Prassi concorsuale: la riforma del fallimento e il D.LGS. 54/2018 sulle incompatibilità

di Alessandro Farolfi

1. PREMESSA

La legge delega 19 ottobre 2017, n. 155 (pubblicata come è noto sulla G.U. n. 254 del 30/10/2017), detta una serie di criteri direttivi cui il legislatore delegato dovrà attenersi, in sede di attuazione della fondamentale riforma delle discipline della crisi di impresa e dell’insolvenza, anche in tema di fallimento[1].

E’anzi, proprio con riferimento a questa più tradizionale e certamente paradigmatica procedura concorsuale che la delega contiene una norma manifesto della riforma che, nella relazione di accompagnamento del Presidente Rordorf, così viene declinata: “…si propone di abbandonare la pur tradizionale espressione “fallimento” (e quelle da essa derivate), in conformità ad una tendenza già manifestatasi nei principali ordinamenti europei di civil law (tra cui quelli di Francia, Germania e Spagna) per evitare l’aura di negatività e di discredito, anche personale, che storicamente a quella parola si accompagna … anche un diverso approccio lessicale può meglio esprimere una nuova cultura del superamento dell’insolvenza, vista come evenienza fisiologica nel ciclo vitale di un’impresa, da prevenire ed eventualmente regolare al meglio, ma non da esorcizzare”.

La traduzione in precetto di tali considerazioni si ritrova nell’art. 2 della L. n. 155 cit. che ospita, appunto, i principi generali cui dovrà attenersi la riforma di cui, anche recentissimamente, si è ribadita la centralità da parte del nuovo Governo.

Si afferma, infatti, all’art. 2 co. 1 lett. a), che la nuova disciplina dovrà “sostituire il termine «fallimento» e i suoi derivati con l’espressione «liquidazione giudiziale», adeguando dal punto di vista lessicale anche le relative disposizioni penali, ferma restando la continuità delle fattispecie criminose”.

L’abbandono della tradizione occidentale del “decoctor ergo fraudator”  non potrebbe essere più netta: parlare di liquidazione in luogo di fallimento e di soggetto imprenditore liquidato in luogo di fallito, infatti, segna l’abbandono di uno stigma sociale ed economico da sempre collegato alla terminologia “fallimentare” ponendo in luce, piuttosto, una vicenda certo dolorosa, ma sostanzialmente fisiologica ed immanente, quale quella della liquidazione del patrimonio dell’impresa che non riesce a raggiungere i propri obiettivi di economicità, al fine di assicurare il miglior soddisfacimento possibile dei creditori, nel rispetto delle cause di prelazione. Ipotesi liquidatoria che, giova subito aggiungere, più volte la legge delega giudica con sfavore, ipotizzando che le soluzioni della crisi fondate sulla “continuità aziendale” possano meglio corrispondere alla stessa esigenza di recovery dei creditori, oltre che salvaguardare utilità, rapporti contrattuali, posti di lavoro, altrimenti destinati ad una sostanziale desertificazione[2].

Non a caso, quindi, lo stesso art. 2 alla lett. g) prevede che le nuove norme dovranno “dare priorità di trattazione, fatti salvi i  casi  di  abuso, alle proposte che comportino il superamento della  crisi  assicurando la continuità aziendale,  anche  tramite  un  diverso  imprenditore, purchè funzionali al miglior soddisfacimento dei creditori e purchè la valutazione di convenienza sia illustrata nel piano, riservando la liquidazione giudiziale ai casi nei quali non sia proposta  un’idonea soluzione alternativa”.

2. PRINCIPI GENERALI

Accanto alla soppressione del termine “fallimento”, sempre nella legge delega troviamo altri principi assai importanti per ridisegnare in futuro questa procedura concorsuale (destinata come avvertito a divenire “liquidazione giudiziale”):

  • ridurre la durata e i costi delle procedure concorsuali, anche attraverso misure di responsabilizzazione degli organi di gestione e di contenimento delle ipotesi di prededuzione, con riguardo altresì ai compensi dei professionisti, al fine di evitare che il pagamento dei crediti prededucibili assorba in misura rilevante l’attivo delle procedure (lett. l);
  • riformulare le disposizioni che hanno originato contrasti interpretativi, al fine di favorirne il superamento, in coerenza con i principi stabiliti dalla presente legge (lett. m);
  • adottare un unico modello processuale per l’accertamento dello stato di crisi o di insolvenza del debitore, in conformità all’articolo 15 del regio decreto 16 marzo 1942, n.  267,  e  con caratteristiche di particolare celerità, anche in fase di  reclamo, prevedendo la legittimazione ad agire dei soggetti  con  funzioni  di controllo e di vigilanza sull’impresa,  ammettendo  l’iniziativa  del pubblico  ministero  in  ogni  caso  in  cui   egli   abbia   notizia dell’esistenza di uno stato di insolvenza (lett. d) ed a tale scopo si prevede che il criterio di attribuzione della competenza territoriale debba essere collegato al c.d. COMI (centre of maininterests) del debitore, in ossequio alle disposizioni di ambito comunitario (lett. f).

