Prima lettura per dibattimento penale del D.L. 17 marzo 2020, n. 18

di Simone Alecci in collaborazione con il Centro Studi “Nino Abbate” di Unità per la Costituzione

L’art. 83 del D.L. 17 marzo 2020, n. 18, il cui contenuto reca ulteriori misure straordinarie per contrastare l’emergenza epidemiologica da COVID-19 nel settore giudiziario, attua una netta cesura tra l’arco temporale racchiuso tra il 9 marzo ed il 15 aprile 2020 e quello compreso tra il 16 aprile ed il 30 giugno 2020.

Per quanto concerne il secondo segmento temporale  la decretazione d’urgenza non abbandona l’adozione di un approccio di particolarismo organizzativo, demandando ai capi degli uffici giudiziari l’adozione di misure che, in funzione delle peculiarità dell’area geografica interessata, possono prevedere il contingentamento dell’accesso del pubblico alle aule di giustizia nonché il differimento dei procedimenti già indicati all’art. 2, secondo comma, § 2 del D.L. 11/2020 (oggi espressamente abrogato dall’art. 83, comma 22, del D.L. 17 marzo 2020, n. 18).

Detto altrimenti, nell’ottica emergenziale i capi degli uffici potranno, ove ciò dovesse rendersi necessario alla luce delle indicazioni fornite dalle autorità sanitarie regionali, perpetuare il congelamento delle attività d’udienza sulla falsariga di quanto già previsto per il periodo di maggiore emergenza, fermo restando che fino al 15 aprile 2020 essi potranno comunque adottare stringenti misure di limitazione dell’accesso al pubblico agli uffici giudiziari e diramare linee-guida vincolanti per la fissazione nonché per la trattazione delle udienze insuscettibili di rinvio.

La misura organizzativa del rinvio officioso delle udienze fissate per il periodo di maggiore emergenza (ossia quello che si dipana dal 9 marzo sino al 15 aprile) soggiace ad alcune tassative eccezioni.

In particolare:

  • Arresti in flagranza e fermi. Le udienze di convalida devono comunque essere tenute: su tale crinale non pare allignino particolari aloni di dubbio, avendo il legislatore espressamente sancito che tali moduli procedimentali non debbano recedere dinanzi alla straordinarietà della congiuntura sanitaria.
  • Procedimenti in cui l’imputato o gli imputati sono in stato di custodia cautelare e i relativi termini vanno a scadere proprio nel periodo dal 9 al 15 aprile 2020. Su tale versante occorre semplicemente prestare attenzione al fatto che la scadenza evocata dal dettato normativo è quella contemplata dall’art. 304 c.p.p. e, dunque, concernente i termini di durata massima della custodia cautelare.
  • Procedimenti connotati dalla ricorrenza di misure di sicurezza detentive. La previsione normativa è stata opportunamente ritoccata, nella misura in cui è stata espressamente sancita l’obbligatorietà della trattazione del procedimento nelle ipotesi in cui le misure di sicurezza in questione siano già state applicate ovvero ne sia già stata avanzata la richiesta di applicazione.
  • Procedimenti nei confronti di soggetti detenuti, sottoposti a misure cautelari o di sicurezza e di prevenzione o, ancora, fascicoli che concernono soggetti minorenni, purché gli imputati (o i proposti nei procedimenti di prevenzione) ovvero i loro difensori espressamente richiedano che si tenga l’udienza. Tale disposizione normativa impone agli organi giudicanti di trattare i procedimenti nei confronti di soggetti privi della libertà personale sia in virtù di un titolo cautelare sia in forza di un provvedimento di espiazione della pena, salvo i casi di sospensione cautelativa delle misure alternative alla detenzione disposte nel rispetto della legislazione in materia di ordinamento penitenziario.

