO – DEFINIZIONI ALTERNATIVE – IMPROCEDIBILITÀ PER PARTICOLARE TENUITÀ DEL FATTO – ISTITUTO PREVISTO DALL’ART. 131-BIS COD. PEN. – APPLICABILITÀ NEI PROCEDIMENTI RELATIVI A REATI DI COMPETENZA DEL GIUDICE DI PACE – ESCLUSIONE.

Con sentenza depositata il 28 novembre 2017 n. 53683/17, u.p. 22/06/2017, le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno affermato che la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’art. 131-bis cod. pen., non è applicabile nei procedimenti relativi a reati di competenza del giudice di pace.

SICUREZZA PUBBLICA – PERICOLOSITA’ SOCIALE – INDIZIATO DI APPARTENENZA AD ASSOCIAZIONE DI TIPO MAFIOSO -ACCERTAMENTO DELLA ATTUALITÀ DELLA PERICOLOSITÀ – NECESSITÀ.

In tema di misure di prevenzione, le Sezioni uniti penali della Corte di cassazione, con sentenza del 30/11/2017 (dep. 04/01/2018), n. 111, hanno affermato il seguente principio di diritto: “Nel procedimento applicativo delle misure di prevenzione personali agli indiziati di “appartenere” ad un’associazione di tipo mafioso, è necessario accertare il requisito della “attualità” della pericolosità del proposto”.

SICUREZZA PUBBLICA – MISURE DI PREVENZIONE – IN GENERE – ATTIVITÀ CONSISTENTE NEL REINVESTIMENTO DELLA PROVVISTA DERIVANTE DALL’EVASIONE FISCALE ABITUALE –  CONFISCA DI PREVENZIONE – LEGITTIMITÀ. 

La Prima Sezione, con sentenza n. 53636 del 2017, ha affermato che, in tema di misure di prevenzione, colui che è dedito in modo continuativo a condotte di evasione degli obblighi fiscali presenta una forma di pericolosità sociale che lo colloca nella categoria di cui all’art. 1, comma 1, lett. b), del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, potendo pertanto essere oggetto di confisca i beni a lui derivanti dal reinvestimento della provvista finanziaria così ottenuta, i quali possono essere considerati provento del delitto. (In motivazione la Corte ha precisato che il reinvestimento in attività commerciali dei proventi dell’evasione fiscale abituale determina una confusione tra attività lecite ed illecite che la normativa in materia di misure di prevenzione intende evitare e che cresce nella successione dei periodi d’imposta). 

MISURE DI PREVENZIONE PATRIMONIALI – SEQUESTRO – TERMINE DI EFFICACIA –  SOSPENSIONE – LIMITE MASSIMO DI DURATA PREVISTO DALL’ART. 304, COMMA 6, COD. PROC. PEN. – APPLICABILITÀ – ESCLUSIONE.

La Prima Sezione della Corte di Cassazione, con sentenza del 12/09/2017 (dep. 19/01/2018), n. 2211, pronunciandosi in tema di sospensione del termine di un anno e sei mesi previsto per l’adozione del decreto di confisca dall’art. 24, comma 2, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, ha affermato che il rinvio contenuto da detta norma all’304 cod. proc. pen. riguarda esclusivamente le cause di sospensione dei termini di durata della custodia cautelare, in quanto compatibili, e non si estende alla disciplina dei termini massimi, prevista dall’art. 304, comma 6, cod. proc. pen., trattandosi, quest’ultima, di una disposizione di carattere eccezionale posta a garanzia della libertà personale.

PROVE – MEZZI DI RICERCA DELLA PROVA – INTERCETTAZIONI DI CONVERSAZIONI O COMUNICAZIONI – IN GENERE –  REGISTRAZIONE DI CONVERSAZIONE ESEGUITA DA UNO DEGLI INTERLOCUTORI – CONTENUTO – VALUTAZIONE DEL GIUDICE DI MERITO – SUSSISTENZA – SINDACATO DI LEGITTIMITÀ – ESCLUSIONE – CONDIZIONI.

La prima sezione, con sentenza n. 54085 del 15/11/2017, dep. 30/11/2017, ha affermato che, in tema di registrazione di conversazioni effettuata da un privato, costituisce questione di fatto, rimessa all’esclusiva competenza del giudice di merito, l’interpretazione e la valutazione del contenuto dei dialoghi, il cui apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità se non nei limiti della manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite.

ISTITUTI DI PREVENZIONE E DI PENA (ORDINAMENTO PENITENZIARIO)  – LIBERAZIONE ANTICIPATA – ART. 4 D.L. N. 146 DEL 2013 CONV. IN L. N. 10 DEL 2014 – INTERPRETAZIONE.

La Prima Sezione della Corte di cassazione, con sentenza del 13/09/2017 (dep. 9/1/2018) n. 356/18, pronunciandosi in tema di liberazione anticipata, ha affermato che l’art. 4, d.l. 23 dicembre 2013, n. 146, conv., con modificazioni, in l. 21 febbraio 2014, n. 10, deve essere interpretato nel senso che, nei due anni successivi alla sua entrata in vigore, il beneficio comporta, anche per i semestri antecedenti a tale data – ove ne siano riconosciute le condizioni, e con esclusione dei condannati per taluno dei delitti di cui all’art. 4-bis legge 26 luglio 1975, n. 354 – una detrazione di pena pari a settantacinque giorni.

IMPUGNAZIONI –  MAGISTRATURA DI SORVEGLIANZA- DETENZIONE DOMICILIARE –  RICORSO PER CASSAZIONE  DEL CONDANNATO – PRESENTAZIONE SENZA IL MINISTERO DI UN DIFENSORE ABILITATO – AMMISSIBILITÀ ESCLUSIONE.

La Prima Sezione, con sentenza n. 53330 del 4 ottobre 2017 (dep. 23 novembre 2017), ha affermato che, a seguito delle modifiche apportate agli artt. 571, comma 1, e 613, comma 1, cod. proc. pen. dalla legge 3 agosto 2017, n. 103, è inammissibile il ricorso per cassazione  proposto personalmente dal condannato, anche se detenuto, avverso il provvedimento del magistrato di sorveglianza in tema di ammissione alla detenzione domiciliare.

PROVE – MEZZI DI PROVA – DOCUMENTI – PROVA DOCUMENTALE – CONVERSAZIONE TRA PRESENTI – REGISTRAZIONE AD OPERA DELLA PERSONA OFFESA – PROVA DOCUMENTALE – UTILIZZABILITÀ – SUSSISTENZA – MANIPOLAZIONE DELLA REGISTRAZIONE – VALUTAZIONE – CRITERI – INDICAZIONE.

La Sesta sezione, con sentenza n. 1422 del 03/10/2017, dep. il 15/01/2018, ha affermato che la registrazione fonografica di colloqui tra presenti, eseguita di iniziativa dalla persona offesa dal reato, costituisce prova documentale ed è pertanto utilizzabile in dibattimento, qualora tuttavia la conversazione risulti non continuativa per essere stata tagliata in alcune parti, si impone da parte del giudice una specifica valutazione della capacità probatoria della registrazione e della attendibilità delle dichiarazioni accusatorie, non potendo a tal fine ritenersi sufficiente la mera corrispondenza tra i brani registrati e quanto riferito dall’autore della manipolazione.

MISURE CAUTELARI REALI – APPELLO – SEQUESTRO PREVENTIVO FINALIZZATO ALLA CONFISCA PER EQUIVALENTE – DETERMINAZIONE DEL PROFITTO CONFISCABILE – CONSULENZA DI PARTE – OBBLIGO DI ANALISI E VALUTAZIONE DEL TRIBUNALE CAUTELARE – INDIVIDUAZIONE.

La Sesta Sezione, con sentenza del 26/10/2017 (dep. 29/10/2017), n. 53834, ha affermato che in sede di impugnazione cautelare avverso il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, il tribunale, ai fini della definizione dell’ammontare del profitto sequestrabile, è obbligato a valutare il contenuto della consulenza tecnica di parte eventualmente presentata, evidenziando quali dati tecnici ed elementi di fatto siano direttamente  utilizzabili. 

UDIENZA PRELIMINARE – SENTENZA DI NON LUOGO A PROCEDERE – RICORSO PER CASSAZIONE – DELLA PERSONA OFFESA – VIZIO DI MOTIVAZIONE – LEGGE N. 103 DEL 2017 — AMMISSIBILITÀ – ESCLUSIONE.

La Sesta sezione, con sentenza n. 2723 del 08/01/2018, dep. il 22/01/2018, ha affermato che, a seguito dell’entrata in vigore della legge 23 giugno 2017, n. 103, è inammissibile per difetto di legittimazione il ricorso per cassazione proposto dalla persona offesa costituita parte civile avverso la sentenza di non luogo a procedere, con il quale si deduca il travalicamento dei limiti cognitivi propri dell’udienza preliminare, atteso che, ai sensi dell’art. 428 cod. proc. pen., come modificato dalla richiamata legge, alla persona offesa è consentito esclusivamente proporre appello nei casi di nullità previsti dall’art. 419, comma 7, cod. proc. pen.

IMPUGNAZIONI (COD. PROC. PEN. 1988) – APPELLO – DIBATTIMENTO – IN GENERE – RELAZIONE DELLA CAUSA – FUNZIONE – INDICAZIONE – MANCANZA – NULLITÀ DELLA SENTENZA – ESCLUSIONE.

La Prima sezione, con sentenza n. 207 del 4/12/2017, dep. 8/1/2018, ha affermato che in tema di appello, la relazione della causa prevista dall’art. 602, comma 1, cod. proc. pen. ha una funzione meramente espositiva, non incidendo il suo svolgimento sulla regolarità del contraddittorio e non determinando la sua mancanza una nullità della successiva sentenza.

IMPUGNAZIONI – APPELLO – DIBATTIMENTO – RINNOVAZIONE DELL’ISTRUZIONE – IN GENERE – SENTENZA DI CONDANNA IN PRIMO GRADO – APPELLO DEL PUBBLICO MINISTERO – RIQUALIFICAZIONE GIURIDICA DEL FATTO “CONTRA REUM” – RIVALUTAZIONE DELLE PROVE DICHIARATIVE RITENUTE DECISIVE – OBBLIGO DI RINNOVAZIONE DIBATTIMENTALE – SUSSISTENZA.

La prima sezione, con sentenza n. 53601 del 2/3/2017, dep. 27/11/2017, ha affermato che, in tema di rinnovazione del dibattimento, l’obbligo per il giudice di appello, sancito dall’art. 6 CEDU, come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, di escutere nuovamente i dichiaranti qualora valuti diversamente la loro attendibilità rispetto a quanto ritenuto in primo grado, trova applicazione anche nel caso di riqualificazione giuridica dell’ipotesi delittuosa ritenuta dal giudice di primo grado ed in relazione alla quale la sentenza riformata aveva comunque espresso un giudizio di colpevolezza dell’imputato. (Fattispecie nella quale l’imputato era stato rinviato a giudizio per i reati di rapina, di violenza privata e di violazione di domicilio, aggravati ai sensi dell’art. 7 del d.l. n. 152 del 1991; la sentenza di primo grado lo condannava per i primi due delitti, riqualificando il reato di rapina in furto aggravato ed escludendo la sussistenza della suddetta aggravante per entrambi gli illeciti; la sentenza d’appello, pronunciata a seguito di appello del pubblico ministero, riqualificava nuovamente il primo reato in quello di rapina, ritenendo sussistente la circostanza aggravante per entrambi i delitti).

a cura di Luigi Giordano

MISURE DI SICUREZZA – PATRIMONIALI – CONFISCA DI PREVENZIONE – PERICOLOSITÀ SOCIALE QUALIFICATA – ASSOCIAZIONE MAFIOSA-   BENI ACQUISITI SUCCESSIVAMENTE ALLA CESSAZIONE DELLA PERMANENZA – POSSIBILITÀ-  CONDIZIONI.

La Seconda Sezione della Corte di cassazione, con sentenza del 13/03/2018 (dep. 27/3/2018) n. 14165/18, pronunciandosi in tema di confisca di prevenzione disposta nei confronti di soggetto indiziato di appartenere ad una associazione mafiosa, ha ritenuto che anche nel caso in cui la fattispecie concreta consenta di determinare il momento iniziale e  finale della pericolosità qualificata, è legittimo disporre la misura ablativa su beni acquisiti in un periodo successivo a quello di cessazione della condotta permanente, allorché  vi siano  una pluralità di indici fattuali altamente dimostrativi che dette acquisizioni siano di diretta derivazione causale della provvista formatasi nel periodo di compimento dell’attività delittuosa.

PATROCINIO DEI NON ABBIENTI – IMPUGNAZIONI DICHIARATE INAMMISSIBILI PER CAUSE SOPRAVVENUTE – LIQUIDAZIONE DEL COMPENSO DEL DIFENSORE – ART. 106 D.P.R. 30 MAGGIO .2002, N. 115 – APPLICABILITÀ – ESCLUSIONE.

In tema di liquidazione del compenso al difensore di soggetto ammesso al  patrocinio a spese dello Stato, la Prima Sezione della Corte di cassazione, con sentenza n. 14032 del 14 marzo 2018 (dep. 26 marzo 2018), ha affermato che l’art. 106  d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 deve essere interpretato nel senso che la mancata liquidazione del compenso consegue solo alla proposizione di una impugnazione inammissibile “ab origine” e non anche ad una pronuncia di inammissibilità che derivi da cause sopravvenute di cui l’impugnante non è responsabile.

DIFESA E DIFENSORI – SOSTITUTO DEL DIFENSORE – COSTITUZIONE DI PARTE CIVILE – SOSTITUTO DEL DIFENSORE DEL DANNEGGIATO – POTERE DI ESERCITARE L’AZIONE CIVILE – CONDIZIONI.

Le Sezioni unite della Corte di cassazione, con sentenza del 21/12/2017 (dep. 16/03/2018) n. 12213, Zucchi, hanno affermato che il sostituto processuale del difensore al quale il danneggiato abbia rilasciato procura speciale al fine di esercitare l’azione civile nel processo penale, non ha la facoltà di costituirsi parte civile, salvo che detta facoltà sia stata espressamente conferita nella procura o che il danneggiato sia presente all’udienza di costituzione.

REATO – OMESSO VERSAMENTO DELLE RITENUTE PREVIDENZIALI ED ASSISTENZIALI – MODIFICHE APPORTATE DAL D.LGS. 15 GENNAIO 2016, N. 8 – NUOVA SOGLIA DI PUNIBILITÀ ANNUA – DETERMINAZIONE DELL’AMMONTARE DELLE RITENUTE OMESSE – CRITERI – INDICAZIONE.

Le Sezioni Unite della Corte di cassazione, con sentenza n. 10424 del 18 gennaio 2018 (dep. 7 marzo 2018), hanno affermato che, in tema di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali operate dal datore di lavoro sulle retribuzioni dei dipendenti, l’importo complessivo superiore ad euro 10.000 annui, rilevante ai fini del raggiungimento della soglia di punibilità, deve essere individuato con riferimento alle mensilità di scadenza dei versamenti contributivi (periodo 16 gennaio- 16 dicembre, relativo alle retribuzioni corrisposte, rispettivamente, nel dicembre dell’anno precedente e nel novembre dell’anno in corso).

Reati contro la pubblica amministrazione – Nozione di persona incaricata di un pubblico servizio – Contraente generale – Qualifica di incaricato di pubblico servizio – Sussistenza.

La Sesta Sezione della Corte di cassazione, con sentenza del  13/04/2017 (dep. 01/03/2018), n. 9385, ha affermato che, in tema di appalti, il c.d. “contraente generale”, di cui agli artt. 9 d.lgs. 20 agosto  2002, n. 190 e  176 e 177 d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, e successive modifiche, riveste la qualifica di incaricato di pubblico servizio, atteso che, in considerazione dei diritti speciali ed esclusivi che gli sono concessi dall’autorità competente secondo le norme vigenti, esso deve essere ricompreso tra i soggetti indicati nell’art. 3 del d. lgs. n. 163 del 2006 come ente aggiudicatore.

FINANZE E TRIBUTI – IN GENERALE – PRESCRIZIONE DEL REATO – SENTENZA DELLA CGUE TARICCO DEL 08/09/2015 – DIVIETO DI DISAPPLICAZIONE PER I REATI COMMESSI ANTERIORMENTE A SEGUITO DELLA SENTENZA DELLA CGUE DEL 05/012/2017 IN CAUSA C- 42/17.

La Seconda Sezione della Corte di cassazione, con sentenza  n. 9494/18, p.u. 7/02/2018, dep. 2/03/2018, ha affermato che ai reati tributari commessi antecedentemente alla sentenza della Grande Sezione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea pronunciata il 08/09/2015 in causa C-105/14, Taricco, continua ad applicarsi integralmente la normativa sulla prescrizione, non potendo il giudice nazionale disapplicarla stante il divieto di irretroattività, ai sensi dell’art. 325, paragrafi 1 e 2, TFUE, così come interpretato dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (Grande Sezione) con sentenza del 05/12/2017, in causa C- 42/17.

MISURE CAUTELARI – PERSONALI –  DOMANDA DI RIPARAZIONE PER INGIUSTA DETENZIONE – DECORRENZA DEI TERMINI- ORDINANZA EX ART. 521, COMMA 2, COD. PROC. PEN. –  EQUIPARAZIONE ALLA SENTENZA IRREVOCABILE DI PROSCIOGLIMENTO, AL PROVVEDIMENTO DI ARCHIVIAZIONE  E ALLA  SENTENZA DI NON LUOGO A PROCEDERE – ESCLUSIONE.

La Quarta Sezione della Corte di cassazione, con sentenza del  31/01/2018 (dep. 28/02/2018), n. 9201, ha affermato che ai fini della decorrenza dei termini per la presentazione della domanda di riparazione per ingiusta detenzione, di cui all’art. 315, comma 1, cod. proc. pen., l’ordinanza emessa dal giudice ai sensi dell’articolo 521, comma 2, cod. proc. pen.  non è equiparabile alla sentenza irrevocabile di proscioglimento, al provvedimento di archiviazione o alla  sentenza di non luogo a procedere.

IMPUGNAZIONI – CASSAZIONE – IN GENERE – Nuova formulazione degli art. 571 e 613 cod. proc. pen. – Applicabilità al ricorso per cassazione avverso qualsiasi tipo di provvedimento – Inammissibilità dell’impugnazione presentata dalla parte personalmente — Sussistenza.

Le Sezioni unite della Corte di cassazione, con sentenza del 21/12/2017 (dep. 23/02/2018) n. 8914, hanno affermato che, a seguito della modifica apportata dalla l. 23 giugno 2017, n.103, agli artt. 571 e 613 cod. proc. pen., il ricorso per cassazione avverso qualsiasi tipo di provvedimento non può essere proposto personalmente dalla parte, ma deve essere sottoscritto, a pena di inammissibilità, da difensori iscritti nell’albo speciale della Corte di Cassazione.

PROFESSIONISTI – MEDICI E CHIRUGHI -ART. 6 LEGGE 8 MARZO 2017, N.24 – ABROGAZIONE DELL’ART. 3, COMMA 1, D.L.13 SETTEMBRE 2012, N. 158, CONVERTITO IN LEGGE 8 NOVEMBRE 2012, N. 189 – INTRODUZIONE DELL’ART. 590 -SEXIESCOD. PEN. – INDIVIDUAZIONE DELLA DISCIPLINA PIÙ FAVOREVOLE – CRITERI INTERPRETATIVI. 

 Le Sezioni unite della Corte di cassazione, con sentenza  n. 8770/18, u.p. 21/12/2017, dep. 22/02/2018, hanno affermato che l’esercente la professione sanitaria risponde, a titolo di colpa, per morte o lesioni personali derivanti dall’esercizio dell’attività medico chirurgica: a) se l’evento si è verificato per colpa (anche “lieve”) da negligenza o imprudenza; b) se l’evento si è verificato per colpa (anche “lieve”) da imperizia quando il caso concreto non è regolato dalle raccomandazioni  delle linee-guida o dalle buone pratiche clinico assistenziali; c) se l’evento si è verificato per colpa (anche ” lieve”) da imperizia nella individuazione e nella scelta delle linee guida  o di buone pratiche clinico – assistenziali non adeguate alla specificità  del caso concreto; d) se l’evento si è verificato per colpa “grave” da imperizia nell’esecuzione di raccomandazioni di linee – guida o buone pratiche clinico – assistenziali adeguate, tenendo conto del grado di rischio da gestire  e delle speciali difficoltà dell’atto medico.

SICUREZZA PUBBLICA – MISURE DI PREVENZIONE – PROCEDIMENTO – CONFISCA SUCCESSIVA A SEQUESTRO – TERMINE PER IL DEPOSITO DEL PROVVEDIMENTO – ART. 24, COMMA 2, D. LGS. N. 159 DEL 2011 (TESTO ANTE L. N. 161 DEL 2017) – PROROGA – CONDIZIONI.

 La Quinta Sezione della Corte di cassazione, con sentenza del 14/11/2017 (dep. 19/02/2018) n. 7884, pronunciandosi in materia di misure di prevenzione, ha affermato che la proroga del termine di un anno e sei mesi, prevista per il deposito del provvedimento di confisca successivo al sequestro di prevenzione dall’art. 24, comma 2, d. lgs. n. 159 del 2011, nel testo precedente alla modifica di cui alla legge n. 161 del 2017, deve essere motivata specificamente nelle sue ragioni giustificative, in relazione a ciascuna frazione temporale di sei mesi e non per il periodo complessivo massimo possibile di dodici mesi.

DELITTI CONTRO LA PERSONA – ATTI SESSUALI CON MINORENNE – ISTANZA DI REVOCA O SOSTITUZIONE DELLA MISURA CAUTELARE – OBBLIGO DI NOTIFICAZIONE ALLA PERSONA OFFESA O AL SUO DIFENSORE – SUSSISTENZA – RAGIONI.

La Terza Sezione, con provvedimento n. 5832 del 18 ottobre 2017 (dep. 8 febbraio 2018), pronunciando in tema di obbligo di notifica, alla persona offesa o al suo difensore, dell’istanza di revoca o sostituzione della misura cautelare ai sensi dell’art. 299, comma 2-bis, cod. proc. pen., ha ritenuto che detto obbligo sussista anche in relazione al reato di atti sessuali con minorenne, previsto dall’art. 609-quater cod. pen., giacché l’irrilevanza del consenso della vittima ai fini della configurabilità di detto reato ne determina la sussumibilità nel novero di quelli commessi con violenza alla persona.

PROCEDIMENTI SPECIALI – MESSA ALLA PROVA – MODIFICA DEL PROGRAMMA DI TRATTAMENTO DA PARTE DEL GIUDICE – DIFETTO DELLA PREVIA CONSULTAZIONE DELLE PARTI E DEL CONSENSO DELL’IMPUTATO – ILLEGITTIMITÀ – SUSSISTENZA.

La Terza Sezione, con sentenza n. 5784 del 26 ottobre 2017 (dep. 7 febbraio 2018), pronunciando in tema di sospensione del procedimento con messa alla prova, ha affermato che è illegittimo il provvedimento con cui il giudice modifichi il programma di trattamento elaborato ai sensi dell’art. 464-bis, comma 2, cod. pen. in difetto della previa consultazione delle parti e del consenso dell’imputato.

ORDINAMENTO PENITENZIARIO – REGIME EX ART. 41-BISORD. PEN. – RICHIESTA DI REVOCA ANTICIPATA – SILENZIO RIFIUTO – RECLAMO DEL DETENUTO AL TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA – SUCCESSIVA EMISSIONE DI UN PROVVEDIMENTO DI RIGETTO DELLA P.A. – SOPRAVVENUTA CARENZA DI INTERESSE ALLA DECISIONE- ESCLUSIONE – RAGIONI.

La Prima Sezione della Corte di Cassazione, con sentenza del  12/9/2017 (dep. 5 febbraio2018), n. 5322, ha affermato che,  in sede di reclamo giurisdizionale introdotto dal detenuto avverso il silenzio-rifiuto formatosi sulla sua richiesta di revoca del regime differenziato ex art. 41-bisord. pen., l’emissione di un successivo provvedimento di rigetto della suddetta richiesta da parte del Ministro della Giustizia, non comporta la sopravvenuta carenza di interesse alla decisione, in quanto l’effetto devolutivo correlato all’impugnazione trasferisce al Tribunale di Sorveglianza il potere di decidere sulla domanda e di valutare gli argomenti addotti dal reclamante ai fini della revoca del regime differenziato.