Si può ancora ritenere, secondo un’ottica riassuntiva, che le linee generali dell’intervento riformatore in questo ambito seguano alcuni criteri spesso richiamati nelle relazioni di accompagnamento ai più recenti interventi normativi, e quindi “à la page”, ma non per questo meno importanti, che in questa sede, per evidenti ragioni di spazio, possono così riassumersi[3]:

a) economicità (termine che pure nelle diverse accezioni aziendalistiche, misura l’ottimizzazione dei risultati o del livello di output rispetto ai costi; attiene quindi alle condizioni di equilibrio economico sul quale può contare il funzionamento di una impresa o l’erogazione di un servizio);

b) efficienza (indicatore sintetico della capacità di un’impresa di raggiungere un certo risultato e tendere alla sua massimizzazione date certe risorse o premesse; un sistema è tanto più efficiente quanti più prodotti o servizi è in grado di erogare a parità di input iniziale);

c) efficacia (indica la capacità di un’impresa, ente o servizio di raggiungere gli obiettivi dati; spesso il termine viene confuso con i precedenti ma concettualmente è ben distinto: un servizio può essere efficace poiché in grado di raggiungere un certo target o la mission affidata e, tuttavia, rivelarsi inefficiente poiché il livello di output ottenibile dalle risorse affidate è migliorabile oppure diseconomico, in quanto i costi superano i risultati ed il sistema si rivela non in equilibrio ed ha necessità di risorse esterne che ne garantiscano la sopravvivenza);

d) trasparenza (se in fisica il termine indica la proprietà di un corpo di farsi attraversare dalla luce, applicato alle scienze sociali ed al diritto evoca l’accessibilità e la libera fruibilità di informazioni da parte di coloro che non sono parti di un dato processo, con lo scopo ulteriore che la possibilità di accesso dei terzi indirettamente spinga a migliorare il livello della comunicazione, del servizio o del processo sociale).

3. LE MODIFICHE PROSPETTATE

L’art. 7 della L. 155/2017, a sua volta, detta più stringenti criteri di delega con riguardo specificamente alla nuova procedura di liquidazione giudiziale, che dovrà modellarsi nel rispetto dei principi che si vanno ad indicare. In relazione a ciascuno di essi si darà conto, brevemente, delle scelte contenute nel progetto di Codice della crisi e dell’insolvenza, consegnato al Ministro Orlando in bozza dalla c.d. seconda commissione ristretta Rordorf e recentemente indicato come una delle priorità d’azione anche da parte del nuovo Governo[4].

  1. Per il curatore si prevede che il Governo adotti misure dirette a renderne più efficaci lo svolgimento delle relative funzioni:

a)  integrando la disciplina sulle incompatibilità tra gli incarichi assunti nel succedersi delle procedure;

b) definendo i poteri di accertamento e di accesso a pubbliche amministrazioni e a banche di  dati,per  assicurare  l’effettività dell’apprensione dell’attivo, anche responsabilizzando il debitore;

c)  specificando   il   contenuto   minimo   del   programma   di liquidazione;

d) chiarendo l’ambito dei poteri giudiziali di cui all’articolo 108, secondo comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n.  267,  in ipotesi  di  subentro  del  curatore  nel  contratto  preliminare  di vendita;

e) attribuendo al curatore, previa acquisizione delle prescritteautorizzazioni, i poteri per il compimento degli atti e delle operazioni riguardanti l’organizzazione e la struttura finanziaria della società, previsti nel programma di liquidazione, assicurando un’adeguata e tempestiva informazione dei soci e dei creditori della società nonchè idonei strumenti di tutela, in sede concorsuale,degli stessi e dei terzi interessati.

In relazione alla figura del curatore le disposizioni di attuazione del Codice della crisi e dell’insolvenza prevedono (cfr. art. 18 disp. att.) che tale organo, ma anche il commissario giudiziale, il liquidatore e il custode giudiziale, siano nominati dall’autorità giudiziaria tenuto conto a) delle risultanze dei rapporti riepilogativi periodici e finali dallo stesso redatto (deve intendersi in precedenti procedure affidate al fine di tener conto dei risultati conseguiti); b) degli incarichi in corso (sul presupposto che un aumento eccessivo degli incarichi in corso spersonalizzi le funzioni svolte ed incida sulla tempestività degli adempimenti); c) delle esigenze di trasparenza e di turnazione nell’assegnazione degli incarichi, valutata la esperienza richiesta.

