Prime osservazioni a Cass. pen. n. 41736/2019: rinnovazione dibattimento a seguito di mutamento collegio

di Cesare Marziali

Queste note sono un tentativo di esaminare a caldo la sentenza in oggetto, a distanza di pochi giorni dall’uscita della motivazione.

Disomogeneità, lacune e, verosimilmente, anche errori sono in un certo senso scontati in un lavoro del genere, e si spera semmai che rivesta qualche utilità l’avere messo in evidenza alcuni aspetti sui quali ci si dovrà confrontare d’ora in poi . I richiami di dottrina e giurisprudenza sono ridotti al minimo e la scelta di utilizzare materiale immediatamente reperibile sul Web, anche tramite la banale ricerca Google, è conseguenza diretta del criterio di cernita del materiale: appare evidente che il materiale importante sarebbe stato ben altrimenti sistematico e completo utilizzando le banche dati che sono a disposizione di ogni magistrato. In tal modo, tuttavia, la redazione non sarebbe stata compatibile con tempi rapidi e funzionali alla fruizione immediata. Peraltro la conferma di ciò si ha nella verifica che, al 16 ottobre 2019 l’unico specifico commento che risulta e che non sia la mera indicazione delle massime è Montagna “Il giudice cambia nel corso del processo: cosa si salva? La risposta delle Sezioni Unite”- in http://www.quotidianogiuridico.it/ ,articolo che, ad una prima affrettata lettura è lo stesso presente nella Banca dati Leggi d’Italia(dal 14 ottobre). Ho però fatto eccezione per un paio di contributi dottrinali che, sia pure a distanza di svariati anni fa, enucleavano in gran parte la stessa ragionevole soluzione prospettata dalla sentenza in commento: giusto omaggio, mi sembra, per una tesi in seguito non adeguatamente coltivata.

Premessa–La sentenza[1] apporta un mutamento, nell’ambito del diritto processuale penale, su alcuni punti essenziali rispetto ai quali, sicuramente, vi sono elementi di novità che,con un certo grado di semplificazione teorica, si possono indicare come una (nuova) interpretazionein malampartem .

Si pone pertanto il problema di una possibile applicazione dell’istituto dell’overruling in un campo che appare squisitamente quello del diritto processuale penale[2]in cui i punti di riferimento non sono moltissimi, a differenza che nel diritto penale sostanziale, in cui il panorama dei commenti e dei casi analizzati è piuttosto ricco[3],soprattutto per essere stato oggetto di attenzione della CEDU (si pensi al c.d. caso Contrada ed alla “novità” dell’interpretazione giurisprudenziale in malampartem).

Una conferma, peraltro molto debole, del richiamo a tale istituto potrebbe essere rinvenuta nello stesso testo della sentenza che qui si commenta, laddove si fa riferimento al fatto che  “….le parti…..sono certamente in grado, con quel minimum di diligenza che è legittimo richiedere, di rilevare il sopravvenuto mutamento della composizione del giudice ed attivarsi con la formulazione delle eventuali, conseguenti richieste, se ne abbiano, chiedendo altresì, ove necessario, la concessione di un breve termine (la cui fruizione può, ad esempio, rivelarsi ineludibile quando la necessità della rinnovazione del dibattimento non sia stata prevista ed anticipata, ma si sia palesata soltanto in udienza, senza preavviso alcuno, ed occorra quindi consentire l’eventuale presentazione di una nuova lista ai sensi dell’art. 468 cod. proc. pen., senz’altro legittima e, peraltro, necessaria ai fini della altrettanto legittima formulazione di nuove richieste di prova ex art. 493 cod. proc. Pen. …”.

Non si fa, peraltro, nessun esplicito riferimento all’istituto in parola e lo spunto non viene ulteriormente coltivato, sotto questo profilo, nel prosieguo del testo della sentenza. Più diffusamente, su tale termine (rimessione in…?, v. infra).

Cosicchè il riferimento a tale situazione appare più verosimilmente ricollegabile a vicende interne al processo, del tutto estranee al netto mutamento giurisprudenziale apportato dalla sentenza .

 Una parte processuale  accorta è possibile che invochi, in ogni caso,  tale sorta di “termine a difesa” da subito, nei prossimi giorni, proprio ricollegandolo al mutamento giurisprudenziale  e, allo stato, non è possibile prevedere quale possa essere la risposta che verrà data dalla prassi.

A ciò si aggiunga che “……………al diritto processuale penale è stato riservato un ruolo assai marginale nel dibattito sull’overruling. Non manca, in realtà, qualche esiguo precedente in materia, ove per esempio si è affermato che l’elemento di prova, raccolto nel “vigore” di un orientamento giurisprudenziale (meno rigoroso) non più condiviso, non può essere utilizzato ai fini della decisione sul merito dell’imputazione in base al tradizionale principio del tempusregitactum, che – invece – deve considerarsi recessivo rispetto a un mutamento interpretativo in bonampartem”[4][5].

Questa esigenza conferma la necessità sempre più sentita di “…. stabilire, una volta per tutte, se nei paesi di civil lawsenza vincolo del precedente la prevedibilità possa essere rivolta anche al diritto giurisprudenzialecontra legem o solo a quello praeter o secundumlegem ovvero se tale estensione possa determinare effetti in malampartem o soltanto in bonampartem: come si è visto, se il sistemaeuropeo è frutto della crasi tra ordinamenti di common law e quelli di civil law, vi è ormai nettaprevalenza, sotto questo profilo, delle caratteristiche tipiche del primo…”[6].

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Cercando di seguire progressivamente non il corso della motivazione della sentenza, bensì la scansione temporale attraverso la quale normalmente si svolge il processo, occorre innanzitutto dire che le ssuu richiamano  l’orientamento del noto precedente costituito da ssuu n. 2 del 15/01/1999, Iannasso, in cui veniva  precisato, a seguito del mutamento della persona del giudice monocratico o della composizione del giudice collegiale, quanto segue:

  1. il dibattimento va integralmente rinnovato
  2. Per rinnovazione deve intendersi la ripetizione della sequenza procedimentale costituita a)dalla dichiarazione di apertura del dibattimento (art. 492), b) dalle richieste di ammissione delle prove (art. 493), c)dai provvedimenti relativi all’ammissione (art. 495),d)dall’assunzione delle prove secondo le regole stabilite negli artt. 496 ss. cod. proc. pen.»[7].

Non si discosta da tale regola la prassi seguita in questo Tribunale, in cui anzi sussiste un modulo/stampato  specifico proprio per richiamare brevemente questi passaggi: di  fatto, viene menzionato in tale modulo che si procede alla rinnovazione degli atti, quindi  che le parti reiterano le loro richieste effettuate in limine, il giudice collegiale o monocratico le ammette come già disposto in precedenza. Seguono poi le ovvie problematiche pratiche conseguenti all’ultima delle annotazioni che tale modulo contiene, e cioè se le parti prestino (espressamente) o meno il consenso[8] alla utilizzazione dei verbali di prova assunti davanti a un giudice diverso, anche parzialmente, nel caso del collegio[9].