ARMI – IN GENERE – RIMOZIONE DEL MIRINO – ALTERAZIONE DELL’ARMA EX ART. 3 DELLA LEGGE N. 110 DEL 1975 – ESCLUSIONE – RAGIONI. 

La prima sezione della corte di cassazione con sentenza n. 11284 del 2018, ha affermato che non costituisce alterazione dell’arma, ai sensi dell’art. 3 della legge 18 aprile 1975, n. 110, l’asportazione del mirino, in quanto consiste nella rimozione non di un elemento strutturale dell’arma, ma di una sua parte accessoria, utilizzabile anche su oggetti diversi dalle armi comuni da sparo.

PROVE – MEZZI DI PROVA – DOCUMENTI – PROVA DOCUMENTALE – COPIA – MANCANZA DI CERTIFICAZIONE DI CONFORMITÀ ALL’ORIGINALE – DISCONOSCIMENTO DA PARTE DELL’IMPUTATO – VALORE PROBATORIO – SUSSISTENZA.

La Prima sezione penale della corte, con sentenza n. 8736 del 2018, ha affermato che, un tema di prova documentale, qualunque documento legittimamente acquisito è soggetto alla libera valutazione da parte del giudice, assumendo valore probatorio, anche se privo di certificazione ufficiale di conformità e pur se l’imputato ne abbia disconosciuto il contenuto.

PROCEDIMENTI SPECIALI – GIUDIZIO ABBREVIATO – APPELLO – IN GENERE – GIUDIZIO ABBREVIATO – APPELLO – RINNOVAZIONE DELL’ISTRUTTORIA IN APPELLO – COMPATIBILITÀ – SUSSISTENZA – ASSOLUTA NECESSITÀ – NOZIONE.

La prima sezione penale, con sentenza n. 5117 del 2018, ha affermato che la celebrazione del processo nelle forme del rito abbreviato non impedisce al giudice di appello di disporre d’ufficio, a norma dell’art. 603, comma terzo, cod. proc. pen., la rinnovazione dell’istruzione ritenuta assolutamente necessaria per giungere alla coerente ricostruzione degli eventi ed alla logica riconduzione ad unità dei principali elementi indiziari.

ESECUZIONE (COD. PROC. PEN. 1988) – GIUDICE DELL’ESECUZIONE – PROCEDIMENTO – IN GENERE – SOSPENSIONE CONDIZIONALE DELLA PENA – APPLICABILITÀ IN SEDE ESECUTIVA – ECCEZIONALITÀ.

La prima sezione penale della Corte di cassazione, con sentenza n. 5126 del 2018, ha affermato che il potere del giudice dell’esecuzione di concedere la sospensione condizionale della pena non ha portata generale, ma, come prescrive l’art. 671, comma 3 cod. proc. pen., è strettamente connesso al riconoscimento del concorso formale o della continuazione.

ESECUZIONE – GIUDICE DELL’ESECUZIONE – COMPETENZA –  SENTENZA DI APPELLO CONFERMATIVA DELLA PRONUNCIA DI PRIMO GRADO – ANNULLAMENTO SENZA RINVIO DELLA SENTENZA DI APPELLO IN RELAZIONE AD UN CAPO – GIUDICE DELL’ESECUZIONE – INDIVIDUAZIONE –  GIUDICE DI PRIMO GRADO – RAGIONI.

La Prima sezione penale, con sentenza n. 5153 del 2018 ha affermato che, in tema procedimento di esecuzione, nel caso in cui la sentenza di appello, confermativa della decisione di primo grado, sia stata annullata senza rinvio dalla Corte di cassazione in relazione ad un solo capo, il giudice dell’esecuzione, in applicazione del principio espresso dall’art. 665, comma 2, cod. proc. pen., deve essere individuato nel giudice di primo grado, essendo rimasto immutato il rapporto esistente tra le decisioni di merito, cui è improntato il criterio per il riparto della competenza.

MISURE CAUTELARI – PERSONALI – ESTINZIONE – PROVVEDIMENTI IN CASO DI SCARCERAZIONE PER DECORRENZA DEI TERMINI – ESTINZIONE – PROVVEDIMENTI IN CASO DI SCARCERAZIONE PER DECORRENZA DEI TERMINI – SOPRAVVENUTA CONDANNA IN ALTRO PROCEDIMENTO PER APPARTENENZA AD ASSOCIAZIONE DI STAMPO MAFIOSO – RIPRISTINO DELLA CUSTODIA CAUTELARE – PRESUPPOSTI – PERICOLO DI FUGA – ATTUALITÀ E CONCRETEZZA – ACCERTAMENTO -NECESSITÀ.

La prima sezione penale, con sentenza n. 5155 del 2018, ha affermato che, in tema di ripristino della custodia cautelare, ai sensi dell’art. 307, comma 2, lett. b), cod. proc. pen., nei confronti del condannato per il delitto di associazione di tipo mafioso scarcerato per decorrenza dei termini, qualora intercorra un considerevole lasso di tempo tra l’emissione della misura e i fatti accertati, il giudice, pur nel perimetro cognitivo limitato alla verifica della sola sussistenza delle esigenze cautelari rispetto alla quale l’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. pone una presunzione relativa, ha l’obbligo di motivare puntualmente, su impulso di parte o d’ufficio, in ordine alla rilevanza del tempo trascorso sull’attualità e concretezza del pericolo di fuga. 

REATI CONTRO L’ORDINE PUBBLICO – DELITTI – ASSOCIAZIONE PER DELINQUERE – IN GENERE – ASSOCIAZIONE DI TIPO MAFIOSO – CONCORSO ESTERNO – SENTENZA DELLA CORTE EDU DEL 14 APRILE 2015 EMESSA NEL CASO CONTRADA CONTRO ITALIA – PORTATA GENERALE DEI PRINCIPI ESPRESSI – ESCLUSIONE.

La prima sezione penale, con sentenza n. 8661 del 2018, ha affermato che i principi affermati dalla sentenza della Corte EDU del 14 aprile 2015, emessa nel caso Contrada contro Italia, in ordine alla natura di fattispecie di creazione giurisprudenziale del concorso esterno in associazione mafiosa, non possono essere estesi a fattispecie diverse, in quanto, fermi restando gli obblighi di conformazione imposti dall’art. 46 CEDU, che operano limitatamente al caso di cui si controverte, il sistema penale nazionale è ispirato al modello della legalità formale in cui non solo non è ammissibile alcun reato di “origine giurisprudenziale”, ma la punibilità delle condotte illecite trova il suo fondamento nei principi di legalità e tassatività.

Segnalazione di Sergio Beltrani

[CLASSIFICAZIONE]

DIVIETO DI BIS IN IDEM

[RIFERIMENTI NORMATIVI]

Convenzione EDU, Protocollo addizionale n. 7, art. 4, § 1;

Codice di procedura penale, art. 649 c.p.p.

[SENTENZE SEGNALATE]

Cass. pen., Sez. II, sentenza 16.2.2018, dep. 23.5.2018, n. 23043, P.G. c. Gentile

Cass. pen., Sez. II, sentenza 20.6.2017, dep. 21.9.2017, n. 43435, P.G. c. Cataldo

Divieto di un secondo giudizio per lo stesso fatto – Procedimento penale avente ad oggetto fatto già sanzionato disciplinarmente – Ne bis in idem– Operatività – Esclusione – Fattispecie.

Abstract. La II sezione penale (sentenza n. 23043 del 16/02/2018, dep. 23/05/2018, allo stato non massimata), esaminando la possibile operatività del divieto di bis in idem tra procedimenti (e sanzioni) penali e procedimenti (e sanzioni) disciplinari, ha ritenuto (ribadendo principi già affermati dalla stessa Sezione con la sentenza n. 43435 del 20/06/2017, dep. 21/09/2017, non massimata) che il predetto divieto non è configurabile tra procedimento penale e procedimento disciplinare.

1. Nel caso esaminato dalla sentenza n. 23043/18 cit., il Tribunale territorialmente competente aveva dichiarato non doversi procedere nei confronti dell’imputato, in ordine al reato ascrittogli di danneggiamento aggravato, per ne bis in idem, in quanto per lo stesso fatto, egli – ristretto in carcere – aveva già subito un procedimento disciplinare ex art. 81, comma 2, d.P.R. n. 230 del 2000, all’esito del quale gli era stata irrogata,exartt. 39 Ord. penit. e 77 Reg. pen., la sanzione disciplinare dell’esclusione temporanea dall’attività comune.

Contro questa sentenza, il Procuratore Generale distrettuale aveva proposto ricorso per cassazione, denunciando violazione dell’art. 649 c.p.p., indebita essendo, a suo avviso, l’assimilazione della sanzione disciplinare irrogata ad una sanzione penale.

2. Il collegio hapremesso che, in ordine all’ambito del divieto di bis in idem (sancito, nel diritto interno, dall’art. 649 c.p.p., ed a livello convenzionale dall’art. 4, § 1, del Protocollo addizionale n. 7 alla Convenzione EDU), è di recente intervenuta la Corte EDU, Grande Chambre, sentenza 15 novembre 2016, ric. A. e B. c. Norvegia, che ha rigettato il ricorso di due contribuenti, i quali, per la medesima evasione fiscale, avevano riportato condanna in sede penale ed in sede amministrativa (ad una sanzione tributaria).

A fondamento della ritenuta esclusione – nel caso concreto – della dedotta violazione della predetta garanzia convenzionale, la Grande Chambre ha valorizzato seguenti elementi:

– l’agevole prevedibilità, secondo la normativa norvegese, del fatto che, in conseguenza dell’accertata evasione fiscale, potessero essere instaurati in danno dei ricorrenti due distinti procedimenti, finalizzati l’uno all’irrogazione della sanzione penale, l’altro di quella amministrativa (tributaria);

– la sostanziale contestualità dei due distinti procedimenti;

– l’intervenuto richiamo, nell’ambito del procedimento penale, dei fatti accertati nel procedimento amministrativo;

– l’intervenuta determinazione della sanzione penale irrogata in concreto tenendo conto anche della sanzione amministrativa (tributaria) già applicata ai ricorrenti.

2.1. Per tali ragioni, la Corte EDU ha conclusivamente ritenuto che, pur essendo stati formalmente celebrati in danno dei ricorrenti, per lo stesso fatto, due procedimenti, che avevano conclusivamente comportato l’irrogazione di due sanzioni, in concreto, i predetti procedimenti avevano costituito distinti segmenti di un medesimo, complesso, unitario iter giudiziario.

2.1.1. La citata decisione della Grande Chambre ha ribadito la necessità di fare riferimento, per qualificare la natura sostanziale delle sanzioni irrogabili per uno stesso fatto (costituente presupposto di operatività del divieto de quo) ed evitare che, per eludere il divieto, sanzioni sostanzialmente penali vengano qualificate (con una sorta di “frode delle etichette”) come formalmente amministrative dagli ordinamenti interni, ai cc. dd. “criteri Engel” (così definiti in riferimento alla sentenza che per prima li enunciò: Corte EDU, 8 giugno 1976, Engel c. Paesi Bassi):

– la qualificazione giuridica dell’infrazione nel diritto interno;

– la natura dell’infrazione o dell’illecito;

– il grado di severità della sanzione applicabile.

Trattasi di criteri rilevanti anche alternativamente, e che non devono, quindi, necessariamente concorrere.

2.1.2. La Grande Chambre ha, inoltre, ritenuto che la violazione del divieto di bis in idem è esclusa (e che, quindi, distinti procedimenti, finalizzati all’irrogazione di sanzioni penali ed amministrative per uno “stesso fatto”, possono essere portati entrambi a conclusione) quando tra essi sussista un «nesso materiale e temporale sufficientemente stretto».

In particolare, è configurabile l’esistenza di un nesso sufficientemente stretto dal punto di vista materiale tra due (o più) procedimenti aventi ad oggetto uno “stesso fatto”:

– se i diversi procedimenti perseguono scopi complementari e riguardano in tal modo, non soltanto in astratto ma anche in concreto, gli aspetti diversi dell’atto pregiudizievole per la collettività del quale si discuta;

– se il carattere misto dei procedimenti in questione sia una conseguenza prevedibile, sia in diritto che in pratica, dello stesso comportamento sanzionato;

– se i procedimenti in questione siano stati condotti in maniera da evitare per quanto possibile qualsiasi ripetizione nella raccolta e nella valutazione degli elementi di prova, soprattutto grazie ad una interazione adeguata tra le diverse autorità competenti, risultando che l’accertamento dei fatti compiuto in uno dei procedimenti è stato ripreso nell’altro;

– se la sanzione imposta all’esito del procedimento conclusosi per primo sia stata tenuta presente nell’ambito del procedimento che si è concluso per ultimo, in modo da non finire con il far gravare sull’interessato un onere eccessivo, rischio, quest’ultimo, che è meno suscettibile di presentarsi se esiste un meccanismo compensatorio concepito per assicurare che l’importo globale di tutte le pene pronunciate sia proporzionato.

Sotto il profilo strettamente temporale, inoltre, tale nesso è stato ritenuto configurabile quando tra i due procedimenti sussista anche un collegamento di natura cronologica; ciò non rende, peraltro, necessario, che i due procedimenti siano condotti simultaneamente dall’inizio alla fine.

2.1.3. Ha, pertanto, concluso che la celebrazione di distinti procedimenti e la conclusiva irrogazione di più sanzioni, aventi natura sostanzialmente penale, non violano necessariamente il divieto di bis in idem convenzionale, sancito dall’art. 4, Protocollo 7, Convenzione EDU, in quanto la previsione normativa di un doppio binario sanzionatorio – quando sussista tra i procedimenti un nesso sostanziale e temporale “sufficientemente stretto”, nei termini fin qui illustrati – si traduce in un sistema integrato che permette di affrontare i diversi aspetti dell’illecito in maniera prevedibile e proporzionata nel quadro di una strategia unitaria.

3. Nel caso esaminato dalla II Sezione, si poneva preliminarmente il problema di determinare la natura dei rapporti tra le decisioni della Corte EDU e l’interpretazione delle norme interne.

3.1. La II Sezione, in proposito, ha condiviso e ribadito quanto già affermato in argomento dalla stessa Sezione con la sentenza n. 43435 del 20.6.2017, dep. 21.9.2017, P.G. c. Cataldo, non massimata, sulla base di ampia disamina della giurisprudenza costituzionale (sentenze n. 348 del 2007; n. 311 del 2009; n. 317 del 2009; n. 113 del 2011; n. 49 del 2015) e di legittimità (Sez. un., sentenze n. 34472 del 2012; n. 41694 del 2012; n. 27620 del 2016), ovvero che:

<<Il giudice nazionale (anche di legittimità), nell’interpretazione delle norme interne, è vincolato dai soli orientamenti consolidati della Corte di Strasburgo. Il giudice nazionale non può disapplicare una norma interna per contrasto con una norma convenzionale come interpretabile secondo un orientamento consolidato della Corte di Strasburgo, ma ha l’onere di sollevare questione di costituzionalità della norma interna da disapplicare, per contrasto con l’art. 117, comma primo, della Costituzione, onde consentire alla Corte costituzionale (unica attributaria del relativo potere-dovere) di verificare «se la norma della Convenzione EDU, nell’interpretazione data dalla Corte europea, non si ponga in conflitto con altre norme conferenti della nostra Costituzione» (Corte cost., n. 311 del 2009), «ipotesi nella quale dovrà essere esclusa la idoneità della norma convenzionale a integrare il parametro considerato» (Corte cost., n. 113 del 2011), ovvero di valutare «come ed in qual misura il prodotto dell’interpretazione della Corte europea si inserisca nell’ordinamento costituzionale italiano. Infatti, la norma CEDU – nel momento in cui va ad integrare il primo comma dell’art. 117 Cost. – da questo ripete il suo rango nel sistema delle fonti, con tutto ciò che segue, in termini di interpretazione e bilanciamento, che sono le ordinarie operazioni cui questa Corte è chiamata in tutti i giudizi di sua competenza» (Corte cost., n. 317 del 2009)>>.

3.2. La citata sentenza n. 43435 del 2017 aveva anche evidenziato che

<<Il divieto dibis in idemsancito dall’art. 4, Prot. n. 7, Conv. EDU, nell’interpretazione della consolidata giurisprudenza della Corte di Strasburgo, ha natura processuale, non sostanziale, poiché consente l’applicazione, per lo “stesso fatto”, di più sanzioni, anche tutte da ritenersi sostanzialmente penali alla stregua dei criteri Engel, purché all’esito del medesimo procedimento, ovvero di procedimenti legati da un nesso sostanziale e temporale “sufficientemente stretto”>>.

La natura processuale, e non sostanziale, del divieto di bis in idem, già espressamente ritenuta dalla Corte costituzionale (sentenza n. 102 del 2016), è stata successivamente confermata anche dalla Corte EDU (Sez. IV, 13 giugno 2017, Simkus c. Lituania), in un caso nel quale il ricorrente lamentava di essere stato sottoposto ad un processo penale dopo che gli era stata inflitta una sanzione amministrativa per il medesimo fatto posto a fondamento dell’accusa: la Corte EDU ha ravvisato la denunciata violazione dell’art. 4, Prot. 7, Conv. EDU, perché le due procedure avevano ad oggetto essenzialmente lo “stesso fatto”, espressamente ritenendo priva di rilievo la circostanza che il ricorrente – all’esito del procedimento penale (conclusosi con la declaratoria di estinzione per prescrizione dei reati contestati) – non avesse riportato condanna alla sanzione penale, in quanto il divieto di bis in idem comporta che non si possa essere processati (non che non si possa essere condannati) due volte per lo “stesso fatto”.

D’altro canto, <<non si è mai dubitato che, all’esito del medesimo procedimento, per lo stesso fatto l’imputato possa riportare condanna ad una pena principale, ad una pena accessoria (anche particolarmente afflittiva) ed alla confisca per equivalente (la cui natura sanzionatoria può ritenersi ormai pacifica: Sez. U, sentenza n. 18374 del 31/01/2013, Rv. 255037)>> (Sez. II, sentenza n. 43435/17 cit.).

4. Mai la giurisprudenza di legittimità risulta aver ravvisato violazione del divieto di bis in idem con riferimento a procedimenti penali e disciplinari.

4.1. La giurisprudenza civile (Sez. un., sentenza n. 4004 del 29 febbraio 2016, Rv. 638596 – 01) ha, in un caso, ritenuto che il procedimento disciplinare nei confronti di un magistrato (nel caso di specie, incolpato di corruzione in atti giudiziari) può proseguire e condurre all’irrogazione della sanzione disciplinare (nel caso di specie, della rimozione) anche dopo il giudicato penale di condanna con pena accessoria dell’estinzione del rapporto d’impiego, senza violare il divieto di bis in idem, in considerazione della diversa natura della sanzione disciplinare e di quella (accessoria) penale: «nell’avere (…) diversa natura, ed in sintonia con il principio secondo cui “l’azione disciplinare è promossa indipendentemente (…) dall’azione penale relativa allo stesso fatto”, risiede la ragione dell’applicabilità congiunta delle due sanzioni. Per connotare la diversa natura della sanzione disciplinare rispetto alla pena accessoria è sufficiente ricordare che quest’ultima, come la generalità delle sanzioni penali, nel corso del tempo può estinguersi, in forza di amnistia (art. 151, primo comma, del codice penale) o per effetto della riabilitazione (art. 178 c.p.), laddove la permanenza degli effetti della sanzione disciplinare ne rivela, con evidenza nel caso della più severa di esse qual è la rimozione, la specifica afflittività>>.

4.1.1. In tema di giudizio disciplinare nei confronti dei professionisti (nella specie, a carico di un notaio: Sez. II, sentenza n. 2927 del 3 febbraio 2017, Rv. 643161 – 01), si è ritenuto che, nel caso in cui l’incolpato abbia già riportato condanna ad una sanzione penale per i medesimi fatti oggetto del procedimento disciplinare, non può ipotizzarsi la violazione del divieto di bis in idem, in quanto la sanzione disciplinare ha come destinatari gli appartenenti ad un ordine professionale ed è preordinata all’effettivo adempimento dei doveri inerenti al corretto esercizio dei compiti loro assegnati, sicché ad essa non può attribuirsi natura sostanzialmente penale.

4.2. La giurisprudenza penale (Sez. III, sentenza n. 36350 del 23 marzo 2015, Rv. 265636) ha, in una prima occasione, ritenuto manifestamente infondata l’eccezione di legittimità costituzionale dell’art. 649 c.p.p., sollevata per violazione degli artt. 24 e 117 Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 4 Prot. n. 7 alla Convenzione EDU nella parte in cui non prevede l’applicazione del divieto di bis in idem anche quando, dopo un procedimento disciplinare davanti agli organi della giustizia sportiva conclusosi con l’applicazione di una sanzione, faccia seguito per lo stesso fatto l’attivazione di un procedimento penale.

In motivazione, premesso che si verteva in una materia (quella dei rapporti tra un illecito disciplinare di competenza della giustizia sportiva ed un illecito penale) mai esaminata dalla Corte di Strasburgo, e che, per la formulazione della questione di costituzionalità, sarebbe occorso il presupposto di una sentenza della Corte EDU che avesse preso posizione sul genere di illecito de quo(quello di cui agli artt. 1 e 6 del Codice di giustizia sportiva) e sulla natura giuridica della sanzione (formalmente) disciplinare in ipotesi inflitta, è stata esclusa la configurabilità della violazione del divieto di bis in idem per il rilievo che la sanzione disciplinare inflitta dagli organi della giustizia sportiva non ha nemmeno natura amministrativa, in quanto non esercita alcuna efficacia al di fuori dell’ordinamento di settore.

4.2.1. Una decisione (Sez. 2, sentenza n. 9184 del 15/12/2016, dep. 24/02/2017, Rv. 269237) ha ritenuto che non sussiste la preclusione all’esercizio dell’azione penaleexart. 649 c.p.p., quale conseguenza della già avvenuta irrogazione, per lo stesso fatto, di una sanzione formalmente amministrativa, ma sostanzialmente “penale”, ai sensi dell’art. 4 del Prot. n. 7 alla Convenzione EDU (come interpretato dalla sentenza della Corte EDU, Grande Chambre, 15.11.2016, A. e B. c. Norvegia), allorquando le due procedure risultino complementari, in quanto dirette al soddisfacimento di finalità sociali differenti, e determinino l’inflizione di una sanzione penale “integrata”, che sia prevedibile e nel complesso proporzionata al disvalore del fatto. In applicazione del principio, è stato disposto l’annullamento con rinvio della sentenza che aveva dichiarato non doversi procedere per il reato di danneggiamento aggravato (anche in quella occasione commesso da un detenuto nella Casa circondariale in cui era ristretto), sulla base della considerazione che l’imputato aveva già subìto la sanzione disciplinare della esclusione dalle attività in comune per cinque giorni.

Premesse la medesimezza del fatto e la natura sostanzialmente penale della sanzione disciplinare irrogata, è stata, in particolare, negata l’operatività, in concreto, del divieto di bis in idem, in considerazione della contiguità temporale dei distinti procedimenti (disciplinare e penale) cui l’interessato era stato separatamente sottoposto (anche se la sanzione disciplinare era stata applicata nell’immediatezza del fatto, mentre il procedimento penale, per effetto del disposto rinvio alla Corte d’appello, risultava ancora in corso circa quattro anni dopo).

4.2.2. Altra decisione (Sez. 6, sentenza n. 31873 del 09/05/2017, Rv. 270852) ha, successivamente, ritenuto che non integra una violazione del principio del “ne bis in idem” l’irrogazione, per un fatto corrispondente a quello oggetto di sanzione penale, di una sanzione disciplinare che, per qualificazione giuridica, natura e grado di severità non può essere equiparata a quella penale, secondo l’interpretazione data dalla sentenza emessa dalla Corte EDU il 4 marzo 2014 nella causa Grande Stevens c. Italia.