Mentre il progetto di Codice non sembra aver recepito più stringenti disposizioni in tema di incompatibilità (sostanzialmente riproponendo sul punto l’attuale art. 28 l.f.), come si vedrà al parag. successivo il Legislatore è su questa materia intervenuto separatamente con nuove disposizioni, già entrate in vigore, che realizzano un sistema di incompatibilità estremamente rigido e complesso (cfr. D. Lgs. n. 54 del 18 maggio 2018, pubblicato sulla G.U. del 26/05/2018).

Da notare che l’art. 35 del progetto di Codice prevede una relazione del curatore anticipata a 30 gg. dall’apertura della procedura di liquidazione giudiziale, contenente le prime informazioni su cause del dissesto, responsabilità, attività compiute, secondo una prassi peraltro già ampiamente diffusa nei tribunali. Tale nuova relazione non sostituisce quella prevista dall’attuale art. 33 l.f., ma appare volta a rendere effettive e rapide le prime scelte gestorie (che potrebbero influire grandemente sulle opportunità di prosecuzione dell’attività aziendale o, all’opposto, far lievitare i costi della procedura). Lo stesso articolo prevede poteri di consultazione di banche dati (es. anagrafe tributaria, archivio dei rapporti finanziari), di atti sottoposti ad imposta di registro, elenchi clienti, documentazione contabile presso banche o intermediari, schede clienti o fornitori, acquisire altri dai da P.A., previa autorizzazione del G.D. L’attuale relazione ex art. 33 l.f. diviene pertanto un documento più completo e meno urgente, che può essere depositato entro 60 gg. dal deposito del decreto di esecutorietà dello stato passivo o, per i fallimenti privi di attivo e per i quali non si procede all’accertamento del passivo, entro 180 gg. dall’apertura della liquidazione giudiziale.

Il criterio direttivo di cui alla precedente lett. d)– allo stato –va soprattutto ricollegato alla interpretazione giurisprudenziale ed ai contrasti fra giurisprudenza di merito e di legittimità, nella quale si segnala l’importante arresto di Cass. 8 febbraio 2017, n. 3310, che ha affermato: “vertendosi in tema di vendita fallimentare – non importa se attuata in forma contrattuale, e non tramite esecuzione coattiva – trova applicazione l’art.108, secondo comma, legge fallimentare: con la conseguente cancellazione delle iscrizioni relative ai diritti di prelazione ed ammissione del creditore ipotecario al concorso, con rango privilegiato sull’intero prezzo pagato, incluso l’acconto versato al venditore in bonis (e quindi, con perfetta equivalenza, sotto questo profilo, ad una vendita nelle forme dell’esecuzione forzata)”.

2. Per il comitato dei creditori si prevede che “al fine di semplificare la gestione delle procedure meno complesse, le funzioni possono essere sostituite con forme di consultazione telematica del ceto creditorio,anche nelle modalità del silenzio-assenso”.

Sul Cdc, organo sul quale aveva scommesso la riforma degli anni 2006 – 2007, si registrano perciò alcune modifiche nel segno del pragmatismo e dell’economicità, prendendo altresì atto che nella realtà giudiziaria risulta spesso difficile, soprattutto nelle procedure di minore importanza o prive di attivo, individuare creditori disponibili ad assumere le funzioni di membro di questo organo. In particolare, l’art. 143 co. 8 del progetto di Codice enuclea la nuova categoria della procedura “poco complessa”, laddove tale qualifica viene fatta dipendere dalla presumibile entità e qualità dell’attivo, nonché dal numero dei creditori. Il riferimento alla “qualità” dell’attivo può comportare – se tale espressione sarà intesa in senso non restrittivo – un considerevole ampliamento di queste procedure concorsuali “minori”, ritenute ex lege di scarsa complessità(es. un attivo rilevante ma in gran parte già liquido, oppure un attivo di una certa entità ma rappresentato da un solo bene immobile…). Per queste procedure si prevede, in ossequio alla delega normativa già intervenuta, che la nomina del Cdc possa essere omessa e che i creditori siano chiamati ad esprimersi singolarmente, in via telematica, istituzionalizzando la figura del silenzio-assenso.

3. Vengono inserite misure volte a potenziare la procedura della liquidazione giudiziale, prevedendo di:

a) escludere l’operatività di esecuzioni speciali e di privilegi processuali, anche fondiari; prevedere, in ogni caso, che il privilegio fondiario continui ad operare sino alla scadenza del secondo anno successivo a quello di entrata in vigore del decreto legislativo ovvero dell’ultimo dei decreti legislativi emanati in attuazione della delega di cui all’articolo 1;

b) far decorrere il periodo sospetto per le azioni di inefficacia e revocatoria, a ritroso, dal deposito della domanda cui sia seguita l’apertura della liquidazione giudiziale, fermo restando il disposto dell’articolo 69-bis, secondo comma, del regio decreto 16 marzo 1942,n. 267.