Circa il punto c) sopra richiamato, vale a dire la necessaria rinnovazione  “dei provvedimenti relativi all’ammissione (art. 495)”,  la sentenza tiene a precisare come “…non è necessario che il giudice, nella diversa composizione sopravvenuta, rinnovi formalmente l’ordinanza ammissiva delle prove chieste dalle parti, perché i provvedimenti in precedenza emessi dal giudice diversamente composto e non espressamente revocati o modificati conservano efficacia“.

 Si assiste così, nel mentre si aderisce formalmente al precedente costituito dalla sentenza Iannasso, ad un sostanziale ridimensionamento della sua effettiva portata: “…La disposizione di cui all’art. 525, comma 2, prima parte, cod. proc. pen. non comporta, quindi, la necessità, a pena di nullità assoluta, di rinnovare formalmente tutte le attività previste dagli artt. 492, 493 e 495 cod. proc. pen., poiché i relativi provvedimenti in precedenza emessi dal giudice diversamente composto conservano efficacia se non espressamente modificati o revocati.…” . E dunque, in pratica, la “rinnovazione” di quanto sopra precisato ai punti a) -b) – c) rimane un mero dato formale (discorso ben diverso riguarda invece il punto d), sul quale ci soffermeremo a lungo).

Di conseguenza, perde quasi tutta la sua importanza pratica anche quanto  viene osservato, in altro passaggio della sentenza, circa la risposta da dare ad altro quesito che in precedenza era stato affrontato  dalle sezioni semplici, vale a dire se sia, o meno, rilevante, ai fini del rispetto del principio d’immutabilità del giudice, la diversità di composizione tra il giudice che si è limitato a disporre l’ammissione della prova dichiarativa e quello dinanzi al quale è avvenuta la sua assunzione.

È infatti evidente che, per assicurare l’identità tra questi due giudici, in ipotesi diversi, basterà che il secondo giudice, quello che procede all’assunzione della prova, si limiti a non revocare l’ordinanza missiva del giudice che lo ha preceduto.

Il problema, e la risposta che ne viene conseguentemente data (risposta che, in questo contesto, appare invece di  formale rigorosità, dal momento che nella sentenza si sposa la tesi della necessaria identità dei giudici che provvedono ai relativi incombenti), assume scarsa rilevanza pratica anche per due altri motivi: uno attinente appunto alla formulazione del modulo come sopra nel concreto utilizzato,e verosimilmente assai diffuso nel territorio nazionale; l’altro, invece di carattere generale, secondo cui è chiaro che il vero problema che paralizza  l’attività dei piccoli  tribunali, assoggettati a un’esasperatoturn- over, e così rende drammatico l’istituto della rinnovazione, non è tanto quello di far ripetere al giudice, ogni volta, il provvedimento di ammissione, quanto quello di assunzione della prova orale che ne consegue, con un numero di rinvii che non di rado assumono caratteristiche impressionanti.

Va ora posta la dovuta attenzione ad una regola, inespressa ma chiara, che è sottesa a tutto il corpo delle argomentazioni contenute nella sentenza in esame, che si potrebbe semplificare in tal modo:

 “la ripetizione, in concreto,  di attività che, entro certi limiti, la rinnovazione ex articolo 525 del codice di procedura penale necessariamente comporta, consiste in tutto ciò che, effettivamente, sia necessario al processo, in quanto riguardante qualcosa non ancora concretamente effettuato“.

In questo contesto, si innesta la problematica, che diviene centrale nell’ambito della sentenza in commento, circa la possibilità di depositare nuove liste testimoniali, con la conseguente necessità di concedere alla parte richiedente un “breve termine” al fine di depositare tali liste testimoniali ove esse siano necessarie[10].

Cerchiamo di rendere più concreta tale ipotesi,anche perché nessuna ulteriore spiegazione viene data nella sentenza, oltre al poco che viene  affermato sulla nozione di rinnovazione/ripetizione dell’atto, ove effettivamente necessario.

 Tale ipotesi, ossia quella di presentazione di liste testimoniali le quali darebbero luogo ad una ripetizione effettiva della prova orale –  e non già ad una mera “rinnovazione” dal mero punto di vista giuridico – potrebbe verificarsi

  1. innanzituttonel caso  in cui”… la necessità della rinnovazione del dibattimento non sia stata prevista ed anticipata, ma si sia palesata soltanto in udienza…”. E cioè possiamo immaginare che non si verifichi l’ipotesi in cui, come talora viene dichiarato dai difensori in un dato momento processuale, le parti stesse dichiarino “sin da ora” che  non si presterà il consenso all’utilizzazione della prova dichiarativa assunta innanzi a collegio diverso (ora per il futuro, insomma). In questo caso non si potrà sicuramente parlare di “rinnovazione del dibattimento che non sia stata prevista e anticipata”. Di conseguenza, “la concessione di un breve termine” non si rivelerà “ineludibile
  2. Ci si può e ci si deve domandare se vi siano ancora altre ipotesi in cuinon si potrà parlare di “rinnovazione del dibattimento che non sia stata prevista e anticipata”, e nelle quali, di conseguenza, “la concessione di un breve termine” non si rivelerà “ineludibile“. Appare evidente che un ruolo fondamentale per la specificazione dei vari casi sarà giocato dalla prassi. In ogni caso, ad esempio, una parte che si sia opposta all’utilizzazione e alla lettura dei verbali della prova dichiarativa innanzi al giudice Tizio e successivamente innanzi al giudice Caio configura una fattispecie in cui, innanzi al giudice Sempronio, è ragionevole dire come sia stata ” prevista ed anticipata la necessità della rinnovazione” e conseguentemente non sarà “ineludibile” la concessione di “un breve termine”.
  3. Ci si potrebbe spingere oltre-e qui, come in altri casi, sorgerebbero questioni difficili, in quanto inesplorate, sottese all’accennato problema dell’overruling in malampartem nel processo penale –  e chiedersi perché mai si dovrebbe parlare di “prevedibilità ed anticipazione” desumibile dal comportamento di una parte che si è limitata ad opporsi all’utilizzazione-mera lettura dei precedenti verbali di prova dichiarativa[11] senza prospettare nuovi temi di assunzione della prova[12] (come invece ora prevede la sentenza in esame, regola che, per l’indiscussa sua natura di novità, non poteva essere conosciuta, prima del 9 ottobre 2019, dalla parte che si è limitata  puramente e semplicemente ad opporsi) perché proprio non poteva porsi la questione
  4. Quanto detto al precedente punto risulta il nucleo essenziale del problema e merita pertanto che ci si  soffermi specificamente su di esso

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Factum infectum fieri nequit  (o anche) Factum infectum fieri non potest

Siano consentite allo scrivente alcune osservazioni personali, ma che derivano, in gran parte,  dall’altrettanto personale frustrazione nell’avere ripetutamente dato luogo ad attività di cui era difficile capire il senso.