In applicazione del principio, la S.C. ha annullato la sentenza di non luogo a procedere in ordine al reato previsto dall’art. 341- bis c.p. (oltraggio a pubblico ufficiale), commesso da un detenuto, fondata sul presupposto che, per lo stesso fatto, fosse stata già inflitta all’imputato la sanzione disciplinare dell’ esclusione dall’attività in comune: l’indicata sanzione disciplinare non poteva, infatti, essere equiparata alle sanzioni penali previste per il predetto reato.

5. La sentenza n. 23043/18 della II Sezione ha evidenziato (come già la sentenza n. 43435/17 della stessa Sezione) che la Corte di Strasburgo, in materia di rapporti tra separati procedimenti finalizzati all’irrogazione di sanzioni penali e disciplinari, fin qui non ha mai affermato l’operatività del divieto di bis in idem sancito dall’art. 4 del Prot. n. 7 alla Conv. EDU.

5.1. Inparticolare, Sez. II, n.43435 del 2017, non massimata, aveva evidenziato che la Corte di Strasburgo aveva addirittura, in più occasioni, espressamente escluso l’operatività del divieto di bis in idem nella predetta materia:

<<12.1.1. Come dedotto dal Governo norvegese nel caso deciso dalla Corte EDU, Grande Chambre, sentenza 15 novembre 2016, caso A. e B. c. Norvegia (§ 67), dal rapporto esplicativo del Protocollo n. 7 risulta che il contenuto dell’art. 4 del Protocollo «è stato concepito per riguardare i procedimenti penalistricto sensu». Tale rapporto indicherebbe nel suo paragrafo 28 che non era sembrato necessario definire l’illecito come “penale” in quanto il contenuto dell’articolo 4, che contiene già i termini “penalmente” e “procedimento penale”, rendeva questa precisazione inutile nel testo stesso dell’articolo. Nel paragrafo 32, il rapporto sottolineerebbe che «l’articolo 4 del Protocollo n. 7 non vieta che si tengano procedimenti “di natura diversa (ad esempio un procedimento disciplinare, nel caso di un funzionario)”. Inoltre, l’articolo 6 e l’articolo 4 del Protocollo n. 7 perseguivano scopi diversi, se non addirittura opposti, dato che il primo aveva lo scopo di rafforzare le garanzie procedurali in materia penale».

12.1.2. La prospettazione non è stata contestata dallaGrande Chambre, ma si è rivelata improduttiva di conseguenze ai fini della decisione, perché il caso esaminato non riguardava sanzioni di natura disciplinare.

12.1.3. D’altro canto, in più occasioni laGrande Chambredella Corte EDU (sentenza 21 febbraio 1984, caso Ozturk c. Germania, § 53; sentenza 10 febbraio 2009, caso Sergey Zolotukhin c. Russia, § 55), ai fini dell’attribuzione della natura sostanzialmente penale ad una sanzione formalmente non penale, ha evidenziato, quale elemento atto ad incidere negativamente sulla configurabilità del terzo dei criteri Engel (gravità delle conseguenze in cui l’incolpato può incorrere in conseguenza della commissione dello “stesso fatto” costituente oggetto di due distinti procedimenti), che la sanzione “sostanzialmente penale” si caratterizza per la circostanza di essere diretta alla generalità dei consociati («towards all citizens rather than towards a group possessing a special status»; la prima delle sentenze citate precisa, inoltre, «in the manner, for example, of disciplinary law»). In tal modo, risulta, all’evidenza, da escludere, per converso, la possibilità di attribuire natura sostanzialmente penale alle sanzioni disciplinari, in quanto esse sono valide ed efficaci soltanto all’interno di una ristretta cerchia di consociati, e fino a che il soggetto sanzionato ne faccia parte>>.

5.2. Questa ricostruzione degli orientamenti della Corte di Strasburgo è stata condivisa e ribadita  dalla sentenza n. 23043 del 2018.

6. Tutto ciò premesso, l’impugnato proscioglimento è stato ritenuto illegittimo per due ordini di ragioni.

6.1.La giurisprudenza della Corte EDU e quella di legittimità sono sostanzialmente concordi nell’escludere la configurabilità dei presupposti di operatività del divieto di bis in idem tra procedimento penale e procedimento disciplinare, <<poiché quest’ultimo può comportare unicamente l’applicazione di sanzioni mai sostanzialmente penali, in quanto conseguenti alla violazione di regole di comportamento valevoli unicamente nell’ambito di una cerchia ristretta di soggetti, ma non anche della generalità dei consociati, essendo finalizzate unicamente a regolare l’ordinato svolgersi dei reciproci rapporti in determinati contesti e/o settori. Pur facendo applicazione dei “criteri Engel”, alla sanzione disciplinare de qua non può essere attribuita natura sostanzialmente penale, in particolare quanto alla sua “gravità”, decisivamente condizionata, in senso negativo, dal fatto che detta sanzione esercita efficacia afflittiva soltanto nel contesto carcerario e fino a che il soggetto sanzionato ne faccia parte, ma non esercita alcuna efficacia al di fuori di tale contesto>> (Sez. II, n. 43435 del 2018; nei medesimi termini si è espressa anche Sez. II, n . 23043 del 2018).

6.1.1. Nel caso in esame, inoltre, la sanzione disciplinare già applicata all’imputato – tenuto conto delle sue specifiche connotazioni – è stata ritenuta priva di quei caratteri di marcata afflittività che potrebbero indurre l’interprete a qualificarla, in concreto, come sanzione di natura “sostanzialmente penale”.

6.2.Infine, <<l’espresso riferimento operato dall’art. 649 c.p.p. – come presupposto del divieto di bis in idem nel diritto interno – all’esistenza di una sentenza o di un decreto (penale) di condanna divenuti irrevocabili (non anche di una decisione sanzionatoria irrevocabile di natura amministrativa) avrebbe comunque reso necessario – in ipotesi – sollevare questione di legittimità costituzionale dell’art. 649 c.p.p. per contrasto con l’art. 117, comma 1, Cost., assumendo, quale norma interposta, quella di cui all’art. 4 del Protocollo n. 7 cit.; il giudice nazionale non è, infatti, legittimato a disapplicare immediatamente la disposizione, poiché in tal modo egli spoglierebbe la Corte costituzionale delle sue esclusive prerogative quanto alla valutazione dell’eventuale conflitto tra la predetta norma convenzionale ed altre norme conferenti della nostra Costituzione ed alla valutazione sul come ed in qual misura il prodotto dell’interpretazione della Corte europea si inserisca nell’ordinamento costituzionale italiano. Invero, le regole proprie di una procedura amministrativa sanzionatoria non possono essere equiparate a quelle che regolano la cognizione penale (peraltro assistita da principi e garanzie molto più ampi), se non sacrificando il principio di “irretrattabilità dell’azione penale”, sancito dall’art. 112 Cost., per privilegiare – in ipotesi – l’azione precedentemente (come nel caso di specie) avviata da un organo amministrativo, in tal modo violando, altresì, il principio di “soggezione alla legge”, sancito dall’art. 101, comma 2, Cost., «per l’effetto di disapplicazione di una norma penale sul cui carattere imperativo sarebbe destinato a prevalere, per la sua anteriorità, il definitivo acertamento in altra e meno garantita sede di giudizio, di un fatto illecito ritenuto “sostanzialmente” penale». D’altro canto, questa Corte ha già chiarito che la non procedibilità ex art. 649 c.p.p. «consegue alla preclusione determinata dalla consumazione del potere già esercitato dal P.M.» (Sez. un., sentenza n. 34655 del 28/06/2005, Rv. 231800) e «si delinea all’esito di una valutazione che presuppone, e richiede, la preventiva disamina del contenuto di un provvedimento “tipico” emesso dal giudice, non certo da un’autorità amministrativa». Trattasi di ostacoli insormontabili per il giudice (di merito, come di legittimità), che potrebbero essere superati (non in via d’interpretazione bensì) soltanto attraverso la proposizione di una questione di legittimità costituzionale dell’art. 649 c.p.p. per contrasto con l’art 117, comma primo, Cost., assumendo quale norma interposta quella di cui all’art. 4 del Prot. 7 alla Conv. EDU , secondo l’interpretazione consolidata che ne fornisca, in ipotesi la Corte di Strasburgo (che, peraltro, come premesso, non si è mai pronunciata con specifico riferimento al caso in esame)>> (Sez. II, n. 43435 del 2018; anche in ordine a questo profilo, si è espressa nei medesimi termini Sez. II, n. 23043 del 2018).

a cura di Luigi Giordano

REATI CONTRO LA PERSONA – Omicidio stradale e lesioni personali stradali gravi o gravissime– Guida in stato di ebbrezza alcolica o di alterazione psico-fisica per assunzione di sostanze stupefacenti o psicotrope – Qualificazione – Circostanza aggravante – Contravvenzione di cui all’art. 186, comma 2 e 2-bis, D. Lgs. n. 285 del 1992 – Concorso – Esclusione – Ragioni.

La Quarta Sezione, con sentenza n. 26857 del 29 maggio 2018 (dep. 12 giugno 2018), ha affermato che la condotta di guida in stato di ebbrezza alcolica, ovvero di alterazione psico-fisica conseguente all’assunzione di sostanze stupefacenti o psicotrope, costituisce circostanza aggravante dei delitti – introdotti dalla legge 23 marzo 2016, n. 41 – di omicidio stradale e di lesioni personali stradali gravi o gravissime, dovendosi conseguentemente escludere, in applicazione della disciplina del reato complesso, che gli stessi possano concorrere con la contravvenzione di cui all’art. 186, comma 2 e 2-bis, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285.

REATI CONTRO IL PATRIMONIO –  Autoriciclaggio–  Art.  648 ter 1, comma quarto, cod. pen. – Clausola di non punibilità – Ambito di operatività – Indicazione.

In tema di autoriciclaggio, la Seconda sezione penale, con sentenza n. 30399 del 07/06/2018, dep. il 05/07/2018, ha affermato che, la disposizione di cui all’art. 648 ter 1, comma quarto, cod. pen., che esclude la punibilità nel caso in cui il denaro, i beni o le altre utilità vengano destinate alla mera utilizzazione o al godimento personale, deve essere interpretata nel senso per cui l’agente può andare esente da responsabilità esclusivamente se utilizzi e goda dei beni provenienti dal delitto presupposto in modo diretto, senza compiere su di essi alcuna operazione atta ad ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa. 

SICUREZZA PUBBLICA – MISURE DI PREVENZIONE – SORVEGLIANZA SPECIALE– Divieto di partecipazione a pubbliche riunioni – Reato di violazione degli obblighi inerenti alla sorveglianza speciale – Esclusione – Ragioni – Fattispecie.

La Prima Sezione penale della Corte di cassazione, con sentenza n. 31322 del 9/4/2018, dep. il 10/7/2018, ha ritenuto che l’inosservanza della prescrizione del divieto di “partecipare a pubbliche riunioni” da parte del soggetto sottoposto alla sorveglianza speciale, non configura il reato previsto dall’art. 75, comma secondo, D.Lgs. n. 159 del 2011,  poiché la nozione di “pubblica riunione” rivela un deficit di determinatezza e tassatività della fattispecie penale. (Principio affermato in tema di condotta di chi si reca allo stadio per assistere ad una partita di calcio).

FINANZE E TRIBUTI – IN GENERE – Reato di omesso versamento di ritenute certificate – Art. 10 bis D.Lgs. n. 74 del 2000 come modificato dall’art. 7 del D.Lgs. n. 158 del 2015 – Fatti pregressi – Prova del rilascio ai sostituiti delle certificazioni attestanti le ritenute effettivamente operate – Dichiarazione Mod. 770 – Rilevanza.

Le Sezioni Unite della Corte di cassazione, con sentenza del 22/03/2018 (dep.1/6/2018), n.24782, con riferimento all’art.10-bis d.lgs. n.74 dl 2000, nella formulazione anteriore alle modifiche apportate dal d.lgs. n.158 del 2015, hanno affermato che la dichiarazione modello 770 proveniente dal sostituto di imposta non può essere ritenuta di per sé sola sufficiente ad integrare la prova dell’avvenuta consegna al sostituto della certificazione fiscale.

PARTITI POLITICI – ILLECITO FINANZIAMENTO – Reato di cui all’art. 7 della l. n. 195/74 – Utilizzazione di contributi erogati da Consiglio regionale ai gruppi consiliari a scopo di finanziamento dei partiti di riferimento – Sussistenza.

In tema di illecito finanziamento dei partiti politici, la Corte di cassazione, Sezione Sesta, con sentenza del 29/03/2018 (dep. 29/05/2018), n. 24158, ha affermato che il reato previsto dall’art. 7, commi 1 e 3, l. 2 maggio 1974, n. 195, è integrato nel caso in cui i contributi erogati dal Consiglio regionale, quale organo della P.A., ai gruppi consiliari siano utilizzati a scopo di finanziamento, diretto o indiretto, dei partiti di riferimento dei gruppi stessi. 

MISURE CAUTELARI – PERSONALI – PROVVEDIMENTI – ORDINANZA DEL GIUDICE – REQUISITI – MOTIVAZIONE – Legge n. 47 del 2015 – Modifiche in tema di motivazione delle ordinanze cautelari – Requisiti – Motivazione redatta con la tecnica del c.d. copia – incolla della richiesta del pubblico ministero – Accertamento dell’autonomia della valutazione – Accoglimento parziale di una richiesta cautelare cumulativa – Insufficienza – Ragioni.

La Sezione Sesta, con sentenza n. 31370 del 19 giugno 2018 (dep. 10 luglio 2018), ha affermato che, in tema di misure cautelari personali, la necessità di un’autonoma valutazione da parte del giudice delle esigenze cautelari e dei gravi indizi di colpevolezza, richiesta dall’art. 292, comma primo, lett. c), cod. proc. pen., così come modificato dalla legge 16 aprile 2015, n. 47, non può ritenersi assolta quando l’ordinanza accolga la richiesta del P.M. solo per talune imputazioni cautelari ovvero solo per alcuni indagati, in quanto il parziale diniego opposto dal giudice o la diversa graduazione delle misure non costituiscono, di per sé, indice di una valutazione critica, e non meramente adesiva, della richiesta cautelare, dovendo la  valutazione essere espressa in relazione alla specifica posizione oggetto di giudizio, rispetto alla quale detto requisito della motivazione è previsto a pena di nullità rilevabile anche di ufficio.

MISURE CAUTELARI PERSONALI – MISURA INTERDITTIVA DELLA SOSPENSIONE DALL’ESERCIZIO DELLA PROFESSIONE MEDICA – Reato di omicidio colposo nell’esercizio della professione medica – Pericolo di reiterazione di delitti della stessa specie.

La Quarta Sezione della Corte di Cassazione, con sentenza del 3/05/2018 (dep. 14/06/2018), n. 27420, pronunciandosi in tema di sospensione dall’esercizio della professione medica applicata in relazione ad un reato di omicidio colposo, ha affermato che è possibile formulare la prognosi di reiterazione della condotta criminosa in considerazione delle caratteristiche della struttura in cui opera il sanitario e della condotta tenuta nel caso concreto, nella specie consistita nella pervicace prescrizione di terapia omeopatica, in assenza di significativi miglioramenti delle condizioni del paziente, poi deceduto, e nonostante l’inutile decorrenza del periodo di cinque giorni indicato dai protocolli medici per il passaggio alla terapia tradizionale.

REATO – CAUSE DI ESTINZIONE – Ordinanza di sospensione del procedimento con messa alla prova – Revoca ex art. 168-quater cod. pen. – Discrezionalità limitata  – Commissione di un ulteriore reato durante il periodo di prova – Valutazione del giudice del sub-procedimento – Possibilitá – Contenuto.

La Sesta Sezione penale della Corte di cassazione, con sentenza n. 28826 del 23 febbraio 2018 (dep. 21 giugno 2018), ha affermato che, in presenza di una delle ipotesi contemplate dall’art. 168-quater cod. pen., il giudice, al fine di disporre la revoca della sospensione del procedimento con messa alla prova, è titolare di uno spazio di discrezionalità, limitato al solo apprezzamento dei presupposti di legge, che gli impone uno specifico onere di motivazione dell’ordinanza emessa ai sensi dell’art. 464-octies cod. proc. pen, censurabile in sede di ricorso per cassazione. Con specifico riguardo all’ipotesi di revoca di cui al n. 2 dell’art. 168-quater cod. pen., la Corte ha aggiunto che spetta al giudice del sub-procedimento verificare che la “commissione” del fatto – reato determinante la revoca del beneficio sia provata in termini di elevata probabilità, attraverso una delibazione della serietà dell’accusa compiuta sulla scorta di una solida base cognitiva, senza che sia necessario attendere la definizione con sentenza irrevocabile dell’autonomo procedimento relativo a detto illecito.

PARTE CIVILE – SPESE – Impugnazione – Rinuncia da parte dell’imputato – Rifusione delle spese sostenute dalla parte civile – Esclusione – Condizioni.

La Quinta Sezione penale della Corte di cassazione, con sentenza del 7 maggio 2018 (dep. 27 giugno 2018), n. 29472, ha affermato che, pur non essendo previsto l’obbligo dell’imputato di notificare la rinuncia all’impugnazione alla parte civile, è comunque suo onere comunicare tempestivamente a questa tale volontà, allo scopo di impedire l’espletamento dell’attività defensionale, normalmente compiuta a seguito della notifica del ricorso, i cui costi devono altrimenti  essere rimborsati anche nel caso di rinuncia alla impugnazione. 

IMPUGNAZIONI – SENTENZA DI NON LUOGO A PROCEDERE – Ricorso “per saltum” – Inammissibilità.

La Quarta Sezione della Corte di Cassazione, con sentenza del 09/05/2018 (dep. 15/06/2018), n. 27526, ha affermato che, ai sensi dell’art. 428 cod. proc. pen., come modificato dalla l. 23 giugno 2017, n. 103,  avverso la sentenza di non luogo a procedere non è ammissibile il ricorso “per saltum”.

IMPUGNAZIONI  – Sentenza ex art. 599 bis cod. proc. pen. – Modifica introdotta dalla legge 23 giugno 2017, n. 103 – Motivi proponibili con ricorso per cassazione – Individuazione.

La Seconda Sezione della Corte di cassazione, con sentenza n. 1359 del 01/06/2018, dep. il 09/07/2018, ha affermato che avverso la sentenza emessa ai sensi dell’art. 599 bis cod. proc. pen. – introdotto dall’art. 1, comma 56, della legge 23 giugno 2017, n.103 –  le uniche doglianze proponibili con il ricorso per cassazione  sono  quelle relative alla formazione della volontà della parte di accedere al c.d. concordato in appello, al consenso del Procuratore generale sulla richiesta ed al contenuto difforme della pronuncia del giudice, mentre sono inammissibili quelle  riguardanti i motivi rinunciati ovvero relative alla mancata valutazione delle condizioni per il proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen.

IMPUGNAZIONI – CASSAZIONE – Provvedimento con cui il giudice dell’esecuzione rimette le parti innanzi al giudice civile per la risoluzione della controversia in materia di proprietà delle cose in sequestro – Inammissibilità del ricorso – Ragioni.

La Prima Sezione penale della Corte di cassazione, con sentenza n. 31088 del 25/6/2018, dep. il 9/7/2018, ha ritenuto inammissibile il ricorso avverso il provvedimento con cui il giudice dell’esecuzione rimette le parti innanzi al giudice civile per la risoluzione della controversia in materia di proprietà delle cose in sequestro, data la natura non decisoria bensì meramente ordinatoria della statuizione.

a cura di Luigi Giordano

Fonti del diritto  – Successione di leggi – Disciplina sanzionatoria sopravvenuta più sfavorevole – Condotta posta in essere interamente prima della entrata in vigore della suddetta legge – Evento verificatosi sotto la vigenza della nuova norma – Disciplina applicabile – Fattispecie.

Le Sezioni unite, con la sentenza del 19 luglio 2018 (dep. 24 settembre 2018), n. 40986, Pittalà, hanno affermato che, in tema di successione di leggi penali, nel caso in cui l’evento del reato intervenga nella vigenza di una legge penale più sfavorevole rispetto a quella in vigore al momento in cui è stata posta in essere la condotta, deve trovare applicazione la legge vigente al momento della condotta. (Nella specie la Corte ha annullato la sentenza di patteggiamento con cui era stata applicata la pena più severa introdotta dalla norma incriminatrice dell’omicidio stradale di cui all’art. 589-bis cod. pen., entrata in vigore medio tempore, prima della verificazione dell’evento lesivo).

Reato continuato – Reati puniti con pene eterogenee – Configurabilità – Pena – Determinazione – Aumento della pena prevista per la violazione più grave – Criteri di determinazione.

Le Sezioni Unite della Corte di cassazione, con la sentenza del 21/06/2018  (dep. 24/09/2018), n. 40983, hanno affermato i seguenti principi di diritto:

– La continuazione, quale istituto di carattere generale, è applicabile in ogni caso in cui più reati siano stati commessi in esecuzione del medesimo disegno criminoso, anche quando si tratti di reati appartenenti a diverse categorie e puniti con pene eterogenee.

– Nei casi di reati puniti con pene eterogenee (detentive e pecuniarie) posti in continuazione, l’aumento di pena per il reato satellite va comunque effettuato secondo il criterio della pena unitaria progressiva per moltiplicazione, rispettando, tuttavia, per il principio di legalità della pena e del favor rei, il genere della pena prevista per il reato satellite, nel senso che l’aumento della pena detentiva del reato più grave andrà ragguagliato a pena pecuniaria ai sensi dell’art. 135 cod. pen.

Reato – Estinzione (cause di) – Prescrizione – Recidiva reiterata – Rilevanza sul termine di prescrizione.

La Quinta Sezione della Corte di cassazione, con la sentenza del 13/07/2018 (dep. 09/10/2018) n. 45341, pronunciandosi in tema di recidiva reiterata, ha affermato che essa, a differenza dell’aumento di pena che può variare dalla metà ai due terzi, comporta sempre il prolungamento del termine di prescrizione di due terzi, ai sensi dell’art. 161 comma 2, cod. pen. 

Delitti contro la personalità dello Stato – Associazione con finalità di terrorismo – Cellula servente rispetto ad un’organizzazione terroristica internazionale – Rilevanza penale – Condizioni.

La Sesta Sezione, con la sentenza n. 40348 del 23 febbraio 2018 (dep. 11 settembre 2018), ha affermato che, ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 270-bis cod. pen. con riferimento a cellule serventi rispetto ad un’organizzazione terroristica internazionale, è necessaria la prova di un legame effettivo tra le prime e la seconda, pur non essendo richiesto che il singolo gruppo locale sia direttamente impegnato in attività terroristiche.

Reato di istigazione al suicidio – Qualificazione come reato commesso con violenza morale contro la persona – Configurabilità – Conseguenze in materia di archiviazione.

La Sezione Quinta, con la sentenza n. 48360 del 17/09/2018 (dep.23/10/2018), ha affermato che il reato di istigazione al suicidio rientra tra quelli commessi con violenza morale contro la persona, poiché l’istigazione rappresenta una forma subdola di coartazione della volontà altrui, per cui la richiesta di archiviazione deve essere notificata alla persona offesa ai sensi dell’art. 408, comma 3, cod. proc. pen.

Resistenza a pubblico ufficiale – Condotta di violenza o minaccia nei confronti di più pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio – Concorso formale di reati – Configurabilità.

Le Sezioni Unite Penali della Corte di cassazione, con la sentenza n. 40981 del 22/02/2018 (dep. 24/09/2018), hanno affermato che in tema di resistenza a pubblico ufficiale, integra il concorso formale di reati, ai sensi dell’art. 81, comma primo, cod. pen., la condotta di chi usa violenza o minaccia per opporsi a più pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio mentre compiono un atto del proprio ufficio o servizio.

Reato urbanistico e paesaggistico  – Sentenza di non punibilità per particolare tenuità del fatto  – Ordine di rimessione in pristino e ordine di demolizione – Possibilità – Esclusione – Ragioni.

La Terza Sezione, con sentenza n. 48248 del 10/05/2018 (dep.23/10/2018) ha affermato, con riferimento a reato urbanistico (art. 44 d.P.R. n.380/2011) e paesaggistico (art. 181 D.lgs. n.42/2004), che il giudice pronunciando sentenza di non punibilità ai sensi dell’art. 131-bis cod. pen., non può ordinare la rimessione in pristino dello stato dei luoghi o la demolizione delle opere abusive, in quanto non è configurabile il presupposto della sentenza di condanna,  malgrado vi sia un accertamento di responsabilità dell’imputato.