Mentre la riforma del sistema dei privilegi, allo stato, soprattutto per ragioni di tempo non si è ancora tradotta in una bozza di decreto delegato, appare molto importante – al fine di garantire una reale efficienza delle procedure concorsuali – ancorare il decorso a ritroso del periodo sospetto, ai fini dell’esercizio di azioni di inefficacia e revocatorie, dal deposito del ricorso tendente all’apertura della procedura piuttosto che dalla pubblicazione della sentenza che (oggi) dichiara il fallimento. La possibile riforma prende atto del forte restringimento già operato dalle riforme di metà degli anni duemila sui tempi di operatività delle revocatorie fallimentari (passate a sei mesi per i pagamenti normali e ad un anno per quelli anormali), con l’ulteriore possibilità che una gestione dilatoria del procedimento prefallimentare o l’esigenza di compiere alcuni approfondimenti istruttori possa vanificare, di fatto, la stessa esperibilità di revocatorie (non di rado, infatti, il procedimento prefallimentare si protrae per alcuni mesi, rendendo di fatto non revocabili i pagamenti avvenuti nei sei mesi prima della pronuncia di fallimento). Molto opportunamente perciò l’art. 168 del Codice (per gli atti a titolo gratuito) e l’art. 171 (per atti a titolo oneroso, pagamenti e garanzie) fanno decorrere i termini di cui sopra dal deposito della domanda cui è seguita l’apertura della liquidazione giudiziale. Il principio di consecuzione fra procedure concorsuali diverse, oggi cristallizzato dall’art. 69 bis ult. co. l.f., non è testualmente riprodotto ma risulta comunque assicurato dall’art. 101 del progetto di Codice, che dichiara applicabile alla data di presentazione della domanda di accesso al concordato preventivo gli artt. da 158 a 167 dello stesso codice, fra cui, quindi, anche le disposizioni in tema di inefficacia e revocatoria di atti e pagamenti[5].

4.Gli interventi sulla disciplina dei rapporti giuridici pendenti dovranno introdurre elementi di riforma così delineati:

a) limitando la prededuzione, in ogni caso di prosecuzione o disubentro del curatore, compreso l’esercizio provvisorio e salva diversa previsione normativa, ai soli crediti maturati nel corso della procedura;

b) prevedendo lo scioglimento dei contratti aventi carattere personale che non proseguano con il consenso della controparte;

c)   dettando   un’autonoma   regolamentazione   del    contratto preliminare, anche in relazione alla disciplina degli immobili da costruire.

Si segnala, con riferimento all’esigenza più volte affermata dalla legge delega di contenimento delle prededuzioni, in un’ottica che privilegia certamente la economicità della procedura, l’art. 190 del Codice, che trasforma in credito concorsuale da insinuarsi al passivo l’equo indennizzo dovuto in caso di recesso anticipato del curatore dal contratto di locazione di immobili o, ancora, il precedente art. 189, che detta analoga disciplina in caso di recesso dal contratto di affitto d’azienda.

Disposizione innovativa è costituita, altresì, dall’art. 180 della bozza di decreto delegato, il quale – in ossequio al principio delegante sub b) – sottrarre alla regola generale della sospensione di cui all’attuale art. 72 l.f. quei contratti che abbiano carattere personale, in cui cioè elemento essenziale della contrattazione sia stato l’intuitus personae relativo al soggetto nei cui confronti è stata aperta la liquidazione giudiziale. Per questa categoria di negozi la regola generale diviene quella dello scioglimento, a meno che il curatore, autorizzato dal Cdc e con il consenso della controparte, dichiari di subentrare nel contratto. Gli effetti del subentro operano ex nunc e non sono quindi destinati a consentire una prosecuzione del rapporto senza soluzione di continuità. Tale scelta appare però coerente alla cesura che per questi contratti personali l’apertura della liquidazione giudiziale finisce con il determinare.

5.La nuova disciplina della fase di accertamento del passivo dovrà ispirarsi a principi di snellezza procedimentale, rapidità e concentrazione, prevedendo in particolare di

a) agevolare la presentazione telematica delle domande tempestive di creditori e terzi, anche non residenti nel territorio nazionale, restringendo l’ammissibilità delle domande tardive;

            b) introdurre preclusioni attenuate già nella fase monocratica;

            c) prevedere forme semplificate per le domande di minor valore o complessità;

            d)  assicurare stabilità alle decisioni sui diritti   reali immobiliari;

e) attrarre nella sede concorsuale l’accertamento di ogni credito opposto in compensazione ai sensi dell’articolo 56 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267;

f) chiarire le modalità di verifica dei diritti vantati su beni del debitore che sia costituito terzo datore di ipoteca;

g) adeguare i criteri civilistici di computo degli interessi allemodalità di liquidazione dell’attivo di cui al comma 9.

Il progetto di codice traduce in precetti normativi i suesposti principi agli artt. 205 e ss.