A tal riguardo, è il caso di precisare che l’obbligo di trattazione del procedimento (beninteso, ove l’interessato ovvero il difensore lo richiedano espressamente) concerne – a dispetto di quel che potrebbe desumersi da una rigida lettura della trama normativa (che tiene distinti i soggetti detenuti da quelli sottoposti a misura cautelare) – gli imputati in stato di detenzione cautelare nonché quelli condannati per pronuncia definitiva. Ciò significa, adottando un canone ermeneutico di stampo sistematico conforme allo spirito della legislazione emergenziale (il cui afflato mira proprio a scoraggiare la trattazione in udienza di procedimenti non urgenti proprio allo scopo di evitare l’afflusso di operatori qualificati nonché di testi presso gli uffici giudiziari della nazione), che dovrà procedersi – adottando il sistema delle videoconferenze – alla trattazione di procedimenti instaurati nei confronti di soggetti detenuti in virtù di un titolo disposto nell’ambito del medesimo processo trattato e non anche di coloro i quali sono detenuti per altra causa (la cui posizione giuridica, a ben vedere, è del tutto assimilabile, dinanzi all’autorità giudiziaria procedente, a quella dell’imputato libero che non patisce né potrebbe patire, in quanto tale, alcun pregiudizio sul fronte dei termini di custodia cautelare).

La disposizione normativa in questione troverebbe, dunque, applicazione, oltre che per i procedimenti instaurati nei confronti di soggetti sottoposti a custodia cautelare, anche (e solamente) per i procedimenti camerali di esecuzione (ove, ad esempio, l’interessato detenuto invochi l’applicazione della disciplina della continuazione in sede esecutiva) e per quelli trattati dalla magistratura di sorveglianza.

Esigenze probatorie indifferibili. Il richiamo normativo evoca lo spettro codicistico tracciato per l’incidente probatorio dall’ 392 c.p.p. e non anche, improvvidamente, quello – di ordine più generale – tratteggiato dall’art. 467 c.p.p. In tale frangente sarà comunque bastevole emettere un provvedimento sinteticamente motivato dal quale affiori l’effettiva possibilità di dispersione probatoria.

In tutti i casi in cui opera il differimento – nell’ipotesi, dunque, sia di rinvio obbligatorio del periodo di maggiore emergenza che di rinvio astrattamente flessibile del secondo periodo – restano sospesi i termini di prescrizione dei reati per i quali si procede per il tempo in cui il procedimento è rinviato e, comunque, non oltre il 30 giugno 2020.

E’ stato inoltre puntualizzato dal legislatore che, indipendentemente dagli effetti erompenti dal rinvio, in tutti i procedimenti penali in cui opera la sospensione dei termini per via dei rinvii d’ufficio il decorso della prescrizione, i termini stabiliti per la fase delle indagini preliminari, per l’adozione dei provvedimenti giudiziari, per il deposito delle relative motivazioni nonché per le impugnazioni restano paralizzati per il medesimo periodo (fermo restando che, ove si tratti di termini procedurali correlati a procedimenti instaurati nei confronti di persone detenute ovvero sottoposte a misura che abbiano invocato la relativa trattazione, tale coordinata normativa non può  trovare applicazione).

Nell’ipotesi di rinvio officioso restano altresì ibernati (sia per l’intero periodo di maggiore emergenza sia per quello successivo al 15 aprile e, comunque, in quest’ultimo caso per un arco temporale che non può spingersi oltre il 30 giugno 2020) i termini di fase di custodia cautelare enucleabili dall’art. 303 c.p.p. e dall’art. 308 c.p.p. (riferimento normativo opportunamente innestato dall’art. 83 del D.L. 17 marzo 2020, n. 18 al fine di congelare il decorso dei termini delle misure non custodiali ed interdittive che, nondimeno, pare proprio non possa trovare applicazione con efficacia retroattiva ai procedimenti già rinviati dal 9 marzo sino all’entrata in vigore delle nuove disposizioni) fermi restando tuttavia, al cospetto del persistente mancato richiamo dell’art. 304 della trama codicistica (e nella consapevolezza del fatto che una lettura dilatata del testo sublimerebbe agevolmente in un’inferenza analogica in malam partem), i termini massimi di custodia (che, pertanto, continueranno a decorrere ed obbligheranno l’autorità procedente a vigilare sulla relativa durata).

La netta previsione del rinvio officioso sgombra il campo da equivoci: il giudice non deve tenere udienza né per procedere al rinvio né per appurare se imputati, detenuti o proposti (o anche soltanto i loro difensori), facciano richiesta di trattazione del procedimento.

Il provvedimento di rinvio – è stato condivisibilmente rimarcato – è meramente esecutivo di una prescrizione di legge conosciuta e conoscibile da chiunque, il che impone ai soggetti legittimati di avanzare diligentemente istanza espressa di trattazione del procedimento al fine di consentire in tempo utile la predisposizione dell’armamentario d’udienza (che contempla la presenza fisica nell’aula di giustizia degli attori processuali, dell’assistente giudiziario e, ove si riveli necessario, del fonico).