La frase non deriva dal diritto romano, bensì dal teatro di Plauto[13], da cui è transitato sino a noi, anche nella sua valenza giuridica.

La rinnovazione è una nozione giuridica, essa cala concretamente nel processo mediate atti materiali.

Ed infatti, è semplice dire che non vale per una condanna (o un’assoluzione) pronunciata dal Giudice Caio la testimonianza assunta dal Giudice Tizio.

 E’ anche “abbastanza” semplice dire che “tutto si rinnova” vale a dire che il processo un tempo celebrato innanzi al giudice Caio ricomincia completamente da capo senza tenere in alcun conto quello che davanti all’altro Giudice è stato detto e che è stato fatto, e così pure gli effetti giuridici che ne derivano.

La questione è che, per come si è assestato il “diritto vivente” la rinnovazione dell’atto, con necessario passaggio per la ripetizione della prova dichiarativa, comporta il “recupero” della valenza giuridica delle precedenti dichiarazioni rese innanzi al giudice diverso. E “ripetizione” è termine concreto e pedestre ( laddove “rinnovazione” è termine più elegante, se non altro per le sue suggestioni di palingenesi o “vita nova”) e  significa che il teste deve ritornare, e deve ancora rispondere alle domande, cioè , a seconda delle varie sfumature (o pudori :quando un teste ritorna per la terza o quarta volta le scuse non sarebbero un fuor d’opera , e probabilmente impegnerebbero più tempo della deposizione).

Il termine “recupero” è usata non a caso ed esprime l’orientamento assolutamente dominante vigente, sino ad oggi, anche a livello di giudice di legittimità, circa l’utilizzazione mediante lettura dei verbali di prova precedentemente assunta. Anche se si affermava pacificamente che la vecchia prova dichiarativa, tramite i relativi verbali, continuava ad essere contenuta nel fascicolo del dibattimento, in realtà non era utilizzabile se non attraverso questo successivo passaggio. Questo assetto non è smentito dalla sentenza in commento, ma va sottolineato come la stessa tenda a precisare, con un certo puntiglio, che non si tratta già di “recupero” bensì di (effetto di) permanenza dell’atto[14].

Ora, si può immaginare che

  • un’atto materiale, che non si può cancellare dal corso degli eventi, può però vedersi annullati tutti i suoi effetti giuridici
  • un altro atto materiale, che deriva dalla necessità (per la parte interessata) di acquisire gli effetti giuridici, sia costituito dalla rinnovazione/ripetizione  della prova dichiarativa  possa, pertanto, esso solo, conseguire tali effetti

E’ ben più difficile concepire un atto materiale che vede quanto meno “paralizzati” i suoi effetti giuridici per il venir meno del giudice-persona fisica innanzi al quale è stato compiuto e che poi li riacquista in pieno a seguito di altro atto del tutto distinto.

Queste vecchie dichiarazioni “rimangono al fascicolo” in quanto (all’epoca) “legittimamente assunte”.

Epperò la sentenza che le prendesse per buone, puramente e semplicemente, sarebbe radicalmente viziata in rito.

Di fatto, nella prassi ormai consolidata dei tribunali, la rinnovazione era meramente ripetitiva, mentre, in precedenza, le forme della rinnovazione-ripetizione avevano formato oggetto di qualche contrasto, in quanto da un lato si era affermato che tale “ripetizione” poteva avere un senso solo nella misura in cui si chiedeva qualche cosa di nuovo. Dalla parte opposta, si era detto che il porre nuove domande non era possibile. La permanenza di tale secondo orientamento aveva dato vita a un rituale stucchevole ma che, dal punto di vista logico aveva una certa dignità, nel momento in cui si prendeva atto che si trattava dello stesso processo e che, non potendosi abrogare l’articolo 525 nella parte in cui prevedeva la nullità assoluta degli atti innanzi al giudice diverso, costituiva sufficiente omaggio al principio “superiore” sotteso alla norma, vale a dire quello dell’oralità e del diretto contatto tra giudice e prova il riconvocare il teste e “(ri)sentirlo”. Magari solo per guardarlo in faccia[15].

Ma a questo punto torniamo al punto di partenza: le modalità fisiche con cui il teste si è espresso restano confinate nel passato, oggi il teste nuovamente sentito si esprimerà con altre modalità, necessariamente diverse.

Alcune delle soluzioni prospettate, peraltro, non sono del tutto nuove ed hanno trovato oggetto di argomentata prospettazione anche in dottrina agli inizi dello scorso decennio, anche se nella prassi sono risultate recessive[16].

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La  rinnovazione/ripetizione della prova orale come eccezione e non regola

Appare evidente che la rinnovazione della prova orale trova una serie di limiti secondo il nuovo assetto datole dalla sentenza in commento, limiti diversi tra loro ma che, dovendosi tutti insieme osservare, concorrono a configurare, dal punto di vista statistico, la rinnovazione-ripetizione come eccezione e non come regola nel caso di mutamento del giudice.

Primo limite: a) esplicita e b) motivata richiesta

Come abbiamo visto, la rinnovazione della prova testimoniale dovrà, innanzitutto, essere esplicitamente contenuta in un’istanza di parte.

Come sopra accennato,rimane definitivamente assodato che il semplice silenzio, pur non essendo  equivalente a un consenso o acquiescenza su un atto nullo in senso assoluto (e quindi non sanabile), rappresenta nondimeno un  mancato impulso che deve specificamente esserci per la rinnovazione-ripetizione in questione[17].

Ma non basta. La richiesta deve contenere specifiche motivazioni che rendono aggiuntiva e diversa la sostanza della prova così “rinnovata”.

 Tale diversità dovrà trovare poi, come sembra, il necessario veicolo di specifiche liste testimoniali (che riguarderanno anche, eventualmente, testi non sentiti prima) mentre per quanto riguarda il “rinnovato” esame dell’imputato, ovviamente, non essendo consentito tale tipo di veicolo, residua però la specificità di nuovi punti su cui sentire lo stesso, mentre non vige la limitazione di seguito trattata, vale a dire l’impossibilità di chiedere la rinnovazione della prova oraleda parte di chi all’origine non l’ aveva richiesta: “…La facoltà di chiedere la rinnovazione degli esami testimoniali può, quindi, essere esercitata soltanto da chi aveva indicato il soggetto da riesaminare in lista ritualmente depositata ex art. 468.Ciò non vale, naturalmente, per gli esami dei soggetti (ad esempio l’imputato) che non vanno previamente indicati in lista…[18].

Secondo limite: impossibilità di chiedere la rinnovazione e dunque di sentire nuovamente il teste da parte di chi all’origine non lo aveva richiesto.

Nei casi, molto frequenti, in cui si è assunta una lunga schiera di testi (originariamente) della pubblica accusa, la quale ben raramente  chiederà la rinnovazione/ripetizione, la ricaduta pratica di notevole impatto è che il difensore delle altre parti non è legittimato a chiedere la rinnovazione.