Reato ex art. 5 D.Lgs n. 74 del 2000 – Servizio di trasporto pubblico urbano con offerta di servizi turistici-ricreativi – Operazioni esenti dall’IVA ex art. 10, comma 1, n. 14 del d.p.r. n. 633 del 1972 – Esclusione – Ragioni.

La Terza Sezione della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 46715 del 28 marzo 2018,  dep. il 15 ottobre 2018, ha affermato, in tema di configurabilità del reato di omessa dichiarazione IVA, che la prestazione di trasporto pubblico urbano con contestuale offerta anche di servizi con finalità turistico-ricreative (animazione a bordo, somministrazione di bevande, biglietto di ingresso nelle strutture da visitare), non fruisce del regime di esenzione dall’IVA di cui all’art. 10, comma 1, n. 14 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, poiché tali servizi non possono considerarsi accessori o secondari al trasporto, avendo una loro autonoma utilità. 

Reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale – Responsabilità dei sindaci per omesso controllo sull’operato degli amministratori di una s.r.l. – Potere di segnalare al tribunale le irregolarità di gestione ex art. 2409 cod. civ.  – Sussistenza.

La Sezione Quinta, con la sentenza n. 44107 del 11/05/2018 (dep. 04/10/2018) ha affermato che, nell’ipotesi di reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, i componenti del collegio sindacale di una società a responsabilità limitata possono segnalare al tribunale le irregolarità di gestione degli amministratori ai sensi dell’art. 2409 cod. civ.  

Reato di cui all’art. 12, comma primo, del D.Lgs. n. 286 del 1998 – Natura circostanziale delle fattispecie di cui al comma terzo – Sussistenza – Ragioni.

Le Sezioni Unite Penali della Corte di cassazione, con la sentenza n. 40982 del 21/06/2018 (dep. 24/09/2018), hanno affermato, in tema di disciplina dell’immigrazione, che le fattispecie disciplinate dall’art. 12, comma 3, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, non costituiscono figure autonome di reato, bensì circostanze aggravanti del reato di pericolo di cui all’art. 12, comma 1, del medesimo D.Lgs., poiché si pongono in rapporto di specialità “per aggiunta” con riferimento a fatti che accentuano la lesività della condotta base.

Sequestro  – Reato tributario – Sequestro di conti correnti funzionale alla confisca – Società dichiarata fallita antecedentemente all’emissione del sequestro – Legittimità  – Esclusione- Ragione.

La Terza Sezione della Corte di Cassazione, con la sentenza  n. 45574 del 29/05/2018, dep. il 10/10/2018, ha affermato che è illegittimo il sequestro preventivo, funzionale alla confisca per equivalente del profitto derivante da un reato tributario, delle somme giacenti sui conti correnti intestati alla curatela di una società dichiarata fallita antecedentemente all’emissione della misura cautelare reale, in quanto, a seguito dell’apertura della procedura concorsuale, il fallito è privato del potere di disporre e amministrare i propri beni.

Misure cautelari reali  – Mancata richiesta di riesame – Esercizio del diritto all’appello in assenza di fatti sopravvenuti – Ammissibilità.

Le Sezioni Unite Penali della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 46201 del 31/05/2018, dep. il 11/10/2018, hanno stabilito che, anche in caso di mancata tempestiva proposizione da parte dell’interessato della richiesta di riesame avverso il provvedimento applicativo di una misura cautelare reale, resta intangibile il diritto all’appello  ex dell’art. 322-bis cod. proc. pen., in quanto la mancata richiesta di riesame non preclude la revoca della misura cautelare per la mancanza delle condizioni di applicabilità della stessa, seppur in assenza di fatti sopravvenuti.

Indagini preliminari – Chiusura delle indagini – Archiviazione – Provvedimento con cui il G.i.p. dispone l’imputazione coatta per un reato diverso da quello oggetto della richiesta di archiviazione – Atto abnorme – Ricorribilità per cassazione.

Le Sezioni Unite della Corte di cassazione, con la sentenza del 22/03/2018  (dep. 24/09/2018), n. 40984, hanno affermato che  è ricorribile per cassazione, anche dalla persona sottoposta ad indagine, il provvedimento del giudice per le indagini preliminari che, non accogliendo la richiesta di archiviazione, ordini, ai sensi dell’art. 409, comma 5, cod. proc. pen., al pubblico ministero di formulare l’imputazione per un reato diverso da quello oggetto della richiesta, trattandosi di atto abnorme. 

Procedimenti speciali – Patteggiamento – Sentenza – In genere – Sentenza emessa a norma dell’art. 448, comma primo, cod. proc. pen. – Deposito della motivazione contestualmente alla pronuncia – Necessità – Sussistenza – Termine di impugnazione – Decorrenza.

Le Sezioni unite, con la sentenza del 19 luglio 2018 (dep. 24 settembre 2018), n. 40986, Pittalà, hanno affermato che la motivazione della sentenza di applicazione della pena su richiesta deve essere depositata contestualmente alla sua pronuncia e, in caso di mancato deposito contestuale, anche per l’irrituale indicazione in dispositivo di un termine a tale scopo, il termine di quindici giorni per l’impugnazione della sentenza pronunciata in camera di consiglio, ai sensi degli artt. 585, comma primo, lett. a), e 585, comma secondo, lett. a), cod. proc. pen., decorre – esclusa qualsiasi nullità della sentenza stessa ed indipendentemente dall’osservanza del predetto termine – dall’ultima notificazione o comunicazione dell’avviso di deposito del provvedimento.

Prove – Chiamata di correo – Riscontri esterni – Appartenente ad associazione di stampo mafioso – Prova dei reati-fine- Necessità di riscontri individualizzati e relativi allo specifico fatto contestato – Sussistenza.

La Corte di cassazione, Sezione Sesta, con la sentenza del 11/07/2018 (dep. 10/10/2018), n. 45733, si è pronunciata nel procedimento “stralcio” sulla strage di via Palestro a Milano, attuata per finalità di terrorismo ed eversione dell’ordine costituzionale, confermando l’assoluzione di uno dei presunti concorrenti, in considerazione della ritenuta assenza di riscontri individualizzanti sulla cui base collegare la partecipazione dell’associato allo specifico episodio criminoso posto in essere dal sodalizio criminale.

Processo penale – Giudizio di rinvio dinanzi al giudice civile ex art. 622 cod. proc. pen. – Oggetto e limiti – Prova inutilizzabile nel giudizio penale – Identico regime in quello civile – Ragioni.

La Sesta Sezione, con la sentenza n. 43896 dell’8 febbraio 2018 (dep. 3 ottobre 2018), ha affermato che il giudizio di rinvio avanti al giudice civile in seguito a sentenza della Corte di cassazione in sede penale ex art. 622 cod. proc. pen. costituisce uno sviluppo della decisione di annullamento, nei limiti della quale detto giudice è chiamato a compiere il riesame della controversia, con la conseguenza che la prova ritenuta inutilizzabile nel giudizio penale non può essere utilizzata neppure in quello civile, diversamente realizzandosi una sostanziale violazione dell’accertamento compiuto dal giudice penale.

SICUREZZA PUBBLICA – MISURE DI PREVENZIONE – Revoca o modifica delle prescrizioni – Competenza funzionale del giudice che ha emesso la misura – Sussistenza – Modifiche introdotte dalla l. n. 161 del 2017 – Irrilevanza – Ragioni.

La Prima Sezione della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 39905 del 17 luglio 2018 (dep. 4 settembre 2018), ha affermato che, anche dopo le modifiche introdotte all’art. 5 del Codice antimafia dalla l. 17 ottobre 2017, n. 161, la competenza funzionale a provvedere sulla richiesta di revoca o di modifica delle prescrizioni inerenti ad una misura di prevenzione spetta all’organo giurisdizionale che ha emesso il relativo provvedimento, pur se diverso dal Tribunale distrettuale, a nulla rilevando che la richiesta sia successiva all’entrata in vigore della novella, atteso che la stessa non dà luogo ad un nuovo procedimento da attribuirsi alla cognizione del predetto Tribunale, ma attiene alla fase di esecuzione di un provvedimento già adottato, che resta disciplinata dall’art. 11, comma 2, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159.

Abstract

[CLASSIFICAZIONE]

PROVE (COD. PROC. PEN. 1988) – MEZZI DI RICERCA DELLA PROVA – SEQUESTRI – OGGETTO – Cose costituenti corpo di reato – Decreto di sequestro – Decreto di convalida di sequestro – Motivazione sul presupposto del fine concretamente perseguito per l’accertamento dei fatti – Necessità.

[RIFERIMENTI NORMATIVI]

Costituzione: art. 42

CEDU: art. 1, Protocollo addizionale n. 1

Codice di procedura penale: artt. 253-261, 618 comma 1-bis;

Altri riferimenti normativi: d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 44.

[SENTENZA SEGNALATA]

Cass., Sez. Un., n. 36072 del 27/07/2018

Abstract

La sentenza n.36072/2018 resa dalle Sezioni Unite penali della Corte di Cassazione, nel dare continuità all’indirizzo – già affermato da Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004 – dep. 13/02/2004, P.C. Ferazzi in proc.Bevilacqua, Rv. 226711 – per cui il decreto di sequestro (così come il decreto di convalida di sequestro) probatorio, anche ove abbia ad oggetto cose costituenti corpo di reato, deve contenere una specifica motivazione sulla finalità̀ perseguita per l’accertamento dei fatti, lo ha ritenuto pienamente in linea con i parametri costituzionali e convenzionali, in particolare sottolineando come la portata precettiva degli artt. 42 Cost. e 1 del primo Protocollo addizionale della Convenzione Edu richiede che le ragioni probatorie del vincolo di temporanea indisponibilità della cosa, anche quando la stessa si identifichi nel corpo del reato, siano esplicitate nel provvedimento giudiziario con adeguata motivazione, ciò al fine di garantire il rispetto del principio di proporzionalità rispetto a tutte le misure che incidono su diritti reali, a prescindere dalla natura della res (corpo di reato/cosa ad esso pertinente) oggetto di sequestro.

1. Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Nuoro ha proposto ricorso per cassazione avverso la ordinanza con cui lo stesso Tribunale, in accoglimento della richiesta di riesame del decreto di convalida del sequestro probatorio, avente ad oggetto beni immobili tra cui magazzini ed appartamenti, in relazione ai reati di cui agli artt. 110, cod. pen. e 44 del d.P.R. n. 380 del 2001 (capo a); artt. 110 e 481 cod. pen. (capo b); artt. 110 e 483 cod. pen. (capo c), ha annullato il decreto stesso disponendo la restituzione degli immobili agli aventi diritto.

2. Il P.M. ricorrente lamentava, con un primo motivo, violazione e falsa applicazione dell’art. 253 cod. proc. pen., avendo il Tribunale annullato il provvedimento di convalida del sequestro probatorio ritenendo “obiettivamente insussistente” la motivazione in ordine alle esigenze probatorie a fondamento del sequestro.

2.1. Il P.M. ricorrente dava atto in premessa dell’esistenza di due orientamenti contrapposti della Corte di cassazione (da un lato, quello da ultimo espresso da Sez. 2, n. 52259 del 28/10/2016, Esposito, Rv. 268734, secondo cui il decreto di sequestro probatorio delle cose che costituiscono corpo del reato deve essere sorretto, a pena di nullità, da idonea motivazione in ordine alla sussistenza della relazione di immediatezza tra laressequestrata ed il reato oggetto di indagine, ma non anche in ordine alla necessità di esso in funzione dell’accertamento dei fatti, poiché l’esigenza probatoria del corpo del reato èin re ipsa,e, dall’altro, quello formulato da Sez. 3, n. 1145 del 27/04/2016, Bernardi, Rv. 268736, secondo cui il decreto di sequestro probatorio del corpo di reato deve essere necessariamente sorretto, a pena di nullità, da idonea motivazione in ordine al presupposto della finalità perseguita, in concreto, per l’accertamento dei fatti); osservava quindi che, anche a seguire, come apparentemente fatto dall’ordinanza impugnata, il secondo dei due indirizzi, non si sarebbe tenuto conto della possibilità, comunque affermata, del ricorso, in sede di motivazione, ad una formula sintetica ove la funzione probatoria del corpo del reato sia connotato ontologico ed immanente del compendio sequestrato, di immediata evidenza, desumibile dalla peculiare natura delle cose che lo compongono (Sez. 2, n. 11325 del 18/03/2015, Caruso, Rv. 263130); e, nella specie, sarebbe stata evidente l’esigenza probatoriain re ipsaposto che nei reati edilizi il bene immobile è il corpo del reato avente, quale connotato immanente di immediata percezione, la finalizzazione probatoria, non potendo l’attività investigativa passare se non attraverso una puntuale verifica delle difformità prima facie riscontrate nella fase iniziale dell’indagine.

3. Il P.M. ricorrente deduceva, con un secondo motivo, il vizio di violazione di legge per motivazione apodittica ed apparente contestando l’ordinanza laddove la stessa sembrava avere ritenuto mancante ogni motivazione del decreto di convalida in ordine al fumus dei reati per i quali si procede. Nella specie, deduceva il P.M. ricorrente, ciascuno dei sequestri operati dalla polizia giudiziaria ed oggetto della convalida recava, nel relativo verbale, autonoma e chiara descrizione delle difformità riscontrate con riferimento alle singole porzioni immobiliari, cosicché ciascun sequestro risultava accompagnato da una compiuta indicazione, compatibilmente con la fase procedimentale in atto, delle ragioni che avevano indotto, gli operanti prima ed il pubblico ministero poi, a ritenere sussistente il fumus del reato edilizio.

Il Tribunale, pertanto, non avrebbe tenuto in alcuna considerazione i contenuti dei predetti verbali, integranti, come tali, il decreto di convalida nella misura in cui descrivevano compiutamente, compatibilmente con la fase procedimentale in atto, i fatti per cui si procede.

4. Con ordinanza 1/12/2017 – 25/01/2018, n. 3677 la Terza Sezione penale, rilevata l’esistenza di difformità di orientamenti interpretativi sul punto relativo alla sussistenza e al grado, in caso di sequestro probatorio del corpo di reato, dell’onere di specifica motivazione circa le esigenze probatorie, aveva rimesso il ricorso alle Sezioni Unite.

4.1. Pur dando atto del maggioritario orientamento della giurisprudenza di legittimità, anche a Sezioni Unite, in ordine alla necessità di una specifica motivazione nel caso di sequestro probatorio del “corpo del reato” (da ultimo, Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004, Bevilacqua, Rv. 226711), l’ordinanza di rimessione ha valorizzato in particolare la sentenza di Sez. 3, n. 1145 del 27/04/2016, Bernardi, Rv. 268736, ove, pur stabilendosi che il decreto di sequestro probatorio del corpo di reato deve essere necessariamente sorretto, a pena di nullità, da idonea motivazione in ordine al presupposto della finalità perseguita, in concreto, per l’accertamento dei fatti, si è tuttavia precisato che «è legittimo fare ricorso ad una formula sintetica nel solo caso in cui la funzione probatoria del corpo del reato sia connotato ontologico ed immanente del compendio sequestrato, di immediata evidenza, desumibile dalla peculiare natura delle cose che lo compongono».

5. Le Sezioni Unite, con la sentenza qui segnalata – dopo aver affermato che il disposto dell’art. 618, comma 1 bis, cod. proc. pen. (richiamato nell’ordinanza di rimessione) trova applicazione anche con riferimento alle decisioni intervenute, come nella specie, precedentemente all’entrata in vigore della nuova disposizione (§ 1.1.) – hanno ripercorso, sia pure sinteticamente, il tracciato giurisprudenziale formatosi sulla seguente questione giuridica controversa: “Se, anche per le cose che costituiscono corpo di reato, il decreto di sequestro (o di convalida di sequestro) probatorio debba essere comunque motivato quanto alla finalità in concreto perseguita per l’accertamento dei fatti“.

5.1. Con particolare riguardo alla necessità di una lettura costituzionalmente (art. 42, Cost.) e convenzionalmente (art. 1, protocollo addizionale n. 1 alla Convenzione e.d.u.) orientata, la Corte ha richiamato quanto affermato da Sez. U., n. 5876 del 28/01/2004, Bevilacqua, cit. (nel solco dell’indirizzo inaugurato da Sez. U, n. 10 del 18/06/1991 – dep. 24/07/1991, Raccah, Rv. 187861), ricordando (§ 3.2.) come fosse stato “chiarito come l’assunto in ordine alla necessità di una motivazione del decreto quanto alla finalità perseguita per l’accertamento dei fatti debba considerarsi come l’unica compatibile con i limiti correlati al diritto alla “protezione della proprietà” riconosciuto dall’art. 42 Cost. e dall’art. 1 del primo Protocollo addizionale alla Convenzione Edu: il giusto equilibrio tra i motivi di interesse generale e il sacrificio del diritto del singolo al rispetto dei suoi beni, che il canone costituzionale e quello convenzionale pretendono, sarebbe infatti messo in irrimediabile crisi dall’opposta regola, di legittimità tout court del sequestro probatorio del corpo del reato, indipendentemente da ogni riferimento alla concreta finalità probatoria perseguita; si autorizzerebbe infatti, in tal modo, un vincolo di temporanea indisponibilità della cosa che, al di fuori dell’indicazione dei motivi di interesse pubblico collegati all’accertamento dei fatti di reato, verrebbe arbitrariamente e irragionevolmente ancorato alla circostanza del tutto accidentale di essere questa cosa oggetto sul quale o mediante il quale il reato è stato commesso ovvero prodotto, profitto o prezzo dello stesso”.

6. Nel ritenere, poi, “che una corretta lettura dell’art. 253, comma 1, cod. proc. pen. non possa consentire, nell’ambito dell’onere motivazionale chiaramente espresso dalla norma, differenziazioni di sorta tra corpo del reato da una parte e cose pertinenti al reato dall’altra” (§ 4), la Corte ha ritenuto che l’opzione prescelta fosse pienamente in linea con i parametri costituzionali e convenzionali sopra individuati, sottolineando la “ineludibile necessità di un’interpretazione della norma che tenga conto del requisito della proporzionalità della misura adottata rispetto all’esigenza perseguita, in un corretto bilanciamento dei diversi interessi coinvolti“.

6.1. Già Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004, Bevilacqua, cit., – ricordano le Sezioni Unite nella sentenza qui segnalata – hanno sottolineato come la soluzione nel senso dell’onere motivazionale del sequestro del corpo di reato sarebbe «l’unica compatibile con i limiti dettati all’intervento penale sul terreno delle libertà fondamentali e dei diritti costituzionalmente garantiti dell’individuo», tra cui certamente il diritto alla “protezione della proprietà” riconosciuto dall’art. 42 Cost. e dall’art. 1 del primo Protocollo addizionale alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, aggiungendo che il giusto equilibrio tra i motivi di interesse generale e il sacrificio del diritto del singolo al rispetto dei suoi beni, richiesto dal canone costituzionale e da quello convenzionale, sarebbe altrimenti messo in crisi dall’opposta regola, di legittimità tout court del sequestro probatorio del corpo di reato indipendentemente da ogni riferimento alla concreta finalità probatoria perseguita. Si autorizzerebbe così un vincolo di temporanea indisponibilità della cosa che, al di fuori dell’indicazione dei motivi di interesse pubblico collegati all’accertamento dei fatti di reato, sarebbe arbitrariamente e irragionevolmente ancorato alla circostanza, del tutto accidentale, di essere questa cosa oggetto sul quale o mediante il quale il reato è stato commesso o prodotto profitto o prezzo dello stesso. Tanto più grave poi sarebbe la lesione del principio di ragionevolezza e proporzionalità della misura in ipotesi di cose configurabili come corpo del reato, ma di proprietà della vittima o di terzi estranei alla condotta criminosa.

6.2. Tali ragioni sono state dunque ribadite dalla Corte, segnatamente affermandosi (§ 4.3.) come “la portata precettiva degli artt. 42 Cost. e 1 del primo Protocollo addizionale della Convenzione Edu richiede che le ragioni probatorie del vincolo di temporanea indisponibilità della cosa, anche quando la stessa si identifichi nel corpo del reato, siano esplicitate nel provvedimento giudiziario con adeguata motivazione, allo scopo di garantire che la misura, a fronte delle contestazioni difensive, sia soggetta al permanente controllo di legalità – anche sotto il profilo procedimentale – e di concreta idoneità in ordine all’an e alla sua durata, in particolare per l’aspetto del giusto equilibrio o del ragionevole rapporto di proporzionalità tra il mezzo impiegato, ovvero lo spossessamento del bene, e il fine endoprocessuale perseguito, ovvero l’accertamento del fatto di reato (Corte Edu, 24 ottobre 1986, Agosi c. U.K.).

Ed ogni misura, per dirsi proporzionata all’obiettivo da perseguire, dovrebbe richiedere che ogni interferenza con il pacifico godimento dei beni trovi un giusto equilibrio tra i divergenti interessi in gioco (Corte Edu 13 ottobre 2015, Unsped Paket Servisi SaN. Ve TiC. A. S. c. Bulgaria)“.

6.3. Le Sezioni Unite, aderendo alle indicazioni della più attenta dottrina, hanno quindi sottolineato (§ 4.3.) come «solo valorizzando l’onere motivazionale è possibile…..tenere “sotto controllo” l’intervento penale quanto al rapporto con le libertà fondamentali ed i beni costituzionalmente protetti quali la proprietà e la libera iniziativa economica privata, riconosciuti dall’art. 42 Cost. e dall’art. 1 del Primo protocollo addizionale alla Convenzione Edu, come interpretato dalla Corte Edu; in tale ottica, la motivazione in ordine alla strumentalità della res rispetto all’accertamento penale diventa, allora, requisito indispensabile affinché il decreto di sequestro, per sua vocazione inteso a comprimere il diritto della persona a disporre liberamente dei propri beni, si mantenga appunto nei limiti costituzionalmente e convenzionalmente prefissati e resti assoggettato al controllo di legalità ».

6.4. Infine, le Sezioni Unite hanno aggiunto (§ 4.4.) che «il requisito della proporzionalità della misura, che, nell’ambito dei valori costituzionali, è espressione del principio di ragionevolezza, contiene in sé, inoltre, quello della “residualità” della misura: proprio la necessaria componente della misura di “incisione” sul diritto della persona di disporre liberamente dei propri beni senza limitazioni che non derivino da interessi di altro segno maggiormente meritevoli di tutela (come quelli pubblici, connessi al processo penale, di accertamento dei fatti) contiene necessariamente in sé l’esigenza che al sequestro possa farsi ricorso solo quando allo stesso risultato (nella specie l’accertamento dei fatti appunto) non possa pervenirsi con modalità “meno afflittive”».

6.5. E, sul punto, nel richiamare la giurisprudenza di legittimità che ha ritenuto applicabili anche alle misure cautelari reali i principi di proporzionalità, adeguatezza e gradualità, dettati dall’art. 275 cod. proc. pen. per le misure cautelari personali, le Sezioni Unite non solo hanno mostrato di condividere quelle decisioni che hanno affermato la necessità di evitare che il sequestro preventivo assuma le caratteristiche di misura inutilmente vessatoria, sì che, con riguardo ad esempio all’apprensione di beni immobili, lo stesso deve essere limitato alla cosa o alla parte della cosa effettivamente pertinente al reato ipotizzato e deve essere disposto nei limiti in cui il vincolo imposto serve a garantire la confisca del bene o ad evitare la perpetuazione del reato (Sez. 3, n. 15717 del 11/02/2009, Bianchi, Rv. 243250; più in generale, Sez. 4, n. 18603 del 21/03/2013, Rv. 256068), ma hanno, anche e soprattutto, richiamato a sostegno quella giurisprudenza della Corte di Strasburgo che ha affermato «che il bilanciamento tra i diversi interessi in gioco non potrebbe dirsi soddisfatto se la persona interessata abbia subito un sacrificio “eccessivo” nel suo diritto di proprietà (Corte Edu, 13 ottobre 2015, Unsped Paket Servisi, cit.; Corte Edu 13 dicembre 2016, S.c. Fiercolect Impex S.R.L. C. Romania)».

