Pronunce Corte Cost. sent. n. 63 del 21.3.2019 e Cass., sez. II, civ. sent. n. 8047/2019 su: Sanzioni amministrative e applicabilità retroattiva lex mitior

[CLASSIFICAZIONE]

CONVENZIONE DEI DIRITTI DELL’UOMO E DELLE LIBERTÀ FONDAMENTALI – SANZIONI AMMINISTRATIVE PREVISTE DAL  T.U.F. A CARATTERE SOSTANZIALMENTE PENALE SECONDO I CRITERI ENGELS – ARTT. 187 BIS E 187 TER T.U.F. – IRRETROATTIVITÀ DELLA LEX MITIOR – ILLEGITTIMITA’ COSTITUZIONALE.

CONVENZIONE DEI DIRITTI DELL’UOMO E DELLE LIBERTÀ FONDAMENTALI – SANZIONI AMMINISTRATIVE PREVISTE DAL  T.U.F. NON AVENTI  CARATTERE SOSTANZIALMENTE PENALE SECONDO I CRITERI ENGELS – ART. 191 T.U.F. – IRRETROATTIVITÀ DELLA LEX MITIOR – QUESTIONE DI LEGITTIMITA’ COSTITUZIONALE – IRRILEVANZA.

CARTA DEI DIRITTI FONDAMENTALI DELL’UNIONE EUROPEA – RAPPORTO CON LA COSTITUZIONE ITALIANA – CONTROLLO ACCENTRATO DI COSTITUZIONALITA’ – POTERE DEL GIUDICE COMUNE DI PROCEDERE AL RINVIO PREGIUDIZIALE ALLA CORTE DI GIUSTIZIA E DI NON APPLICARE LE DISPOSIZIONI NAZIONALI IN CONTRASTO CON I DIRITTI SANCITI DALLA CARTA, ANCHE DOPO IL GIUDIZIO INCIDENTALE DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE  – SUSSISTENZA.

[RIFERIMENTI NORMATIVI]

Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU): art. 7

Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea: art. 49

Patto internazionale di New York  sui diritti civili e politici: art. 15

Costituzione: artt. 3, 11, 117

L. n. 689/1981: art. 1

D.lgs. n. 58/1998 (T.U.F.): artt. 187 bis, 187 ter, 190 bis, 191

D.lgs. n. 72/2015: artt. 5 e 6

[SENTENZE SEGNALATE]

C. cost. sent. n. 63 del 21 marzo 2019

Cass., Sez. II civ., sent. n. 8047 del 21 marzo 2019

Abstract

Con le due sentenze in rassegna, entrambe pubblicate il 21 marzo 2019, la Corte costituzionale e la Corte di cassazione  affrontano il tema dell’applicabilità alle sanzioni amministrative del principio della retroattività della lex mitior desumibile dagli articoli 3 Cost., 7 CEDU, 15, comma 1, del Patto internazionale di New York  sui diritti civili e politici e 49, paragrafo 1,  CDFUE. Entrambe le sentenze valorizzano l’elaborazione della Corte EDU sulla qualificazione  delle sanzioni amministrative come sostanzialmente penali quando ricorrano i presupposti indicati dalla sentenza della Corte EDU 8 giugno 1976, Engel. Sulla scorta di questo comune presupposto, la questione di legittimità costituzionale del secondo comma dell’articolo 6 del decreto legislativo 12 maggio 2015 n. 72 – che esclude la retroattività in mitius della disciplina sanzionatoria introdotta da tale decreto per le violazioni finanziarie contemplate dal Testo unico sulla  intermediazione finanziaria (T.U.F.) – è stata accolta dalla Corte costituzionale con riferimento al trattamento sanzionatorio (ritenuto sostanzialmente penale) dell’abuso di informazione privilegiata (art. 187 bis T.U.F.) ed è stata giudicata priva di rilevanza dalla Corte di cassazione con riferimento al trattamento sanzionatorio (non ritenuto sostanzialmente penale)  della violazione delle disposizioni generali o particolari emanate dalla Consob (art. 191, secondo comma, TUF).

La sentenza della Corte costituzionale si segnala anche per alcune  rilevanti evoluzioni rispetto al quadro disegnato dalla sentenza C. cost. n. 269/17 in tema di rapporti tra giudice comune,  Corte costituzionale e Corte di Giustizia  rispetto all’applicazione delle disposizioni della CDFUE.

Nella sentenza della Corte di cassazione, per altro verso, va segnalato il superamento dell’orientamento che limitava la portata  dei principi convenzionali enunciati dalla Corte EDU nella sentenza 4 marzo 2014, Grande Stevens, alla sola prospettiva del giusto processo di cui all’articolo  6 della CEDU.

