Processo di cognizione di primo grado davanti al tribunale in composizione monocratica nel ddl Bonafede – fase introduttiva e di trattazione (art. 3) di Antonella Stilo e Silvia Vitrò

La disposizione si presta a diversi rilievi critici, sia di ordine generale che di carattere prettamente operativo.

Sotto il primo profilo, giova premettere che l’espressa individuazione dei principi di semplificazione, speditezza e razionalizzazione del processo civile (v. lettera a) del comma 1) quali criteri direttivi della riforma del processo di cognizione di primo grado davanti al tribunale in composizione monocratica denota chiaramente che alla base della riforma vi è la consapevolezza che la riduzione dei tempi di definizione delle cause civili costituisce una priorità assoluta.

Ora, se è indubbio che si debba dare una svolta al processo civile, non si può tuttavia fare a meno di rilevare che l’idea di fondo del disegno di legge delega va conciliata con la considerazione che il problema principale della giustizia civile è costituito dall’arretrato che, sebbene sia in corso di riduzione negli ultimi anni presso i vari uffici giudiziari, costituisce tuttavia una zavorra da cui non è possibile prescindere.

In particolare, se è in sé condivisibile l’obiettivo di “assicurare la semplicità, la concentrazione e l’effettività della tutela e la ragionevole durata del processo”, non ci si può esimere dall’osservare che tale obiettivo non può essere realizzato con una riforma a “costo zero”, mediante operazioni dichiaratamente salvifiche sul rito e sulle regole processuali, senza affrontare i nodi “critici” che stanno “a monte”.

Qualsiasi intervento riformatore è difatti destinato al fallimento, se non si accompagna ad interventi di più ampio respiro sul piano dell’organizzazione degli uffici giudiziari e del lavoro dei magistrati, interventi in assenza dei quali ogni progetto volto a novellare le norme sul rito è chiamato alla missione impossibile di far quadrare il cerchio tra indilazionabili esigenze di riduzione dei tempi di definizione dei giudizi e problemi atavici di carenza di risorse e di personale (evidenti soprattutto nei tribunali cd. di frontiera in cui vi è un continuo avvicendarsi nel tempo di magistrati che non assicura quella continuità necessaria per un compiuto esercizio dell’attività giurisdizionale nei vari settori).

E’ cioè utopistico attendersi un’accelerazione sensibile dei tempi processuali solo sulla scorta di una riforma sul rito, dimenticando che vi sono uffici oberati da procedimenti di non recente iscrizione a ruolo e connotati da un consistente carico dei ruoli istruttori, in cui i “carichi esigibili” rappresentano un miraggio di cui si sente soltanto parlare…

Ciò posto, sul piano squisitamente operativo, in relazione all’art. 3 va sottolineato che:

– la previsione di termini brevi per la fissazione dell’udienza di prima comparizione delle parti, unitamente ad un’istruzione (in prospettiva) rapida del procedimento, rischia di allungare i tempi di trattazione dei giudizi di più antica iscrizione a ruolo che spesso sono i più complessi e che comunque vanno tendenzialmente trattati con priorità rispetto ai “nuovi” procedimenti, così cristallizzando l’idea di un sistema – giustizia a due velocità;

– in ogni caso, sarebbe opportuno introdurre termini più lunghi in ipotesi di convenuto residente all’estero, ipotesi nella quale può essere concretamente difficile per il ricorrente procedere alla notifica del ricorso e del decreto rispettando il termine di comparizione delle parti (che va fissato dal giudice in misura non superiore a ottanta giorni);

– inoltre, l’introduzione di un sistema di preclusioni tale da definire all’udienza di prima comparizione il thema decidendum, se ha il pregio di assicurare una puntuale e tempestiva discovery, appare tuttavia eccessivamente oneroso per le parti nelle cause più complesse (in rapporto all’oggetto ed alla natura dei diritti coinvolti); proprio per tener conto (anche) di tale controversie si può prospettare un ampliamento del termine sia per la costituzione del convenuto sia per il ricorrente per gli adempimenti di cui al punto 4);

– ancora, va osservato che l’art. 3 non fa menzione dell’indicazione da parte del giudice di eventuali questioni rilevabili d’ufficio di cui ritiene necessaria la trattazione (anche ai sensi dell’art. 101 c.p.c.), così ingiustificatamente attenuando il potere di dirigere il dialogo processuale, di indicare alle parti i punti nodali della controversia e di prospettare soluzioni conciliative, senza considerare l’incidenza di tali aspetti sulla definizione anticipata delle controversie, non con sentenza, ma in altro modo, con un’effettiva riduzione dei tempi e dei costi processuali (il punto n. 7 prevede, difatti, soltanto che il giudice indichi alle parti -nell’ordinanza in cui provvede sulle istanze istruttorie- i chiarimenti che reputa indispensabile acquisire nel corso dell’udienza fissata per dare inizio all’assunzione delle prove);

– problemi pone altresì il meccanismo prefigurato per la decisione sulle richieste istruttorie articolate dalle parti nei termini (30+20) di cui al punto 6) (sostanzialmente corrispondenti agli attuali termini n. 2 e n. 3 del comma 6 dell’art. 183 c.p.c.); invero, se va vista con favore l’eliminazione dell’udienza attuale in cui (alla scadenza dei termini ex art. 183 comma 6 c.p.c.) si provvede sulle istanze istruttorie (o ci si riserva di provvedere), che è una udienza sostanzialmente inutile, invece la prevista fissazione (all’udienza di prima comparizione, dopo la concessione dei termini, se richiesti) dell’udienza di prosieguo (ossia dell’udienza in cui si dovrà eventualmente dare inizio all’assunzione delle prove) non oltre sessanta giorni dalla scadenza dell’ultimo termine non tiene evidentemente conto di quelle realtà connotate da ruoli civili di consistenza elevata; a ciò deve aggiungersi che nella prospettiva della riforma andrebbe fissato un numero limitato di cause per ciascuna udienza (essendo ciascuna fase particolarmente impegnativa sia per il giudice che per gli avvocati), il che potrebbe allungare ulteriormente i tempi di definizione dei fascicoli di meno recente iscrizione.