7. Conclusivamente, dunque, le Sezioni Unite hanno ritenuto che non vi sia «ragione, ….. che una analoga affermazione, formulata con riferimento, come detto, alle “misure” cautelari reali, non possa valere anche con riguardo al sequestro probatorio quale mezzo, invece, di ricerca della prova: infatti, la ragione posta a fondamento di un tale principio (essenzialmente rapportabile alla necessità di evitare limitazioni alla proprietà privata che non siano strettamente conseguenti alla finalità istituzionalmente perseguita dalla misura) deve valere indipendentemente dai fini cui il sequestro è diretto (se cioè impeditivi, come da tali pronunce o, invece, come nella specie, probatori) essendo strettamente collegato all’elemento, comune a tutte tali ipotesi, della componente invasiva nell’altrui sfera personale attinente al diritto di disporre liberamente dei propri beni».

Da ciò, dunque, deriva – per la Corte- “la particolare connotazione della motivazione del provvedimento che dovrà essere funzionale a garantire che le esigenze di accertamento del fatto non possano essere perseguite in altro modo, non limitativo del diritto di disporre del bene ed eventualmente idoneo financo ad esonerare dalla necessità di procedere al sequestro”.

a cura di Luigi Giordano

Reati dei privati contro la Pubblica amministrazione – Reazione ad atti arbitrari del pubblico ufficiale – Art. 393 bis-cod. pen. –  Natura giuridica – Causa di giustificazione – Carattere oggettivo – Atto arbitrario – Nozione.

La Sesta Sezione  della Corte di Cassazione, con la sentenza del 27/04/2018, (deposito del 5/12/2018), n. 54424/18, nel processo c.d. No Tav, ha affermato, tra gli altri principi, che, in tema di reazione all’eccesso arbitrario, l’art. 393 bis-cod. pen. delinea una causa di giustificazione – che opera sul piano oggettivo-  in cui l’arbitrarietà dell’atto non implica necessariamente un “quid pluris” rispetto alla “illegittimità”, essendo sufficienti a qualificare come eccedenti dalle proprie attribuzioni, anche comportamenti  – posti in essere in esecuzione di pubbliche funzioni – di per sé “legittimi” ma caratterizzati da un difetto di congruenza tra le modalità impiegate e le finalità per le quali è attribuita la funzione stessa, in quanto violativi degli elementari doveri di correttezza e civiltà che debbono caratterizzare l’agire dei pubblici ufficiali (Corte cost. n. 140 del 1998).

REATI CONTRO LA FAMIGLIA – DELITTI CONTRO L’ASSISTENZA FAMILIARE -VIOLAZIONE DEGLI OBBLIGHI ECONOMICI – Cessazione del rapporto di convivenza – Omesso versamento dell’assegno per il mantenimento, l’educazione e l’istruzione dei figli – Configurabilità del delitto di cui all’art. 570-bis cod. pen.

La Sesta Sezione penale della Corte di Cassazione, con la sentenza del 24/10/2018 (dep. 12/12/2018), n. 55744, ha affermato che il delitto previsto dall’art. 570-bis cod. pen., introdotto dal d. lgs., 1 marzo 2018, n. 21, è configurabile  anche in caso di violazione degli obblighi di natura patrimoniale stabiliti nei confronti di figli minori nati da genitori non legati da vincolo formale di matrimonio (nello stesso senso, Sez. 6, n. 56080 del 17/10/2018).

DELITTI CONTRO LA PERSONA – Delitto di produzione di materiale pedopornografico – Formulazioni dell’art. 600-ter, comma primo, cod. pen. successive alla legge 6 febbraio 2006, n. 38 – Pericolo di diffusione di detto materiale – Necessità – Esclusione.

Le Sezioni Unite, con la sentenza n. 51815 del 31 maggio 2018 (dep. 15 novembre 2018), hanno affermato che, ai fini della configurabilità del delitto di produzione di materiale pedopornografico, non è più necessario, alla luce delle formulazioni dell’art. 600-ter, comma primo, cod. pen. successive alla legge febbraio 2006, n. 38, l’accertamento del pericolo di diffusione di detto materiale.

STUPEFACENTI – IN GENERE – Legge n. 242 del 2016 – Liceità della coltivazione – Limiti- Cannabis sativa L – Detenzione e cessione dei derivati – Applicabilità del d.P.R. n. 309 del 1990 – Condizioni.

La Sez. VI,  con la sentenza n. 56737 del 27/11/2018 (dep. 17/12/ 2018), ha affermato che la legge 2 dicembre 2016, n. 242, che stabilisce la liceità della coltivazione della cannabis sativa L per finalità espresse e tassative, non si riferisce  anche alla  commercializzazione dei prodotti di tale coltivazione – costituiti dalle inflorescenze ( Marijuana) e dalla resina ( Hashish) –  e, pertanto, le condotte di detenzione illecita e cessione di tali derivati continuano ad essere sottoposte alla disciplina del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, sempre che dette sostanze presentino un effetto drogante rilevabile.

STUPEFACENTI – IN GENERE – Diversa tipologia di sostanza stupefacente detenuta – Fattispecie del fatto di lieve entità – Configurabilità – Ragioni – Applicabilità dell’art. 81 cod. pen. – Esclusione.

In materia di sostanze stupefacenti, le Sezioni unite della Corte di cassazione, con la sentenza del 27/09/2018 (dep. 09/11/2018), n. 51063, hanno affermato che la diversità di sostanze stupefacenti oggetto della condotta non è di per sé ostativa alla configurabilità del reato di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, in quanto è necessario procedere ad una valutazione complessiva degli elementi della fattispecie concreta selezionati in relazione a tutti gli indici sintomatici previsti dalla suddetta disposizione al fine di determinare la lieve entità del fatto, e che la detenzione nel medesimo contesto di sostanze stupefacenti tabellarmente eterogenee, qualificabile nel suo complesso come fatto di lieve entità, integra un unico reato e non una pluralità di reati in concorso tra loro.

SICUREZZA PUBBLICA – MISURE DI PREVENZIONE – SINGOLE MISURE – SORVEGLIANZA SPECIALE – Sopravvenuta detenzione del sottoposto – Sospensione dell’esecuzione della misura – Successiva scarcerazione – Ripristino della misura – Violazione degli obblighi – Reato di cui all’art. 75 del d.lgs. n. 159 del 2011 – Configurabilità – Condizioni.

Le Sezioni unite, con la sentenza n. 51407 del 21/06/2018, Marillo, Rv. 273952, hanno affermato che non è configurabile il reato di reato di violazione degli obblighi inerenti alla sorveglianza speciale, previsto dall’art. 75 del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, nei confronti di un soggetto destinatario di una misura di sorveglianza speciale, la cui esecuzione sia stata sospesa per effetto di una detenzione di lunga durata, in assenza di una rivalutazione dell’attualità e della persistenza della sua pericolosità sociale, da parte del giudice della prevenzione, al momento della nuova sottoposizione alla misura. (In motivazione, la Corte ha rilevato che l’art. 14, comma 2-ter del d.lgs. n. 159 del 2011, introdotto dall’art. 4, comma 1, della legge 17 ottobre 2017, n. 161, recante modifiche al Codice antimafia, ha stabilito che la verifica della pericolosità debba avvenire ad opera del tribunale, anche d’ufficio, dopo la cessazione della detenzione per espiazione di pena che si è protratta per almeno due anni).

REATO DI OMESSA PRESENTAZIONE DELLA DICHIARAZIONE ANNUALE DEI REDDITI – Società estere  – Differenza tra stabile organizzazione occulta (cd. estero-vestizione) e società – schermo – Rilevanza.

La Sezione terza, con la sentenza n. 50151 del 13/07/2018 Cc. (dep. 07/11/2018) Rv. 274090 ha affermato che, in tema di reato di omessa presentazione della dichiarazione annuale dei redditi di cui all’art. 5 del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, si configura la “stabile organizzazione”, da cui deriva l’obbligo fiscale di un soggetto non formalmente residente, nel caso in cui una società estera, con una sede fissa di affari nel territorio italiano, effettua in Italia la sua attività mediante un’organizzazione di persone e di mezzi (cd. estero-vestizione della residenza fiscale); si ha, invece, una “società-schermo”, nell’ipotesi in cui l’ente, anche se allocato formalmente all’estero, è privo di concreta autonomia e costituisce solo una copertura attraverso la quale agisce la persona fisica, titolare effettiva dell’attività economica e, di conseguenza, tenuta agli adempimenti fiscali.

NOTIFICAZIONI – ALL’IMPUTATO – DOMICILIO DETERMINATO – Luogo ove è avvenuta la notifica a mani proprie – Diversità dal domicilio indicato nell’atto – Irrilevanza.

La Prima Sezione della Corte di Cassazione, con la sentenza del 25/06/2018 (dep. 8/11/2018) n. 50973, ha affermato che il domicilio determinato, ai sensi dell’art. 161, comma 2, cod. proc. pen., va individuato nel luogo ove è avvenuta la prima notificazione con consegna a mani proprie, anche se effettuata in luogo diverso dal domicilio indicato sull’atto da notificare ed a condizione che il destinatario abbia omesso di eleggere o dichiarare un diverso domicilio.

ESECUZIONE – IN GENERE – Procedimento di prevenzione – Udienza camerale – Sentenza Corte EDU – Riscontrata violazione processuale – Rimedi – Revisione europea – Ammissibilità – Incidente di esecuzione – Esclusione – Ragioni.

La Prima sezione della Corte di cassazione, con la sentenza del 13/07/2018 (dep. 8/11/2018) n. 50919, ha affermato che il soggetto nei cui confronti la Corte EDU ha dichiarato l’illegittimità del procedimento di prevenzione svoltosi in camera di consiglio anziché in pubblica udienza, può attivare esclusivamente lo strumento della “revisione europea” per conseguire la riapertura del procedimento, mentre è inammissibile l’incidente di esecuzione, in quanto la pronuncia della Corte EDU, attenendo a profili processuali e non sostanziali, non incide direttamente sul giudicato.

SEQUESTRO PREVENTIVO FINALIZZATO ALLA CONFISCA – Società estere  – Differenza tra stabile organizzazione (cd. estero-vestizione della residenza discale) e società – schermo – Rilevanza per la disciplina del sequestro e per la determinazione dell’imposta evasa.

La Sezione terza, con la sentenza n. 50151 del 13/07/2018 Cc. (dep. 07/11/2018) Rv. 274090 ha affermato che, in tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca disposto in relazione a reati tributari, nel caso in cui sia configurabile la “stabile organizzazione” in Italia di una società formalmente residente all’estero (cd. estero-vestizione), a norma dell’art. 12-bis del d.lgs n. 74 del 2000, il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente può essere disposto sui beni dell’imputato, ove non sia stato possibile reperire nei confronti dell’ente il profitto del reato; laddove invece sia ravvisata la costituzione di una “società-schermo”, priva di autonomia e mero strumento di copertura attraverso il quale la persona fisica svolge attività economica, il sequestro preventivo del profitto può essere eseguito, indifferentemente, sia sui beni dell’imputato, sia su quelli della società. (Nella fattispecie, la Corte ha evidenziato che la distinzione rileva anche ai fini dell’individuazione dell’imposta evasa – Irpef, per i redditi delle persone fisiche e Ires per quelli delle società – e della conseguente quantificazione del profitto confiscabile).

PERSONA GIURIDICA – SOCIETA’ – RESPONSABILITA’ DA REATO – MISURE CAUTELARI INTERDITTIVE -APPELLO – REVOCA DELLA MISURA DISPOSTA PER ESECUZIONE DELLE CONDOTTE RIPARATORIE – DICHIARAZIONE DI INAMMISSIBILITA’ DELL’IMPUGNAZIONE PER SOPRAVVENUTA CARENZA DI INTERESSE – PROCEDURA DE PLANO – ESCLUSIONE

Le Sezioni Unite Penali, con la sentenza n. 51515 del 27 settembre 2018, depositata il 14 novembre 2018, hanno affermato che, in tema di impugnazione delle misure cautelari interdittive applicate ai sensi del d. lgs. n. 231 del 2001:

– l’appello avverso una misura interdittiva, che nelle more sia stata revocata a seguito delle condotte riparatorie poste in essere dalla società indagata ai sensi dell’art. 17 d. lgs. n. 231 del 2001, non può essere dichiarato inammissibile de plano secondo la procedura prevista dall’art. 127, comma 9, ma, considerando che la revoca può implicare valutazioni di ordine discrezionale, deve essere deciso nell’udienza camerale e nel contraddittorio delle parti, previamente avvisate;

– la revoca della misura interdittiva disposta a seguito di condotte riparatorie poste in essere ex art. 17 d. lgs. 231 del 2001, intervenuta nelle more dell’appello cautelare proposto nell’interesse della società indagata, non determina automaticamente la sopravvenuta carenza di interesse all’impugnazione.

Nel caso di specie, veniva in rilievo l’interesse della società a conseguire, nel caso di riconoscimento del difetto dei presupposti genetici della misura, la restituzione della cauzione versata al momento della sospensione della misura cautelare di poi revocata, del risarcimento del danno e del profitto del reato messo a disposizione ai sensi dell’art. 17, comma 1, lett. a) e c) del d. lgs. n. 231 del 2001. 

PENA PECUNIARIA INFLITTA DAL GIUDICE DI PACE – Abrogazione dell’art. 42 del D.L.vo n. 274 del 2000 – Competenza a disporre la conversione della pena pecuniaria non pagata – Magistrato di sorveglianza.

La Sez. I, con la sentenza n. 56967 del 2018 (dep. 18 dicembre 2018), ha affermato che la competenza a disporre la conversione della pena pecuniaria non pagata, inflitta dal giudice di pace, è da individuarsi, a seguito della abrogazione dell’art. 42 del D.L.vo n. 274 del 2000, in capo al magistrato di sorveglianza ai sensi dell’art. 660 cod. proc. pen.

COSA GIUDICATA – DIVIETO DI UN SECONDO GIUDIZIO.  Abusi di mercato – Sanzioni formalmente amministrative – Ne bis in idem – Esclusione –  Condizioni – Valutazione della proporzionalità del complessivo trattamento sanzionatorio rimesso al giudice comune.

La Quinta Sezione penale, in tema di abusi di mercato (art. 184 e 187- bis TUF), con la sentenza del 21/09/2018 (dep. 31/10/2018), n.49869, ha affermato che, nel caso in cui la sanzione irrogata da Consob sia già divenuta irrevocabile, la verifica del giudice penale circa la legittimità, rispetto al principio del ne bis in idem, del trattamento sanzionatorio complessivamente irrogato all’autore degli illeciti può comportare esclusivamente la rideterminazione delle sanzioni penali attraverso la disapplicazione in mitius della norma che commina dette sanzioni solo nel minimo edittale. 

[CLASSIFICAZIONE]

PROVE (COD. PROC. PEN. 1988) – MEZZI DI RICERCA DELLA PROVA – SEQUESTRI – OGGETTO – Cose costituenti corpo di reato – Decreto di sequestro – Decreto di convalida di sequestro – Motivazione sul presupposto del fine concretamente perseguito per l’accertamento dei fatti – Necessità.

[RIFERIMENTI NORMATIVI]

Costituzione: art. 42

CEDU: art. 1, Protocollo addizionale n. 1

Codice di procedura penale: artt. 253-261, 618 comma 1-bis;

Altri riferimenti normativi: d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 44.

[SENTENZA SEGNALATA]

Cass., Sez. Un., n. 36072 del 27/07/2018

Abstract

La sentenza n.36072/2018 resa dalle Sezioni Unite penali della Corte di Cassazione, nel dare continuità all’indirizzo – già affermato da Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004 – dep. 13/02/2004, P.C. Ferazzi in proc.Bevilacqua, Rv. 226711 – per cui il decreto di sequestro (così come il decreto di convalida di sequestro) probatorio, anche ove abbia ad oggetto cose costituenti corpo di reato, deve contenere una specifica motivazione sulla finalità̀ perseguita per l’accertamento dei fatti, lo ha ritenuto pienamente in linea con i parametri costituzionali e convenzionali, in particolare sottolineando come la portata precettiva degli artt. 42 Cost. e 1 del primo Protocollo addizionale della Convenzione Edu richiede che le ragioni probatorie del vincolo di temporanea indisponibilità della cosa, anche quando la stessa si identifichi nel corpo del reato, siano esplicitate nel provvedimento giudiziario con adeguata motivazione, ciò al fine di garantire il rispetto del principio di proporzionalità rispetto a tutte le misure che incidono su diritti reali, a prescindere dalla natura della res (corpo di reato/cosa ad esso pertinente) oggetto di sequestro.

1. Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Nuoro ha proposto ricorso per cassazione avverso la ordinanza con cui lo stesso Tribunale, in accoglimento della richiesta di riesame del decreto di convalida del sequestro probatorio, avente ad oggetto beni immobili tra cui magazzini ed appartamenti, in relazione ai reati di cui agli artt. 110, cod. pen. e 44 del d.P.R. n. 380 del 2001 (capo a); artt. 110 e 481 cod. pen. (capo b); artt. 110 e 483 cod. pen. (capo c), ha annullato il decreto stesso disponendo la restituzione degli immobili agli aventi diritto.

2. Il P.M. ricorrente lamentava, con un primo motivo, violazione e falsa applicazione dell’art. 253 cod. proc. pen., avendo il Tribunale annullato il provvedimento di convalida del sequestro probatorio ritenendo “obiettivamente insussistente” la motivazione in ordine alle esigenze probatorie a fondamento del sequestro.

2.1. Il P.M. ricorrente dava atto in premessa dell’esistenza di due orientamenti contrapposti della Corte di cassazione (da un lato, quello da ultimo espresso da Sez. 2, n. 52259 del 28/10/2016, Esposito, Rv. 268734, secondo cui il decreto di sequestro probatorio delle cose che costituiscono corpo del reato deve essere sorretto, a pena di nullità, da idonea motivazione in ordine alla sussistenza della relazione di immediatezza tra laressequestrata ed il reato oggetto di indagine, ma non anche in ordine alla necessità di esso in funzione dell’accertamento dei fatti, poiché l’esigenza probatoria del corpo del reato èin re ipsa,e, dall’altro, quello formulato da Sez. 3, n. 1145 del 27/04/2016, Bernardi, Rv. 268736, secondo cui il decreto di sequestro probatorio del corpo di reato deve essere necessariamente sorretto, a pena di nullità, da idonea motivazione in ordine al presupposto della finalità perseguita, in concreto, per l’accertamento dei fatti); osservava quindi che, anche a seguire, come apparentemente fatto dall’ordinanza impugnata, il secondo dei due indirizzi, non si sarebbe tenuto conto della possibilità, comunque affermata, del ricorso, in sede di motivazione, ad una formula sintetica ove la funzione probatoria del corpo del reato sia connotato ontologico ed immanente del compendio sequestrato, di immediata evidenza, desumibile dalla peculiare natura delle cose che lo compongono (Sez. 2, n. 11325 del 18/03/2015, Caruso, Rv. 263130); e, nella specie, sarebbe stata evidente l’esigenza probatoria in re ipsa posto che nei reati edilizi il bene immobile è il corpo del reato avente, quale connotato immanente di immediata percezione, la finalizzazione probatoria, non potendo l’attività investigativa passare se non attraverso una puntuale verifica delle difformità prima facie riscontrate nella fase iniziale dell’indagine.

3. Il P.M. ricorrente deduceva, con un secondo motivo, il vizio di violazione di legge per motivazione apodittica ed apparente contestando l’ordinanza laddove la stessa sembrava avere ritenuto mancante ogni motivazione del decreto di convalida in ordine al fumus dei reati per i quali si procede. Nella specie, deduceva il P.M. ricorrente, ciascuno dei sequestri operati dalla polizia giudiziaria ed oggetto della convalida recava, nel relativo verbale, autonoma e chiara descrizione delle difformità riscontrate con riferimento alle singole porzioni immobiliari, cosicché ciascun sequestro risultava accompagnato da una compiuta indicazione, compatibilmente con la fase procedimentale in atto, delle ragioni che avevano indotto, gli operanti prima ed il pubblico ministero poi, a ritenere sussistente il fumus del reato edilizio.

Il Tribunale, pertanto, non avrebbe tenuto in alcuna considerazione i contenuti dei predetti verbali, integranti, come tali, il decreto di convalida nella misura in cui descrivevano compiutamente, compatibilmente con la fase procedimentale in atto, i fatti per cui si procede.

4. Con ordinanza 1/12/2017 – 25/01/2018, n. 3677 la Terza Sezione penale, rilevata l’esistenza di difformità di orientamenti interpretativi sul punto relativo alla sussistenza e al grado, in caso di sequestro probatorio del corpo di reato, dell’onere di specifica motivazione circa le esigenze probatorie, aveva rimesso il ricorso alle Sezioni Unite.

4.1. Pur dando atto del maggioritario orientamento della giurisprudenza di legittimità, anche a Sezioni Unite, in ordine alla necessità di una specifica motivazione nel caso di sequestro probatorio del “corpo del reato” (da ultimo, Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004, Bevilacqua, Rv. 226711), l’ordinanza di rimessione ha valorizzato in particolare la sentenza di Sez. 3, n. 1145 del 27/04/2016, Bernardi, Rv. 268736, ove, pur stabilendosi che il decreto di sequestro probatorio del corpo di reato deve essere necessariamente sorretto, a pena di nullità, da idonea motivazione in ordine al presupposto della finalità perseguita, in concreto, per l’accertamento dei fatti, si è tuttavia precisato che «è legittimo fare ricorso ad una formula sintetica nel solo caso in cui la funzione probatoria del corpo del reato sia connotato ontologico ed immanente del compendio sequestrato, di immediata evidenza, desumibile dalla peculiare natura delle cose che lo compongono».

5. Le Sezioni Unite, con la sentenza qui segnalata – dopo aver affermato che il disposto dell’art. 618, comma 1 bis, cod. proc. pen. (richiamato nell’ordinanza di rimessione) trova applicazione anche con riferimento alle decisioni intervenute, come nella specie, precedentemente all’entrata in vigore della nuova disposizione (§ 1.1.) – hanno ripercorso, sia pure sinteticamente, il tracciato giurisprudenziale formatosi sulla seguente questione giuridica controversa: “Se, anche per le cose che costituiscono corpo di reato, il decreto di sequestro (o di convalida di sequestro) probatorio debba essere comunque motivato quanto alla finalità in concreto perseguita per l’accertamento dei fatti“.

5.1. Con particolare riguardo alla necessità di una lettura costituzionalmente (art. 42, Cost.) e convenzionalmente (art. 1, protocollo addizionale n. 1 alla Convenzione e.d.u.) orientata, la Corte ha richiamato quanto affermato da Sez. U., n. 5876 del 28/01/2004, Bevilacqua, cit. (nel solco dell’indirizzo inaugurato da Sez. U, n. 10 del 18/06/1991 – dep. 24/07/1991, Raccah, Rv. 187861), ricordando (§ 3.2.) come fosse stato “chiarito come l’assunto in ordine alla necessità di una motivazione del decreto quanto alla finalità perseguita per l’accertamento dei fatti debba considerarsi come l’unica compatibile con i limiti correlati al diritto alla “protezione della proprietà” riconosciuto dall’art. 42 Cost. e dall’art. 1 del primo Protocollo addizionale alla Convenzione Edu: il giusto equilibrio tra i motivi di interesse generale e il sacrificio del diritto del singolo al rispetto dei suoi beni, che il canone costituzionale e quello convenzionale pretendono, sarebbe infatti messo in irrimediabile crisi dall’opposta regola, di legittimità tout court del sequestro probatorio del corpo del reato, indipendentemente da ogni riferimento alla concreta finalità probatoria perseguita; si autorizzerebbe infatti, in tal modo, un vincolo di temporanea indisponibilità della cosa che, al di fuori dell’indicazione dei motivi di interesse pubblico collegati all’accertamento dei fatti di reato, verrebbe arbitrariamente e irragionevolmente ancorato alla circostanza del tutto accidentale di essere questa cosa oggetto sul quale o mediante il quale il reato è stato commesso ovvero prodotto, profitto o prezzo dello stesso“.

