Pronunce Cassazione SSUU ambito penale luglio-settembre 2015

a cura di Andrea Penta

In ambito penale, avuto riguardo agli aspetti processuali, si segnalano due pronunce.

La prima (Sezioni Unite, 26 giugno 2015 – dep. 22 luglio 2015 -, n. 32243; Pres. G. Santacroce, Rel. M. Fumo) ha affrontato il problema delle notificazioni eseguite per via telematica a persona diversa dall’imputato, alla luce del d.l. n. 112 del 2008 e della L. 24 dicembre 2012, n. 228 (modificativa dell’art. 16 del d.l. 18 ottobre 2012, n. 179).

Con questa sentenza le Sezioni Unite Penali della Corte di Cassazione hanno affermato il principio di diritto secondo cui, anche dopo l’entrata in vigore del d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, e relativa conversione in legge, sono valide le notificazioni a persona diversa dall’imputato o indagato eseguite per via telematica, ai sensi del d.l. 25 giugno 2008, n. 112, e relativa conversione in legge, dagli Uffici giudiziari già autorizzati dal decreto 1 ottobre 2012 del Ministro della Giustizia.

La seconda (Sezioni Unite, 26 marzo 2015 – dep. 29 luglio 2015 -, n. 33583; Pres. G. Santacroce, Rel. L. Bianchi) ha risolto la delicata questione delle conseguenze delle dichiarazioni rese, in assenza dell’avvertimento di cui all’art. 64, terzo comma, lett. c), cod. proc. pen., da persona imputata di reato connesso o collegato che non ha reso in precedenza dichiarazioni sulla responsabilità dell’imputato.

Le Sezioni Unite Penali della Corte di Cassazione hanno affermato che, in sede di esame dibattimentale ai sensi dell’art. 210, sesto comma, cod. proc. pen., di imputato di reato connesso ex art. 12, primo comma, lett. c), cod. proc. pen., o collegato ex art. 371, secondo comma, lett. b), cod. proc. pen., l’avvertimento di cui all’art. 64, comma terzo, lett. c), deve essere dato non solo se il soggetto non ha «reso in precedenza dichiarazioni concernenti la responsabilità dell’imputato» (come testualmente prevede il sesto comma dell’art. 210), ma anche se egli abbia già deposto erga alios senza aver ricevuto tale avvertimento, precisando che dal mancato avvertimento consegue l’inutilizzabilità della deposizione testimoniale.

In tema di misure cautelari, la Terza Sezione (Pres. Squassoni, Rel. Aceto; sent. n. 37087 del 19 maggio 2015 Cc., dep. 15 settembre 2015) ha definito i contorni della nozione di attualità del pericolo nell’ambito delle esigenze cautelari e, in particolare, del pericolo di reiterazione.

In particolare, ha affermato – a seguito delle modifiche introdotte dalla legge n. 47 del 2015 all’art. 274,lett. c), cod. proc. pen. – che, per poter affermare che un pericolo “concreto” di reiterazione di condotte criminose sia anche “attuale”, non è più sufficiente ritenere – con certezza o alta probabilità – che l’imputato torni a delinquere ove se ne presenti l’occasione, ma è anche necessario, anzitutto, prevedere (negli stessi termini di certezza o alta probabilità) che un’occasione per compiere nuovi delitti si presenti effettivamente.

La stessa Terza Sezione (Sentenza n. 34932 del 24 giugno 2015 – dep. il 18 agosto 2015 -; Presidente Franco, Relatore Pezzella) ha fornito un ulteriore apporto concreto alla rilevabilità in cassazionedelle cause di non punibilità, di improcedibilità, di estinzione del reato o della pena e, in particolare, della non punibilità per particolare tenuità del fatto.

In tema di “particolare tenuità del fatto”, ha affermato che l’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare l’esclusione della punibilità, prevista dall’art. 131-biscod. pen., per quanto ius superveniens più favorevole al ricorrente.

Di grande impatto pratico è la sentenza n. 31617 delle Sezioni Unite depositata il 21 luglio 2015 in tema di misure di sicurezza patrimoniali e, in particolare, di confisca di cose costituenti prezzo o profitto del reato nel caso di estinzione del reato.

Con la detta sentenza le Sezioni Unite Penali (Sez. un., 26 giugno 2015 – dep. 21 luglio 2015 -, n. 31617; Pres. G. Santacroce, Rel. A. Macchia) hanno affermato i seguenti principi:

– “il giudice, nel dichiarare la estinzione del reato per intervenuta prescrizione, può applicare, a norma dell’art. 240, secondo comma, n. 1, cod. pen., la confisca del prezzo del reato e, a norma dell’art. 322 – ter cod. pen., la confisca del prezzo o del profitto del reato, sempre che si tratti di confisca diretta e vi sia stata una precedente pronuncia di condanna rispetto alla quale il giudizio di merito permanga inalterato quanto alla sussistenza del reato, alla responsabilità dell’imputato ed alla qualificazione del bene da confiscare come profitto o prezzo del reato”;

– “qualora il prezzo o il profitto derivante dal reato sia costituito da denaro, la confisca delle somme di cui il soggetto abbia comunque la disponibilità deve essere qualificata come confisca diretta: in tal caso, tenuto conto della particolare natura del bene, non occorre la prova del nesso di derivazione diretta tra la somma materialmente oggetto della confisca e il reato”.

Sul piano del diritto penale sostanziale, merita di essere segnalata, in tema di delitti contro l’ordine pubblico e, nello specifico, al cospetto del reato di cui all’art. 3 lett. a), n. 654/1975 per  discriminazione per motivi razziali, una pronuncia della Terza Sezione che ha definito i criteri di valutazione dell’odio razziale.