Le novità prefigurate si muovono soprattutto nel segno di una concentrazione e speditezza processuale, come è dato evincere dai seguenti elementi:

  • già l’art. 53 prevede che la sentenza che apre la liquidazione giudiziale dovrà fissare l’udienza per la verifica delle insinuazioni tempestive non oltre novanta giorni dal deposito della sentenza, ovvero centoventi in caso di particolare complessità della procedura (termini oggi previsti, rispettivamente in centoventi ed in centottanta giorni dall’art. 16 co. 1 n. 4 l.f.);
  • il termine per la presentazione delle domande di insinuazione tardive – attualmente previsto dall’art. 101 l.f. in dodici mesi prorogabili sino a 18 mesi dal decreto di esecutorietà dello stato passivo – è destinato ad essere dimezzato e portato a sei mesi dall’art. 213 del disegno di decreto attuativo; per esigenze di certezza giuridica la proposizione di istanze ultra tardive risulterà ammissibile  solo se avvenuta entro trenta giorni dal momento in cui l’istante provi di aver avuto conoscenza della procedura concorsuale;
  • vengono introdotte delle preclusioni probatorie in sede di opposizione allo stato passivo stabilendosi (art. 212 co. 2 n. 4) che a pena di decadenza l’opponente dovrà specificamente indicare i mezzi di prova non ammessi dal G.D. di cui intende avvalersi e dei documenti già prodotti in sede di verifica; innovativa la precisazione che (in sede di impugnazione) “non è ammessa la produzione di nuovi documenti, tranne quelli che il ricorrente dimostri di non aver potuto indicare né produrre anteriormente per causa a lui non imputabile e quelli comunque indispensabili ai fini della decisione”: viene in tal modo evocata un disciplina delle preclusioni speculare a quella per l’appello nella formulazione che l’art. 345 c.p.c. ha avuto sino alle modifiche apportate con la legge 7 agosto 2012, n. 134, di conversione del d.l. 22 giugno 2012, n. 83.[6]

6.Anche per l’attività liquidatoria dovranno perseguirsi principi di trasparenza ed efficienza,

a) introducendo sistemi informativi e di vigilanza della gestione liquidatoria, caratterizzati da trasparenza, pubblicità e obblighi di rendicontazione;

b) garantendo la competitività delle operazioni di liquidazione nell’ambito del mercato unitario telematico nazionale delle vendite.

c) introducendo misure volte a garantire all’insolvente i diritti di informazione, accesso e partecipazione, prevedendo che, fatte salve le eventuali limitazioni motivatamente e specificamente fissate dal giudice delegato, all’insolvente   medesimo   sia   assicurata l’informazione sull’andamento della procedura e che lo stesso abbia diritto di accesso agli atti della procedura non coperti da segreto,con possibilità di prenderne visione e di estrarne copia

Tali principi si pongono in continuità con quelli già contenuti nella mini-riforma della legge fallimentare operata nel 2015, attraverso l’introduzione della disciplina delle offerte concorrenti, di cui all’art. 163 bis l.f., e di esecuzione mediante procedure competitive di tutte le cessioni in ambito concordatario, come previsto dall’art. 182 l.f.

7.Altro principio di delega ispirato è volto ad ottimizzare e rendere più effettiva la fase di chiusura anticipata delle procedure in presenza di liti pendente.

Anche in questo caso si tratta di rendere più effettiva una possibilità introdotta attraverso la novellazione degli artt. 118 e 120 l.f. dalla L. 6 agosto 2015 n. 132, di conversione del d.l. n. 83/2015. Per ragioni di spazio rimandando ad altro scritto[7] l’approfondimento delle maggiori criticità dell’attuale disciplina, appare certamente opportuno che l’attuazione della delega (su cui interviene l’art. 239 della bozza di decreto delegato) chiarisca che la legittimazione del curatore è destinata a permanere, dopo la chiusura “anticipata” della liquidazione in pendenza di giudizi, anche per i procedimenti cautelari o esecutivi, finalizzati ad ottenere l’attuazione delle decisioni favorevoli conseguite dalla liquidazione giudiziale. La delimitazione dei giudizi pendenti sconta, peraltro, nella versione attuale del citato articolo del disegno di decreto, la non perfetta formulazione dell’espressione “in particolare” non essendo chiaro se le liti pendenti debbano riguardare solo quelle aventi ad oggetto “i diritti derivanti dalla liquidazione giudiziale” o come appare più opportuno, anche alla luce della più ampia presa di posizione del legislatore delegante, qualunque diritto attivo comunque presente nel patrimonio della liquidazione. Sembra invece rimanere ferma la necessità che si tratti di lite attiva a contenuto pecuniario, come può inferirsi dal riferimento alle “somme” che il co. 4 della nuova norma continua a mantenere. Utile dal punto di vista pratico l’avvertenza che la chiusura anticipata, in pendenza di liti, non conduce alla cancellazione della società dal registro delle imprese, valendo tale scelta anche a mettere più ordine alle problematiche fiscali relative alla chiusura anticipata della procedura.