1. Per una adeguata comprensione delle questioni in esame, è opportuno premettere che il decreto legislativo 12 maggio 2015 n. 72 ha largamente innovato la disciplina  degli illeciti amministrativi previsti dal decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di seguito T.U.F.), modificando anche il relativo trattamento sanzionatorio. L’articolo 6, secondo comma, di tale decreto legislativo prevede, peraltro, che «Alle violazioni commesse prima della data di entrata in vigore delle disposizioni adottate dalla Consob e dalla Banca d’Italia continuano ad applicarsi le norme della parte V del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 vigenti prima della data di entrata in vigore del presente decreto legislativo».

2.1 Nel caso portato all’esame della Corte costituzionale, concernente l’opposizione ad una sanzione amministrativa pecuniaria di € 100.000 (pari al minimo edittale) irrogata dalla CONSOB per un abuso di informazioni privilegiate, la corte di appello di Milano aveva dubitato della legittimità costituzionale dell’articolo 6, secondo comma, d.lgs. n. 72/2015,  in riferimento agli artt. 3 e 117, primo comma, Cost. (quest’ultimo in relazione all’art. 7 CEDU), nella parte in cui esso esclude la retroattività in mitius del più favorevole trattamento sanzionatorio prevista dal terzo comma del medesimo articolo per l’ illecito amministrativo di cui all’art. 187-bis  T.U.F., ossia, appunto,  l’illecito di abuso di informazioni privilegiate.

2.2 La Corte costituzionale ha  ritenuto l’ articolo  6, secondo comma,  d.lgs. n. 72/2015 costituzionalmente illegittimo, per contrasto sia con l’articolo  3 che con l’articolo 117 della Costituzione, laddove esclude la retroattività in mitius del più favorevole trattamento sanzionatorio prevista dal terzo comma del medesimo articolo  per l’ illecito amministrativo di cui all’art. 187-bis  T.U.F. (abuso di informazioni privilegiate); la stessa Corte, inoltre, ai sensi dell’art. 27 della legge n. 87/1953, ha esteso la  declaratoria di illegittimità costituzionale dell’ articolo  6, secondo comma,  d.lgs. n. 72/2015 anche alla mancata previsione della retroattività delle modifiche apportate dal terzo comma dello stesso articolo 6 alle corrispondenti sanzioni amministrative previste per l’illecito di cui all’art. 187-ter (manipolazione del mercato).

A tale esito decisionale la Corte costituzionale è pervenuta sulla base del  seguente sviluppo argomentativo:

2.2.1 ha riaffermato la propria giurisprudenza che assegna rango costituzionale al principio  della retroattività della lex mitior della legge penale tanto sulla base del parametro interno dell’articolo 3 Cost. quanto sulla base dei parametri interposti (rilevanti per il tramite degli articoli 11 e  117, primo comma,  Cost.) dell’articolo 7 CEDU, dell’articolo 15, comma 1, del Patto internazionale di New York  sui diritti civili e politici e dell’articolo 49, paragrafo 1, CDFUE (sentenze nn. 393/2006, 394/2006 e 236/2011); con la precisazione che, mentre l’irretroattività in peius della legge penale, presidiata dal parametro interno dell’articolo 25 Cost.,  costituisce un valore assoluto e inderogabile, la regola della retroattività in mitius è suscettibile di limitazioni e deroghe legittime sul piano costituzionale, ove sorrette da giustificazioni oggettivamente ragionevoli (C. cost. n. 236 del 2011);

2.2.2  ha stabilito che  – se non sussiste alcun vincolo di matrice convenzionale che imponga di trasporre nel sistema delle sanzioni amministrative la regola dell’ applicazione della legge successiva più favorevole (C. cost. 193/2016) – tale regola deve tuttavia ritenersi operante in relazione a quelle  specifiche  sanzioni amministrative alle quali debba riconoscersi, pur in assenza di precedenti specifici nella giurisprudenza della Corte EDU, natura e finalità punitiva;

2.2.3 ha ascritto natura punitiva (sostanzialmente penale) alla sanzione amministrativa pecuniaria prevista per l’abuso di informazioni privilegiate di cui all’art. 187-bis T.U.F., richiamando i propri precedenti con cui aveva riconosciuto  natura punitiva alla confisca per equivalente prevista per il medesimo illecito amministrativo (sentenze n. 223 del 2018 e n. 68 del 2017);

2.2.4 ha escluso che la deroga alla retroattività in mitius stabilita dall’art. 6, comma 2, d.lgs. n. 72 del 2015 superi  il «vaglio positivo di ragionevolezza», giudicando tale deroga irragionevolmente lesiva del diritto degli autori dell’illecito di abuso di informazioni privilegiate a vedersi applicare una sanzione proporzionata al disvalore del fatto, secondo il mutato apprezzamento del legislatore.

