Principali questioni in tema di azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori di società di capitali.

di Margherita Libri

Il tema della responsabilità della governance delle società di capitali, da sempre passaggio fondamentale del contenzioso in materia, si sviluppa, sul piano processuale, nella previsione legislativa di una pluralità di rimedi contro l’abuso dei poteri di gestione conferiti agli amministratori delle società, con l’obiettivo di assicurare una valida tutela degli interessi facenti capo non solo alle società da essi amministrate, ma anche ai creditori sociali, ai singoli soci e ai terzi.

Il dibattito sulle azioni di responsabilità è, inoltre, in costante evoluzione sia riguardo alle iniziative esperite nell’ambito di società in bonis, sia rispetto a quelle da promuoversi nel contesto di procedure concorsuali, ed è destinato ad accrescere la sua importanza tenuto conto della legge 19 ottobre 2017 n. 155, recante la delega al governo per la riforma delle discipline della crisi d’impresa e dell’insolvenza, in forza della quale la Commissione all’uopo nominata ha consegnato al Ministro della Giustizia una prima versione di due decreti attuativi, l’uno contenente la disciplina del Codice della crisi e dell’insolvenza e l’altro, che introduce significative modifiche al Codice civile in materia di diritto societario.

Secondo il sistema normativo attualmente in vigore e con riferimento alle S.p.A. e alle S.r.l., è possibile in generale enucleare le seguenti tipologie di azioni esperibili nei confronti degli amministratori delle società – intendendosi come tali non soltanto le persone fisiche immesse, nelle forme stabilite dalla legge, mediante atto negoziale di preposizione gestoria, nelle  funzioni di amministrazione, ma anche coloro che si siano, di fatto, ingeriti nella gestione della società in assenza di una qualsivoglia investitura da parte dell’assemblea, sia pur irregolare o implicita, e abbiano in concreto svolto attività di gestione della società con carattere sistematico e non limitato al compimento di taluni atti di natura eterogenea ed occasionale (v. Cassazione Civile: 14 settembre 1999, n. 9795;  23.5.2008, n. 13424; 1 marzo 2016, n. 4045; 18 settembre 2017, n. 21567) – :

  1. Azione sociale di responsabilità.
  2. Azione dei creditori sociali.
  3. Azioni contro la società o l’ente che esercita attività di direzione e coordinamento ai sensi dell’articolo 2497 cod. civ..
  4. Azione dei singoli soci e dei terzi, ai sensi degli articoli 2476, VI comma, e 2395 cod. civ.;

Tali rimedi saranno trattati con riferimento, in sintesi, ai principali profili che caratterizzano la corrispondente azione, con riguardo alle norme che la contemplano, ai soggetti legittimati, alla natura dell’azione e della responsabilità e ai suoi elementi costitutivi.

Azione sociale di responsabilità.

Il rimedio fondamentale contro gli abusi degli amministratori è rappresentato dall’azione sociale di responsabilità. Essa è prevista, per le S.p.A., dagli articoli 2393 e 2393 bis cod. civ. intitolati, rispettivamente, “Azione sociale di responsabilità“ e “Azione sociale di responsabilità esercitata dai soci” e, per le S.r.l., dall’articolo 2476 cod. civ., che riguardala responsabilità degli amministratori e il controllo dei soci.

Nelle società per azioni, la legittimazione del socio, ai sensi dell’articolo 2393 bis cod. civ., è riservata ai soli detentori di una partecipazione qualificata al capitale sociale – almeno un quinto del capitale sociale o la diversa misura prevista dallo Statuto, comunque non superiore al terzo, nelle società chiuse; un quarantesimo del capitale sociale o la minore misura prevista nello Statuto, nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio. I predetti quorum, secondo opinione prevalente, richiesti quali requisiti di legittimazione, devono sussistere al momento della proposizione della domanda e permanere in capo al socio lungo tutto l’iter processuale, di talché il venir meno di essi, nel corso del giudizio,comporta una pronunzia di improcedibilità dell’azione. Nelle società a responsabilità limitata, la legittimazione ad esercitare l’azione è invece conferita a ciascun socio individualmente, a prescindere dalla quota di capitale posseduta.Essendo il diritto sostanziale tutelato di pertinenza della società, la legittimazione del socio, che agisce utendo iuribus della società, è volta far valere in nome proprio un diritto altrui, rientrando dunque in una delle fattispecie di sostituzione processuale, ai sensi dell’articolo 81 cod. proc. civ.. Inoltre, poiché l’accertamento della responsabilità è destinato a produrre i suoi effetti anche nei confronti della società titolare del diritto controverso, la stessa dovrà essere chiamata in giudizio quale litisconsorte necessaria ai sensi dell’articolo 102 cod. proc. civ., come peraltro previsto espressamente, per le società per azioni, dall’articolo 2393 bis, III comma, cod. civ.. Ove l’amministratore e legale rappresentante della società risulti in carica, la notificazione dovrà essere eseguita alla società, in persona del curatore speciale, da nominarsi all’esito di apposito e autonomo procedimento di volontaria giurisdizione, sussistendo in tal caso una chiara ipotesi di conflitto di interessi ai sensi dell’articolo 78, II comma, cod. proc. civ. .