6. Nel ritenere, poi, “che una corretta lettura dell’art. 253, comma 1, cod. proc. pen. non possa consentire, nell’ambito dell’onere motivazionale chiaramente espresso dalla norma, differenziazioni di sorta tra corpo del reato da una parte e cose pertinenti al reato dall’altra” (§ 4), la Corte ha ritenuto che l’opzione prescelta fosse pienamente in linea con i parametri costituzionali e convenzionali sopra individuati, sottolineando la “ineludibile necessità di un’interpretazione della norma che tenga conto del requisito della proporzionalità della misura adottata rispetto all’esigenza perseguita, in un corretto bilanciamento dei diversi interessi coinvolti“.

6.1. Già Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004, Bevilacqua, cit., – ricordano le Sezioni Unite nella sentenza qui segnalata – hanno sottolineato come la soluzione nel senso dell’onere motivazionale del sequestro del corpo di reato sarebbe «l’unica compatibile con i limiti dettati all’intervento penale sul terreno delle libertà fondamentali e dei diritti costituzionalmente garantiti dell’individuo», tra cui certamente il diritto alla “protezione della proprietà” riconosciuto dall’art. 42 Cost. e dall’art. 1 del primo Protocollo addizionale alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, aggiungendo che il giusto equilibrio tra i motivi di interesse generale e il sacrificio del diritto del singolo al rispetto dei suoi beni, richiesto dal canone costituzionale e da quello convenzionale, sarebbe altrimenti messo in crisi dall’opposta regola, di legittimità tout court del sequestro probatorio del corpo di reato indipendentemente da ogni riferimento alla concreta finalità probatoria perseguita. Si autorizzerebbe così un vincolo di temporanea indisponibilità della cosa che, al di fuori dell’indicazione dei motivi di interesse pubblico collegati all’accertamento dei fatti di reato, sarebbe arbitrariamente e irragionevolmente ancorato alla circostanza, del tutto accidentale, di essere questa cosa oggetto sul quale o mediante il quale il reato è stato commesso o prodotto profitto o prezzo dello stesso. Tanto più grave poi sarebbe la lesione del principio di ragionevolezza e proporzionalità della misura in ipotesi di cose configurabili come corpo del reato, ma di proprietà della vittima o di terzi estranei alla condotta criminosa.

6.2. Tali ragioni sono state dunque ribadite dalla Corte, segnatamente affermandosi (§ 4.3.) come “la portata precettiva degli artt. 42 Cost. e 1 del primo Protocollo addizionale della Convenzione Edu richiede che le ragioni probatorie del vincolo di temporanea indisponibilità della cosa, anche quando la stessa si identifichi nel corpo del reato, siano esplicitate nel provvedimento giudiziario con adeguata motivazione, allo scopo di garantire che la misura, a fronte delle contestazioni difensive, sia soggetta al permanente controllo di legalità – anche sotto il profilo procedimentale – e di concreta idoneità in ordine all’an e alla sua durata, in particolare per l’aspetto del giusto equilibrio o del ragionevole rapporto di proporzionalità tra il mezzo impiegato, ovvero lo spossessamento del bene, e il fine endoprocessuale perseguito, ovvero l’accertamento del fatto di reato (Corte Edu, 24 ottobre 1986, Agosi c. U.K.).

Ed ogni misura, per dirsi proporzionata all’obiettivo da perseguire, dovrebbe richiedere che ogni interferenza con il pacifico godimento dei beni trovi un giusto equilibrio tra i divergenti interessi in gioco (Corte Edu 13 ottobre 2015, Unsped Paket Servisi SaN. Ve TiC. A. S. c. Bulgaria)“.

6.3. Le Sezioni Unite, aderendo alle indicazioni della più attenta dottrina, hanno quindi sottolineato (§ 4.3.) come «solo valorizzando l’onere motivazionale è possibile…..tenere “sotto controllo” l’intervento penale quanto al rapporto con le libertà fondamentali ed i beni costituzionalmente protetti quali la proprietà e la libera iniziativa economica privata, riconosciuti dall’art. 42 Cost. e dall’art. 1 del Primo protocollo addizionale alla Convenzione Edu, come interpretato dalla Corte Edu; in tale ottica, la motivazione in ordine alla strumentalità della res rispetto all’accertamento penale diventa, allora, requisito indispensabile affinché il decreto di sequestro, per sua vocazione inteso a comprimere il diritto della persona a disporre liberamente dei propri beni, si mantenga appunto nei limiti costituzionalmente e convenzionalmente prefissati e resti assoggettato al controllo di legalità ».

6.4. Infine, le Sezioni Unite hanno aggiunto (§ 4.4.) che «il requisito della proporzionalità della misura, che, nell’ambito dei valori costituzionali, è espressione del principio di ragionevolezza, contiene in sé, inoltre, quello della “residualità” della misura: proprio la necessaria componente della misura di “incisione” sul diritto della persona di disporre liberamente dei propri beni senza limitazioni che non derivino da interessi di altro segno maggiormente meritevoli di tutela (come quelli pubblici, connessi al processo penale, di accertamento dei fatti) contiene necessariamente in sé l’esigenza che al sequestro possa farsi ricorso solo quando allo stesso risultato (nella specie l’accertamento dei fatti appunto) non possa pervenirsi con modalità “meno afflittive“».

6.5. E, sul punto, nel richiamare la giurisprudenza di legittimità che ha ritenuto applicabili anche alle misure cautelari reali i principi di proporzionalità, adeguatezza e gradualità, dettati dall’art. 275 cod. proc. pen. per le misure cautelari personali, le Sezioni Unite non solo hanno mostrato di condividere quelle decisioni che hanno affermato la necessità di evitare che il sequestro preventivo assuma le caratteristiche di misura inutilmente vessatoria, sì che, con riguardo ad esempio all’apprensione di beni immobili, lo stesso deve essere limitato alla cosa o alla parte della cosa effettivamente pertinente al reato ipotizzato e deve essere disposto nei limiti in cui il vincolo imposto serve a garantire la confisca del bene o ad evitare la perpetuazione del reato (Sez. 3, n. 15717 del 11/02/2009, Bianchi, Rv. 243250; più in generale, Sez. 4, n. 18603 del 21/03/2013, Rv. 256068), ma hanno, anche e soprattutto, richiamato a sostegno quella giurisprudenza della Corte di Strasburgo che ha affermato «che il bilanciamento tra i diversi interessi in gioco non potrebbe dirsi soddisfatto se la persona interessata abbia subito un sacrificio “eccessivo” nel suo diritto di proprietà (Corte Edu, 13 ottobre 2015, Unsped Paket Servisi, cit.; Corte Edu 13 dicembre 2016, S.c. Fiercolect Impex S.R.L. C. Romania)».

7. Conclusivamente, dunque, le Sezioni Unite hanno ritenuto che non vi sia «ragione, ….. che una analoga affermazione, formulata con riferimento, come detto, alle “misure” cautelari reali, non possa valere anche con riguardo al sequestro probatorio quale mezzo, invece, di ricerca della prova: infatti, la ragione posta a fondamento di un tale principio (essenzialmente rapportabile alla necessità di evitare limitazioni alla proprietà privata che non siano strettamente conseguenti alla finalità istituzionalmente perseguita dalla misura) deve valere indipendentemente dai fini cui il sequestro è diretto (se cioè impeditivi, come da tali pronunce o, invece, come nella specie, probatori) essendo strettamente collegato all’elemento, comune a tutte tali ipotesi, della componente invasiva nell’altrui sfera personale attinente al diritto di disporre liberamente dei propri beni».

Da ciò, dunque, deriva – per la Corte- “la particolare connotazione della motivazione del provvedimento che dovrà essere funzionale a garantire che le esigenze di accertamento del fatto non possano essere perseguite in altro modo, non limitativo del diritto di disporre del bene ed eventualmente idoneo financo ad esonerare dalla necessità di procedere al sequestro”.

a cura di Luigi Giordano

REATO CONTINUATO – ABERRATIO ICTUS – Reato aberrante compreso nella sequenza criminosa – Medesimo disegno criminoso – Configurabilità – Ragioni.

In tema di reato continuato, la Prima sezione penale, con la sentenza n. 4119 del 15 gennaio 2019 (dep. 28 gennaio 2019), ha affermato che il medesimo disegno criminoso può configurarsi anche quando uno dei reati facenti parte dell’ideazione e programmazione unitaria abbia avuto esito aberrante rispetto all’originaria determinazione, in quanto, per un mero errore esecutivo, l’evento voluto dall’agente si sia verificato in danno di una persona diversa da quella alla quale l’offesa era diretta, atteso che l’accidentale mutamento dell’oggetto materiale della condotta non incide sull’elemento soggettivo che sorregge l’istituto.

DELITTI CONTRO LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – CORRUZIONE – Corruzione per l’esercizio della funzione – Reato di pericolo – Corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio – Distinzione.

In tema di corruzione per l’esercizio della funzione, la Sesta sezione penale, con la sentenza n. 4486 del 11 dicembre 2018 (dep. 29 gennaio 2019), ha affermato che, a seguito della riformulazione operata dalla legge 6 novembre 2012, n. 190, la fattispecie di cui all’art. 318 cod. pen., si caratterizza quale reato di pericolo presunto volto a prevenire la compravendita degli atti di ufficio e a garantire il corretto funzionamento e l’imparzialità della pubblica amministrazione, distinguendosi, secondo un criterio di progressione criminosa, dalla fattispecie di cui all’art. 319 cod. pen. che integra, invece, un reato di danno, nel quale la dazione, essendo connessa sinallagmaticamente al compimento di uno specifico atto contrario ai doveri d’ufficio, realizza la concreta lesione del bene giuridico protetto, meritando perciò una pena più severa.

REATI CONTRO LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – DELITTI DEI PRIVATI – REAZIONE AD ATTI ARBITRARI DEL PUBBLICO UFFICIALE – Arbitrarietà ritenuta dall’imputato per errore di fatto – Rilevanza esimente – Sussistenza – Ragioni – Condizioni.

La Sesta sezione penale, con la sentenza  n. 4457 del 16 ottobre 2018 (dep. 29 gennaio 2019), ha affermato che la causa di non punibilità prevista dall’art. 393-bis cod. pen., interpretata secondo i principi di lealtà e reciproca fiducia che devono improntare l’assetto costituzionale dei rapporti tra il cittadino e l’autorità (v. Corte cost., sent. n. 140 del 1998), integra una vera e propria causa di giustificazione, fondata sul diritto del cittadino di reagire all’aggressione arbitraria dei propri diritti e può pertanto essere applicata anche nelle ipotesi di cui all’art. 59, comma quarto, cod. pen., quando il soggetto abbia allegato dati concreti, suffraganti il proprio ragionevole convincimento di essersi trovato di fronte ad una situazione di fatto che, se effettiva, avrebbe costituito atto arbitrario del pubblico ufficiale. (In motivazione, la Corte ha precisato che compete al giudice di merito la valutazione ex ante delle concrete modalità del fatto contestato e di tutti gli antecedenti che possono aver avuto concreta incidenza sull’insorgere dell’erroneo convincimento del cittadino di dover reagire ad un atto arbitrario).

SPORT – Misura di prevenzione di cui all’art. 6 della legge n. 401 del 1989 – Cessazione della squadra di calcio – Obbligo di presentazione ad un ufficio o comando di polizia – Permanenza – Esclusione – Costituzione di nuova società sportiva – Rilevanza – Esclusione.

In tema di misure volte alla prevenzione di fenomeni di violenza collegati a manifestazioni sportive, la Terza sezione penale, con la sentenza n. 3972 del 17/10/2018, dep. il 28/01/2019, ha affermato che l’efficacia del provvedimento del Questore, impositivo dell’obbligo di presentazione ad un ufficio o comando di polizia in occasione dello svolgimento di manifestazioni sportive, viene meno in caso di cessazione della squadra di calcio alla disputa delle cui partite sia legato tale obbligo, essendo altresì irrilevante l’eventuale costituzione di una nuova società sportiva.

CIRCOLAZIONE STRADALE (NUOVO CODICE) – NORME DI COMPORTAMENTO – INCIDENTE – Reati di fuga e di omissione di soccorso stradale – Attenuante ex art. 62, n. 6, cod. pen. – Applicabilità – Esclusione – Ragioni.

In tema di circolazione stradale, la Quarta Sezione penale della Corte di cassazione, con la sentenza n. 5050 del 17/01/2019, dep. 01/02/2019, ha affermato che la circostanza attenuante dell’integrale riparazione del danno non è applicabile ai reati di fuga e di omissione di soccorso, trattandosi di reati di pericolo.

CIRCOLAZIONE STRADALE (NUOVO CODICE) – NORME DI COMPORTAMENTO – CIRCOLAZIONE – GUIDA IN STATO DI EBBREZZA – DA ALCOOL – Sostituzione della pena con il lavoro di pubblica utilità – Presupposti -Mancata opposizione dell’imputato – Sufficienza – Adesione espressa del difensore – Procura speciale – Necessità – Esclusione.

La Sezione prima, con sentenza n. 58485 del 10 ottobre 2018 (dep. 28 dicembre 2018), ha affermato che, ai fini della sostituzione della pena detentiva e pecuniaria con quella del lavoro di pubblica utilità ai sensi dell’art. 189, comma 9-bis, del d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285 (codice della strada), è sufficiente la mancata opposizione da parte dell’imputato, non essendo necessaria la sua espressa adesione, la quale, tuttavia, qualora sia comunque manifestata con atto scritto, può provenire anche dal difensore privo di procura speciale.

EDILIZIA – IN GENERE –  Lottizzazione abusiva – Proscioglimento per intervenuta prescrizione – Confisca delle aree e dei terreni abusivamente lottizzati – Possibilità – Condizioni.

 La Terza Sezione penale della Corte di cassazione, con la sentenza n. 5936 del 08/11/2018 (dep. 07/02/2019), ha affermato che in base alla nuova disposizione di cui all’art. 578-bis cod. proc. pen., ed alla luce della pronuncia della Grande Camera della Corte EDU del 28 giugno 2018, G.I.E.M. S.r.l. contro Italia, il proscioglimento per intervenuta prescrizione, maturato nel corso del processo, non osta alla confisca del bene oggetto di lottizzazione abusiva, a condizione che la relativa decisione abbia accertato l’esistenza del reato e la colpevolezza dell’imputato attuando tutte le garanzie proprie delle pronunce formali di condanna, attesa la natura “sostanzialmente penale” della sanzione irrogata, ai sensi dell’art. 4 del Protocollo n. 7 della Convenzione EDU.

EDILIZIA – Costruzione in zona sottoposta a vincolo paesaggistico – Compatibilità con la destinazione urbanistica – Valutazione – Previsioni del d. lgs. 23 maggio 2011, n. 79 – Rilevanza – Esclusione.

In tema di violazione degli artt. 44, comma 1, lett. c) del d.P.R. n. 380 del 2001 e 181 del d. lgs. n. 42 del 2004, la Terza sezione penale, con la sentenza n. 4237 del 20 novembre 2018 (dep. 29 gennaio 2019), ha affermato che la compatibilità urbanistica di un intervento edilizio non può essere determinata sulla base delle previsioni del d. lgs. 23 maggio 2011, n. 79 (codice del turismo), poiché l’ambito applicativo di detta fonte è l’esercizio unitario delle funzioni amministrative in materia di turismo ed esclusivamente a tale finalità rispondono le classificazioni ivi contenute, che in alcun modo incidono sulla destinazione urbanistica del territorio, così come definita dagli strumenti di pianificazione. (In applicazione del principio, la Corte ha annullato con rinvio il provvedimento del tribunale del riesame che, sulla sola base delle previsioni del codice del turismo, aveva annullato un decreto di sequestro preventivo di un fabbricato destinato ad appartamenti per vacanze, realizzato, in assenza di autorizzazione paesaggistica e ambientale, in un’area classificata come zona RUA dal Piano territoriale paesistico Cilento – costiero).

STUPEFACENTI – IN GENERE – Legge n. 242 del 2016 – Liceità della coltivazione della cannabis sativa L. – Conseguenze – Vendita al dettaglio dei prodotti derivati – Applicabilità del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 – Esclusione – Fattispecie.

La Sesta sezione della Corte di cassazione, con la sentenza del 29/11/2018 (dep. 31/1/2019), n. 4920, ha affermato che dalla liceità della coltivazione della cannabis sativa L., alla stregua della legge 2 dicembre 2016, n. 242, discende, quale corollario logico-giuridico, la liceità della commercializzazione al dettaglio dei relativi prodotti contenenti un principio attivo THC inferiore allo 0.6 %, che pertanto non possono più essere considerati sostanza stupefacente soggetta alla disciplina del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, al pari di altre varietà vegetali che non rientrano tra quelle inserite nelle tabelle allegate al predetto d.P.R. (Fattispecie in tema di sequestro preventivo, in cui la Corte ha ritenuto insussistente il requisito del “fumus” del reato di cui all’art. 73, comma 4, d.P.R. 309 del 1990, in relazione alla commercializzazione di infiorescenze di cannabis sativa contenenti THC con un valore medio inferiore allo 0,6%). Con successiva ordinanza della Sezione Quarta la questione è stata rimessa alle Sezioni Unite.

MISURE CAUTELARI – PERSONALI – ESTINZIONE – TERMINE DI DURATA MASSIMA DELLA CUSTODIA CAUTELARE – IN GENERE – Regressione del procedimento per annullamento con rinvio da parte della Corte di cassazione o per altra causa – Computo dei termini relativi a fasi pregresse definitivamente esaurite – Possibilità – Esclusione.

In tema di durata della custodia cautelare, la Terza sezione penale, con la sentenza n. 3981 del 25/09/2018, dep. il 28/01/2019, ha affermato che, nell’ipotesi di regressione del procedimento, a seguito di annullamento con rinvio da parte della Corte di cassazione, o per altra causa, il limite costituito dal doppio dei termini di fase ex art. 304, comma 6 cod. proc. pen., si determina tenendo conto, oltre che dei tempi di custodia maturati dall’imputato nella medesima fase del procedimento prima della regressione, anche di quelli sofferti durante la pendenza del procedimento in cassazione, ma non del tempo decorso nelle fasi ormai definitivamente esaurite. (Fattispecie relativa a regressione del procedimento al giudizio di appello, in cui la Corte ha escluso che potesse tenersi conto dei periodi di custodia sofferti nella fase delle indagini preliminari e in quella del giudizio di primo grado). 

IMPUGNAZIONI – REVISIONE – IN GENERE –  Sentenza di estinzione del reato per prescrizione con conferma delle statuizioni civili – Assoggettabilità a revisione – Possibilità.

Le Sezioni unite della Corte di cassazione, con la sentenza n. 6141 del 25/10/2018 (dep. 07/02/2019), hanno affermato che è ammissibile, sia agli effetti penali che agli effetti civili, la revisione, richiesta ai sensi dell’art. 630, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., della sentenza del giudice dell’appello che, decidendo anche sull’impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi concernenti gli interessi civili, in applicazione della disciplina dettata dall’art. 578 cod. proc. pen., abbia prosciolto l’imputato per l’intervenuta prescrizione del reato, e contestualmente confermato la sua condanna al risarcimento del danno nei confronti della parte civile.

SENTENZE PENALI STRANIERE – RICONOSCIMENTO – Sentenza emessa sulla base di disciplina processuale che non prevede, per la gravità del reato, l’accesso a riti speciali premiali – Legittimità – Ragioni.

La Sesta Sezione, con la sentenza  n. 6949 del 5 febbraio 2019 (dep. 13 febbraio 2019), ha affermato che è legittimo il riconoscimento di una sentenza straniera all’esito di un processo che non consente all’imputato, in ragione della gravità del reato, di accedere a riti speciali di natura premiale, non configurandosi una violazione dei principi fondamentali dell’ordinamento italiano in relazione alla disciplina processuale di uno Stato che limita l’ammissione a tali riti soltanto al caso in cui si proceda per una categoria di reati meno gravi.

RAPPORTI GIURISDIZIONALI CON AUTORITA’ STRANIERE – ESTRADIZIONE PER L’ESTERO – IN GENERE – Impossibilità della consegna per ragioni di salute – Sospensione del termine di durata della misura cautelare – Legittimità.

In tema di estradizione passiva, la Sesta sezione penale della Corte di cassazione, con la sentenza n. 2446 del 6/12/2018, dep. il 18/01/2019,  ha affermato che, anche a seguito della introduzione dell’art. 705, comma 2, lett. c-bis) cod. proc. pen., ad opera del d.lgs. 3 ottobre 2017, n. 149, la transitoria impossibilità di consegna dell’estradando per ragioni di salute legittima la sospensione del termine di durata della misura cautelare personale applicata ai fini della sua estradizione, ferma restando la necessità del controllo giurisdizionale, sollecitato dal Ministro della giustizia, sul mantenimento della misura stessa sino al momento dell’esecuzione della consegna.

ORDINAMENTO PENITENZIARIO – Libertà controllata – Benefici penitenziari – Art. 54 ord. pen. –  Possibilità di concessione della liberazione anticipata – Esclusione.

La Prima Sezione penale, con la sentenza del 15/11/2018, n. 2895 (dep. 22/01/2019) in tema di benefici penitenziari (art. 54 ord. pen.), ha affermato che in caso di libertà controllata non è possibile applicare la disciplina della liberazione anticipata, difettando nella libertà controllata uno stato detentivo o anche una mera affinità con esso, così come un’osservazione personologica diretta alla verifica della partecipazione all’opera rieducativa. 

ISTITUTI DI PREVENZIONE E DI PENA (ORDINAMENTO PENITENZIARIO) – Misure alternative alla detenzione – Affidamento in prova al servizio sociale – Parametri di valutazione – Indicazione – Breve durata della pena da espiare – Esclusione.

La Prima Sezione della Corte di Cassazione, con sentenza del 13/11/2018 (dep. 10/01/2019), n. 1032, ha affermato che un’istanza di affidamento in prova al servizio sociale non può essere rigettata sul mero rilievo della breve durata della pena da espiare, atteso che tale misura alternativa, essendo finalizzata a evitare il ricorso allo strumento carcerario ove in concreto meno idoneo al conseguimento della finalità rieducativa, può essere concessa se ritenuta utile a favorire il reinserimento sociale del condannato e ad assicurare la prevenzione del pericolo di recidiva.

[CLASSIFICAZIONE]

DIRITTO AL CONTRADDITTORIO DEL TERZO E STATUIZIONI DI CONFISCA

[RIFERIMENTI NORMATIVI]

Costituzione, artt. 3, 24, 42, 111 e 117;

Convenzione EDU, art. 7

Primo Protocollo addizionale alla Convenzione EDU, art.1;

Codice di procedura penale, artt.573, 579, comma 3, 593; art.  104-bis, comma 1-quinquies, disp. att.

[SENTENZA SEGNALATA]

Cass. pen., Sez. II, sentenza 12.10.2018, dep. 28.11.2018, n. 53384, Bossi ed altri

Confisca disposta in primo grado in danno del terzo estraneo al procedimento – Legittimazione all’appello – Esclusione – Rimedi possibili in favore del terzo – Fattispecie.

Abstract. La II sezione penale (sentenza n. 53384 del 12/10/2018, dep. 28/11/2018, allo stato non massimata) ha ritenuto che il sistema di garanzie processuali concesso al terzo nel sistema normativo attualmente vigente è ritenersi conforme ai principi costituzionali e convenzionali anche nei casi in cui non sia prevista la sua partecipazione al giudizio di cognizione, non imponendosi affatto l’applicazione analogica o evolutiva di altri modelli processuali, e non traendosi contrarie indicazioni dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo.

1.Nel caso esaminato dalla sentenza n. 53384/18 cit., la Corte d’appello procedente aveva dichiarato inammissibile l’appello proposto dalla Lega Nord per l’indipendenza della Padania (d’ora in avanti, Lega Nord) contro la statuizione pronunciata in primo grado nei suoi confronti, di confisca “ai sensi degli artt. 640-quater e 322-ter, comma 2, cod. pen.”, delle somme corrispondenti al profitto dei reati di truffa ascritti ai quattro imputati, dichiarati colpevoli, nelle rispettive qualità, legate alla posizione di ciascuno nell’ambito del predetto partito, di vari fatti di truffa aggravata ex artt. 640-bis e 61, comma 1, n. 7, c.p. in relazione all’indebito conseguimento di rimborsi elettorali relativi a più esercizi annuali, per un ammontare complessivo di oltre 48 milioni di euro, con pari danno per le istituzioni parlamentari.