3.1. La sentenza della Corte costituzionale n. 63/19 si segnala altresì perché, in sede di scrutinio di ammissibilità della questione di legittimità costituzionale, enuncia alcune rilevanti precisazioni dei principi affermati nella nota sentenza C. cost. n. 269/17 in tema di poteri di applicazione delle norme della CDFUE da parte del giudice comune.

3.2. In particolare  la sentenza n. 63/19, dopo aver affermato il potere della Corte costituzionale  di sindacare le questioni  di c.d. “doppia pregiudizialità” sia con riferimento ai parametri interni sia in relazione alle norme della CDFUE che tutelano i medesimi diritti (evocate dal giudice rimettente come norme interposte nella questione riferita all’art. 117 Cost.), aggiunge come rimanga fermo, in ogni caso, «il potere del giudice comune di procedere egli stesso al rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE, anche dopo il giudizio incidentale di legittimità costituzionale, e – ricorrendone i presupposti – di non applicare, nella fattispecie concreta sottoposta al suo esame, la disposizione nazionale in contrasto con i diritti sanciti dalla Carta».

3.3 Tali affermazioni sembrano segnare un supermento dei principi enucleabili dalla sentenza n. 269 del 2017, giacché:

3.3.1 per un verso, affermano (in continuità con C. cost. n. 20 del 2019) che il giudice comune può sollevare il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia anche per gli stessi profili su cui si sia già pronunciata la Corte Costituzionale (e non solo per “altri profili”, come pareva suggerire la sentenza n. 269/17);

3.3.2 per altro verso, riconoscono espressamente che il giudice comune, pur dopo che la Corte costituzionale si sia pronunciata (evidentemente giudicando la questione di costituzionalità  infondata, giacché, diversamente, la disposizione interna contrastante con la CDFUE sarebbe stata espunta dall’ordinamento) conserva il potere non soltanto di  sollevare il rinvio pregiudiziale ma anche (all’esito, sembra doversi ritenere, di tale rinvio) di disapplicare la disposizione interna dichiarata costituzionalmente legittima dalla Corte costituzionale, ove giudicata dalla Corte di Giustizia in contrasto con la CDFUE, senza necessità di un secondo incidente di costituzionalità;

3.3.3. per altro verso ancora, dando espressamente atto del potere del giudice comune di procedere al rinvio alla Corte di Giustizia «anche dopo» l’ incidente di costituzionalità, sembrano  ammettere che il rinvio possa essere sollevato “anche prima” (e, quindi, indipendentemente)  da tale incidente; se questa lettura della portata dell’inciso «anche dopo» fosse corretta, risulterebbe del tutto sovvertito il principio  espresso nella sentenza n. 269/17 alla cui stregua, nei casi di doppia pregiudizialità,  il giudice comune deve investire per prima la Corte costituzionale, onde garantire l’esercizio del controllo accentrato di  costituzionalità di cui all’articolo 134 Cost.

4.1 Il caso portato all’esame della Corte di cassazione riguardava il funzionario di un istituto di credito nei cui confronti la CONSOB aveva irrogato  la sanzione amministrativa pecuniaria di € 5.000, ai sensi dell’ articolo 191, secondo comma, T.U.F., per avere il medesimo diffuso tra la clientela informazioni inerenti ad un prodotto finanziario non coerenti con le informazioni contenute nel prospetto informativo relativo al prodotto stesso, in violazione delle disposizioni generali dettate dalla CONSOB con il Regolamento Emittenti (e, in particolare, del disposto dell’articolo 34 decies, primo comma, lett. a), di detto Regolamento). Il funzionario, ricorrente per cassazione avverso la sentenza che aveva rigettato la sua opposizione alla delibera della CONSOB,  deduceva l’illegittimità della sanzione irrogatagli e invocava l’applicazione retroattiva dell’ articolo 191, comma 2 -bis, del decreto legislativo n. 58/1998 (T.U.F.), introdotto dal decreto legislativo n. 72/2015, alla cui stregua, quando il soggetto su cui grava l’osservanza delle disposizioni violate sia una società o un ente, la sanzione cade sulla società o sull’ ente e non – salve ipotesi specifiche, nella specie non ricorrenti – sugli esponenti aziendali e sul personale. Il ricorrente sollevava quindi il dubbio di legittimità costituzionale dell’articolo 6, secondo comma,  d. lgs. n. 72/2015, in riferimento agli artt. 3 e 117, primo comma, Cost. (quest’ultimo in relazione all’art. 7 CEDU), laddove detta disposizione esclude la retroattività del (per lui) più favorevole trattamento sanzionatorio dettato dall’ articolo 191, comma 2 -bis, del decreto legislativo n. 58/1998 alle violazioni commesse prima della data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 72/2015.