8.Infine, un altro obiettivo perseguito è rivolto a disciplinare in modo più organico la legittimazione del curatore all’esercizio delle azioni di responsabilità nei confronti degli organi gestori e di controllo. La traduzione in precetti normativi di questa delega è affidata ad una separata bozza di decreto legislativo recante modifiche al codice civile, i cui punti salienti sono rivolti a meglio disciplinare gli assetti organizzativi societari e la responsabilità degli amministratori, estendere i casi di nomina degli organi di controllo e l’esperibilità del rimedio ex art. 1409 c.c. nelle s.r.l.[8]

4. IL D.LGS. 54/2018 E LE NUOVE INCOMPATIBILITA’

Appare opportuno dare conto in questa sede di una recentissima novità normativa che ha finito per anticipare la stessa elaborazione definitiva della più complessiva riforma della disciplina della crisi e dell’insolvenza[9]. L’art. 1 del decreto legislativo in oggetto, nel modificare il D. lgs. 6 settembre 2011, n. 158, ha introdotto nuove e più diffuse forme di incompatibilità per i professionisti nominati dal Tribunale nelle procedure concorsuali. In particolare si è previsto che “Non possono assumere   l’ufficio   di   Amministratore giudiziario, nè quello di suo coadiutore, coloro i quali sono legati da rapporto di coniugio, unione civile o convivenza di fatto ai sensi della legge 20 maggio 2016, n. 76, parentela entro il terzo  grado  o affinità entro il secondo grado con magistrati  addetti  all’ufficio giudiziario  al  quale  appartiene  il  magistrato   che   conferisce l’incarico, nonchè coloro i  quali  hanno  con  tali  magistrati  un rapporto di assidua frequentazione.  Si intende  per  frequentazione assidua quella derivante  da  una  relazione  sentimentale  o  da  un rapporto di amicizia stabilmente protrattosi nel tempo e connotato da reciproca confidenza,  nonchè il  rapporto  di  frequentazione  tra commensali abituali”.

L’art. 2  ha cura di estendere tali incompatibilità al Curatore ed al coadiutore nominato ai sensi del secondo comma dell’art. 32 l.f., introducendo un nuovo ultimo comma all’art. 28 l.f.

In virtù del rinvio all’art. 28 l.f. compiuto dall’art. 163 co. 2 n. 3), le nuove incompatibilità si applicano anche al Commissario giudiziale nelle procedure di concordato preventivo.

Parimenti va segnalato l’analogo rinvio all’art. 28 l.f. da pare dell’art. 15 co. 9 della L. 27/01/2012 n. 3 in tema di sovraindebitamento, con riguardo al professionista eventualmente nominato dal Tribunale per lo svolgimento dei compiti e delle funzioni attribuite agli organismi di composizione della crisi (O.C.C.).

L’art. 4 del nuovo D. lgs. n. 54/2018, ancora, prevede l’espressa applicazione delle nuove incompatibilità al gestore per la liquidazione nominato dal Giudice ai sensi dell’art. 7 co. 1 ult. periodo della citata L. 3/2012 (accordo di composizione), nonché al liquidatore nominato ex art. 14 quinquies della stessa legge (liquidazione del patrimonio). Pur mancando un espresso rinvio nelle norme di nuovo conio, deve ritenersi che l’incompatibilità si applichi anche al liquidatore nominato per l’esecuzione del piano del consumatore sovraindebitato, posto il rinvio dell’art. 13 co. 1 L. 3/2012 all’art. 28 l.f. (deve intendersi così come nel frattempo modificato).

Di particolare interesse pratico è la modifica della dichiarazione di incompatibilità, che riguarda tutti i soggetti appena indicati, ciascuno dei quali: “…al    momento    dell’accettazione dell’incarico e comunque entro due giorni dalla comunicazione della nomina, deposita presso la cancelleria dell’ufficio giudiziario conferente l’incarico una dichiarazione attestante l’insussistenza delle cause di incompatibilità di cui all’articolo 35, comma 4-bis”. Si ritiene che il deposito cartaceo in cancelleria possa essere validamente sostituito dal deposito telematico della dichiarazione di insussistenza dell’incompatibilità nella specifica procedura concorsuale caricata su SIECIC.

La dichiarazione, per ragioni di completezza, seppur non direttamente rilevante ai fini della nomina ricevuta, deve estendersi a valutare i rapporti con tutti i magistrati del distretto della Corte d’Appello di Bologna. Si prevede, infatti, che “nella dichiarazione il soggetto incaricato deve   comunque indicare … l’esistenza  di  rapporti di coniugio, unione civile o convivenza di fatto ai sensi della legge 20 maggio 2016, n. 76, parentela entro il  terzo  grado  o  affinità entro il secondo  grado  o  frequentazione  assidua  con  magistrati, giudicanti o requirenti, del distretto di Corte di appello nel  quale ha  sede  l’ufficio  giudiziario  presso  il  quale  è  pendente  il procedimento”.