 Potrebbe, è vero, presentare una lista testimoniale in cui chiede di assumere testi, per essa nuovi, che sono in tutto o in parte testi del PM già sentiti (ipotesi ben curiosa, ma la realtà ne ha viste anche di più bizzarre), ma dovrebbe, in questo caso, indicare specificamente i motivi e sarebbe in ogni caso sotto il sospetto di abuso del processo, laddove tali motivi non fossero più che specifici e quindi, statisticamente, residuali.

La presentazione della lista testimoniale è pertanto uno strumento necessario (ma non sufficiente) perché si proceda alla rinnovazione.

 Così la sentenza in commento: “… Trova, quindi, applicazione, anche a seguito della rinnovazione del dibattimento per mutamento della composizione del giudice, l’art. 468, comma 1, cod. proc. pen., a norma del quale «le parti che intendono chiedere l’esame di testimoni, periti o consulenti tecnici nonché delle persone indicate dall’art. 210 cod. proc. pen. devono, a pena di inammissibilità, depositare in cancelleria, almeno sette giorni prima della data fissata per il dibattimento, la lista con la indicazione delle circostanze su cui deve vertere l’esame».”.

Terzo limite : eventuale  manifesta superfluità della reiterazione degli esami in precedenza svolti dinanzi al giudice diversamente composto

Si tratta, a ben vedere, di una prescrizione che va necessariamente coordinata con il concorrente obbligo di depositare le liste e indicare, oltre ai soggetti da sentire quali testimoni, “le circostanze su cui deve vertere l’esame“.

Alcuni esempi, forniti nella sentenza, di “non manifesta superfluità” di un nuovo esame del dichiarante:

  • nel caso in cui le parti si siano avvalse del potere, legittimamente esercitabile, di indicare circostanze (in precedenza riferite in modo insoddisfacente perché incompleto, od anche nuove, purché rilevanti ai fini della decisione) in ordine alle quali esaminare nuovamente il dichiarante
  • nel caso in cui le parti  abbiano allegato elementi dai quali desumere la sua inattendibilità (anche se limitatamente ad alcuni punti della deposizione resa), e la conseguente necessità che egli venga nuovamente esaminato

Alcuni esempi, forniti nella sentenza, di “manifesta superfluità” di un nuovo esame del dichiarante:

  • la richiesta di pedissequa reiterazione dell’esame già svolto dinanzi al diverso giudice, che, secondo la stessa prospettazione della parte richiedente, debba vertere sulle stesse circostanze già compiutamente oggetto del precedente esame;
  • la richiesta di reiterazione dell’esame di un verbalizzante che già nel corso del precedente esame aveva chiesto di consultare in aiuto alla memoria gli atti a sua firma, o di altro soggetto che già nel corso del precedente esame aveva palesato cattivo ricordo dei fatti, o che comunque debba essere riesaminato dopo ampio lasso di tempo[19] dal verificarsi dei fatti in ipotesi a sua conoscenza.

Conclusioni provvisorie: ripristino della ragionevolezza con argomentazioni logicamente corrette, e residui vizi logici

La sentenzafa tutto il possibile con gli strumenti a sua disposizione. Tra questi strumenti spicca la mancanza di attaccare ulteriormente e direttamente il disposto dell’articolo 525 del codice di procedura penale. Essa viene preceduta di poco dalla sentenza numero 142 del 2019 della Corte Costituzionale, senza la quale non si comprenderebbe molta parte di quanto affermato dalle sezioni unite e, probabilmente, neppure sarebbe stato possibile concepire la motivazione della sentenza così come invece è stata rassegnata.

 La stessa sentenza in commento cita varie volte proprio la predetta sentenza 142 del 2019, soprattutto sul punto dell’assoluta irragionevolezza delle conseguenze pratiche cui si era pervenuti applicando rigidamente una determinata interpretazione. A sua volta la Corte Costituzionale si era dovuta pronunciare su una specifica censura di violazione della ragionevole durata del processo, da parte del Trib. di Siracusa, ed aveva offerto spunti interessanti.

Anche gli stessi commentatori della sentenza della Corte Costituzionale avevano sottolineato come, più o meno esplicitamente, essa costituisse un segnale per un nuovo assetto del diritto positivo, preferibilmente percorso dal legislatore ma altrettanto prevedibilmente, invece, veicolato da orientamenti giurisprudenziali nuovi.

I quali orientamenti, appunto, sono venuti più presto del previsto.

 Era difficile, d’altro canto, spiegare a qualsiasi cittadino di buon senso riconvocato per 2,3 o anche 4 volte solo per dire che confermava quanto aveva detto innanzi ad altro giudice, quale senso avesse tale gioco dell’oca.

Nel perseguire questi criteri di ragionevolezza, le argomentazioni addotte sono anche convincenti dal punto di vista della tenuta logico-giuridica.

Residuano tuttavia incongruenze che non si possono non segnalare e che, soprattutto, si sposteranno dal profilo strettamente logico-giuridico all’applicazione concreta e, soprattutto, immediata, conseguente alla nuova interpretazione.

Un primo problema che può segnalarsi riguarda l’utilizzo delle liste e il contenuto specifico delle stesse. Strettamente collegato a questo problema è quello dei criteri di selezione, da parte del giudice che si troverà a dover ammettere o meno la prova orale da rinnovare-ripetere, secondo il principio della “non superfluità”.

Si tratta di problemi in parte distinti e in parte simili o uguali.

Il dato che li accomuna, dal punto di vista generale, risiede nella risposta da dare al quesito se, nella concreta applicazione della rinnovazione-ripetizione della prova orale venga a prevalere la continuità ovvero la discontinuità tra i segmenti processuali che appartengono alla gestione dei due (o più) giudici diversi che si susseguono.

Inoltre, in questo assetto, un atto processuale sicuramente valido ed efficace quando fu compiuto, ma i cui effetti vengono pur sempre subordinati alla “rinnovazione” dell’atto stesso, sia pure meramente giuridica, vale a dire non implicante alcuna altra attività di “ripetizione” (ove essa non verrà chiesta o verrà disattesa, come è prevedibile accada nella gran parte dei casi) da pietra di paragone proprio all’eventuale rinnovazione/ripetizione, cioè proprio quell’atto al cui compimento i suoi effetti giuridici sono subordinati.

In pratica :

  1. L’atto viene compiuto e entra nel processo innanzi al giudice Caio
  2. Al Giudice Caio subentra il Giudice Tizio che deve “rinnovare” l’atto
  3. Tale “rinnovazione” è puramente spesa nel mondo del diritto, non comporta alcuna altra attività materiale, nessuna ripetizione in tensione con la ragionevole durata del processo
  4. Vi sono casi residuali in cui la rinnovazione, invece, oltre che essere meramente giuridica, deve consistere in una ripetizione materiale dell’atto
  5. Non avrebbe senso una mera ripetizione materiale[20] di ciò che è stato detto, pedissequa
  6. La “rinnovazione” sub specie di “ripetizione”, non è propriamente una rinnovazione/ripetizione, poiché deve contenere un quid novi che la renda effettivamente utile ad aggiungere cognizioni al quadro precedente
  7. Il quid novi, va valutato, principalmente se non esclusivamente, alla stregua di quando è contenuto nell’atto non solo da “rinnovare”, ma da “ripetere”: la rinnovazione vi sarà sempre, e nel silenzio di tutte le parti processuali si produrrà ipso iure; la rinnovazione/ripetizione è eventuale e specifica

Da questo assetto, non è chi non veda che la prova dichiarativa “vecchia” dipende qualche volta dalla “nuova ripetuta”, ma la prova dichiarativa “nuova ripetuta” dipende sempre dalla vecchia. 