Appare per contro condivisibile, unitamente all’eliminazione dell’udienza per la decisione sui mezzi istruttori di cui si è già detto:

– l’indicazione del ricorso quale atto introduttivo in luogo della citazione, in quanto consente al giudice sin dall’inizio di “dettare” i tempi del processo e può contribuire ad evitare cause strumentali (si pensi, ad esempio, alle opposizioni a decreto ingiuntivo dilatorie introdotte con citazione a data fissa lontana nel tempo);

– la disciplina prefigurata per i rapporti tra collegio e giudice monocratico, essendo in specie superfluo fissare, in caso di passaggio di una controversia dal collegio al giudice monocratico, o viceversa, una nuova udienza per la precisazione delle conclusioni.

Processo di cognizione di primo grado davanti al tribunale in composizione collegiale – fase introduttiva e di trattazione (art. 4).

I profili critici (che si aggiungono a quelli di ordine generale già enucleati in relazione all’art. 3) sono i seguenti:

– il disegno di legge delega è generico in ordine alla individuazione dei casi in cui il tribunale potrà continuare a giudicare in composizione collegiale (casi che sono già limitati), limitandosi a fare riferimento alla “oggettiva complessità giuridica” ed alla “rilevanza economico-sociale delle controversie”;

– peraltro, la prospettata ulteriore riduzione delle già limitate tipologie di controversie a decisione collegiale sulla base dei criteri suindicati mal si concilia con un’operazione di restyling che dovrebbe assoggettare anche la trattazione di tali controversie ad un rito semplificato analogo a quello disegnato per i procedimenti del giudice monocratico; sarebbe infatti del tutto opportuno mantenere fermo il rito ordinario per le cause con riserva di collegialità, essendo il relativo “costo” compensato dalla semplificazione del rito per i procedimenti monocratici e comunque giustificato dalla “oggettiva complessità giuridica” e dalla “rilevanza economico-sociale delle controversie”.

Modifica dei moduli decisori per il processo di cognizione di primo grado.

Al riguardo, si osserva quanto segue:

– il modello delineato per il processo dinanzi al giudice monocratico dall’art. 3 lett. c) n. 1) prima parte, imperniato sulla discussione orale pura nella stessa udienza in cui si esaurisce la trattazione e/o l’istruzione della causa, appare praticabile solo nelle cause di estrema semplicità (di carattere documentale o con un’istruzione limitata o su cui si è formato un orientamento consolidato nell’ambito della Sezione);

– di conseguenza, va vista con favore la previsione della possibilità di fissare, su richiesta anche di una sola parte, altra udienza per la discussione orale, con la concessione di termini anteriori all’udienza per il deposito di sintetiche note difensive e di note di replica;

– tali termini, peraltro, non appaiono congrui per le parti per le cause più complesse;

– a ciò deve aggiungersi che, nel momento in cui la concessione dei termini alle parti per il deposito di scritti difensivi finali precede e non segue l’udienza di precisazione delle conclusioni, udienza in esito alla quale il giudice si trova dinanzi all’alternativa tra pronunziare la sentenza dando lettura del dispositivo e delle ragioni della decisione ovvero riservare il deposito entro i trenta giorni successivi, è verosimile che ne consegua un allungamento dei tempi per la fissazione dell’udienza per la precisazione delle conclusioni (e la discussione orale), allo scopo di tenere conto delle “ragioni” di agenda degli avvocati e dei giudici; del resto, a procrastinare la definizione del processo civile non sono i termini ordinari attuali (60+20), peraltro già di fatto (quando possibile) ridotti dai giudici d’intesa con i procuratori (sempre che non si proceda con il modulo decisorio di cui all’art. 281 sexies c.p.c.), ma semmai il peso dell’arretrato e la consistenza dei ruoli, che si riflette inevitabilmente sui tempi della fase decisoria; 

– infine, la previsione per i procedimenti con riserva di collegialità (in alternativa rispetto alle modalità previste dagli articoli da 187 a 190 del codice di procedura civile) di una udienza di precisazione delle conclusioni e di discussione orale davanti al Collegio (previa assegnazione alle parti, su richiesta, di termini anteriori all’udienza per gli scritti difensivi finali) rischia di dilatare i tempi, anziché ridurli, e di non semplificare alcunché (essendo più agevole precisare le conclusioni davanti all’Istruttore, che di seguito riserva la causa al collegio in camera di consiglio per la decisione, assegnando magari termini ridotti alle parti, anziché fissare apposita udienza collegiale) ed è verosimilmente destinata a rimanere sulla “carta”.

Tavole sinottiche commentate sul giudizio di primo grado civile nel ddl Bonafede di Silvia Vitrò

In conclusione, questa riforma della procedura civile non appare condivisibile.

I riti attuali sono sufficienti per assicurare una gestione dei processi efficiente.

Ciò che manca sono i mezzi (umani e materiali).

E poi sparisce il vero e proprio rito sommario, semplice e informale, utile per molte cause di minore importanza.