Sebbene le norme in tema di società a responsabilità limitata non prevedano espressamente, a differenza di quanto accade per le società per azioni, una disposizione specifica che attribuisca alla società la legittimazione a promuovere l’azione sociale nei confronti dell’amministratore, l’opinione pressoché unanime dei Commentatori della riforma delle società di capitali è orientata nel senso di ammettere la coesistenza della legittimazione straordinaria del socio, indipendentemente dalla misura della sua partecipazione al capitale sociale, e della legittimazione della società. Tale conclusione si fonda sull’evidente constatazione che l’obbligo risarcitorio degli amministratori si configura nei confronti della società e che pertanto sarebbe problematico non riconoscere proprio in capo al soggetto titolare del diritto corrispondente, la possibilità di far valere il medesimo in giudizio, ai sensi dell’articolo 1218 cod. civ., e di conseguirne tutela. Inoltre, l’articolo 2476, V comma, cod. civ., autorizza espressamente la società a rinunziare all’azione proposta dal socio, a definire transattivamente la controversia e, dunque,  a disporne in via definitiva; siffatto potere presuppone identica facoltà di scelta in ordine all’esercizio “in proprio” della medesima azione, la cui disponibilità non può dunque essere sottratta a chi ne è titolare (v. Relazione al decreto di riforma, par. 11), tenuto comunque conto di quanto, in generale, previsto dall’articolo 24 Cost..

In difetto di una norma corrispondente a quella contenuta nell’articolo 2393, I comma, cod. civ., è discusso se, per le società a responsabilità limitata, debba reputarsi necessaria la previa deliberazione assembleare che autorizzi la promozione dell’azione da parte della società. Sull’argomento si registrano opinioni non univoche. Taluni Autori (Di Amato; Ambrosini; Cagnasso) affermano la competenza della collettività dei soci, analogamente a quanto disposto dall’articolo 2476, V comma, cod. civ. con riguardo alla rinunzia ovvero alla transazione dell’azione esperita dal socio. Altra opinione dottrinale (Mainetti; Platania) ritiene sussistente la competenza dell’organo amministrativo, trattandosi di esercitare un diritto facente capo alla società, come tale rientrante nell’ambito delle funzioni gestorie, e siffatto convincimento viene giustificato anche dalla mancata indicazione, tra le materie affidate alla decisione dell’assemblea dei soci, come elencate dall’articolo 2479 cod. civ., dell’azione di responsabilità degli amministratori. La soluzione che appare preferibile, salvo il caso in cui la decisione venga affidata alla collettività dei soci da un’apposita clausola statutaria, o per effetto dell’iniziativa di uno o più amministratori o di tanti soci che rappresentino un terzo del capitale sociale, ai sensi dell’articolo 2479, I comma, cod. civ., deve ritenersi quella secondo cui è possibile esperire l’azione sociale indipendentemente dall’autorizzazione dell’assemblea dei soci e della relativa deliberazione, essendo l’azione stessa un rimedio attivabile, come innanzi evidenziato, da ciascuno dei soci. In tal senso è orientato il Tribunale di Roma, Sezione Specializzata in materia di Impresa (19 ottobre 2015, n. 20844). Diversa è la posizione espressa in proposito da altri Tribunali (v. Tribunale di Milano, 12 gennaio 2015) che ritengono improcedibile, anche con riguardo alla società a responsabilità limitata, l’azione esercitata dall’amministratore senza apposita deliberazione assembleare.

Ulteriori soggetti legittimati all’esercizio dell’azione sociale di responsabilità sono: il Collegio sindacale, ai sensi dell’articolo 2393, III comma, cod. civ. e, per le S.r.l., ai sensi dell’articolo 2477, V comma, cod. civ., l’Amministratore Giudiziario della società per azioni, nominato dal Tribunale all’esito del procedimento di volontaria giurisdizione originato dalla denuncia presentata ai sensi dell’articolo 2409, V comma, cod. civ.; in caso di soggezione della società a fallimento, liquidazione coatta amministrativa o amministrazione straordinaria, rispettivamente, il curatore del fallimento (articolo 146 del R.D. n. 267/42), il Commissario liquidatore e il Commissario straordinario (articolo 2394-bis codice civile).

L’azione sociale ha natura contrattuale, in quanto trova la sua fonte nell’inadempimento dei doveri imposti agli amministratori dalla legge o dall’atto costitutivo, ovvero nell’inadempimento dell’obbligo generale di vigilanza o dell’altrettanto generale obbligo di intervento preventivo e successivo. Le norme di cui agli articoli 2392 e 2476 cod. civ. strutturano una responsabilità degli amministratori in termini colposi, come emerge chiaramente sia dal richiamo, contenuto nel primo comma dell’articolo 2392 cod. civ., alla diligenza quale criterio di valutazione e di ascrivibilità della responsabilità (richiamo che sarebbe in contrasto con una valutazione in termini oggettivi della responsabilità) sia dalla circostanza che il secondo comma di tale norma e il primo comma dell’articolo 2476 cod. civ. consentono all’amministratore di andare esente da responsabilità, fornendo la prova positiva di essere immune da colpa e, essendo a conoscenza del prossimo compimento dell’atto, abbiano fatto constare del proprio dissenso. (sulla natura contrattuale dell’azione sociale di responsabilità, Tribunale di Roma Sezione Specializzata in materia di Impresa, 29 dicembre 2017).