La Corte d’appello evidenziava, in particolare, che il partito appellante non era stato parte del giudizio di primo grado, e che comunque non apparteneva alla categoria dei soggetti legittimati all’impugnazione sullo specifico capo della confisca.

1.1.Contro la declaratoria d’inammissibilità dell’appello, la Lega Nord aveva proposto ricorso per cassazione, lamentando che:

– il titolo legittimante dell’appello sarebbe costituito dall’art. 104-bis, comma 1-quinquies, disp. att. c.p.p., introdotto con D. Lgs. n. 21 del 2018, ed a norma del quale <<Nel processo di cognizione devono essere citati i terzi titolari di diritti reali o personali di godimento sui beni in sequestro, di cui l’imputato risulti avere la disponibilità a qualsiasi titolo>>;

 – i rimedi a favore del terzo ipotizzati nell’ordinanza impugnata (destinati ad esplicarsi in fase cautelare e, successivamente, nell’ambito del solo processo di esecuzione) non sarebbero adeguati alla necessità di tutela degli interessi coinvolti, poiché solo la partecipazione del terzo al giudizio di cognizione assicurerebbe l’effettività della tutela degli interessi del terzo;

– la tutela del terzo subirebbe un’ingiustificata lesione nel caso in cui (come accaduto in concreto) la confisca sia disposta per la prima volta in sede di cognizione, in difetto di un previo sequestro cautelare, poiché il terzo, legittimato a contestare in sede cautelare tutti i presupposti del sequestro, tra cui la stessa configurabilità del reato e l’individuazione e la quantificazione del profitto, dopo la sentenza di primo grado non potrebbe rimettere in discussione ciò che ha formato oggetto di accertamento nel giudizio di merito.

Aveva, in subordine, sollevato questione di legittimità costituzionale:

– degli artt. 573 – 579, comma 3 – 593 c.p.p., in relazione agli artt. 3, 24, 42, 111 e 117 Cost., nella parte in cui le norme censurate non prevedono, in favore “di terzi incisi nei diritto di proprietà per effetto di una sentenza di primo grado, la facoltà di proporre appello sul solo capo contenente la statuizione di confisca“;

– dell’art. 104-bis, comma 1-quinquies, disp. att. c.p.p., sempre in relazione agli artt. 3, 24, 42, 111 e 117 Cost., nella parte in cui la norma non prevede la citazione in giudizio di terzi titolari di diritti reali o di godimento sui beni in sequestro ai fini della confisca ex art. 240 c.p.

Infine, con successiva memoria, aveva invocato, a sostegno dell’accoglimento del ricorso principale, la sentenza emessa dalla Corte EDU, Grande Chambre, 28 Giugno 2018, caso G.I.E.M. s.r.l. ed altri contro Italia, depositata nelle more, e con la quale è stato affermato che la confisca disposta in danno di un soggetto che non è stato parte del procedimento di cognizione viola l’art. 7 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (d’ora in avanti «Convenzione EDU»), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848.

2. Il collegio hapremesso essere pacifico che <<nell’attuale sistema normativo il terzo interessato da un provvedimento di sequestro preventivo o coinvolto nella confisca penale di un bene, non abbia, di massima, titolo né per partecipare al giudizio di merito sul fatto di reato che costituisce il presupposto tanto della misura cautelare reale che del provvedimento ablativo, né per impugnare le sentenze emesse nel corso del procedimento penale>>.

2.1. Ciò premesso, ha ricordato che, secondo Cass. Sez. U. n. 48126 del 20/07/2017, Rv. 270938 – 01 (le cui affermazioni di principio sono state ritenute costituzionalmente compatibili dalla giurisprudenza costituzionale: cfr. Corte cost. n. 253 del 6 dicembre 2017):

– <<il terzo estraneo può ricorrere alla procedura dell’incidente di esecuzione solo dopo il passaggio in giudicato della sentenza che dispone la confisca>>;

– diversamente, sono immediatamente esperibili a tutela dei terzi estranei al procedimento di cognizione i rimedi cautelari, perché <<il rimedio cautelare (…) non interferisce con ilthema decidendumrimesso al giudice, ma incide su di un aspetto che non vincola e non rischia di contraddire la decisione definitiva del giudicante. Non si vede, quindi, per quale motivo esso non dovrebbe essere esperibile, oltre che – com’è pacifico- per le misure cautelari personali, anche per quel che riguarda le misure cautelari reali, con specifico riferimento al sequestro preventivo, posto che, da un lato, ricorre laeadem ratiodel controlloin itineredel vincolo cautelare; e che, dall’altro, proprio per la natura incidentale della “questione cautelare”, al controllo non può essere di ostacolo il dettato dell’art. 586, commi 1 e 2, c.p.p. Ciò, tanto più in considerazione della peculiarità della posizione del terzo intestatario, estraneo rispetto al procedimento di cognizione, ma destinatario dei (e quindi non estraneo ai) provvedimento di sequestro, e come tale legittimato ad assumere la figura di istante-appellante-ricorrente a partire dalla previsione dell’art. 263, comma 2, c.p.p.>>

2.2. Né potrebbe ritenersi che soltanto nella sede dell’incidente cautelare (nel caso in esame non esperibile, in difetto del previo sequestro), e non anche in sede esecutiva, il terzo sarebbe ammesso ad interloquire sui presupposti della misura reale anche con riferimento alla configurabilità del reato che ne costituisce di volta in volta il presupposto:

<<E’ agevole replicare, anzitutto, che le deduzioni difensive non tengono conto dei differenti piani di valutazione correlati ai due rimedi processuali, in quanto esperibili in fasi diverse del procedimento penale. Il sequestro preventivo interviene di regola in una fase iniziale del procedimento, alla stregua, per dir così, di una prima elaborazione dell’accusa, e i suoi presupposti (collegamento pertinenziale con il reato, e/o confiscabilità della cosa assoggettata al vincolo reale) sono accertati in funzione del semplicefumus commissi delicti; l’incidente di esecuzione segue all’accertamento pieno della responsabilità penale, o all’accertamento autonomo – ma sempre con piena cognizione – dei presupposti della confisca quando la misura ablatoria possa essere adottata anche in assenza di una condanna. Se così è, potrebbe in definitiva ammettersi che l’inesistenza delfumuspossa essere dedotta anche dal terzo interessato ai fini della revoca del sequestro, trattandosi di una valutazione che non può che far leva sull’assoluta evidenza della fragilità dell’impianto accusatorio assunto a presupposto della misura reale. Ma è ovvio che la situazione sia del tutto diversa quando si tratta di aggredire in sede esecutiva ildictumdi una sentenza penale di merito irrevocabile, che può essere rimesso in discussione dal terzo solo nei limiti dell’inopponibilità nei suoi confronti del giudicato sulla confisca. In secondo luogo, la giurisprudenza di legittimità si è condivisibilmente orientata, di recente, nel senso che nemmeno nella fase cautelare il terzo che affermi di avere diritto alla restituzione della cosa sequestrata sia legittimato a contestare l’esistenza dei presupposti della misura reale, potendo unicamente dedurre la propria effettiva titolarità o disponibilità del bene sequestrato e l’inesistenza di relazioni di collegamento concorsuale con l’indagato>>.

2.3. Quanto allacitazione a giudizio del terzo nelle ipotesi previste dall’art. 104-bis, comma 1-quinquies, disp. att. c.p.p. in relazione all’art. 240-bis c.p. (peraltro introdotto in data successiva rispetto a quella in cui gli imputati erano stati rinviati a giudizio, e persino rispetto a quella della sentenza di primo grado: ed è noto che, in tema di successione nel tempo di norme processuali, è tradizionalmente accolto il principiotempus regit actum: cfr. Cass. Sez. U., sentenza n. 44895 del 17/07/2014, Rv. 260927 – 01), si è osservato che essa ha, in definitiva,

<<soltanto la funzione di imporre al giudice della cognizione di ascoltare le sue ragioni prima di pronunciarsi sulla confisca, pervenendo così ad una decisione più meditata sul punto, attraverso una completa, contestuale ponderazione di tutti gli interessi potenzialmente coinvolti nella misura patrimoniale, senza che nemmeno in questo caso la partecipazione dei terzo possa tradursi in un intervento adesivo a favore dell’imputato>>.

2.4. Si è, sul punto, concluso che

<<nemmeno nei casi in cui sia prevista la sua partecipazione al giudizio, il terzo interessato sia legittimato ad interloquire nel processo in relazione a profili diversi da quelli attinenti all’effettiva titolarità o disponibilità del bene sequestrato o confiscato o all’esistenza di relazioni di “collegamento” con l’imputato, dovendo al contrario tale legittimazione ritenersi esclusa in relazione ai tema della responsabilità penale dell’imputato; continuano, quindi, a valere, pur nel mutato assetto normativo, i principi affermati, tra le altre, da Cass. Sez. 1, Sentenza n. 14215 del 06/02/2002 Rv. 221843, Zagaria R ed altro con riferimento al sequestro preventivo finalizzato alla confisca obbligatoriaexart. 12-sexiesD.L. 8 giugno 1992 n. 306[ora art. 240-bis c.p.]; tanto varrebbe, a maggior ragione, nei confronti delle altre categorie di terzi interessati, semmai dovesse ritenersi l’estensione a loro favore del diritto di partecipare al processo di cognizione, traendosene per converso, con riferimento all’attuale sistema di tutele processuali, la conseguenza che in nessun modo lo strumento dell’incidente di esecuzione previsto per la generalità dei terzi interessati può apparire inadeguato o ingiustificatamente sperequato rispetto alla tutela accordata ai terzi “interposti”>>.

2.5. In assenza di specifici riferimenti normativi, nessuna ragione consentiva, secondo il collegio, di ritenere che sede obbligata della discussione delle problematiche evocate con l’atto di appello – che di per sé nulla hanno a che fare con la valutazione dei fatti di truffa ascritti agli imputati – avrebbe dovuto essere proprio il giudizio di cognizione, e conseguentemente di ritenere legittimata all’impugnazione la Lega Nord nonostante la sua mancata partecipazione al giudizio di primo grado, <<in modo da consentirle di assumere la qualità di parte processuale direttamente nel giudizio di appello, con una singolare inversione dei normale rapporto tra qualità di parte processuale e legittimazione all’impugnazione>>, considerato che, come osservato dalla Corte di appello nell’ordinanza impugnata, i rimedi alternativi concessi alla ricorrente (ed esperibili in fase esecutiva) risultano del tutto adeguati a tutelarne le ragioni.

3. La decisione in rassegna ha poi verificato l’adeguatezza del sistema di garanzie processuali assicurate al terzo intestatario di beni sequestrati e/o confiscati nel corso del procedimento penale in relazione alla dedotta ed asseritamente ingiustificata disparità di trattamento del terzo nel giudizio penale e nel procedimento di prevenzione.

3.1. Si è, in proposito, evidenziato che il procedimento di prevenzione è

<<caratterizzato da regole affatto particolari, diverso essendo ilthema decidendume diversi i modelli di valutazione, ed ha in generale una struttura meno garantista, stabilendo, tra l’altro, presunzioni di interposizione fittizia (cfr. art. 26 d. Lgs 6 settembre 2011 nr. 159) non applicabili nel giudizio penale (…), ciò che giustifica il potere di intervento del terzo. Mette conto poi di rilevare che qualora il terzo sia rimasto in concreto estraneo al procedimento di prevenzione, per la tutela del proprio diritto egli può proporre soltanto incidente di esecuzione (…), il che richiama la problematica generale della parte pretermessa, quale dovrebbe considerarsi la Lega Nord nell’ipotesi della sua necessaria ma inevasa partecipazione al processo di cognizione, problematica che si pone a monte della questione della legittimazione all’impugnazione per categorie astratte di legittimati, essendo la legittimazione comunque predicabile esclusivamente in favore delle effettive parti processuali>>.

4. E’ stata, infine, verificata l’adeguatezza del sistema di garanzie processuali assicurate al terzo intestatario di beni sequestrati e/o confiscati nel corso del procedimento penale in relazione ai principi elaborati in materia dalla Corte di Strasburgo.

4.1. A parere del collegio, la decisione della Corte EDU, Grande Chambre, 28 giugno 2018 cit. (a parere della quale, per quanto in questa sede più immediatamente rileva, la confisca urbanistica disposta a carico di una persona giuridica che non è stata parte del procedimento penale nel quale tale confisca viene inflitta è incompatibile con l’art. 7 Conv. EDU: la decisione ha costituito oggetto di separatoreport, cui si rinvia amplius) si riferisce a situazioni sostanziali del tutto diverse da quelle ravvisabili nei confronti della Lega Nord:

<<nella complessa vicenda processuale esaminata dai giudici convenzionali, la società ricorrente era stata coinvolta in un progetto di lottizzazione originariamente approvato dal Comune di Bari, avendo ceduto alla società che l’aveva presentato un’area destinata ad integrare la superficie necessaria per la realizzazione delle opere previste (un complesso commerciale multifunzionale), area che all’esito del procedimento penale che aveva riguardato gli amministratori della società intestataria del progetto per il reato di lottizzazione abusiva poi emerso dalle indagini, era stata colpita dalla confisca. E’ chiaro, anzitutto, che fosse indiscutibile la legittima appartenenza alla società G.I.E.M. del bene confiscato; è altrettanto chiaro il coinvolgimento diretto della G.I.E.M. nella vicenda della lottizzazione. Si trattava di una situazione che determinava l’interesse della ricorrente a formulare le più ampie deduzioni sull’iteramministrativo seguito alla presentazione del progetto di lottizzazione, con inevitabili interferenze anche sugli aspetti penali della vicenda, alla stregua di un’indubbia comunanza di interessi con gli imputati. D’altra parte, l’ipotesi della lottizzazione abusiva condizionava necessariamente, anche nei confronti della società ricorrente, per quanto terza estranea al reato, la legittimità della statuizione di confisca. La necessità della citazione in giudizio della società, affermata dalla CEDU, trova quindi decisivo supporto nella non esportabile specificità di quella vicenda, non occorrendo indugiare oltre sull’argomento per escludere significative analogie tra il caso considerato dal giudice convenzionale e la vicenda del sequestro che ha interessato la Lega Nord>>.

5. Sulla base delle predette argomentazioni, e considerato il limitato ambito delle interlocuzioni sulla confisca normalmente spettanti al terzo interessato, in coerenza con la specificità dei suoi interessi, si è concluso che

<<il sistema di garanzie processuali allo stesso concesso nel sistema normativo attualmente vigente deve (…) ritenersi conforme ai principi costituzionali e convenzionali anche nei casi in cui non sia prevista la sua partecipazione al giudizio di cognizione, non imponendosi affatto l’applicazione analogica o evolutiva di altri modelli processuali>>.

Le questioni di legittimità costituzionale proposte dalla difesa sono state dichiarate manifestamente infondate e, nella parte relativa alla mancata previsione, in favore dei soggetti indicati nell’art. 240-bis c.p., del potere di impugnazione del capo della confisca nonostante la loro legittimazione alla partecipazione al giudizio di cognizione, inammissibili per difetto di interesse, <<non essendo l’art. 104-bis, comma 1-quinquies, disp. att. c.p.p. applicabile al caso di specie>>.

6. Per completezza, non appare inopportunoricordare che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 253 del 2017, citata in motivazione dalla II sezione, ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 573, 579, comma 3, e 593 del codice di procedura penale, sollevate dalla I sezione penale della Corte di cassazione in riferimento agli artt. 3, 24, 42, 111 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione agli artt. 6 e 13 della Convenzione EDU ed all’art. 1 del Primo Protocollo addizionale alla Convenzione EDU: le predette disposizioni del codice di rito erano state censurate nella parte in cui, a favore dei terzi incisi nel diritto di proprietà da una confisca disposta con una sentenza penale di primo grado, non prevedono la facoltà di proporre appello con riguardo al solo capo della decisione relativo alla misura di sicurezza.

6.1.  Premesso che <<i dubbi di legittimità costituzionale del giudice rimettente investono (…) il solo segmento processuale che va dall’adozione della confisca, con la sentenza di primo grado, fino alla definitività di tale statuizione>>, la Corte costituzionale ha osservato che la Corte di cassazione combina due premesse: <<in primo luogo afferma che gli strumenti giurisdizionali posti a disposizione del terzo sono conformi ai parametri costituzionali indicati con riguardo, sia alla fase delle indagini preliminari, sia a quella del giudizio di primo grado, durante le quali (…) è consentito al terzo chiedere il riesame del decreto di sequestro (art. 322 c.p.p.), proporre appello contro le ordinanze in materia di sequestro preventivo (art. 322-bisc.p.p.) e proporre ricorso per cassazione per violazione di legge contro le ordinanze di riesame e di appello (art. 325 c.p.p.). L’idoneità di tali mezzi di reazione a tutelare la posizione del terzo è tale, secondo il giudice rimettente, da far escludere che la sua partecipazione al processo di primo grado sia soluzione costituzionalmente imposta: quello esistente sarebbe un assetto «razionale ed immune da sospetto di illegittimità costituzionale». Perciò il giudice rimettente lo stima adeguato anche rispetto alle fasi successive del giudizio, ove esso si dimostrasse valevole anche per esse, e dunque con ciò «fosse effettivamente garantita una costante possibilità, su istanza di parte, di rivalutazione del fondamento giustificativo della statuizione» di confisca. In secondo luogo la Corte di cassazione ritiene che la via di tutela giurisdizionale interinale descritta cessi di essere percorribile non appena intervenga, con la sentenza di primo grado, il provvedimento di confisca, che il terzo non sarebbe in grado di aggredire, se non per mezzo dell’incidente di esecuzione e a seguito del passaggio in giudicato della pronuncia. Questo ragionamento costituisce un presupposto essenziale delle questioni di legittimità costituzionale sollevate ma non rappresenta un approdo ermeneutico inevitabile>>.

Lo stesso giudice a quo aveva menzionato un «precedente indirizzo» della giurisprudenza di legittimità che, al contrario, ammetteva la proponibilità da parte del terzo di un incidente di esecuzione fin dalla pronuncia di confisca adottata in primo grado, ma ha al contempo affermato che l’indirizzo era stato oggetto di «superamento», così da doversi assumere per certa la conclusione che in quella fase temporale nessun mezzo di tutela sia offerto dall’ordinamento.

6.2. Una siffatta ricostruzione del quadro giurisprudenziale vigente al tempo in cui è stata emessa l’ordinanza di rimessione non è stata ritenuto completa dalla Corte costituzionale, perché, pur a fronte di pronunce motivate nel senso espresso dal giudice rimettente continuavano infatti a esservene altre di segno contrario, di non minor numero, che esploravano due soluzioni differenti; in particolare:

– un orientamento riteneva comunque praticabile, dopo la confisca, l’incidente di esecuzione, a tutela del diritto del terzo (cfr. tra le altre, Cass. Sez. I, 30 maggio 2013, n. 27201 e 30 ottobre 2008, n. 42107; dopo la pronuncia dell’ordinanza di rimessione, Cass. Sez. III, 27 settembre 2016, n. 53925);

– altro orientamento riteneva che il terzo avrebbe continuato a disporre del rimedio cautelare, con la possibilità in ogni tempo di chiedere la restituzione del bene confiscato e di proporre appello contro il diniego (Cass. Sez. III, 18 settembre 2013, n. 42362, e 6 ottobre 2010, n. 39715).

Le Sezioni Unite, con la sentenza 20 luglio 2017, n. 48126, avevano composto il contrasto affermando che il terzo, prima che la sentenza sia divenuta irrevocabile, può chiedere al giudice della cognizione la restituzione del bene sequestrato e, in caso di diniego, proporre appello dinanzi al tribunale del riesame, ai sensi dell’art. 322-bis c.p.p.

6.3. Ciò premesso, osserva la Corte costituzionale che <<La necessità di un intervento delle sezioni unite e la ricostruzione del variegato panorama giurisprudenziale contenuta nell’ordinanza di rimessione, dimostrano che la soluzione interpretativa prescelta dal rimettente non corrispondeva a un diritto vivente, da porsi a fondamento dei dubbi di legittimità costituzionale, ma si esauriva nella scelta di quella sola, tra le opzioni interpretative praticabili e di fatto praticate, che il rimettente stesso riteneva viziata da illegittimità costituzionale. Una simile scelta, per potersi ritenere compatibile con il dovere del rimettente di interpretare la normativa in senso conforme alla Costituzione (ogni volta che ciò sia permesso dalla lettera della legge e dal contesto logico-normativo entro cui essa si colloca: sentenza n. 36 del 2016), avrebbe dovuto fondarsi su un accurato ed esaustivo esame delle alternative poste a disposizione dal dibattito giurisprudenziale, se del caso per discostarsene motivatamente. Solo se avviene ciò infatti si può dire che l’interpretazione adeguatrice è stata davvero «consapevolmente esclusa» dal rimettente (sentenza n. 221 del 2015)>>

Diversamente, il giudice a quo, pur esprimendo il convincimento che la statuizione di confisca non avrebbe in alcun caso potuto essere superata a favore del terzo nell’ambito di procedimenti esterni al processo di cognizione, non si era, tuttavia, confrontato con la perdurante attualità dell’indirizzo favorevole all’immediato ricorso all’incidente di esecuzione (che non era stato superato in via definitiva), e non aveva tenuto adeguatamente contro della tesi, poi recepita dalle sezioni unite, che assicurava il mantenimento, anche nel giudizio di secondo grado, del rimedio cautelare, con la facoltà per il terzo di chiedere la restituzione del bene sequestrato e di proporre, nel caso di diniego, appello al tribunale del riesame: <<quest’ultima omissione appare particolarmente significativa, se si considera, da un lato, che la soluzione adottata dalle sezioni unite elimina la stasi temporale nell’esercizio della tutela giurisdizionale denunciata dal rimettente e, dall’altro, che l’ordinanza di rimessione ha giudicato costituzionalmente obbligata la soluzione dell’appello contro la statuizione di confisca, ma non ha svolto alcun motivato giudizio di inidoneità riguardo al possibile rimedio cautelare, salvo un fugace e indimostrato accenno «agli evidenti limiti» di tale opzione. All’opposto, e in contraddizione con quest’ultimo rilievo, il rimettente ha invece motivatamente affermato, con riguardo alle fasi che precedono la sentenza di primo grado, che il rimedio cautelare è idoneo a tutelare il diritto del terzo, al punto che il dubbio di legittimità costituzionale ha investito solo l’impossibilità di impugnare la statuizione di confisca. Il medesimo dubbio è stato invece escluso con riguardo alla preclusione, allora vigente, di partecipare al giudizio di primo grado, nella convinzione che a garantire il diritto di difesa del terzo bastasse il rimedio cautelare. Proprio calandosi nella prospettiva del rimettente non si vede però per quali ragioni il rimedio cautelare, benchè ritenuto congruo nella fase anteriore alla confisca, dovrebbe cessare di essere tale in quella successiva, pur non essendo mutati nei confronti del terzo le condizioni e gli effetti del sequestro>>.

6.4. Si è, pertanto, concluso che le questioni di legittimità costituzionale erano inammissibili, perché poste <<senza tenere conto della possibilità di un’interpretazione costituzionalmente orientata (certamente compatibile con la lettera della legge e la cornice normativa entro cui essa si inserisce), che avrebbe offerto al terzo, pur dopo la confisca, proprio quella forma di tutela, ovvero il rimedio cautelare, che il rimettente ha giudicato soddisfacente anche nel raffronto con la partecipazione al processo penale di primo grado>>.

[CLASSIFICAZIONE]

PROCEDIMENTO CIVILE – NOTIFICAZIONE – ALLA RESIDENZA, DIMORA, DOMICILIO – Notifica a persona sottoposta al programma di protezione previsto per i collaboratori di giustizia – modalità – presso la Direzione centrale di polizia criminale – Servizio centrale di protezione per i collaboratori di giustizia o alla residenza risultante dai registri anagrafici – tutela del diritto di difesa – modalità.

