Prassi in materia concorsuale: profili di riforma delle procedure concordate

di Alessandro Farolfi

La recentissima legge delega, avente ad oggetto la riforma della disciplina della crisi di impresa e dell’insolvenza,è stata approvata in via definitiva lo scorso 11 ottobre 2017 (Legge n. 155 del 19.10.2017, pubblicata nella G.U 30/10/2017)[1]. In attesa della (auspicabile) attuazione della riforma, nel ricordare che lo scorso 23 dicembre 2017 la Commissione “ristretta” ha consegnato al Ministro della Giustizia le bozze dei decreti delegati, è opportuno già in questa sede ricordare le novità che si annunciano in tema di concordato preventivo, al fine di evidenziare eventuali punti critici e le prospettive di riforma che sul tema si affacciano all’orizzonte[2].

I principi di delega in tema di concordato preventivo sono contenuti, in particolare, all’art. 6 della citata L. 155/2017 e possono così schematizzarsi:

  1. disfavore evidente per il concordato liquidatorio (pur se non è stata accolta la soluzione radicale della inammissibilità di questo istituto, come inizialmente ventilato, si è richiesto che lo stesso – oltre ad assicurare in ogni caso la soddisfazione del 20% ai chirografari come oggi già prevede l’art. 160 ult. co. l.f.– fruisca dell’apporto di risorse esterne che aumentino in misura apprezzabile la soddisfazione dei creditori);
  2. revisione della disciplina delle misure protettive (in questo punto la delega va coordinata con il principio volto ad unificare gli aspetti processuali per tutte le domande di accertamento della crisi o dell’insolvenza, contenuto all’art. 2, nonché con l’introduzione delle misure di allerta prevista dall’art. 4);
  3. individuazione dell’entità dei compensi spettanti ai professionisti incaricati dal debitore e collegamento della prededuzione all’apertura della procedura concordataria ex art. 163 l.f. (anche qui la delega si collega al principio generale di cui all’art. 2 lett. l) di contenimento della durata e dei costi delle procedure, con riferimento anche alle ipotesi di prededuzione[3]);
  4. previsione di ipotesi di classamento obbligatorio dei creditori (da istituirsi in ogni caso nella ipotesi di creditori assistiti da garanzie esterne);
  5. previsione espressa che la verifica del tribunale si estenda alla fattibilità anche economica del piano, tenendo conto dei rilievi del Comm.Giud.[4];
  6. modifica della disciplina del voto, sopprimendo l’adunanza e prevedendo che nel caso in cui un creditore abbia da solo la maggioranza si voti anche “per teste” oltre che per importi ammessi al voto; introduzione di una regolamentazione del voto dei privilegiati dilazionati nel tempo e dei creditori soddisfatti con utilità diverse dal denaro;
  7. integrazione della disciplina dei rapporti pendenti;
  8. disciplina più dettagliata della fase di esecuzione del piano e riordino delle ipotesi di revoca, annullamento e risoluzione.

In questo quadro, un’attenzione peculiare è poi dedicata al concordato con continuità aziendale(anche in questo caso in collegamento con il principio fondamentale dell’art. 2 volto a dare priorità di trattazione alle soluzioni della crisi che consentono la prosecuzione dell’attività caratteristica),

I principi incentivanti questa tipologia di concordato (oltre che sulla non applicabilità della soglia minima del 20% di cui all’ultimo comma dell’art. 160) si muovono lungo tre direttrici:

a) moratoria temporale anche superiore ad un anno per il pagamento dei privilegiati;

b) applicabilità della continuità al c.d. concordato misto, a condizione che i creditori vengano soddisfatti in misura prevalente dal ricavato prodotto dalla continuità aziendale;

c) previsione espressa che nella continuità rientra anche il caso in cui l’azienda sia oggetto di un contratto di affitto d’azienda, anche se stipulato anteriormente alla domanda di concordato (c.d. continuità indiretta o oggettiva).