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A partire dalla corrente settimana i giudici si troveranno a gestire la prosecuzione di processi penali già incardinati, per i quali sono stati previsti vari incombenti secondo la vecchia interpretazione. Tra questi, l’audizione dei testi già sentiti.

Ciò, in pratica, a fronte del “mancato consenso” di tutte le parti all’utilizzazione dei verbali di prova assunti innanzi a collegio ovvero innanzi al giudice diverso.

 Ci si deve chiedere se da subito tali processi dovranno passare il vaglio della “resistenza” ai ben  piùrigidi criteri che si sono sopra evidenziati, parlando dei tre limiti alla rinnovazione-ripetizione. Se, come sembra, non si può applicare l’overruling in mancanza di riferimenti certi e se, soprattutto, tale istituto sarebbe, in ogni caso, male invocato perché tutti gli effetti andrebbero a ripercuotersi nella sentenza emananda e non già al momento dell’assunzione della prova[21] , la risposta è a rime obbligate e ne conseguirebbe, al più, un rinvio per la discussione, revocato ogni altro provvedimento di assunzione della prova, in omaggio alla vecchia prassi della rinnovazione/ripetizione.

In tema di rinnovazione-ripetizione esaminata dalla sentenza in commento, sicuramente una funzione del tutto nuova viene assunta dalla lista testimoniale.

Anche qui, da subito, potrà accadere che una parte chieda il “breve termine” per depositare la lista. Quanto possa essere breve tale termine, anche a fronte delle necessità di riorganizzare interi ruoli su prospettive di lavoro del tutto diverse per i vecchi processi (molte discussioni, poche assunzioni di prova, il contrario che in precedenza), è questione che esula da queste note, ma che pure nel concreto sarà di notevole rilievo.

Ci si può domandare se, a fronte di tale richiesta di termine, che sembra “ineludibile” da parte del giudice, come sopra visto, la parte debba da subito esplicitare o comunque fare cenno ai “presupposti di novità” che oggi si richiedono secondo quanto visto sopra oppure se la richiesta costituisca l’esercizio di una facoltà non subordinata a tale precisazione. Sembrerebbe che l’interpretazione dovrebbe essere in questo ultimo senso.

La funzione delle liste testimoniali, quanto al contenuto, vale a dire quanto all’indicazione delle circostanze dell’esame, come sappiamo, è stata ampiamente ridotta dall’interpretazione giurisprudenziale rispetto alla portata letteraria originale del codice del 1988.

Avremo invece, in questo caso, una specificazione necessaria che va ben oltre la finalità assegnata, tradizionalmente, all’istituto, che è quella della necessità di difendersi e quindi, di articolare prova contraria da parte degli altri soggetti processuali.

Come si sa, poi, l’articolazione della prova contraria costituisce elettivamente momento successivo e non riguardante la lista. Ciò nonostante, ben potrebbero esservi testi già sentiti su prova contraria dei quali si prospetta la rinnovazione-ripetizione dell’assunzione, sia pure nei limiti ammessi dalla sentenza in commento.

Il problema più rilevante, tuttavia, sia dal punto di vista pratico che da quello teorico, riguarda i rapporti tra il contenuto della prova orale già assunta innanzi ad altro giudice e l’elemento di novità che dovrà necessariamente essere contenuto nella “nuova” prova che si richiede. È evidente, infatti, che l’elemento di novità o di precisazione viene esaminato comparandolo proprio ad una prova orale che, allo stato, non è (ancora) utilizzabile per la decisione.

A questo punto però, troviamo un nuovo problema interpretativo.

Sembra di capire chiaramente, dal testo della sentenza in commento che la prova orale nuova può essere tale sia perché riferita a un fatto nuovo e sopravvenuto alla precedente escussione sia perché, più limitatamente, ci si trova di fronte agli stessi fatti (potenzialmente) già conoscibili al momento dell’assunzione della “vecchia” prova orale, ma sui quali vengono fatte domande nuove ed ulteriori. Le domande “nuove” lo possono essere in due sensi e cioè, riprendendo pari pari il passaggio relativo della sentenza in commento:

  1. in quanto in precedenza riferite in modo insoddisfacente perché incompleto
  2. od anche nuove, purché rilevanti ai fini della decisione

E’ ovvio che bisognerà stabilire perché mai tali circostanze sono state riferite “in modo insoddisfacente”, posto che diamo per scontato che la parte che chiede la rinnovazione-ripetizione sia “insoddisfatta” della precedente assunzione.

Ed ancora, è evidente che il semplice contrasto tra la prova che si vuole nuovamente assumere e di cui la parte fa esplicita richiesta è in re ipsa, perché, se tale contrasto fosse contro l’interesse della parte,  la parte non percorrerebbe l’opzione di ripetere la prova orale. Pertanto, è altrettanto evidente che tale contrasto non potrà, di per sé assumere il carattere di novità/precisazione che il nuovo orientamento richiede.

È altrettanto certo che la prova contraria riguardare fatti sopravvenuti all’escussione. Ciò è confermato indirettamente ma chiaramente anche dall’altro esempio fatto nella sentenza che qui si commenta, vale a dire in relazione all’altra ipotesi, quella di un riscontro dell’attendibilità di un teste. In questo caso, solo in presenza di nuovi elementi, nuovi nel senso di non presenti e non conoscibili al momento dell’assunzione del teste innanzi al giudice poi mutato,  che diano conto di tale possibile inattendibilità, la prova potrà essere ammessa in “rinnovazione”.

Ma, c’è da chiedersi:tali nuovi elementi potranno solo essere documentali ? Oppure dovranno a loro volta consistere in una prova, anche orale, della loro novità?

Per di più, nell’uno e nell’altro caso, dovranno precedere la fase di ammissione della prova, successivo alla presentazione delle liste.

 In questi casi, vale a dire nella richiesta di prova orale nuova in senso stretto, vale a dire nuova perché fondata sul contenuto di fatti sopravvenuti, non si può che immaginare una sorta di sub-procedimento, molto semplice oppure via via più complesso a seconda dei casi, che serva, successivamente, ove vi sia un vaglio positivo, prima alla formulazione del “contenuto dell’esame” nella lista e poi successivamente al vaglio “finale” nell’ammissione della prova.