Da questo punto di vista, sarebbe stato opportuno procedere alla codificazione della raccomandazione racchiusa nelle linee-guida varate dal C.S.M. l’11.3.2020 (indirizzate al Ministero della Giustizia per le opportune valutazioni di competenza), contemplando in chiave normativa l’indicazione di un termine entro il quale far pervenire – sempre tramite canali informatici – la dichiarazione recante l’espressa volontà di trattazione.

Il modulo operativo del rinvio officioso ha (inevitabilmente) già da qualche giorno imposto al personale amministrativo di cancelleria un notevole sforzo polarizzato sul versante degli adempimenti consequenziali di notifica dei vari decreti di differimento emanati ai sensi dell’art. 465 c.p.p.

Va osservato che, prescindendo dalle modifiche apportate dal D.L. Cura Italia, le cancellerie potevano già attuare gli adempimenti consequenziali al rinvio fuori udienza di tutti i procedimenti nei quali è già intervenuta la dichiarazione di assenza dell’imputato notificando il decreto, attraverso il “Sistema di Notificazioni e Comunicazioni Telematiche Penali”, al difensore, e ciò in quanto, ai sensi di quanto espressamente contemplato dall’art. 420 bis c.p.p., in tal caso il soggetto sottoposto a procedimento penale è rappresentato a tutti gli effetti dal suo avvocato.

 Lo stesso ordine di considerazioni vale, a mente del terzo comma dell’art. 420 bis c.p.p., per l’imputato che, dopo esser comparso ad un’udienza (e, pertanto, da considerarsi presente), non compaia a quelle successive.

Nell’ipotesi in cui l’imputato sia stato presente all’ultima udienza, invece, può astrattamente procedersi – ove egli non abbia espressamente eletto domicilio altrove – alla notifica al difensore di fiducia ai sensi dell’art. 157, comma 8 bis, c.p.p., facendo altresì affidamento sul fatto che la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto incensurabile il provvedimento con cui si è considerata valida la notifica effettuata a norma di tale comma qualora il difensore non abbia dichiarato di non accettarla immediatamente dopo averla ricevuta, ma abbia estrinsecato tale dichiarazione solo in udienza e, quindi, tardivamente (cfr., sul punto, Cass. Pen., 23 ottobre 2007, n. 6665).

      Nessun problema si pone né si è finora posto per le parti private, considerato che l’art 154 c.p.p. prescrive che “le notificazioni alla parte civile, al responsabile civile e alla persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria costituiti in giudizio sono eseguite presso i difensori”.

Tali coordinate ermeneutiche hanno chiaramente sortito la loro pregnanza applicativa nell’alveo dei rinvii già comunicati alle parti in data antecedente all’entrata in vigore dell’art. 83 del D.L. 17 marzo 2020, n. 18.

Ed infatti, sulla scia del recentissimo ritocco normativo appena evocato, l’ordinario regime codicistico imbastito per le comunicazioni e le notifiche conserverà la propria efficacia soltanto nell’ipotesi in cui il soggetto sottoposto a procedimento penale sia assistito da un difensore di ufficio, giacché è stato espressamente previsto che, in caso di nomina di difensore di fiducia, sarà bastevole perfezionare la notifica presso l’avvocato dell’imputato, dell’indagato ovvero della parte privata (art. 83, comma 14, del D.L. 17 marzo 2020, n. 18).

Si introduce, in tal modo, un’autentica ipotesi di notifica ex lege presso il difensore di fiducia, derogando – beninteso soltanto per il periodo di emergenza – al sistema di notificazioni previsto per tutti gli atti processuali penali.

 Va infine chiosato che il provvedimento di differimento dell’udienza non può che assumere le forme del decreto motivato (che contenga, in omaggio al principio di speditezza più che mai pervasivo in ottica emergenziale, il mero il richiamo alle indicazioni vincolanti contenute all’interno del D.L. n. 11/2020 e, in calce al medesimo, il sintagma – già invalso nella prassi della redazione degli ordini di traduzione – “d’ordine del Giudice o del Presidente” accompagnato, ove ritenuto necessario, dalla firma ovvero dalla sigla del magistrato).

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