Più in generale, deve ritenersi che alcuni principi contenuti nella legge delega, in quanto già legge dello stato che dichiaratamente si pone come obiettivo quello di risolvere contrasti interpretativi, nella misura in cui non richiedano norme di dettaglio per disegnare una disciplina più compiuta (principi c.d. self executing) possano già rappresentare, anche in mancanza di approvazione dei decreti delegati, degli utili riferimenti ermeneutici cui gli operatori possono ricorrere nella disamina di questioni interpretative dibattute. E’il caso, per fare un esempio, proprio del riconoscimento della continuità indiretta come fenomeno concordatario rientrante a pieno titolo nell’alveo della continuità aziendale, con tutte le conseguenze che ne derivano (esonero dal limite di cui all’art. 160 ult. co. o possibilità di pagamento dei c.d. creditori strategici, ad es.)[5].

L’attuazione di tali principi è contenuta, come già anticipato, nel nuovo “Codice della crisi e dell’insolvenza”, schema di decreto delegato che ambiziosamente si propone di sostituire la vecchia legge fallimentare, operando una reductio adunitatem delle procedure in senso lato concorsuali, comprese quelle relative al sovraindebitamento, attualmente estranee al R.D. 16 marzo 1942 ed oggetto, invece, della legge speciale n. 3/2012 e sss. modd. Tale scelta, peraltro, appare coerente da un lato con il venir meno della terminologia legata al “fallimento” (destinato a divenire liquidazione giudiziale) e, dall’altro, con l’estensione dell’area di applicazione delle procedure concorsuali a tutti i debitori in crisi o insolventi, anche attraverso l’unificazione delle forme processuali di accertamento di tali condizioni.

Viene in rilievo, in primo luogo, l’art. 89 che, dopo aver ricordato che il concordato può essere con continuità aziendale oppure liquidatorio, ci dice che la continuità è rivolta al ripristino dell’equilibrio economico finanziario nell’interesse prioritario dei creditori, distinguendo fra:

  • continuità diretta, in capo all’imprenditore che ha presentato la domanda di concordato, ovvero
  • continuità indiretta, in caso sia prevista la gestione dell’azienda in esercizio in capo a soggetto diverso dal debitore in forza di cessione, usufrutto, affitto, stipulato anche anteriormente alla presentazione del ricorso, conferimento dell’azienda in una o più società, anche di nuova costituzione, o a qualunque altro titolo.

L’allargamento espresso alla ipotesi di continuità indiretta appare condivisibile e vale a fugare le perplessità sollevate in proposito da una parte consistente della giurisprudenza di merito[6].

Destinata a creare dubbi interpretativi appare, invece, la norma che in caso di contemporanea prosecuzione dell’attività aziendale e cessione di beni, adotta una tesi per così dire quantitativa, facendo cioè dipendere la qualificazione del concordato e la conseguente disciplina applicabile dalla circostanza che i creditori ricevano in misura prevalente la propria soddisfazione dal ricavato prodotto dalla continuità aziendale (ivi compresa la cessione del magazzino). Il concetto di utilità viene invece dilatato sino a ricomprendervi vantaggi fiscali e benefici economici indiretti derivanti dalla prosecuzione o rinnovazione di rapporti contrattuali (viene in tal modo implicitamente sdoganata la c.d. “classe a zero” ricomprendete soggetti chirografari che non ricevono alcuna risorsa concordataria, ma solo vantaggi fiscali o indiretti). L’espressione “ivi compresa la cessione del magazzino” appare comunque interessante e degna di un’interpretazione estensiva ai flussi generati dalla collocazione sul mercato, più in generale, di tutti i prodotti realizzati o servizi erogati dall’impresa in continuità[7].

L’art. 89 ci indica, poi, cosa deve intendersi per apporto di risorse esterne che aumentano in misura apprezzabile il soddisfacimento dei creditori: deve trattarsi di almeno il 10% del soddisfacimento dei creditori chirografari (non in termini assoluti bensì relativi alla percentuale altrimenti ritraibile con risorse interne: in altri termini se le risorse interne consentono un soddisfacimento del 25% l’apporto esterno, per potersi definire “apprezzabile” deve consistere in un 2,5% in termini assoluti e non garantire un incremento del 10%).In ogni caso il soddisfacimento non può essere inferiore al 20% dell’ammontare complessivo del credito chirografario. Quest’ultima precisazione appare molto utile e vale a fugare il dubbio (che si pone anche rispetto all’attuale formulazione dell’art. 160 ult. co. l.f.) se la percentuale minima vada osservata rispetto a tutte i creditori chirografari oppure se, come appare preferibile ed oggi viene così convalidato, sia sufficiente destinare risorse pari al 20% del monte complessivo che crediti privi di cause di prelazione, ferma la successiva libertà del proponente di ripartire tali risorse fra classi diverse, alcune delle quali anche destinatarie di una percentuale inferiore al 20%.

