Pronunce Cassazione SSUU ambito civile luglio-settembre 2015

a cura di Andrea Penta

Nei tre mesi a cavallo delle vacanze estive le Sezioni Unite della Cassazione hanno pronunciato, nei settori civile e penale, numerose sentenze di ampio impatto pratico su controversie in relazione alle quali vi erano contrasti di vedute all’interno delle sezioni specializzate ratione materia.

La I Sezione civile (Cass. civ., sez. I, sentenza 20 luglio 2015 n. 15138; Pres. Forte, rel. Acierno) ha escluso, in tema di rettifica del sesso, la necessità di sottoporsi previamente all’intervento chirurgico.

In particolare, la Suprema Corte ha statuito che, alla luce di una interpretazione costituzionalmente orientata e conforme alla giurisprudenza della CEDU degli artt. 1 della legge n. 164 del 1982, nonché del successivo art. 3 della medesima legge, attualmente confluito nell’art. 31, comma 4, del d.lgs. n. 150 del 2011, per ottenere la rettificazione del sesso nei registri dello stato civile, l’adeguamento dei caratteri sessuali non implica necessariamente l’intervento chirurgico demolitorio quando, all’esito di un’accurata indagine giudiziaria, venga accertata la serietà ed univocità del percorso scelto dall’individuo e la compiutezza dell’approdo finale.

In tema di unioni fra persone dello stesso sesso, è opportuno ricordare che la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, sez. IV, in data 21 luglio 2015 (Pres. Hirvelä; Oliari e Altri c/Italia) ha deciso che la mancanza di un riconoscimento legale di tali unioni configura una violazione dell’art. 8 CEDU.

Tra le righe della motivazione si legge che le coppie omosessuali sono capaci, come le coppie eterosessuali, di costituire relazioni stabili e impegnative e sono in una situazione assai simile a una coppia eterosessuale per quanto riguarda il loro bisogno di riconoscimento legale e di protezione della loro relazione (v. Schalk and Kopf, § 99, e Vallianatos, §§78 e 81). Ne segue che le coppie omosessuali necessitano di un riconoscimento legale e della protezione della loro relazione. Nell’assenza di un interesse prevalente della comunità allegato dal Governo italiano contro il quale equilibrare i fondamentali interessi delle coppie omosessuali, e alla luce delle conclusioni delle Corti nazionali italiane sulla materia, che sono rimaste inascoltate, il Governo italiano ha ecceduto il suo margine di apprezzamento ed ha mancato di adempiere il suo obbligo positivo di assicurare che alle coppie omoaffettive fosse disponibile uno specifico quadro legale che prevedesse il riconoscimento per la tutela delle loro unioni omosessuali. Vi è conseguentemente violazione dell’art. 8 CEDU.

Sempre in materia di famiglia, la Prima Sezione Civile (Sentenza 22 luglio 2015, n. 15367 Presidente F. Forte, Relatore A. Valitutti) ha delineato i confini della tutela dell’acquirente nell’ipotesi in cui, in presenza di una separazione o divorzio cui abbia fatto seguito l’assegnazione della casa coniugale al coniuge affidatario del figlio minorenne (o maggiorenne non autosufficiente), sia avvenuta la vendita di quel cespite ad un terzo. Ci si domandava se in siffatta evenienza si verificasse il successivo venir meno delle condizioni dell’assegnazione.

Ebbene, i giudici di legittimità hanno stabilito che il terzo acquirente della casa coniugale, già assegnata al coniuge affidatario del figlio minorenne o maggiorenne non economicamente autosufficiente, non è legittimato, venuti meno i presupposti per l’assegnazione, a chiedere la revisione ai sensi dell’art. 9 della legge n. 898 del 1970, ma può instaurare un ordinario giudizio di cognizione, chiedendo l’accertamento dell’insussistenza delle condizioni per il mantenimento del diritto personale di godimento a favore del coniuge assegnatario della casa coniugale, così conseguendo la declaratoria di inefficacia del titolo che legittima l’occupazione della casa coniugale.

Sullo specifico tema sempre la Prima Sezione (Sezione Prima Civile, Sentenza 11 settembre 2015, n. 17971, Presidente F. Forte – Relatore M. Acierno) sulle conseguenze della cessazione della convivenza di fatto sull’assegnazione della casa familiare al genitore collocatario dei figli minori.

La Prima Sezione Civile ha stabilito che, in caso di cessazione della convivenza di fatto, il genitore collocatario dei figli minori, nonché assegnatario della casa familiare, esercita sull’immobile un diritto di godimento assimilabile a quello del comodatario, la cui opponibilità infranovennale è garantita, pur in assenza di trascrizione del provvedimento giudiziale di assegnazione, anche nei confronti dei terzi acquirenti consapevoli della pregressa condizione di convivenza.

Molto attesa era, per gli specialisti del settore, la decisione sulla configurabilità o meno della facoltà del curatore dell’imprenditore promittente, poi fallito, di sciogliersi dal preliminare, allorquando sia stata trascritta, anteriormente al fallimento, la domanda ex art. 2932 cod. civ. da parte del promissario acquirente.

La questione, sollevata dalla I sezione civile con ordinanza interlocutoria n. 27111/2013, è stata risolta all’udienza del 13.01.2015 con sentenza pubblicata il 16.9.2015 (Sezioni Unite Civili, Sentenza 16 settembre 2015, n. 18131, Presidente L. A. Rovelli, Relatore R. Vivaldi).