La Sezione Terza (Pres. Franco, Rel. Pezzella,; sentenza n. 36906, 23 giugno 2015 Up., dep. 14 settembre 2015) ha, in particolare, affermato che, ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 3, comma 1, lett. a), legge 13 ottobre 1975, n. 654 e successive modifiche:

– gli “atti di discriminazione per motivi razziali” sono quelli riferiti alla qualità del soggetto e non ai suoi comportamenti;

– l'”odio razziale o etnico” non include ogni sentimento di generica antipatia, insofferenza o rifiuto;

– la valutazione delle specifiche condotte deve essere effettuata dal giudice di merito alla luce del contesto in cui le stesse si collocano, e in considerazione del concreto pericolo di lesione dei principi di pari dignità e non discriminazione e del contemperamento di questi con quello di libertà di espressione.

Nella specie, la Corte ha ritenuto estranea alla previsione incriminatrice l’attività di diffusione, nel corso di una competizione elettorale, di un volantino che recava la scritta “basta usurai-basta stranieri” e manifestava avversione politica verso una serie di comportamenti illeciti attribuiti, con una generalizzazione frutto di evidente forzatura, a soggetti appartenenti a determinate razze od etnie.

Come al solito, consistente e significativa è stata la produzione in tema di stupefacenti. In questa sede vengono riportate tre pronunce.

Le Sezioni Unite, tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 2014 e, dunque, della reviviscenza dell’originario trattamento sanzionatorio, si sono poste il problema, in caso di droghe c.d. “leggere”, della legittimità o meno di rideterminare la pena in sede di esecuzione, a seguito di una sentenza di patteggiamento divenuta irrevocabile dopo la sentenza della Corte costituzionale.

Con sentenza depositata il 15 settembre 2015, le Sezioni Unite (Sez. un., 26 febbraio 2015 – dep. 15 settembre 2015 -, n. 37107; Pres. G. Santacroce, Rel. G. Fidelbo) hanno affermato i seguenti principi di diritto:

– “La pena applicata con la sentenza  di patteggiamento avente ad oggetto uno o più delitti previsti dall’art. 73 d.P.R. 309 del 1990, relativi alle droghe c.d. leggere, divenuta irrevocabile prima della sentenza n. 32 del 2014 della Corte costituzionale, può essere rideterminata in sede di esecuzione in quanto pena illegale”;

– “La rideterminazione avviene ad iniziativa delle parti, con le modalità di cui al procedimento previsto dall’art. 188 disp. att. cod. proc. pen., sottoponendo al giudice dell’esecuzione una nuova pena su cui è stato raggiunto l’accordo”;

– “In caso di mancato accordo o di pena concordata ritenuta non congrua il giudice dell’esecuzione provvede autonomamente alla rideterminazione della pena ai sensi degli artt. 132 e 133 cod. pen.”.

Sulla stessa lunghezza d’onda si è posta altra pronuncia delle Sezioni Unite (Sez. un., 26 febbraio 2015 – dep. 28 luglio 2015 -, n. 33040; Pres. G. Santacroce, Rel. G. Fidelbo), che ha affrontato la questione delle conseguenze della illegalità della pena determinata secondo i limiti edittali di cui alla normativa dichiarata incostituzionale.

Con la menzionata sentenza, le Sezioni Unite Penali hanno affermato i seguenti principi:

– “E’ illegale la pena determinata dal giudice attraverso un procedimento di commisurazione che si sia basato sui limiti edittali dell’art. 73 d.P.R. 309/1990 come modificato dalla legge n. 49 del 2006, in vigore al momento del fatto, ma dichiarato successivamente incostituzionale con sentenza n. 32 del 2014, anche nel caso in cui la pena concretamente inflitta sia compresa entro i limiti edittali previsti dall’originaria formulazione del medesimo articolo, prima della novella del 2006, rivissuto per effetto della stessa sentenza di incostituzionalità”;

– “nel patteggiamento l’illegalità sopraggiunta della pena determina la nullità dell’accordo e la Corte di cassazione deve annullare senza rinvio la sentenza basata su tale accordo”;

–  “nel giudizio di cassazione l’illegalità della pena conseguente a dichiarazione di incostituzionalità di norme riguardanti il trattamento sanzionatorio è rilevabile d’ufficio anche in caso di inammissibilità del ricorso, tranne che nel caso di ricorso tardivo”.

Da ultimo, Sezioni Unite Sentenza n. 29316 (udienza del 26 febbraio 2015 – depositata il 9 luglio 2015 -; Presidente G. Santacroce, Relatore R. M. Blaiotta), sempre prendendo le mosse dagli effetti della dichiarazione di illegittimità costituzionale pronunciata da Corte cost., sent. n. 32 del 2014, ha affrontato il tema della rilevanza penale delle condotte aventi ad oggetto sostanze incluse nelle tabelle degli stupefacenti con atti amministrativi riferiti alla disciplina incostituzionale e, in particolare, delle condotte aventi ad oggetto tali sostanze, poste in essere dall’entrata in vigore della disciplina dichiarata incostituzionale e sino all’entrata in vigore del d.l. n. 36 del 2014.

Le Sezioni Unite, risolvendo questione controversa, hanno affermato:

– l’irrilevanza penale delle condotte aventi ad oggetto sostanze stupefacenti (nella specie Nandrolone) incluse nelle tabelle solo successivamente all’entrata in vigore della legge n. 49 del 2006, modificativa del d.P.R. n. 309/90, dichiarata incostituzionale con sentenza n. 32 del 2014, poste in essere a partire dall’entrata in vigore di tale disciplina incostituzionale e fino all’entrata in vigore del D.l. n. 36 del 2014;

– la rilevanza penale delle condotte aventi ad oggetto medicinali che contengano i principi attivi inclusi nelle tabelle da I a IV del d.P.R. n. 309/1990.

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