Estremamente rilevanti appaiono, altresì, gli art. 90, 91 e 92.

La prima disposizione ci dice che la proposta di concordato deve fondarsi su un piano che abbia concrete possibilità di realizzazione, mentre rinvia all’art. 92 per il contenuto e gli aspetti formali: parlare di concrete possibilità di realizzazione significa, implicitamente, ad avviso di chi scrive, affidare al tribunale, naturalmente sulla scorta degli accertamenti del C.G. e delle indicazioni d queste fornite, una possibilità di valutazione prognostica circa l’effettiva capacità di realizzazione delle operazioni di cui il piano si compone ed un’analisi anche economica delle stesse, dovendosi già in sede di ammissione escludere quelle proposte che si fondino su piano del tutto generici, velleitari, affidati ad operazioni non solo impossibili giuridicamente ma privi di concrete possibilità di realizzazione.  Il concordato preventivo, volendo applicare una terminologia contrattualistica seppur non dimenticando mai la sua natura anche di procedura concorsuale ispirata al perseguimento di interessi pubblicistici, non è un negozio aleatorio, ma è un negozio che appartiene alla categoria dei negozi sinallagmatici (il cui fondamento causale può essere rinvenuto nello scambio fra e sdebitazione verso soddisfacimento non irrilevante dei creditori).

Nel mentre si riconferma il contenuto atipico della proposta e del piano sottostante e la necessità di predisporre un vero e proprio business plan in caso di continuità diretta, nonché la possibilità di prevedere l’apporto di un terzo assuntore, si introducono ben sei casi di classi obbligatorie:

  • creditori privilegiati dei quali non sia previsto l’integrale pagamento o sia previsto il pagamento dilazionato ai sensi dell’art. 91 (denominato “moratoria nel concordato in continuita’ ”) secondo cui “Il piano può prevedere, fermo quanto disposto dall’articolo che precede, una moratoria fino a due anni dall’omologazione per il pagamento dei creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, salvo che sia prevista la liquidazione dei beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione. In tal caso, i creditori muniti di cause di prelazione di cui al periodo precedente hanno diritto al voto per l’intero credito”) e a seconda dell’oggetto della garanzia;
  • creditori titolari di crediti previdenziali o fiscali dei quali non sia previsto l’integrale pagamento;
  • creditori che vengono soddisfatti anche in parte con utilità diverse dal denaro;
  • creditori titolari di garanzie prestate da terzi;
  • creditori proponenti il concordato e parti ad essi correlate;
  • creditori postergati.

L’art. 92, come anticipato, prevede in modo analitico il contenuto del piano (mentre rinvia al precedente art. 48 per la documentazione allegata) e rende discrezionale la relazione del professionista attestatore in ordine alla veridicità dei dati aziendali ed alla fattibilità del piano.

L’attestazione resta obbligatoria in due casi:

  • in caso di continuità aziendale avendo riguardo al miglior soddisfacimento dei creditori
  • in caso di modifica sostanziale del piano o della proposta.

Resta la previsione delle proposte concordatarie concorrenti, ma l’art. 95 oltre a non aver consentito una legittimazione diretta ed autonoma dei creditori dell’imprenditore in crisi, di cui pure la commissione di riforma aveva discusso, ha pure ridotto le soglie di inammissibilità collegate al presumibile soddisfacimento dei creditori assicurato dalla proposta del debitore: 30% oppure anche solo il 20% se lo stesso debitore aveva richiesto l’apertura del procedimento di allerta o di composizione assistita della crisi (oggi l’art. 163 prevede soglie più elevate di inammissibilità, del 40% o del 30% a seconda se il concordato abbia natura liquidatoria – nel primo caso – o in continuità). Anche in questo caso la percentuale deve essere oggetto di specifica attestazione (quindi ritorna obbligatoria anche nel caso in cui il debitore originariamente non si fosse avvalso di detta figura professionale).