 A ben vedere, l’esempio fatto è uno, ma non verosimilmente l’unico, di alcune torsioni logiche cui si è sottoposta la sentenza in commento, in ciò costrettavi non tanto da un deficit di qualità argomentativa quanto piuttosto dall’impossibilità di ricondurre tutto alla logica, evitando però nel contempo un non praticabile attacco diretto al disposto normativo dell’articolo 525 cpp, evitandone, nel contempo, uno svuotamento totale (quello già effettuato è già molto consistente) .

In estrema sintesi :non si può che essere d’accordo sul  principio di oralità ed immediatezza.

Nei processi che quotidianamente facciamo quasi sempre, e sempre nei processi più importanti, l’immediatezza scompare per fare posto al suo contrario, vale a dire la dilatazione dei tempi del processo.

Diviene mera derisione, di conseguenza, l’oralità, perché si fa riferimento sempre più alle letture. Per non parlare della  scomparsa, più o meno parziale,  di una serie di “soggetti vulnerabili” (non più i soli minori, ma quelli di recente oggetto di modifiche circa le modalità di assunzione) dall’orizzonte della prova testimoniale dibattimentale.

Se, di fatto, oralità ed immediatezza scompaiono, non possono neppure essere considerati parametri assoluti, a fronte di una serie di eccezioni che diventano, nel concreto ma anche nelle fattispecie di legge (teste vulnerabile ecc.), una regola.

Di qui anche il tramonto, di fatto, di una regola come quella dell’art. 525 cpp.

 Regola che sta o cade nell’ambito della ragionevole durata del processo, come osservato dal trib. di Siracusa.

Fermo 17.10.19                                Cesare Marziali


[1] I passaggi evidenziati in corsivo, la cui fonte non viene altrimenti specificata, devono intendersi riferiti alla sentenza in commento.

[2]  Si ritiene che, nel caso in esame vi sia quel ribaltamento   inopinato   e   repentino   di   giurisprudenza menzionato dalle ss.uu. nell’ordinanza   2067   dell’8   gennaio   2011, per cui appunto si può invocare l’istituto, laddove invece l’overruling   resta   escluso nell’ipotesi di semplice rilettura della norma processuale sviluppatasi nel tempo. Recentemente, v. Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione  12.02.2019 n. 4135, secondo cui Il rimedio dell’overruling è riconoscibile solo in presenza di stabili approdi interpretativi del giudice di legittimità, eventualmente a Sezioni Unite, se connotati dai caratteri della costanza e ripetizione, mentre non può essere invocato sulla base di alcune pronunce della giurisprudenza di merito, le quali non sono idonee ad integrare un “diritto vivente”.

[3]anche nel diritto penale sostanziale, tuttavia, si è prestata più attenzione al mutamento in bonampartem e del suo eventuale effetto retroattivo piuttosto che al mutamento in malampartem e (alla eventuale sterilizzazione) del suo effetto retroattivo. Nel diritto penale sostanziale, fra la minoranza dei casi di problematiche sottese al mutamento  inmalampartem, meritano di essere menzionati, oltre al caso Contrada,  il  caso Taricco in materia di prescrizione del reato tributario in tema di “Iva armonizzata”. Quest’ultimo caso, tuttavia, si pone a un livello a sua volta del tutto peculiare , in quanto  varca la soglia dell’interpretazione della norma, divenendo, francamente, un vero e proprio intervento normativo del Giudice (in questo caso, la Cedu), con complicazioni che esulano da queste note, anche se per altri versi assai rilevanti.

[4]Cass., sez. VI pen., 26 maggio 2008, n. 29684, Sorce, CedCass., rv. 240455. Citato da Condorelli-Pressacco – Overruling e prevedibilità della decisione, in QG –  Fascicolo 4/2018, i quali a proposito di tale ultimo arresto, osservano altresì  “che il principio affermato in tale pronuncia non sia del tutto corretto dal punto di vista sistematico, considerato che la prova – dopo essere stata ritualmente assunta in giudizio – viene utilizzata proprio al momento della decisione che definisce la controversia”. Da segnalare ancheMazzacuva “Mutamento giurisprudenziale e processo penale” in Treccani.it .

[5] I precedenti sono sempre meno esigui, peraltro, con particolare riferimento al versante dell’abolitiocriminis e intangibilità del giudicato, con questioni le quali, per vero, appartengono sia a problematiche di diritto  penale sia, nella misura in cui si vengano a prospettare concretamente i mezzi processuali da utilizzare per l’effettiva applicazione del “mutamento” nel diritto sostanziale, al processo penale.

V. Cass. Pen.  13 febbraio 2018 n. 6990, la quale  tratta della revoca in executivis di una sentenza passata in giudicato e dà peraltro risposta negativa, evidenziando come il chiaro tenore dell’art. 673 c.p.p. possa operare nel senso della revoca della sentenza di condanna o del decreto penale solo ove si versi al cospetto di un fenomeno di abolitiocriminis ovvero nel caso di pronuncia di illegittimità costituzionale della norma incriminatrice fondante la sentenza di condanna, laddove in alcun modo l’overruling giurisprudenziale favorevole può giustificare un’estensione dell’operatività della norma processuale in parola.La sentenza è commentata da Di Clemente “L’overruling giurisprudenziale non autorizza la revoca della sentenza passata in giudicato” in www.camminodiritto.it. Sempre sul versante del problema del giudicato, non può non segnalarsi importanza del precedente costituito da Corte Costituzionale, sentenza n. 230 del 2012, anch’essa di segno negativo circa la possibilità di applicare il “jusnovum”. Si rinvia, su questa importante sentenza, ai commenti disponibili in rete : Ruggeri, “ Penelope alla Consulta: tesse e sfila la tela dei suoi rapporti con la Corte EDU, con significativi richiami ai tratti identificativi della struttura dell’ordine interno e distintivi rispetto alla struttura dell’ordine convenzionale (“a prima lettura” di Corte cost. n. 230 del 2012) in www.consultaonline ; id.  “Ancora a margine di Corte cost. n. 230 del 2012, post scriptum”; Napoleoni “Mutamento di giurisprudenza in bonampartem e revoca del giudicato di condanna: altolà della Consulta a prospettive avanguardistiche di (supposto) adeguamento ai dicta della Corte di Strasburgo” in diritto penale contemporaneo 3-4/2012.