Dalla qualificazione in termini di responsabilità contrattuale dell’azione de qua consegue che, mentre sull’attore grava esclusivamente l’onere di dimostrare la sussistenza delle violazioni degli obblighi (trattandosi di obbligazioni di mezzi e non di risultato), il nesso di causalità tra queste ed il danno verificatosi, incombe, per converso, sull’amministratore l’onere di dimostrare la non imputabilità a sé del fatto dannoso, fornendo la prova positiva, con riferimento agli addebiti contestati, dell’osservanza dei doveri e dell’adempimento degli obblighi al medesimo imposti. In altre parole, l’inadempimento si presumerà colposo e, quindi, non spetterà alla società attrice fornire la prova della colpa degli amministratori, mentre competerà al convenuto amministratore evidenziare di avere adempiuto il proprio compito con diligenza ed in assenza di conflitto di interessi con la società, ovvero che l’inadempimento è stato determinato da causa a lui non imputabile ex articolo 1218 cod. civ., ovvero, ancora, che il danno è dipeso dal caso fortuito o dal fatto di un terzo (cfr., in questo senso, Cassazione civile, Sez. I, 24 marzo 1999, n. 2772; Sez. I, 10 agosto 2016, n. 16952; Tribunale di Roma, Sezione Specializzata Imprese, 13 gennaio 2017).

Va,poi, osservato che gli amministratori delle società di capitali incorrono in responsabilità qualora non adempiano con diligenza agli obblighi loro imposti dalla legge o dall’atto costitutivo (articolo 2392 comma I, cod. civ.); per quanto concerne gli obblighi cui sono tenuti gli amministratori, deve evidenziarsi che in proposito possono distinguersi due tipologie; la prima rappresentata dagli obblighi aventi un contenuto specifico che è stato già predeterminato dalla legge o dallo statuto, si pensi, per esempio, agli obblighi che incombono sugli amministratori in caso di perdite, e la seconda costituita dagli obblighi che si risolvono nella regola generale di amministrare con diligenza e senza conflitto di interessi, senza tuttavia specificare il comportamento da tenere per gli amministratori e lasciando al giudice il compito di individuarne, di volta in volta, la portata in relazione alle specifiche circostanze del caso concreto. Occorre ulteriormente rilevare che l’articolo 2394 cod. civ. fa riferimento agli obblighi di conservazione dell’integrità del patrimonio sociale, la cui inosservanza è fonte di responsabilità verso la società e verso i creditori sociali.

Il thema  probandum  a fondamento della responsabilità che al riguardo venga prospettata si articola nei seguenti tre elementi: a) inadempimento da parte degli amministratori  di  uno o più degli obblighi suindicati; b) danno patrimoniale subito dalla società; c) nesso causale intercorrente tra inadempimento e danno.

Perché possa ritenersi integrata la responsabilità risarcitoria prevista dagli articoli 2393, 2393 bis e 2476 comma 1 cod. civ. sono dunque necessarie, oltre alla deduzione e alla prova di concreti inadempimenti da parte dell’organo gestorio ai doveri su di esso incombenti per legge e statuto, l’allegazione e la prova del danno in tal modo concretamente cagionato al patrimonio sociale nonché del nesso di causalità che lega i primi al secondo. Il danno che l’amministratore responsabile è tenuto a risarcire è, quindi, quello causalmente riconducibile in via immediata e diretta alla sua condotta colposa o dolosa, ed  entro  tale  limite  ricomprende, secondo i principi generali, sia il danno emergente sia il lucro cessante; esso va in concreto commisurato al  pregiudizio che la  società non avrebbe subito se un determinato comportamento  illegittimo, attivo od omissivo, non fosse stato posto in essere da parte dell’autore (cfr., Tribunale di Roma, Sezione Specializzata Imprese: 24 gennaio 2017, n. 1236; 24 agosto 2016, n. 1649; Cassazione Civile, 22 ottobre 1998, n. 10488).

Con riguardo alla determinazione del danno, mette conto segnalare, tra le modifiche più rilevanti e significative introdotte dalla riforma di cui alla legge delega n. 155/2017, quella, prevista dall’articolo 4, comma II, della stessa legge, che inserisce, all’articolo 2486 cod. civ., intitolato ai “Poteri degli amministratori”,in caso di scioglimento della società, un terzo comma del seguente tenore:”Il danno risarcibile è determinato secondo le disposizioni di cui agli articoli 1223, 1225, 1226 e 1227 in quanto compatibili con la natura della responsabilità, in relazione al pregiudizio arrecato al patrimonio sociale dai singoli atti compiuti in violazione del dovere previsto dal comma primo. Tuttavia, in caso di scritture contabili mancanti o comunque inattendibili, il danno risarcibile corrisponde alla differenza tra il netto patrimoniale al momento in cui si è verificata la causa di scioglimento della società e il netto patrimoniale al momento in cui è cessata la prosecuzione indebita dell’attività oppure è aperta la procedura di liquidazione della società, con salvezza della prova contraria e, in ogni caso, del potere di liquidazione equitativa del danno da parte del giudice”.