DOPO L’APERTURA DELLA PROCEDURA CONCORDATARIA: LE AUTORIZZAZIONI

L’art. 99 è destinato a sostituire il “vecchio” art. 167 in tema di atti di straordinaria amministrazione, ma la formulazione letterale adottata contiene tre criticità fin da ora prospettabili:

  • un divieto di autorizzazione quanto l’operazione possa avvenire dopo l’omologazione senza pregiudizio per il miglior soddisfacimento dei creditori;
  • una previsione generica di adeguata pubblicità per l’atto urgente che nel periodo precedente si dice poter farsi luogo “senza pubblicità e procedure competitive”): dovrà qui trattarsi di atti sommamente urgenti e il cui mancato immediato svolgimento possa provocare danni di rilievo o compromettere il miglior soddisfacimento dei creditori;
  • non è stata inserita una formula di chiusura per cui l’atto urgente non autorizzato non è di per sé inefficace se comunque rivolto al miglior soddisfacimento dei creditori, secondo una giurisprudenza della S.C. che appare ormai consolidata.

L’art. 102 disciplina i contratti pendenti ed è destinato a sostituire l’art. 169 bis recependone in gran parte i contenuti, così come gli approdi della preferibile e maggioritaria giurisprudenza di merito (ad es. durante la fase di preconcordato è possibile la sola sospensione e non lo scioglimento del rapporto contrattuale: cfr. il co. 2 dell’art. 102 cit.;ancora, che l’accertamento del credito derivante appartiene al G.O. ed è valutato dal G.D. ai soli fini del voto). Del tutto nuovo il meccanismo della notificazione dell’istanza di sospensione o scioglimento (che deve essere autonoma dal ricorso) contenente la proposta di quantificazione dell’indennizzo. Il destinatario può opporsi entro 7 gg. dalla notifica dell’istanza. Il credito viene definito in ogni caso come chirografario.

La disciplina dei finanziamenti nel concordato o nell’ADR è invece contenuta negli artt. 104, 106 e 107 con una semplificazione fra finanziamenti anteriori (cioè autorizzati prima dell’omologa del concordato o dell’accordo) destinati ad assorbire i finanziamenti interinali ed in funzione, ed i finanziamenti in esecuzione, cioè previsti post omologazione. Anche in questo caso è prevista una relazione di attestazione obbligatoria.

L’art. 106 è invece specificamente dedicato ai finanziamenti in esecuzione. Nulla si dice in tema di autorizzazione (che va ritenuta non dovuta) ma si richiede che tali finanziamenti siano espressamente previsti nel piano.

L’art. 107 tratta dei finanziamenti dei soci e contiene un refuso, laddove rinvia all’art. 105, dovendosi invece leggere art. 106.

L’art. 105, infine, è destinato a regolare l’autorizzazione al compimento dei pagamenti anteriori. Interessante il co. 2 inteso ad evitare l’operatività della scadenza o cristallizzazione dei debiti pecuniari di cui all’attuale art. 55 l.f., con riferimento ai rapporti di mutuo pendenti, purchè il debitore sia in regola nel pagamento o si faccia autorizzare al pagamento dei ratei già scaduti.

Alcune considerazioni sul voto della proposta concordataria.

L’articolo 114 (riproponendo in parte il testo dell’attuale art. 177 l.f.) conferma che il concordato è approvato dai creditori che rappresentano la maggioranza dei crediti ammessi al voto, come pure la soluzione attuale – quale uscita dalla riforma del 2015 – secondo cui il voto favorevole deve essere necessariamente espresso, mentre non vale più la formula del silenzio-assenso che tanta fortuna ha avuto (e qualche abuso ha forse consentito) nella sua vigenza fra il 2012 -2015; la formula del silenzio-assenso continuerà ad essere applicata al c.d. “concordato minore”, così come già oggi intema di accordo di composizione della crisi da sovraindebitamento.

L’art. 114 precisa, inoltre, che il concordato è approvato se la maggioranza dei crediti ammessi al voto è riportata anche nel maggior numero di classi, con formula la cui importanza appare evidente considerati i numerosi casi di classi obbligatorie di cui si propone l’inserimento.

Ma le due innovazioni più rilevanti sono:

  • l’adozione di un sistema di calcolo delle maggioranze anche “per teste”, nell’ipotesi in cui un solo creditore sia titolare di crediti pari o superiori alla maggioranza di quelli ammessi al voto (cd. “creditore tiranno”);
  • una apposita disciplina delle situazioni di conflitto di interessi (il comma 6 dell’articolo cit. – dopo aver previsto al co. 5 che i creditori privilegiati dilazionati per oltre un anno dalla data di presentazione della domanda votano per l’intero credito – precisa che “Sono inoltre esclusi dal voto e dal computo delle maggioranze i creditori in conflitto d’interessi. Sono in conflitto d’interessi i creditori portatori di un interesse in conflitto con il miglior soddisfacimento dei creditori, fatte salve le cause legittime di prelazione”). 