[6] De Blasis “Legalità penale e dintorni – New Dimensions of the ‘Nulla Poena’ Principle”, in diritto penale Contemporaneo 4/2017

[7]è importante invece richiamare che, al contrario: “… Il principio d’immutabilità del giudice non è, quindi, violato allorché il giudice diversamente composto si sia limitato al compimento di attività od all’emissione di provvedimenti destinati ad aver luogo prima del dibattimento, quali, ad esempio:

–              gli atti urgenti previsti dall’art. 467 cod. proc. pen.;

–              l’autorizzazione alla citazione di testimoni ex art. 468 cod. proc. pen.;

–              la verifica della regolare costituzione delle parti ex art. 484 cod. proc. pen., con connessa eventuale rinnovazione della citazione ex art. 143 disp. att. cod. proc. pen., oppure constatazione dell’assenza dell’imputato ex artt. 484, comma 2-bis, 420-ò/s, 420-quater e 420-quinquies cod. proc. pen., od infine rinvio del dibattimento nei casi di impedimento (riconosciuto legittimo) dell’imputato o del difensore ex artt. 484, comma 2-bis, e 420-rer cod. proc. pen.;

–              la decisione delle questioni preliminari ex art. 491 cod. proc. pen. Quanto a quest’ultimo profilo, questa Corte ha già evidenziato che, a seguitodel mutamento della composizione del collegio giudicante, il procedimento regredisce nella fase degli atti preliminari al dibattimento (che precede la nuova dichiarazione di apertura del dibattimento ex art. 492 cod. proc. pen.), e pertanto – ferma restando l’improponibilità di questioni preliminari in precedenza non sollevate (a norma dell’art. 491, comma 1, infatti, le questioni preliminari «sono precluse se non sono proposte subito dopo compiuto per la prima volta l’accertamento della costituzione delle parti») – il giudice, nella composizione sopravvenuta, ha il potere di valutare ex novo le questioni tempestivamente proposte dalle parti e decise dal giudice diversamente composto (cfr. Sez. 6, n. 3746 del 24/11/1998, dep. 1999, De Mita, Rv. 213343, e Sez. 1, n. 36032 del 05/07/2018, Conti, Rv. 274382, entrambe in tema di competenza per territorio).…”. Inoltre, la sentenza ha ancora cura di precisare che           “…nella nozione di “dibattimento” ex art. 525, comma 2, prima parte, rientra, pertanto, anche la dichiarazione della sua apertura ex art. 492 cod. proc. pen….”.

[8] Va subito detto che il “consenso” perde ogni rilievo nella prospettiva della sentenza in commento. Lo perde  sub specie di “acquiescenza” rispetto alla nullità, quest’ultima, in quanto assoluta, è insanabile. Né si dimentichi che la nullità colpisce non un’attività che, quando fu compiuta, era perfettamente regolare bensì, semmai, la successiva utilizzazione, in sentenza,  contralegem. Come sappiamo, dopo la sentenza Iannasso, l’attenzione si era spostata sull’articolo 511 Cpp, che  disciplina  le letture  consentite  nel  corso  dell’istruzione  dibattimentale. ll  secondo comma  dell’art.  511 Cppprescrive  che  “la  lettura dei verbali   di  dichiarazioni  e’  disposta  solo  dopo  l’esame  della persona che le ha rese, a meno che l’esame non abbia luogo”.L’ultimo  inciso  del  secondo  comma  dell’art.  511  Cpp, “a    meno    che  l’esame  non  abbia  luogo”,  postulava  infatti,  secondo le SS.UU., che  l’esame  non  si compisse 1) o  per volontà delle parti, espressamente manifestata ovvero  2) implicita  nella  mancata  richiesta  di riaudizione del dichiarante,    3) o per sopravvenuta impossibilità della ri-audizione. In questo quadro, il consenso espresso al verbale, di tutte le parti, alla”utilizzazione dei verbali di prova orale assunti innanzi al giudice in diversa composizione” (ovvero espressione equivalente) formalizzava appunto la fattispecie, appena richiamata al punto 1), di esame il quale “non abbia luogo” per la volontà delle parti espressamente manifestata.

 La sentenza in commento, invece, pone, al contrario, l’accento su un impulso processuale che, per definizione, va attivato dalla parte interessata con la conseguenza che, ove ciò non avvenga, non si pongono problemi di consenso espresso ovvero di interpretazione dell’inerzia o silenzio che dir si voglia.

[9] Non sarà inutile osservare, per la notevole frequenza in cui in concreto si verifica tale fattispecie, che la sentenza delle ss.uu. in commento non manca di citare la giurisprudenza della corte CEDU la quale non ritiene violato il principio dell’immutabilità del giudice al fatto che soltanto uno dei giudici fosse stato sostituito, e che il nuovo componente aveva comunque avuto modo di leggere le dichiarazioni rese dal teste decisivo delle quali si discuteva (Corte EDU, Terza Sezione, 2 dicembre 2014, caso Cutean contro Romania, § 61, e Seconda Sezione, 6 dicembre 2016, caso Skaro c. Croazia, §§ 28 ss.). Anche in tal caso si tratta, tuttavia, di riferimento non ulteriormente coltivato e pertanto non si ritiene che tale richiamo sia in grado di rendere possibile una mancata rinnovazione anche in tale specifico caso.

[10] l’importanza che assume tale questione ed una certa sbrigatività con la quale viene trattata nella sentenza rende opportuno richiamare ancora integralmente il passaggio relativo: “… la garanzia dell’immutabilità del giudice attribuisce alle parti il diritto, non di vedere inutilmente reiterati, pedissequamente e senza alcun beneficio processuale, attività già svolte e provvedimenti già emessi, con immotivata dilazione dei tempi di definizione del processo cui la parte può in astratto avere di fatto un interesse che, tuttavia, l’ordinamento non legittima e non tutela, bensì di poter nuovamente esercitare, a seguito del mutamento della composizione del giudice, le facoltà previste dalle predette disposizioni, ad esempio chiedendo di presentare nuove richieste di prova, che andranno ordinariamente valutate.

Resta ferma anche la possibilità che il giudice ritenga necessaria, d’ufficio, la ripetizione, anche pedissequa, delle predette attività.

Né può ritenersi che la rinnovazione del dibattimento debba essere espressamente disposta, poiché le parti, con l’insostituibile ausilio della difesa tecnica, sulla quale incombe il generale dovere di adempiere con diligenza il mandato professionale, sono certamente in grado, con quel minimum di diligenza che è legittimo richiedere, di rilevare il sopravvenuto mutamento della composizione del giudice ed attivarsi con la formulazione delle eventuali, conseguenti richieste, se ne abbiano, chiedendo altresì, ove necessario, la concessione di un breve termine (la cui fruizione può, ad esempio, rivelarsi ineludibile quando la necessità della rinnovazione del dibattimento non sia stata prevista ed anticipata, ma si sia palesata soltanto in udienza, senza preavviso alcuno, ed occorra quindi consentire l’eventuale presentazione di una nuova lista ai sensi dell’art. 468 cod. proc. pen., senz’altro legittima e, peraltro, necessaria ai fini della altrettanto legittima formulazione di nuove richieste di prova ex art. 493 cod. proc. pen., come sarà chiarito più ampiamente in seguito…”

[11]si badi che in ogni caso ciò potrà essere fatto, come si verrà a esaminare nel prosieguo, e nell’interpretazione senz’altro nuova data dalle ss.uu. , solo nel caso che la parte eserciti tale sua opposizione in relazione ai propri testiin quanto, di regola (vale a dire con le stringenti eccezioni che pure si andranno a richiamare ) ciò non potrà fare in relazione a testi precedentemente sentiti, ma richiesti da altre parti.