L’azione dei creditori sociali

L’azione spettante ai creditori sociali è prevista, per le società per azioni, dall’articolo 2394 cod. civ. e costituisce conseguenza dell’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale, quale garanzia generica dell’adempimento delle obbligazioni verso terzi, ai sensi dell’articolo 2740 cod. civ..Analogo rimedio non è espressamente contemplato con riguardo alle società a responsabilità limitata e tale mancato richiamo ha da sempre costituito argomento di vivace dibattito. Molti interpreti si sono interrogati sul significato di tale lacuna: se con essa il legislatore avesse inteso escludere il diritto dei creditori sociali a richiedere e ottenere il risarcimento del danno ai sensi dell’articolo 2394 cod. civ.., oppure se tale norma dovesse essere ritenuta in ogni caso applicabile, in ragione di un generale criterio di responsabilità degli amministratori nei confronti dei creditori per fatti pregiudizievoli del patrimonio e degli interessi del ceto creditorio. L’apparente vuoto normativo può essere colmato attraverso l’applicazione analogica dell’articolo 2394 cod. civ., sussistendo la necessità anche in relazione a tale tipo societario di tutelare l’integrità del patrimonio sociale, unica garanzia per i creditori, attraverso idonea sanzione. Va, comunque, sottolineato che, nell’ambito delle possibili modifiche al codice civile, previste dallo schema dei decreti di attuazione della legge delega 19 ottobre 2017 n. 155, viene contemplata espressamente, mediante l’inserimento del comma 5 bis nell’articolo 2476 cod. civ., l’azione spettante ai creditori sociali.La legge delega ha infatti stabilito l’introduzione da parte dei decreti di norme volte a confermare “l’applicabilità dell’articolo 2394 [in materia di azione di responsabilità dei creditori] alle società a responsabilità limitata“, attualmente non richiamato dall’art. 2476 c.c.”.

L’art. 4 dello schema di decreto attuativo riguardante le modifiche al codice civile, prevede infatti l’introduzione del comma 5 bis secondo il quale “Gli amministratori rispondono verso i creditori sociali per l’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione del patrimonio sociale. L’azione può essere proposta dai creditori quando il patrimonio sociale risulta insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti. La rinunzia all’azione da parte della società non impedisce l’esercizio dell’azione da parte dei creditori sociali. La transazione può essere impugnata dai creditori sociali soltanto con l’azione revocatoria quando ne ricorrono gli estremi.“.

La natura di tale azione è controversa. Taluni ritengono si tratti di una autonoma azione extracontrattuale, ai sensi dell’articolo 2043 cod. civ. (v. in proposito, Cassazione Civile, Sez. I, 4 dicembre 2015, n. 24715).; altri affermano trattarsi di azione contrattuale, richiamando la natura surrogatoria o il fondamento del rimedio sul generale dovere di protezione dei terzi incombente ex articolo 1173 cod. civ. sugli amministratori di una società che ha autonomia patrimoniale perfetta. Diversificate appaiono inoltre le opinioni in ordine alla finalità di tale azione, pur nella prospettiva condivisa della natura contrattuale alla stessa attribuibile. Secondo taluni, infatti, la stessa è diretta alla reintegrazione del patrimonio sociale nei limiti della misura dei crediti insoddisfatti; a ciascun creditore sarebbe conferita legittimazione straordinaria per la parte della pretesa risarcitoria che eccede l’ammontare del suo credito e che riguarda altri creditori inerti.La ratio della norma sarebbe così corrispondente a quella di cui all’art. 51 l.f., che vieta le azioni esecutive individuali dalla data del fallimento: quando il patrimonio sociale è insufficiente rispetto alla soddisfazione dei crediti, ciascun creditore può agire per reintegrarlo. Secondo altra opzione interpretativa, l’azione sarebbe invece orientata a reintegrare il patrimonio del singolo creditore sociale che ha il diritto di ottenere dall’amministratore, responsabile della lesione del patrimonio della società, l’equivalente della prestazione che la società non è più in grado di eseguire; si tratterebbe di un’azione autonoma ed individuale in cui la misura del danno subito dal singolo sarebbe anche la misura dell’interesse ad agire. Per una parte della dottrina anche l’azione ex articolo 2394 cod. civ. – come già quella ex articolo 2395 cod.civ. -costituirebbe applicazione della norma generale di cui all’art. 2043 c.c., onde la condotta illecita sarebbe da qualificare in termini di “lesione del credito”.

La natura extracontrattuale dell’azione presuppone l’assenza di un preesistente vincolo obbligatorio tra le parti, ed un comportamento dell’amministratore funzionale ad una diminuzione del patrimonio sociale di entità tale da rendere lo stesso inidoneo per difetto ad assolvere la sua funzione di garanzia generica (art. 2740 cod.civ.), con conseguente diritto del creditore sociale di ottenere, a titolo di risarcimento, l’equivalente pecuniario della prestazione che la società non è più in grado di compiere (cfr., nel senso dell’autonomia, Cassazione Civile, 22 ottobre 1998, n. 10488; 28 novembre 1984, n. 6187; 10 giugno 1981, n. 3755).

L’azione di responsabilità esercitata dal Curatore Fallimentare.