Ai temi dell’esecuzione e risoluzione del concordato sono dedicati, fondamentalmente, gli artt. 123 e 124 della bozza.

Le novità maggiori in tema di esecuzione sono rivolte ad evitare situazioni concordatarie inattuate e del tutto inerti, come invece oggi in taluni casi si registrano a fronte di un’approvazione del concordato avvenuta negli scorsi anni tramite silenzio assenso, cui abbia fatto seguito la  successiva scadenza del termine per richiedere la risoluzione. L’art. 123 prevede, pertanto, l’introduzione del principio dell’attuazione coattiva della proposta concordataria del debitore e l’allargamento dei casi di legittimazione a richiedere la risoluzione del concordato preventivo, che viene estesa al C.G., se richiesto da un creditore.

Non viene invece affrontato il tema del fallimento senza preventiva risoluzione del concordato, pur se l’ambito di legittimazione generalmente esteso al pubblico ministero consentirà di evitare, probabilmente, taluni abusi[8].


[1] Sulla riforma, in generale, LAMANNA, La riforma concorsuale in progress: dalla legge delega alla sua (rapida) attuazione, in www.ilfallimentarista.it; CHERUBINI, Riforma fallimentare. Guida commentata alla legge 155/2017, Rimini, 2017.

[2] Sulla parte della riforma riguardante il concordato preventivo, MARZO, Aspetti qualificanti del “riordino” della disciplina relativa al concordato preventivo, ivi; FICO, La prededucibilità dei crediti dei professionisti nella legge delega, ivi; RAVINA, I poteri del tribunale nella valutazione di fattibilità del piano concordatario secondo la legge delega, ivi; AMATORE, Poteri di controllo del tribunale e giudizio di fattibilità economica del piano, ivi; RASILE – PEZZOLI, Il nuovo concordato preventivo nello schema di decreto delegato, ivi; CENSONI, La “controriforma” della disciplina del concordato preventivo, in www.ilcaso.it.

[3] Sulla prededuzione spettante al credito del professionista attestatore, ex art. 161 co. 3 l.f., sulla utilità derivante dall’ammissione alla procedura concorsuale e la (tendenziale) irrilevanza delle successive vicende della procedura di concordato, vds. da ultimo Cassazione civile, sez. I, 16 Maggio 2018, n. 12017, in www.ilcaso.it, che tuttavia fa salva (qualora tempestivamente sollevata e non esclusivamente denunciata per la prima volta nel giudizio di legittimità) la eccezione di inadempimento.

[4]E’questa una delle novità più contestate in dottrina, che suole richiamarsi sul punto alla nota Cass. S.U. 23 gennaio 2013, n. 1521, cui si deve la distinzione fra fattibilità giuridica ed economica. Pur se il tema meriterebbe ben altro approfondimento, si può affermare che l’introduzione della soglia di soddisfacimento del 20% per i creditori chirografari – prevista dall’art. 160 ult. co l.f. come modificato dal d.l. 83/2015 convertito in L. 132/2015 – che la proposta deve “assicurare” in ogni caso, abbia reso assai sfumata se non del tutto superata la distinzione fra fattibilità economica e giuridica, nel senso almeno che appare rientrare nei compiti del Tribunale, non solo una valutazione circa la legittimità  della proposta e delle operazioni previste nel piano per la sua esecuzione, ma anche una valutazione di realizzabilità concreta delle stesse e di idoneità prima facie ed ex ante a consentire il raggiungimento di tale plafond minimo di  soddisfacimento. Cfr. Tribunale di Treviso, Sez. II Civile, 29 luglio 2016, e per considerazioni più ampie in ordine alle verifiche giudiziali FAROLFI, La verifica della fattibilità giuridica e della causa concreta del concordato, nota a Tribunale Busto Arsizio, 29 maggio 2013 e Appello Milano, 25 ottobre 2013, n. 3878, in www.ilfallimentarista.it.