[RIFERIMENTI NORMATIVI]

Costituzione della Repubblica, art. 15, art. 16, art. 24, art. 111

Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, art. 6 co. 1, art. 8

Codice civile, art. 43

Codice di procedura civile, artt. 137, 139, 153 co. 2 e 291

D.l. 15 gennaio 1991, n. 8, conv. con modif. dalla l. 15 marzo 1991, n. 92, art. 7 co. 1 e 3, art. 12 co. 3-bis, art. 13 co. 12, art. 14

[SENTENZA SEGNALATA]

Cass., Sez. U, n. 33208, del 21/12/2018

Abstract

La sentenza segnalata interviene sulle modalità delle notificazioni degli atti del processo civile alle persone sottoposte a programma di protezione (collaboratori o testimoni di giustizia), per affermare la validità non solo di quelle eseguite presso la residenza anagrafica, anche se corrispondente ad un polo fittizio, ma pure di quelle effettuate presso la sede centrale del Servizio di protezione, ricavando da un’interpretazione sistematica costituzionalmente e convenzionalmente orientata (in sintonia con quella della giurisprudenza di legittimità penale) l’obbligo, per il Servizio, di comunicare l’atto al destinatario. Col riconoscimento a quest’ultimo della facoltà di chiedere la rimessione in termini ai sensi dell’art. 153 cpv. cod. proc. civ., è ritenuto adeguatamente contemperato il diritto del destinatario al rispetto della vita privata ed al giusto processo con le esigenze pubblicistiche sottese al programma di protezione e con quelle della controparte notificante.

1. La vicenda processuale ha ad oggetto la domanda dispiegata dai congiunti di una vittima di un brutale omicidio perpetrato da esponenti mafiosi per conseguire il risarcimento del danno nei confronti degli autori e del Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso: l’accoglimento in primo grado, ritenuto non idoneo a riparare il reale pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale patito, è stato solo parzialmente riformato in melius  dal giudice di appello, sicché gli originari attori hanno proposto ricorso per cassazione, riuscendo a notificarlo però, quanto ad almeno alcuni degli autori ed in quanto sottoposti a programma di protezione per i collaboratori di giustizia, soltanto presso la sede centrale del Servizio centrale di protezione per i testimoni e collaboratori previsto dal d.l. n. 8/91 e succ. mod. e integr., ove pure, in un primo momento, il tentativo di notifica era stato infruttuoso perché i destinatari non si trovavano, in quel momento, a godere del programma di protezione.

2. L’ordinanza interlocutoria (Cass. ord. 14/06/2018, n. 15689) ha rimesso alle sezioni unite della Corte di cassazione la questione di massima di particolare importanza sulle modalità di notificazione degli atti processuali alle persone soggette a programmi di protezione, una volta rilevato che le due sole pronunce delle sezioni semplici note sul punto avevano ammesso la notificazione alla sola residenza anagrafica – benché a mani di persona addetta alla speciale residenza o polo anagrafico fittizio riservato ai beneficiari del programma di protezione – ed anzi negato validità a quella presso il Servizio centrale di protezione.

3. Dopo un ampio excursus ricostruttivo della disciplina in materia di protezione dei testimoni e collaboratori di giustizia quanto alla sicurezza del beneficiario anche in ordine agli aspetti legati alla loro residenza, la sentenza segnalata ne rileva gli aspetti salienti di concreta limitazione imposta alle costituzionali libertà di movimento e stabilimento nel territorio dello Stato o di intrattenere relazioni sociali o scambi epistolari con terzi (riconducibili ai diritti fondamentali della libertà di corrispondenza e di circolazione, di cui agli artt. 15 e 16 della Costituzione), funzionali però alla sicurezza stessa del collaboratore ed alla effettività del sistema di protezione (Corte cost. n. 227/99); e, ricostruito anche il sistema delle notifiche in ambito penale per i soggetti beneficiari, rimarca che un’espressa previsione sui luoghi dove eseguire le notifiche, con l’obbligo per il Servizio di protezione di successiva consegna e cooperazione col beneficiario per limitare gli effetti pregiudizievoli di quelle limitazioni, è dettata soltanto per il caso della residenza di colui che gode del cambio di generalità: ma ricava poi dal sistema l’estensione di quest’obbligo di cooperazione anche per tutti gli altri casi di notifica di atti processuali al beneficiario del programma di protezione, quando questa avvenga in luoghi coi quali quegli è posto in collegamento per le esigenze del programma, come il c.d. polo residenziale fittizio.

4. In estrema sintesi, la sentenza segnalata contempera le esigenze del notificante (cui non può farsi carico della sostanziale irreperibilità del destinatario della notifica) con quelle del suo destinatario e quelle pubblicistiche di sicurezza ed effettività della protezione, così ammettendo la validità della notifica presso la residenza anagrafica “protetta” (e cioè anche quando questa corrisponda al richiamato polo residenziale fittizio), ma postulando un obbligo di cooperazione del Servizio centrale per la consegna dell’atto all’interessato, desunto, al di là del tenore testuale, dal sistema delle disposizioni in materia. Al contempo, è affrontato il problema delle garanzie per quest’ultimo: e si adotta un’interpretazione in modo espresso qualificata come costituzionalmente e convenzionalmente orientata (riguardo ai cui parametri la sentenza fornisce puntuali riferimenti giurisprudenziali) delle disposizioni normative esaminate, onde salvaguardare la posizione processuale del beneficiario ignaro dell’avvenuta notifica nelle mani del consegnatario e che versi in una condizione di incolpevolezza in ordine alla conoscenza dell’atto al medesimo non consegnato o tardivamente consegnato: protezione che appare necessario garantire al detto beneficiario (collaboratore o testimone) così da consentigli di non subire pregiudizio in ambito processuale dall’intempestività della consegna.

5. La conclusione cui pervengono le Sezioni Unite è che un adeguato contemperamento dei fondamentali diritti dell’interessato (al giusto processo ed alla vita privata) si attua riconoscendo non solo l’obbligo del Servizio di protezione di cooperare fattivamente per la consegna al suo destinatario dell’atto notificato, ma anche una tutela restitutoria di quest’ultimo – e del suo diritto di conoscere gli atti processuali che lo riguardano, al contempo mantenendo la sicurezza imposta dalla sua sottoposizione al programma di protezione – mediante l’istituto generale della rimessione in termini, previsto dall’art. 153, co. 2, cod. proc. civ., opportunamente adeguata dal giudice del merito alle peculiarità della fattispecie; e la conclusione è estesa anche alla fattispecie della notificazione presso il Servizio centrale (oggetto della controversia all’esame del Supremo Collegio), che si riconosce non già sostituirsi, ma affiancarsi a quella ordinaria o presso la residenza (quand’anche fittizia), proprio per la compresenza dell’obbligo di consegna a carico del Servizio medesimo e della salvaguardia dei diritti del beneficiario costituita dalla rimessione in termini.

6. Il contemperamento delle esigenze del notificante e del destinatario della notifica è infine espressamente riconosciuto conforme alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’Uomo: che ammette, da un lato, limitazioni al diritto alla vita privata di matrice convenzionale purché fondate su di una base legale, proporzionate e necessarie in relazione all’ampio margine di apprezzamento riconosciuto agli Stati in caso di bilanciamento fra diritti fondamentali (Corte edu, 26 marzo 1987, Lender c. Svezia, § 48; Corte edu, 7 luglio 1989, Soering c. Regno Unito, § 89, Corte edu [GC] 10 aprile 2007, Evans c. Regno Unito, § 77; cfr., ancora, sul diritto al giusto processo (Corte edu, 18 marzo 1997, Mantovanelli c. Francia, § 33), ma che tollera, a certe condizioni, anche limitazioni al diritto all’accesso ad un tribunale (Corte edu, 29 luglio 1998, Guérin c. Francia, § 37; Corte edu, 19 dicembre 1997, Brualla Gómez de la Torre c. Spagna, § 33, Corte edu, 2 giugno 2016, Papaioannou c. Grecia, § 49; Corte edu, 15 settembre 2016, Trevisanato c. Italia, § 33). Infatti, la limitazione alla propria sfera privata correlata alla ricezione diretta degli atti giudiziari sottesa all’ammissione al programma di protezione che deriva dall’allontanamento del beneficiario dall’ambiente nel quale egli si trova finirebbe, altrimenti, col risultare sproporzionata se ad essa si aggiungesse l’impossibilità per il suddetto di fare valere la mancata o tardiva consegna dell’atto giudiziario ascrivibile a condotta negligente o comunque ad un disservizio del sistema di protezione che ha in carico il predetto. E la soluzione qui espressa è vista come misura proporzionata al fine di salvaguardare tutti gli interessi in gioco, favorendo soluzioni armoniche ed una piena sintonia fra le gli orientamenti espressi dai plessi giurisdizionali civili e penali della Corte.

a cura di Luigi Giordano

REATI CONTRO IL PATRIMONIO – Autoriciclaggio – Attività speculativa – Giochi d’azzardo e scommesse – Rilevanza – Sussistenza.

In tema di autoriciclaggio, la Seconda sezione della Corte di cassazione, con sentenza n. 13795 del 7 marzo 2019, ha affermato che rientrano nel novero delle attività speculative contemplate dall’art. 648-ter 1, comma 1, cod. pen. anche il gioco d’azzardo e le scommesse.

REATI CONTRO L’ORDINE PUBBLICO – IN GENERE- Art. 76, d.lgs. n. 159 del 2011 – Reato di omessa comunicazione di variazioni patrimoniali – Misura di prevenzione personale definitiva prima dell’entrata in vigore della legge n. 136 del 2010 – Configurabilità del reato – Sussistenza.

Le Sezioni Unite della Corte di cassazione, con sentenza  n. 16896 del 31 gennaio 2019, hanno affermato che l’art. 80 del d.lgs. n. 159 del 2011, relativo all’obbligo, per i soggetti già sottoposti a misura di prevenzione “ex lege” n. 1423 del 1956, di comunicare le variazioni del proprio patrimonio, la cui omissione è penalmente sanzionata dall’art. 76, comma 7, d.lgs. n. 159 del 2011, si applica anche quando il provvedimento che ha disposto la misura è divenuto definitivo in data anteriore all’introduzione di tale obbligo.

SICUREZZA PUBBLICA – IN GENERE – Obbligo di presentazione all’autorità di pubblica sicurezza in occasione di manifestazioni sportive – Imposizione del doppio obbligo anche in concomitanza con competizioni esterne – Legittimità – Distanza dal luogo della competizione – Irrilevanza – Ragioni.

In tema di misure volte a prevenire i fenomeni di violenza in occasione di competizioni sportive, la Terza sezione della Corte di cassazione, con sentenza n. 16521 del 8/11/2018 (dep. 16/04/2019), ha affermato che è legittima l’imposizione dell’obbligo di duplice presentazione all’autorità di pubblica sicurezza, indipendentemente dalla distanza del luogo di competizione da quello di presentazione, in quanto la funzione dell’obbligo non è quella di impedire l’accesso ai luoghi dove si svolgono manifestazioni sportive, per la quale già soccorre la misura amministrativa del divieto di accesso, bensì di sottoporre a controllo persone ritenute pericolose e che potrebbero dare vita a condotte violente in concomitanza con manifestazioni sportive, anche lontano dai luoghi dove queste si svolgono.

REATO TRANSNAZIONALE – Sentenza di patteggiamento – Confisca per equivalente ai sensi dell’art. 11, legge n. 146 del 2006 – Legittimità – Ragioni.

La Seconda sezione della Corte di Cassazione, con sentenza n. 16100 del 27/02/2019, ha affermato che, in tema di reati transnazionali,  è legittima la confisca per equivalente disposta, ai sensi dell’art. 11, legge 16 marzo 2006, n. 146, con sentenza di patteggiamento, in quanto il legislatore, nel recepire la Convenzione delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato transnazionale,  ha utilizzato la medesima espressione “sentenza di condanna” adottata dalla Convenzione senza fare riferimento ad uno specifico modello procedimentale.

BANCHE E ISTITUTI DI CREDITO O RISPARMIO – SANZIONI AMMINISTRATIVE PECUNIARIE IRROGATE DALLA BANCA D’ITALIA – NATURA SOSTANZIALMENTE PENALE – ESCLUSIONE.

La Quinta sezione della Corte di cassazione, con sentenza del 16/11/2018 (dep. 22/03/2019), n. 12777, ha affermato che nel caso delle sanzioni amministrative pecuniarie irrogate dalla Banca d’Italia, ai sensi dell’art. 144, d.lgs. 1 settembre 1993, n. 385, per carenze nell’organizzazione e nei controlli interni, non ricorrono gli indici della natura sostanzialmente penale elaborati dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo nella sentenza 8 giugno 1976, Engel c. Paesi Bassi.

DIFESA E DIFENSORI – DI UFFICIO – Revoca del difensore di fiducia – Designazione di un difensore non iscritto nell’elenco dei difensori abilitati al patrocinio dinanzi al tribunale per i minorenni – Nullità del giudizio – Esclusione – Ragioni.

La Quinta sezione della Corte di cassazione, con sentenza n. 15050 del 4 febbraio 2019, ha affermato che non è causa di nullità del giudizio, in mancanza di una espressa previsione normativa in tal senso, la designazione in udienza, quale difensore d’ufficio in sostituzione del difensore di fiducia, revocato, di un legale iscritto in un elenco diverso da quello dei difensori abilitati al patrocinio dinanzi al tribunale per i minorenni.

ATTI PROCESSUALI – TRADUZIONE DEGLI ATTI – IN GENERE -Sentenza d’appello – Traduzione in lingua nota all’imputato alloglotta – Necessità – Esclusione – Limiti.

La Quinta sezione della Corte di cassazione, con sentenza n. 15056 dell’11/03/2019, ha affermato che, in mancanza di elementi specifici indicativi di un pregiudizio in ordine alla completa esplicazione del diritto di difesa, l’omessa traduzione della sentenza di appello in lingua nota all’imputato alloglotta non integra di per sé causa di nullità della stessa, atteso che, dopo la modifica dell’art. 613 cod. proc. pen., ad opera della l. 23 giugno 2017, n. 103, l’imputato non ha più facoltà di proporre personalmente ricorso per cassazione.

PROVE – INTERCETTAZIONI DI CONVERSAZIONI O COMUNICAZIONI – IN GENERE Installazione di apparecchiature atte ad intercettare comunicazioni telefoniche – Spy-software – Art. 617-bis, comma primo, cod. pen. – Applicabilità.

La Quinta Sezione della Corte di cassazione, con sentenza n. 15071 del 18 marzo 2019, ha affermato che i programmi informatici denominati “spy-software” che, se installati in modo occulto su un telefono cellulare, un “tablet” o un PC, consentono di captare tutto il traffico dei dati in arrivo o in partenza dal dispositivo, rientrano tra gli “apparati, strumenti, parti di apparati o di strumenti” diretti all’intercettazione o all’impedimento di comunicazioni o conversazioni telegrafiche o telefoniche tra altre persone, di cui all’art. 617-bis, comma primo, cod. pen., in quanto categoria aperta, suscettibile di essere implementata per effetto delle innovazioni tecnologiche.

MISURE CAUTELARI – REALI – SEQUESTRO PREVENTIVO – OGGETTO – Partecipazioni societarie – Art. 20 del d.lgs. n. 159 del 2011 – Automatica estensione del sequestro ai beni costituiti in azienda – Applicabilità – Esclusione.

La Terza sezione della Corte di cassazione, con sentenza n. 15755 del 15/11/2018, dep. 2019, ha affermato che deve escludersi che, in virtù del richiamo operato dall’art. 104-bis, comma 1-bis disp. att. cod. proc. pen. alle disposizioni di cui al d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, il sequestro preventivo di partecipazioni societarie possa avere come automatica conseguenza anche il sequestro dei beni costituiti in azienda, come previsto invece in tema di misure di prevenzione dall’art. 20 del citato decreto, atteso che la portata di quest’ultima previsione non può essere estesa fino a ricomprendere il sequestro cautelare, in considerazione delle diverse “rationes” dei due sistemi, essendo il sistema cautelare regolato dal principio della proporzionalità rispetto all’entità dell’illecito profitto conseguito attraverso il reato.

MISURE CAUTELARI – PERSONALI – ESTINZIONE – TERMINE DI DURATA MASSIMA DELLA CUSTODIA CAUTELARE – SOSPENSIONE – Sospensione per particolare complessità del giudizio – Imputato latitante – Interesse ad impugnare – Esclusione – Ragioni.

La Sesta Sezione della Corte di cassazione, con sentenza n. 13717 del 21/03/2019, ha affermato che, in tema di termini di durata massima della custodia cautelare, l’imputato latitante non ha alcun interesse ad impugnare il provvedimento di sospensione per la particolare complessità del giudizio, ex art. 304, comma 2, cod. proc. pen., adottato nella fase “dinamica” della misura, poiché nei suoi riguardi quei termini non sono mai iniziati a decorrere.

APPELLO – ESECUZIONE DELLE CONDANNE CIVILI – Richiesta di sospensione dell’esecuzione della condanna al pagamento della provvisionale – Applicabilità dell’art. 603 cod. proc. pen. – Esclusione – Ragioni.

La Terza sezione della Corte di cassazione, con sentenza n. 16164 del 27/02/2019, ha affermato che, ai fini della sospensione della condanna al pagamento della provvisionale, ai sensi dell’art. 600, comma 3, cod. proc. pen., l’onere della prova della ricorrenza dei “gravi motivi” grava sulla parte richiedente e non può essere supplito dalla richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale ex art. 603 cod. proc. pen. il cui oggetto, in caso di costituzione di parte civile, è delimitato dall’art. 187, comma 3, cod. proc. pen. ai fatti inerenti alla responsabilità civile derivante da reato e non può estendersi anche ai fatti impeditivi, modificativi od estintivi del suo diritto ad ottenere la provvisionale immediatamente esecutiva ex lege.

PROCEDIMENTO – Appello – Diverso apprezzamento delle decisive dichiarazioni di perito o consulente tecnico – Riforma della sentenza assolutoria – Rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale – Necessità – Mera acquisizione della relazione del perito – Necessità di rinnovazione – Esclusione.

Le Sezioni Unite, con sentenza n. 14426 del 21 dicembre 2018 (dep. 2 aprile 2019), hanno affermato che il giudice d’appello, in caso di riforma della sentenza assolutoria sulla base di un diverso apprezzamento delle dichiarazioni – di natura decisiva – rese dal perito o dal consulente tecnico dinanzi al primo giudice, ha l’obbligo di procedere alla rinnovazione dell’esame dello stesso in quanto prova dichiarativa, mentre un tale obbligo non sussiste qualora un siffatto diverso apprezzamento abbia ad oggetto la relazione del perito acquisita in primo grado senza l’effettuazione dell’esame.

IMPUGNAZIONI – CASSAZIONE – CASI DI RICORSO – Ricorso straordinario – Decisioni aventi ad oggetto istanze risarcitorie dei detenuti – Ammissibilità – Esclusione – Ragioni.

La Quinta sezione della Corte di cassazione, con sentenza n. 15812 del 11/03/2019, ha affermato che è inammissibile il ricorso straordinario per errore di fatto proposto contro pronunce della Corte di cassazione che abbiano rigettato o dichiarato inammissibile il ricorso avverso provvedimenti di rigetto di istanze risarcitorie dei detenuti, trattandosi di provvedimenti che, pur intervenendo nei confronti di un “condannato”, non determinano la formazione del giudicato di condanna, né contribuiscono alla sua stabilizzazione.   

PROCEDIMENTI SPECIALI – GIUDIZIO ABBREVIATO – PENA – Legge n. 103 del 2017 – Contravvenzioni – Riduzione della metà – Continuazione tra delitti e contravvenzioni – Diminuente per il rito – Diverso criterio di computo – Necessità.

La Seconda sezione della Corte di cassazione, con sentenza n. 14068 del 27/02/2019, dep. il 1/04/2019 ha affermato che, nel rito abbreviato, la riduzione della metà della pena per le contravvenzioni – prevista dall’art. 442, comma 2 cod. proc. pen. come riformato dall’art. 1, comma 44 della legge 23 giugno 2017, n. 103 – costituisce norma penale di favore e, pertanto, in caso di continuazione tra contravvenzioni e delitti, la riduzione deve essere effettuata distintamente per gli aumenti di pena disposti per le contravvenzioni (nella misura della metà) e per quelli disposti per i delitti (nella misura di un terzo).

PROCEDIMENTI SPECIALI – PATTEGGIAMENTO – IN GENERE – Pena – Necessità di verificare la legalità degli aumenti di pena disposti per il riconoscimento di circostanze aggravanti – Sussistenza.

La Terza sezione penale della Corte di cassazione, con sentenza  n. 12691 del 10/10/2018 (dep. 21/03/2019), ha affermato che, in tema di patteggiamento, oltre al giudizio di congruità della pena, da compiersi sul risultato finale dell’accordo, il giudice è tenuto ad effettuare la verifica della legalità di quest’ultimo anche nella parte relativa al procedimento di computo derivante dal riconoscimento di circostanze e dall’eventuale giudizio di bilanciamento, dal momento che la valutazione della correttezza dell’applicazione e della comparazione delle stesse determina l’obbligo di verificare che siano conformi ai criteri legali i corrispondenti aumenti e diminuzioni di pena.

RAPPORTI GIURISDIZIONALI CON AUTORITÀ STRANIERE – ROGATORIE – DALL’ESTERO – ESECUZIONE – Sequestro preventivo finalizzato alla confisca – Esecuzione dell’ordine – Delega del P.M. alla polizia giudiziaria – Abnormità – Ragioni.

La Sesta sezione della Corte di cassazione, con sentenza n. 17774 del 03/04/2019, ha affermato che è abnorme il provvedimento con il quale il pubblico ministero, in esecuzione di una richiesta di rogatoria avente ad oggetto un sequestro preventivo finalizzato alla confisca, deleghi il compimento dell’atto alla polizia giudiziaria senza investire il giudice per le indagini preliminari, trattandosi di provvedimento che rientra nella competenza funzionale esclusiva di quest’ultimo.

RAPPORTI GIURISDIZIONALI CON AUTORITA’ STRANIERE – Ordine europeo di indagine passivo – Decreto di riconoscimento del P.M. – Autonoma motivazione – Necessità – Decreto di sequestro – Equipollenza – Esclusione.

In tema di ordine europeo di indagine “passivo” relativo all’adozione di un provvedimento di perquisizione e sequestro probatorio, la Sesta sezione della Corte di cassazione, con sentenza n. 14413 del 07/02/2019, ha affermato che il decreto di riconoscimento che il P.M. deve emettere, ai sensi dell’art. 4, comma 4, d.lgs. 21 giugno 2017, n. 108, è atto autonomo, che deve essere specificamente motivato, ai sensi dell’art. 125, comma 3 cod. proc. pen., non potendo ad esso equipararsi il decreto di sequestro probatorio adottato dall’autorità che provvede all’esecuzione nella cui motivazione si faccia riferimento al contenuto dell’ordine emesso dall’autorità straniera. 

ORDINAMENTO PENITENZIARIO – Detenuto sottoposto a regime differenziato – Colloqui audiovisivi in videoconferenza con altro detenuto – Ammissibilità – Esclusione – Ragioni.

La Sezione Prima, con sentenza n. 16557 del 22 marzo 2019, ha affermato che un detenuto sottoposto al regime differenziato di cui all’art. 41-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, non può essere autorizzato ad avere colloqui audiovisivi con un altro detenuto (nella specie, il fratello) mediante il sistema della videoconferenza e l’impiego di tecniche comunicative di uso comune, difettando un’espressa disciplina normativa che, in relazione sia ai detenuti in regime ordinario che a quelli in regime differenziato, individui i presupposti di una siffatta forma di comunicazione a distanza e ne detti una specifica regolamentazione quanto agli strumenti da adottare in condizioni di sicurezza, ai poteri di controllo delle Autorità penitenziarie ed alle necessarie coperture di spesa.

PROCEDIMENTO – Reati contro la P.A. – Art. 322-quater cod. pen. – Ordine di pagamento della riparazione pecuniaria in favore dell’amministrazione lesa – Sentenza di “patteggiamento” – Possibilità – Esclusione.

La Sesta sezione penale, con sentenza n. 12541 del 14 marzo 2019, ha affermato che, in tema di reati contro la pubblica amministrazione, il pagamento della riparazione pecuniaria in favore dell’amministrazione lesa dalla condotta del pubblico ufficiale o dell’incaricato di un pubblico servizio, di cui all’art. 322-quater cod. pen., non può essere ordinato con sentenza di applicazione della pena, sia nel procedimento di forma ordinaria che in quello di forma “allargata”, su richiesta delle parti.