[12]Come invece ora prevede la sentenza in esame,con una  regola che, per l’indiscussa sua natura di novità, non poteva essere conosciuta, prima del 9 ottobre 2019

[13]il concetto enunciato da Plauto si ricollega ad un principio filosofico di carattere più generale, che è stato espresso così da san Tommaso d’Aquino nella Summa Theologiae: nemmeno Dio, che è onnipotente, potrebbe fare sì che ciò che è stato non sia mai stato. Dio non può trasformarsi in eversore della logica. Sul versante opposto, in precedenza un altro pagano aveva chiuso il cerchio, escludendo rigorosamente la possibilità che in rerum natura vi possa essere una puntuale ripetizione : “non ci si bagna due volte nello stesso fiume”.

[14]sussiste un pizzico di polemica, nella sentenza in commento, laddove vengono riportati orientamenti della più volte citata ss.uu. Iannasso, ed al punto  9.1.si legge “ Appare, pertanto, di tutta evidenza che i verbali di dichiarazioni rese dai testimoni in dibattimento dinanzi a giudice in composizione successivamente mutata, fanno legittimamente parte del fascicolo del dibattimento (dove non “confluiscono”, bensì “permangono”).

[15] Così, pianamente, la sentenza in commento “deve considerarsi che, quando le dichiarazioni rese in dibattimento dai soggetti esaminati dal giudice diversamente composto siano state integralmente verbalizzate stenotipicamente, con contestuale registrazione fonografica – come oggi accade sostanzialmente nella stragrande maggioranza dei processi -, il problema della mediazione del primo giudice tra le effettive dichiarazioni e la relativa verbalizzazione si sdrammatizza, risultando le stesse invece completamente e genuinamente riportate, e come tali integralmente conoscibili dal nuovo giudicante. In presenza di tale ausilio tecnico, potràeventualmente ravvisarsi una giusta ragione per non disporre la pedissequa ripetizione dell’esame…”.

[16] V. Fanuli“ la prova dichiarativa del processo penale”, Torino 2007, pagg. 368-369 : “…Meritevole di attenzione è la tesi opposta [quella secondo cui i materiali utilizzati dal giudice per dichiarare la superfluità della prova possono essere anche i verbali delle dichiarazioni precedentemente rese] . Essa muove da importanti e condivisibili considerazioni in ordine ali natura concreta del giudizio di non manifesta superfluità e irrilevanza…….. Secondo tale posizione interpretativa la presenza dei verbali delle prove assunte dinanzi al precedente giudice potrà costituire elemento valutabile al fine di ritenere manifestamente superflua la rinnovazione della prova; ma la parte richiedente potrà comunque dimostrare l’ammissibilità della prova richiesta, approfittando (purché sia diligente e a ciò si attivi) del suddetto esiguo margine di discrezionalità concesso al giudice .In tale ragionevole compromesso, da un lato le ragioni della parte non sembrano essere sacrificate, dall’altro si pone il processo penale – la cui ragionevole durata rappresenta un valore costituzionalmente garantito……”. Nel predetto lavoro su fa richiamo a  Potetti“Corte Costituzionale e Sezioni Unite in tema di mutamento della persona del Giudice e rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale” in Cass. Penale. In Particolare “…. il giudizio di non manifesta superfluità o irrilevanza riguarda il mezzo istruttorio valutato non in astratto (cioè isolatamente, di per se stesso), ma in concreto, e cioè in relazione a tutti gli altri elementi conoscitivi dei quali il giudice legittimamente disponga……………Pertanto, non sarebbe possibile un giudizio sulla eventuale manifesta superfluità della (rinnovazione della) prova se non si valutassero tutti gli altri elementi dei quali il giudice possa validamente disporre (compreso il verbale di analoga prova già assunta dal giudice che lo ha preceduto)». (Potetti, cit. , 805)….”.

[17]Così, testualmente “ Ferma l’irrilevanza (ai sensi del combinato disposto degli artt. 525, comma 2, prima parte, e 179 cod. proc. pen.) del consenso eventualmente prestato alla violazione del principio d’immutabilità del giudice, sanzionata a pena di nullità assoluta, e quindi insanabile, è, infatti, legittimo, ed anzi doveroso, valorizzare l’inerzia delle parti che non si siano attivate nei modi di rito, ovvero che non abbiano formulato la richiesta ex art. 493 cod. proc. pen., oppure non abbiano compiuto le attività preliminari alla richiesta di ammissione/rinnovazione degli esami di testimoni, periti o consulenti tecnici, nonché delle persone indicate dall’art. 210 cod. proc. pen., non depositando la prescritta lista.

[18]Rimane salva la possibilità, per “… la parte che non abbia indicato il nominativo del dichiarante da esaminare nuovamente e le circostanze sulle quali il nuovo esame deve vertere in una lista tempestivamente depositata ex art. 468, non ha diritto all’ammissione, ma può soltanto sollecitare il giudice, all’esito dell’istruzione dibattimentale, a disporre la nuova assunzione delle prove già precedentemente assunte dal collegio diversamente composto ai sensi dell’art. 507 cod. proc. pen. (tutte, od anche una soltanto), sempre che ricorrano le condizioni di assolutanecessità ai fini dell’accertamento della verità richieste da quest’ultima disposizione…”.

[19] Viene citato ampiamente, nella sentenza in commento, l’antecedente  costituito da Corte cost. n. 132 del 2019: “…Nel caso in cui la nuova escussione si risolva nella mera conferma delle dichiarazioni rese tempo addietro dal testimone, quest’ultimo «avrà una memoria ormai assai meno vivida dei fatti sui quali, allora, aveva deposto: senza, dunque, che il nuovo giudice possa trarre dal contatto diretto con il testimone alcun beneficio addizionale, in termini di formazione del proprio convincimento, rispetto a quanto già emerge dalle trascrizioni delle sue precedenti dichiarazioni, comunque acquisibili al fascicolo dibattimentale ai sensi dell’art. 511, comma 2, cod. proc. pen. una volta che il testimone venga risentito»; risulta, pertanto, assai dubbia l’idoneità complessiva di tale meccanismo «a garantire, in maniera effettiva e non solo declamatoria, i diritti fondamentali dell’imputato, e in particolare quello a una decisione giudiziale corretta sull’imputazione che lo riguarda».

[20] A stretto rigore logico, una ripetizione materiale, strettamente intesa, non è possibile : nessuno si bagna due volte nello stesso fiume. A ben vedere, dunque, anche questa è una ripetizione che vale come finzione giuridica, tanto che, per non discostarsene troppo, si ricorre al formalismo giuridico più smaccato, in cui si rievocano i rituali degli atti del diritto romano antico, in cui se si sbagliava una parola, l’atto era totalmente invalido

[21]come più volte ripetuto e pacificamente ormai acquisito sino dal tempo in cui, a metà degli anni 2000, si pronunciò sul punto la corte costituzionale, dei verbali di prova orale assunti innanzi ad altro giudice permangono al verbale in quanto, al momento in cui furono compiuti, erano perfettamente legittimi