Per i coadiutori spetta al Curatore acquisire la dichiarazione da parte del soggetto di cui si propone al Tribunale la nomina (nelle procedure prive di Comitato dei creditori, da autorizzare ex art. 41 co. 4 l.f.) o di cui si comunica la nomina (nelle procedure in cui è già intervenuta l’autorizzazione del C.d.C.), anche qui entro 2 giorni al massimo dalla designazione. Si intende che la mancata dichiarazione o la dichiarazione positiva comportano la necessità di individuazione di altro coadiutore, se del caso previa revoca da parte del G.D., cui compete la vigilanza sul legittimo andamento della procedura, sussistendo un indubbio caso di urgenza in assenza di attivazione spontanea da parte del Curatore o del C.d.C.

Le nuove norme non si applicano al delegato, ai sensi dell’art. 32 co. 1 l.f. Inoltre, nel novero dei coadiutori di cui all’art. 32 co. 2 l.f. non possono ritenersi compresi, per ragioni di ordine sistematico, la nomina di legali e difensori del fallimento (ruolo che infatti ex art. 31 ult. co. il curatore non può svolgere), come pure i soggetti autonomamente previsti dalla legge con funzioni proprie e specifiche rispetto al curatore, con la cui opera concorrono soltanto in via occasionale in vista del miglior andamento della procedura concorsuale (è il caso, ad es. dello stimatore individuato dal Curatore ex art. 87 l.f.).    

Particolare attenzione va prestata alla sanzione prevista: “in caso di violazione della disposizione (…) il tribunale provvede d’urgenza alla sostituzione del soggetto nominato. Il tribunale provvede allo stesso modo nel caso in cui, dalla dichiarazione depositata, emerga la sussistenza di una causa di incompatibilità.  In caso di dichiarazione di circostanze   non corrispondenti al vero effettuata da un soggetto iscritto ad un albo professionale, il tribunale lo segnala   all’organo   competente dell’ordine o del collegio professionale ai fini della valutazione di competenza in ordine all’esercizio dell’azione disciplinare e al presidente della Corte di appello affinchè dia notizia della segnalazione a tutti i magistrati del distretto”.

Le nuove disposizioni sono entrate in vigore il 25 giugno 2018 (decorso di trenta giorni dalla data di pubblicazione sulla G.U. 26/05/2018 n. 121) e non si applicano alle nomine precedenti. Tali norme hanno immediatamente sollevato un aspro dibattito e numerosi dubbi di costituzionalità. Da un lato, infatti, pur perseguendo in astratto apprezzabili obiettivi di trasparenza nelle nomine, le nuove norme non prendono direttamente in esame neppure i colleghi di studio dei professionisti parenti, coniuge o conviventi dell’organo giudiziario che provvede alla nomina. Dall’altro, invece, assumono un ambito applicativo eccessivamente vasto, sia nella parte in cui le nuove incompatibilità riguardano letteralmente non i magistrati dello stesso settore dell’organo che procede alla nomina ma dell’intero ufficio giudiziario, con il rischio di minare un’efficiente e razionale andamento delle procedure ed ingessare, specie nei tribunali di maggiori dimensioni, proprio la fase iniziale e più urgente di avvio della procedura concorsuale[10]; al tempo stesso, ancora una volta in modo irragionevole, le nuove disposizioni introducono un obbligo generalizzato di dichiarazione di rapporti e dati relativi a parentela, coniugio, amicizia, rapporti sentimentali, esteso a tutti i magistrati del distretto pur quando – ovviamente – non sia in discussione la legittimità della nomina da parte del sinolo ufficio. Lo stesso concetto di “stabile amicizia” appare, poi, concetto non facilmente definibile ed apprezzabile in concreto, con rischi persino di tipicità e tassatività della disposizione, laddove sulla relativa violazione volesse ipotizzarsi una condotta disciplinarmente censurabile.

Probabilmente più coerente con il sistema e gli stessi obiettivi perseguiti dal legislatore era l’introduzione di incompatibilità riservate alla sezione o al settore cui appartiene l’organo che procede alla nomina e, quanto al principio volto a favorire la equilibrata rotazione degli incarichi, un meccanismo di controllo simile quello previsto per l’albo dei CTU e le relative nomine dagli artt. 19, 22 e 23 disp. att. c.p.c. Peraltro, mentre su questo secondo aspetto occorre probabilmente attendere che la sperimentazione delle nuove disposizioni metta in luce inefficienze e ritardi tali da procedere ad una modifica normativa, sul primo aspetto vi è forse spazio di intervento da parte del massimo organo di autogoverno.