E’ costante nella giurisprudenza di legittimità l’affermazione secondo cui, in conseguenza del fallimento di una società di capitali, le (diverse) fattispecie di responsabilità degli amministratori di cui agli articoli 2392 e 2394 cod. civ. confluiscano in un’unica azione, dal carattere unitario ed inscindibile, all’esercizio della quale è legittimato, in via esclusiva, il curatore del fallimento (articolo 146 l. fall.), il quale può, conseguentemente, formulare istanze risarcitorie verso gli amministratori (ed i sindaci) tanto con riferimento ai presupposti della responsabilità (contrattuale) di questi verso la società (articoli 392, 2407 cod. civ.), quanto a quelli della responsabilità (extracontrattuale) verso i creditori sociali (articoli 2394, 2407 cod. civ.) (sulla legittimazione unitaria del Curatore, v. Cassazione Civile, Sezioni Unite, 23 gennaio 2017, n. 1641). Tale facoltà, che si risolve in un risultato pratico di evidente vantaggio per il fallimento (potendo la domanda giudiziale strutturarsi secondo profili di opportunità onde avvalersi, a seconda dei casi, della disciplina applicabile alla responsabilità contrattuale ovvero extracontrattuale)non può risolversi in un pregiudizio per la curatela – nel senso che questa debba soggiacere a quanto di meno favorevole possa astrattamente comportare il ricorso all’azione ex art. 2394 c.c., in tema di delimitazione del danno risarcibile e dell’interesse ad agire – dovendo accollarsi agli amministratori il danno che risulti conseguenza immediata e diretta delle commesse violazioni nella misura equivalente al detrimento patrimoniale effetto della loro condotta illecita, ed a prescindere dalle conseguenze concrete (più o meno favorevoli) che, caso per caso, tale criterio di valutazione comporti per ciascuno di essi (cfr., per tutte, Cassazione Civile 22 ottobre 1998, n. 10488).

Fino al 31 dicembre 2003 la responsabilità degli amministratori di società a responsabilità limitata era soggetta alla medesima disciplina dettata per gli amministratori di società per azioni, per effetto del rinvio recettizio integrale operato dall’articolo 2487, secondo comma, cod. civ. alle disposizioni rispettivamente recate dai precedenti articoli 2392, 2393, 2394 cod. civ. . In particolare, in caso di fallimento ovvero di liquidazione coatta amministrativa della società, il terzo comma dell’articolo 2394 cod. civ. attribuiva al curatore del fallimento ovvero al commissario liquidatore la titolarità esclusiva dell’azione di responsabilità degli amministratori della società verso i creditori sociali. Tale legittimazione esclusiva era ribadita, quanto al caso di fallimento, dall’articolo 146, secondo comma, l. fall., richiedente anche per l’esercizio di tale azione specifica autorizzazione, previa audizione del comitato dei creditori, del giudice delegato al fallimento e confermata dalla giurisprudenza di legittimità, il cui consolidato orientamento era nel senso di ritenere che – nel caso di fallimento di una società di capitali – le azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori  previste dagli articoli 2393 e 2394 cod. civ. a favore, rispettivamente, della società e, surrogatoriamente, dei creditori sociali, confluivano nell’unica azione di cui all’articolo 146 l. fall. di cui era titolare il curatore, con la legittimazione del quale non poteva concorrere quella dei creditori sociali per l’azione già di loro spettanza, essendo quest’ultima assorbita, in costanza della procedura fallimentare, dall’azione di massa e non potendo quindi, sino alla chiusura del fallimento, ad essa sopravvivere ancorché il curatore rimanesse inerte (v. Cassazione Civile  28.2.1998 n. 2251; 22.10.1998 n. 10488;  28.11.1984 n. 6187).

La ridefinizione complessiva della disciplina legale delle società a responsabilità limitata introdotta dal D.lgs. n. 6 del 2003 – nella quale non si rinviene alcuna disposizione autonoma che riproponga per le S.r.l. il tenore dell’articolo 2394 cod. civ. né alcuna norma di rinvio ricettizio al detto articolo (funzione svolta, nel sistema ante riforma, dall’articolo 2487 cod. civ. previgente) – aveva indotto parte della dottrina e della giurisprudenza di merito a ritenere che il curatore del fallimento di tale tipo di società avesse perduto la legittimazione all’esercizio dell’azione di responsabilità verso gli amministratori spettante ai creditori della società della stessa società, dovendosi attribuire al silenzio del legislatore la volontà di escludere, per le società a responsabilità limitata, un’azione corrispondente a quella delineata dall’articolo 2394 cod. civ. .  Tale interpretazione, contrastata da altra parte della dottrina e della giurisprudenza di merito (v. Tribunale di Napoli, 28.4.2004; Tribunale di Napoli, 12.5.2004, Tribunale di Mantova, 14.9.2005) non era condivisibile alla stregua del contenuto della nuova disciplina. Il silenzio del legislatore appariva infatti imputabile ad un mero difetto di coordinamento tra la disciplina delle S.p.A. e quella delle S.r.l. contenuta nella  novella societaria ed era ben possibile giungere  in via interpretativa a confermare l’applicabilità dell’articolo 146 l. fall. alle S.r.l. anche dopo la riforma ed a riconoscere quindi che ila Curatela del fallimento, pur nel mutato contesto normativo, conservasse tuttavia la facoltà di far valere a tale titolo, in via esclusiva, la responsabilità  degli amministratori nei confronti dei creditori sociali.