[5] Per una valorizzazione come criterio interpretativo dei principi della legge delega, cfr. Trib. Ravenna, 15 gennaio 2018, in www.ilcaso.it.

[6] Sul tema, oggetto di un acceso dibattito dottrinale e giurisprudenziale, si rinvia a GALLETTI, La strana vicenda del concordato in continuità e dell’affitto d’azienda, in www.ilfallimentarista.it;  FINARDI, Le diverse interpretazioni del principio di responsabilità patrimoniale nel concordato con continuità, ivi; MANICO-MANGANARO, Affitto d’azienda e concordato preventivo: verso una soluzione di continuità, in www.diritto24.ilsole24ore.com, nonché alla bibliografia ulteriormente citata.

[7] Si adotta in tal modo un principio interpretativo che appare coessenziale aduna scelta – volta a favorire le ristrutturazioni dei debiti che consentano il mantenimento del c.d. going concern – caratterizzata dal fatto che nella valutazione della richiamata prevalenza la cessione del “magazzino” va conteggiata all’interno dei flussi prodotti dalla continuità. Si tratta di un principio che già oggi può valorizzarsi interpretativamente, in quanto non innovativo, ma specificativo di un dato di ovvia consistenza: la prosecuzione dell’attività aziendale seppur funzionalizzata al soddisfacimento dei creditori concordatari non può perdere di vista la ricerca della reddittività e della remunerazione dei fattori della produzione impiegati (materiali ed umani) pena la stessa inconsistenza della proposta continuazione ed il suo esito “infausto”. Non si spiegherebbero diversamente, infatti, norme come l’attuale art. 186 bis ult. co l.f. (che consente l’immediato arresto della procedura laddove, prima della omologazione, si evidenzi che la prosecuzione dell’attività cessa o risulta manifestamente dannosa per i creditori) o lo stesso art. 186 bis co. 2 lett. a) secondo cui il piano deve contenere una “analitica indicazione dei costi e dei ricavi attesi dalla prosecuzione dell’attività di impresa…delle risorse finanziarie necessarie e delle relative modalità di copertura” (ossia un vero e proprio business plan della prevista continuità).  La prosecuzione dell’attività, pur essendo un valore in sé come dimostrano le disposizioni limitanti le proposte liquidatorie, deve tendenzialmente produrre flussi finanziari per i creditori e, quindi, valorizzare e vendere sul mercato i beni prodotti o i servizi forniti. Questo spiega perché la vendita delle merci di magazzino deve farsi rientrare nel perimetro della continuità, in quanto attività realizzativa dell’oggetto sociale; di conseguenza, quando questo oggetto consiste nella costruzione e ristrutturazione in funzione della vendita di immobili, anche queste ultime operazioni, che rientrano nell’ordinaria amministrazione, dovranno considerarsi coerenti con un piano di continuità aziendale. La circostanza che tali cessioni debbano avvenire seguendo procedure competitive rappresenta uno degli effetti della scelta concorsuale di ristrutturazione del debito, piuttosto che eminentemente privatistica, ma non conduce necessariamente ad una diversa qualificazione, in termini puramente liquidatori, tutte le volte in cui tali alienazioni rappresentino il frutto della prosecuzione dell’attività di impresa e la realizzazione dell’oggetto sociale. Diverso, ovviamente, il caso in cui la società – pur avendo un oggetto sociale che ricomprende la trasformazione e vendita di beni immobili – si risolva a compiere un’operazione straordinaria come la vendita della propria sede al fine di “chiudere” l’attività e liquidare l’attivo.

[8] Sul tema della dichiarazione di fallimento c.d. omisso medio (cioè senza preventiva risoluzione) si rinvia alla nota Cass.17 Luglio 2017, n. 17703 che ha affermato l’ammissibilità di tale dichiarazione senza necessità di preventiva risoluzione del concordato omologato, qualora l’istante faccia valere il proprio credito falcidiato insoddisfatto. Va inoltre dato conto della più recente ordinanza Cass. civ., sez. VI, ord. 24 aprile 2018, n. 10105, con cui si è affermato che deve trattarsi in pubblica udienza della prima sezione civile – in quanto di possibile rilievo nomofilattico – la questione se debba essere ammesso al passivo integralmente o nella misura falcidiata in sede concordataria il credito nei confronti di debitore dichiarato fallito senza che sia stato dichiarato risolto il concordato preventivo in precedenza omologato.