[1] Su questa tematica, per un primo inquadramento, vds. Speciale Riforma delle Procedure Concorsuali, in www.ilfallimentarista.it, nonché gli articoli e le ulteriori indicazioni bibliografiche ivi contenute.

[2] Da tempo proprio il riferimento al best interest dei creditori ha finito per ridisegnare i confini della concorsualità, escludendo che il rispetto della par condicio ne sia uno dei pilastri indefettibili: così Cass. 19 febbraio 2016, n. 3324 ha ritenuto che “i pagamenti di crediti anteriori eseguiti dall’imprenditore ammesso al concordato preventivo in difetto di autorizzazione del giudice delegato non comportano l’automatica revoca, ai sensi della L. Fall., art. 173, u.c., dell’ammissione alla procedura, la quale consegue solo all’accertamento, che va compiuto dal giudice del merito, che tali pagamenti sono diretti a frodare le ragioni dei creditori, in quanto pregiudicano le possibilità di adempimento della proposta formulata con la domanda di concordato” (nello stesso senso, da ultimo, anche Cass. 16/05/2018, n. 11958).

[3] Cfr. altresì MUSSA, La liquidazione giudiziale prende il posto del fallimento, in www.ilfallimentarista.it.

[4] Si allude all’audizione dello scorso 11 luglio, in cui il Ministro Alfonso Bonafede ha indicato le linee programmatiche del proprio dicastero segnalando l’esigenza, a quanto riportato (vds. news dello scorso 16 luglio su www.ilfallimentarista.it), di introdurre alcune modifiche alla bozza di riforma, fra l’altro introducendo soglie di rilevanza per le procedure di allerta, con particolare riguardo alle PMI.

[5] Il principio di consecuzione sembra, anzi, destinato ad ampliarsi tenuto conto del più recente orientamento giurisprudenziale che fa rientrare fra le procedure concorsuali anche l’accordo di ristrutturazione dei crediti: così Cass. civile, sez. I, 18/01/2018, n. 1182, secondo cui “l’accordo di ristrutturazione dei debiti di cui all’art. 182-bis l.fall. appartiene agli istituti del diritto concorsuale, come è dato desumere dalla sua disciplina che presuppone, da un lato, forme di controllo e di pubblicità sulla composizione negoziata (in punto di condizioni di ammissibilità, deposito presso il tribunale competente, pubblicazione al registro delle imprese e necessità di omologazione) e, dall’altro, effetti protettivi (quali i meccanismi di protezione temporanea e l’esonero dalla revocabilità di atti, pagamenti e garanzie posti in essere in sua esecuzione), tipici dei procedimenti concorsuali” e – più recentemente – Cass. 12/04/2018, n. 9087.

[6] L’intento del legislatore delegato della riforma è quindi quello di stabilire delle preclusioni (che finiscono per operare conseguentemente anche nella fase di verifica avanti al G.D.), superando l’attuale orientamento secondo cui “nel giudizio di opposizione allo stato passivo non opera, nonostante la sua natura impugnatoria, la preclusione di cui all’art. 345 c.p.c. in materia di ius novorum con riguardo alle nuove eccezioni proponibili dal curatore, in quanto il riesame, a cognizione piena, del risultato della cognizione sommaria proprio della verifica, demandata al giudice dell’opposizione, se esclude l’immutazione del thema disputandum e non ammette l’introduzione di domande riconvenzionali della curatela, non ne comprime tuttavia il diritto di difesa, consentendo, quindi, la formulazione di eccezioni non sottoposte all’esame del giudice delegato (Cass. n. 8929/2012, n. 3110/2015)” (così da ultimo Cass. civile, sez. VI, 8 marzo 2018, n. 5624).

[7] FAROLFI, Chiusura “anticipata” del fallimento insinuato in altra procedura fallimentare, nota a Trib. Milano, 22 marzo 2017, in Il Fallimento, 2017, 7, 833.

[8] Più ampi riferimenti in BOTTAI, Le modifiche al codice civile dettate dalla L. n. 155/2017 e l’affermazione del “diritto concorsuale societario”, in www.ilfallimetnarista.it.

[9] Sul nuovo D.Lgs.vo 54/2018 possono consultarsi: LAMANNA, Nuove ipotesi “extra-large” di incompatibilità per amministratori giudiziari, curatori, commissari, liquidatori e coadiutori, in www.ilfallimentarista.it; ZANICHELLI, Le incompatibilità al conferimento di particolari uffici (D.lgs. n. 54/2018), in www.ilcaso.it; DI VIZIO, Le nuove incompatibilità nelle procedure concorsuali: in G.U. il D.Lgs. 54/2018, in www.quotidianogiuridico.it.

[10] Per una possibile interpretazione sistematica e più restrittiva del concetto di ufficio giudiziario, vds. il documento del CNDCEC, Le nuove incompatibilità degli ausiliari e dei coadiutori nominati nelle procedure concorsuali, del 1° agosto 2018, in www.ilcaso.it.