La Suprema Corte ha poi ribadito (di recente, Cassazione Civile, Sez. I, 26 agosto 2016, n. 17359), con riguardo alla responsabilità degli amministratori di società a responsabilità limitata, che la riforma societaria di cui al d. lgs. n. 6 del 2003, priva del richiamo, negli articoli 2476 e 2487 cod. civ., agli articoli 2392, 2393 e 2394 cod. civ., e cioè alle norme in materia di società per azioni, non va interpretata in termini di rilevanza abrogativa sulla legittimazione del curatore della società a responsabilità limitata che sia fallita, all’utile esperimento della predetta azione ai sensi dell’articolo 146 legge fall.; in base a tale disposizione, riformulata dall’articolo 130 del d. lgs. n. 5 del 2006, tale organo è abilitato all’esercizio di qualsiasi azione di responsabilità contro amministratori, organi di controllo, direttori generali e liquidatori di società, in tal modo confermandosi l’opzione interpretativa per cui, anche nel testo originario, era riconosciuta la legittimazione del curatore all’esercizio delle azioni comunque esercitabili dai soci o dai creditori nei confronti degli amministratori, indipendentemente dallo specifico riferimento agli articoli 2393 e 2394 cod. civ.

In ogni caso deve osservarsi, per completezza argomentativa, che il progetto del Codice della Crisi e dell’Insolvenza predisposto in attuazione della legge delega n. 155/2017, prevede che il Curatore designato in caso di dichiarata apertura della Liquidazione Giudiziale – procedura che dovrà sostituire la dichiarazione di fallimento (art. 53 del Codice della Crisi e dell’Insolvenza) – possa promuovere o proseguire, anche separatamente, ai sensi dell’articolo 260 del predetto Codice: a) l’azione sociale di responsabilità; b) l’azione dei creditori sociali prevista dall’articolo 2394 e dall’articolo 2476, comma 5 bis del codice civile; c) l’azione prevista dall’articolo 2476, comma 7, del codice civile; d)  l’azione prevista dall’articolo 2497, comma 4, del codice civile; e) tutte le altre azioni di responsabilità che gli sono attribuite da singole disposizioni di legge. Analoga disposizione è indicata nella Liquidazione Coatta Amministrativa, con riferimento alla legittimazione ad agire del Commissario Liquidatore (articolo 309).  L’articolo 362 del medesimo schema di Codice fa riferimento, infine, alla legittimazione a costituirsi parte civile nei procedimenti penali per i delitti previsti dalla stessa normativa, in capo al Curatore, al Commissario giudiziale e al Liquidatore Giudiziale e, nei casi di bancarotta fraudolenta, ove manchi la costituzione del Curatore, anche in capo ai creditori (art. 362).

Va altresì segnalata la disposizione di cui all’articolo 34 del progetto di Regolamento recante le disposizioni di attuazione al Codice predisposto dalla Commissione all’uopo designata, le norme di coordinamento e le disposizioni transitorie, che dovrebbe abrogare le norme di cui al R.D. n. 267/1942.

Sul piano risarcitorio e della determinazione del danno, va infine richiamato l’indirizzo della Suprema Corte, Sezioni Unite, (6/5/2015, n. 9100; v. anche Sez. I, 1 febbraio 2018, n. 2500), secondo cui “Nell’azione di responsabilità promossa dal curatore del fallimento di una società di capitali nei confronti dell’amministratore della stessa l’individuazione e la liquidazione del danno risarcibile dev’essere operata avendo riguardo agli specifici inadempimenti dell’amministratore, che l’attore ha l’onere di allegare, onde possa essere verificata l’esistenza di un rapporto di causalità tra tali inadempimenti ed il danno di cui si pretende il risarcimento. Nelle predette azioni la mancanza di scritture contabili della società, pur se addebitabile all’amministratore convenuto, di per sé sola non giustifica che il danno da risarcire sta individuato e liquidato in misura corrispondente alla differenza tra il passivo e l’attivo accertati in ambito fallimentare, potendo tale criterio essere utilizzato soltanto al fine della liquidazione equitativa del danno, ove ricorrano le condizioni perché si proceda ad una liquidazione siffatta, purché siano indicate le ragioni che non hanno permesso l’accertamento degli specifici effetti dannosi concretamente riconducibili alla condotta dell’amministratore e purché il ricorso a detto criterio si presenti logicamente plausibile in rapporto alle circostanze del caso concreto”.

L’azione prevista dall’articolo 2497 cod. civ..

Il rimedio di cui all’articolo 2497 cod. civ. è quello esperibile dal socio – da intendersi di minoranza, anche se non specificato dal legislatore – della società soggetta all’altrui direzione e coordinamento ovvero dal creditore sociale della medesima società “esterna”, nei confronti della società o dell’ente che detta attività esercita e che abbia abusato dei suoi poteri di direzione e coordinamento, violando le regole di corretta gestione societaria ed imprenditoriale della società controllata. Condividendosi l’indirizzo della dottrina prevalente, non può negarsi legittimazione ad agire in capo alla società eterodiretta, nei confronti della società capogruppo, ancorché la stessa non sia espressamente menzionata dall’articolo 2497 cod. civ. tra i soggetti che possono far valere la responsabilità della Holding (v. Tribunale di Milano, Sez. VIII, 27 febbraio 2012, n. 2464). In ogni caso, deve riconoscersi in capo alla società controllata la possibilità di agire, anche ai sensi dell’articolo 2476, VI comma, cod. civ..