Le Sezioni Unite, a composizione di contrasto, hanno enunciato il principio secondo cui, in ipotesi di domanda di esecuzione in forma specifica proposta anteriormente alla dichiarazione di fallimento del promittente venditore e riassunta nei confronti del curatore, il curatore mantiene la titolarità del potere di scioglimento del contratto ex art. 72 legge fall., ma se la domanda è stata trascritta prima del fallimento, l’esercizio del diritto di scioglimento non è opponibile nei confronti dell’attore promissario acquirente. Se poi la domanda trascritta non viene accolta, l’effetto prenotativo della trascrizione della domanda cessa, con la conseguente opponibilità all’attore della sentenza dichiarativa di fallimento, essendo, in tal modo, efficace, nei suoi confronti, la scelta del curatore di sciogliersi dal rapporto.

In definitiva, il curatore fallimentare del promittente venditore non può esercitare la facoltà di scioglimento del preliminare ex art. 72 l.f. nei confronti del promissario compratore il quale abbia trascritto prima della dichiarazione di fallimento una domanda ex art. 2932 c.c. successivamente accolta con sentenza trascritta.

In ambito processuale si segnala una pronuncia della VI Sezione (Sezione Sesta – Lavoro, Sentenza 11 settembre 2015, n. 18024, Pres. e Rel. P. Curzio), la quale, in tema di ordinanza di inammissibilità ai sensi dell’art. 348 bis c.p.c., ha chiarito che, secondo una interpretazione letterale, teleologica e sistematica degli artt. 348 bis e 348 ter c.p.c., la comunicazione dell’ordinanza di inammissibilità ex art. 348 bis c.p.c. deve necessariamente precisare il tipo e la ragione del provvedimento, ossia che trattasi di ordinanza (e non sentenza) di inammissibilità dell’appello per mancanza di ragionevole probabilità di accoglimento del gravame (e non di inammissibilità per altre ragioni, di cui alla prima parte dell’art. 348 bis), dovendo la parte che riceve la comunicazione essere messa in grado di sapere che è stato emesso un provvedimento implicante un regime speciale d’impugnazione.

Nel medesimo ambito merita di essere riportata una pronuncia della Sesta-Terza Sezione Civile (Ordinanza 2 settembre 2015, n. 17480; Presidente M. Finocchiaro, Estensore R. Frasca) in ordine alla possibilità di individuare, in caso di controversia su contratto di utenza telefonica, il giudice competente per territorio per relationem rispetto all’organismo territorialmente competente per l’esperimento del tentativo di conciliazione dinanzi al CORECOM.

La Suprema Corte ha statuito che, nelle controversie relative ai contratti di utenza telefonica, dal combinato disposto dell’art. 1 della legge 31 luglio 1997, n. 249 – che sancisce l’obbligo di esperire il preventivo tentativo di conciliazione innanzi al Comitato regionale per le comunicazioni (cd. “CORECOM”) – e dell’art. 4 del d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28, secondo il quale la domanda di mediazione giudiziale va presentata presso un “organismo nel luogo del giudice territorialmente competente per la controversia”, non deriva la necessità di individuare il giudice avente competenza per territorio sulla controversia come necessariamente coincidente con quello del luogo in cui – a norma degli artt. 3 e seguenti del regolamento di attuazione della predetta l. n. 249 del 1997 – ha sede l’organismo territorialmente competente per il tentativo di conciliazione.   

La Cassazione ha affrontato e risolto la questione dei limiti della tutela assicurativa nell’ipotesi di infortunio in itinere in ipotesi di fatto doloso del terzo.

Le Sezioni Unite (Sezioni Unite Civili, sentenza 7 settembre 2015, n. 17685, Presidente L. A. Rovelli,  Relatore V. Nobile), a composizione di contrasto, hanno affermato che anche in seguito all’introduzione dell’art. 12 del d.lgs. 23 febbraio 2000, n. 38, che ha espressamente ricondotto all’ambito dell’assicurazione obbligatoria l’ipotesi dell’infortunio in itinere, va esclusa dalla tutela la fattispecie nella quale, in caso di fatto doloso del terzo, venga a mancare la “occasione di lavoro”.

In particolare, la Sentenza n. 17685  del  7 settembre 2015 ha formulato il seguente principio di diritto: “La espressa introduzione dell’ipotesi legislativa dell’infortunio in itinere non ha derogato alla norma fondamentale che prevede la necessità non solo della causa violenta ma anche della occasione di lavoro, con la conseguenza che, in caso di fatto doloso del terzo, legittimamente va esclusa dalla tutela la fattispecie nella quale in sostanza venga a mancare la occasione di lavoro, in quanto il collegamento tra l’evento e il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro risulti assolutamente marginale e basato esclusivamente su una mera coincidenza cronologica e topografica (come nel caso in cui il fatto criminoso sia riconducibile a rapporti personali tra l’aggressore e la vittima del tutto estranei all’attività lavorativa ed a situazioni di pericolo individuali, alle quali la vittima è, di fatto, esposta ovunque si rechi o trovi, indipendentemente dal percorso seguito per recarsi al lavoro)”.

Le Sezioni Unitesono intervenute anche in tema di sanzioni amministrative tributarie, risolvendo l’annosa questione della natura giuridica del fermo amministrativo su beni mobili registrati, avallando la tesi della misura afflittiva e non esecutiva.

Le Sezioni Unite (Sezioni Unite Civili, Sentenza 22 luglio 2015, n. 15354, Presidente L. A. Rovelli, Relatore A. Amendola), a risoluzione di questione di massima di particolare importanza, hanno deciso che il fermo amministrativo ex art. 86 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, costituisce misura non alternativa all’esecuzione ma afflittiva, sicché la pretesa dell’esattore è impugnabile con un’azione di accertamento negativo, soggetta alle regole del rito ordinario di cognizione ed alle norme generali in tema di riparto di competenza per materia e per valore.

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