Soggetti passivi di tale azione sono, oltre alla società capogruppo e in solido con essa, coloro che abbiano comunque preso parte al fatto lesivo, e pertanto amministratori o dirigenti del gruppo, quali autori materiali dell’attività dannosa, ma anche coloro che consapevolmente ne abbiano tratto beneficio, ai sensi dell’articolo 2497, II comma, cod. civ.. Tale disposizione estende, dunque, la fattispecie di cui al comma precedente anche ad altri soggetti, allo scopo di impedire che i medesimi, pur avendo concorso alla verificazione dell’illecito, possano restare esenti da responsabilità. In linea generale, possono essere ritenuti responsabili non soltanto coloro i quali abbiano preso direttamente parte alla condotta della società capogruppo, ma anche quanti abbiano contribuito causalmente alla verificazione del fatto lesivo e, pertanto, gli amministratori e i sindaci della holding, i soci di maggioranza e i creditori della capogruppo, per induzione alla condotta illecita. gli amministratori della società eterodiretta, per aver passivamente recepitole direttive pregiudizievoli della holding, i sindaci della eterodiretta, per omessa vigilanza, le società di revisione. Con riguardo a coloro che ne abbiano consapevolmente tratto beneficio, può farsi riferimento a quanti, pur essendo a conoscenza del fatto illecito, ne abbiano approfittato per avvantaggiarsi, a detrimento della società eterodiretta danneggiata; costoro potranno rispondere nei limiti del beneficio che hanno tratto dal fatto lesivo.

Ai fini della sussistenza della responsabilità ai sensi dell’articolo 2497 cod. civ. è necessario dimostrare: a) l’esercizio da parte di una società di attività di direzione e coordinamento nei confronti di altre; b) l’antigiuridicità della condotta, cioè dell’esercizio di quell’attività nell’interesse imprenditoriale della capogruppo o di altri soggetti, dunque estraneo a quello della società soggetta alla sua direzione e coordinamento, ed in violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società “esterne”; c) l’evento dannoso, dunque il pregiudizio arrecato al valore o alla redditività della partecipazione (per il socio), ovvero all’integrità del patrimonio della società (per il creditore); d) il nesso di causalità tra la condotta e l’evento.

Tale responsabilità, viene delimitata ovvero esclusa allorché debba negarsi la sussistenza in concreto di un danno risarcibile e, pertanto, quando manca il danno, alla luce del risultato complessivo dell’attività di direzione e coordinamento (comma I, ultima parte, prima ipotesi), quando è integralmente eliminato anche a seguito di operazione a ciò dirette (comma I, ultima parte, seconda ipotesi), quanto è azzerato dalla stessa società controllata, che abbia soddisfatto la pretesa risarcitoria (comma III) secondo un meccanismo meramente “fattuale”.

Con riguardo all’individuazione della natura di tale azione, dottrina e giurisprudenza hanno a lungo discusso, con ovvie e rilevanti conseguenze sul piano della distribuzione degli oneri probatori tra le parti. Alcuni autori (F. Fimmanò) propendono, nonostante il dato letterale della Relazione di accompagnamento al D. Lgs. n. 6/2003, in cui si fa menzione di una responsabilità di “stampo aquiliano”, per la ricostruzione in termini di responsabilità contrattuale della fattispecie di cui all’articolo 2497, I comma, cod. civ.(in giurisprudenza, v. Tribunale di Milano, Sezione VIII, 17 giugno 2011),fondata sulla obbligazione di iuxta gestio posto a carico della società capogruppo verso la società diretta ed i suoi soci. Altra dottrina(G. Salatino; V.G. Sbisà; V. F. Galgano) ritiene sia sulla scorta della Relazione di accompagnamento al D. Lgs. n. 6/2003 sia in ragione del fatto che non sia prevista la legittimazione all’esercizio dell’azione in capo alla società eterodiretta, che vada esclusa la natura contrattuale dell’azione di cui all’articolo 2497, I comma, cod. civ.; si registrano inoltre posizioni analoghe in giurisprudenza, con il riferimento all’inosservanza dei precetti generali di correttezza e buona fede imprenditoriali, tale da configurare un abuso nell’esercizio del potere di direttiva e di istruzione (Tribunale di Palermo, 15 giugno 2011). Altro orientamento giurisprudenziale (Trib. Napoli, sez. VII, decr., 26 maggio 2008) ha indicato una soluzione intermedia facendo riferimento alla natura contrattuale della responsabilità con riferimento all’azione esperita dai soci, e alla natura extracontrattuale con riguardo a quella esercitata dal creditori.

La responsabilità di cui all’articolo 2497, I comma, cod. civ. può altresì essere ricostruita quale responsabilità derivante da amministrazione di fatto della società “esterna” eterodiretta, da parte della capogruppo controllante, e dall’inadempimento delle obbligazioni collegate all’esercizio concreto della funzione gestoria, indipendentemente dalla formale investitura nelle medesime attribuzioni. In tal senso appare orientata anche la giurisprudenza di merito (Tribunale di Milano, Sezione VIII, 17 giugno 2011).

Per quanto riguarda il danno subito dal socio della società diretta e coordinata, è stato da autorevole dottrina affermato che esso consiste nella incapacità di produrre utili distribuibili da parte della società coordinata e nel mancato aumento o nella diminuzione di valore delle partecipazioni derivanti dalla scorretta attività di coordinamento. Il legislatore non ha definito in modo specifico tali presupposti lasciando a dottrina e giurisprudenza il compito di delinearli rispetto ai casi concreti all’attenzione.Si ritiene,infine, pacificamente che il pregiudizio in questione consista in un danno diretto al patrimonio della società eterodiretta e riflesso sulla redditività e sul valore della partecipazione sociale che fa capo al singolo socio; in proposito appare evidente la differenza rispetto alla posizione del socio – in caso di azione diretta contro gli amministratori della società “singola”, ai sensi degli articoli 2395 e 2476, VI comma, cod. civ., – non legittimato ad agire anche per eventuali danni indiretti che siano stati dagli amministratori cagionati al suo patrimonio personale.

L’azione diretta del socio e del terzo.

L’articolo 2395 cod. civ. può ritenersi costituire la norma di chiusura del sistema codicistico della responsabilità civile degli amministratori di società di capitali. In base a tale norma, le disposizioni dei precedenti articoli che disciplinano la responsabilità degli amministratori verso la società ed i creditori sociali non pregiudicano il diritto al risarcimento del danno spettante al singolo socio o al terzo che siano stati direttamente danneggiati da atti colposi o dolosi degli amministratori. Viene pertanto a delinearsi un sistema di responsabilità diretto ad assicurare  tutela ai soci ed ai terzi (tra i quali ovviamente anche i creditori sociali), fondato sulla sussistenza di un pregiudizio arrecato direttamente al patrimonio del singolo senza che da ciò derivi un danno per la società. L’elemento caratterizzante e al tempo stesso diversificante l’azione individuale di responsabilità rispetto all’azione sociale (articolo 2393 cod. civ.) ed a quella dei creditori sociali (articolo 2394 cod.civ.) è costituito dall’incidenza “diretta” delle conseguenze dannose sul patrimonio del socio o del terzo: mentre l’azione sociale è finalizzata al risarcimento del danno al patrimonio della società, che riguarda solo indirettamente il patrimonio dei soci attraverso la perdita di valore delle loro azioni, e l’azione dei creditori sociali è finalizzata al pagamento dell’equivalente del credito rimasto inadempiuto a causa dell’insufficienza patrimoniale determinata dall’illegittima condotta degli amministratori, e quindi ancora una volta riguarda un danno che costituisce il riflesso della perdita patrimoniale subita dalla società, l’azione individuale in argomento postula per converso la lesione di un diritto soggettivo patrimoniale del socio o del terzo che non sia conseguenza del depauperamento del patrimonio della società (Cassazione Civile, Sez. I, 23 giugno 2010, n. 15220; Sez. I, 22 marzo 2010; 25 luglio 2007, n. 16416; 3 aprile 2007, n. 8359; 5 agosto 2008, n. 21130;  10 aprile 2014, n. 8458). L’espressione “direttamente” consente, dunque, di circoscrivere l’ambito di esperibilità dell’azione ex articolo 2395 cod. civ., nel senso che se il danno lamentato costituisce solo il mero riflesso di quello cagionato dalla condotta illecita al patrimonio sociale, si è evidentemente al di fuori del campo di applicazione dell’articolo 2395 cod. civ., esigendo chiaramente tale norma che il pregiudizio abbia investito in via diretta e immediata il patrimonio del socio o del terzo che abbia esercitato l’azione. Al contrario, non rileva che il danno sia stato arrecato dagli amministratori nell’esercizio del loro ufficio o al di fuori di tali incombenze, ovvero che tale pregiudizio sia o meno ricollegabile a un inadempimento della società, né infine che l’atto lesivo sia stato eventualmente compiuto dagli amministratori nell’interesse della società e a suo vantaggio, dato che la formulazione dell’articolo 2395 cod. civ. pone in evidenza che l’unico dato significativo ai fini della sua applicazione è costituito appunto dall’incidenza del danno (in questi termini, Cassazione civile, Sez. III, 22 marzo 2011, n. 6558; Sez. I, 28 febbraio 1998, n. 2251; Sez. I, 28 marzo 1996, n. 2850; Sez. I, 22 gennaio 1993, n. 781). È, peraltro, opinione prevalente, in dottrina ed in giurisprudenza, che, considerata la mancanza di un vincolo contrattuale tra amministratore ed i terzi che si avvalgano di tale rimedio, l’azione che ne deriva assuma natura extracontrattuale (Cassazione Civile  Sez. I, 23 giugno 2010, n. 15220; 22 marzo 2010, n. 6870; 3 agosto 1988, n. 4817). Non convince, al contrario, una tesi, rimasta peraltro minoritaria in dottrina, secondo la quale si tratterebbe, invece, di una responsabilità contrattuale o, quanto meno, di una responsabilità per violazione dei doveri di protezione che incombono sugli amministratori. Appare, infatti, del tutto evidente come l’articolo 2395 cod. civ., riferendosi ad atti colposi o dolosi degli amministratori, si ponga, anche sotto il profilo della formulazione letterale, nell’alveo della clausola generale contenuta nell’articolo 2043 cod. civ. di cui, sostanzialmente, costituisce una fattispecie legale che si caratterizza per l’inquadramento nella tipologia della lesione o dell’aspettativa di credito. In altre parole, ad integrare la fattispecie normativa è la violazione del precetto del neminem laedere, con conseguente applicazione delle norme in materia di responsabilità aquiliana, e correlative conseguenze in ordine al regime probatorio e al regime della prescrizione.