4.2 La Cassazione ha in primo luogo sottolineato che il disposto  del secondo comma dell’articolo 6 d. lgs. 72/2015 non consente di applicare retroattivamente la legge più favorevole successiva alla commissione degli illeciti e, d’altra parte, che tale disposto risulta coerente il tradizionale insegnamento giurisprudenziale alla cui stregua il principio del favor rei, di matrice  penalistica, non si estende, in assenza di una specifica disposizione normativa, alla materia delle sanzioni amministrative, la quale invece soggiace al distinto principio, emergente  dall’articolo 1 della legge n. 689/81,  del tempus regit actum (cfr.  Cass. n. 29411/11, Cass. n. 4114/16, Cass. n. 13433/16, Cass. n. 20689/18).

4.3.1 Esclusa la possibilità di pervenire ad un’applicazione retroattiva della disciplina più favorevole per via interpretativa, la Cassazione ha affrontato  la questione di legittimità costituzionale sollevata dal ricorrente con riferimento alla irretroattività della legge più favorevole disposta dall’articolo 6, secondo comma,  d. lgs. n. 72/2015 ed ha giudicato la stessa priva di rilevanza  in base al rilievo che alla sanzione contemplata dall’ articolo 191, secondo comma, T.U.F.   non può riconoscersi natura sostanzialmente penale secondo i criteri Engel.

4.3.2 Per giungere a tale conclusione la sentenza in esame innanzi tutto  richiama i numerosi precedenti della seconda sezione civile  (sentt. nn. 1621/18, 8805/18, 8806/18, 27365/18) che affermano che le sanzioni previste dall’articolo 191 T.U.F. non sono equiparabili a quelle previste per la manipolazione del mercato ex art. 187-ter T.U.F. (la cui natura sostanzialmente penale è stata affermata dalla Corte EDU nella sentenza Grande Stevens), in ragione dalla «diversa tipologia, severità, nonché incidenza patrimoniale e personale, di queste ultime rispetto alle prime, dovendosi a tal fine tenere conto anche dell’assenza di sanzioni accessorie e della mancata previsione di una confisca  obbligatoria (elementi presenti nella fattispecie scrutinata dalla Corte EDU)».

4.3.3 Per quanto poi concerne specificamente la sanzione di cui al secondo comma del ripetuto articolo 191 T.U.F. (compresa, nel testo applicabile ratione temporis,  tra il minimo edittale di € 5.000 ed il massimo edittale di € 500.000 e non corredata da sanzioni accessorie né da confisca) il Collegio ha argomentato  che – se è vero che i criteri Engel sono alternativi e non cumulativi (Grande Stevens, § 94) e che, ai fini dell’applicazione del criterio della  gravità della sanzione, deve aversi riguardo alla misura della sanzione di cui è a priori passibile la persona interessata e non alla gravità della sanzione alla fine inflitta (Grande Stevens, § 98) – deve tuttavia considerarsi che la valutazione sull’afflittività economica di una sanzione non può essere svolta in termini astratti, ma va necessariamente rapportata al contesto normativo nel quale la disposizione sanzionatoria si inserisce; contesto che, nella materia finanziaria, contempla sanzioni penali finanche detentive, nonché sanzioni amministrative pecuniarie che, come quelle per gli abusi di mercato,  possono ascendere a molti milioni di euro. Donde, conclusivamente, la ritenuta natura non sostanzialmente penale della sanzione di cui all’articolo 191, secondo comma, T.U.F., con conseguente inapplicabilità del principio della retroattività in mitius della legge penale.

5.1 La sentenza n. 8047/19, si segnala, peraltro, perché si pone in esplicito dissenso con le sentenze della prima sezione civile nn. 4114/16 e 13433/16 (poi seguite anche da diverse pronunce della seconda sezione civile), laddove le stesse escludono la retroattività in mitius della disciplina recata dal decreto legislativo d.lgs. n. 72 del 2015 – in relazione alle violazioni di cui all’ articolo 191 T.U.F. e, rispettivamente, alle violazioni di cui all’ articolo 190 TUF, affermando che tale esclusione non violerebbe i principi convenzionali enunciati dalla Corte EDU nella sentenza Grande Stevens, non potendo tali principi – calibrati nella specifica ottica del giusto processo – «portare a ritenere sempre sostanzialmente penale una disposizione qualificata come amministrativa dall’ordinamento interno».

5.2 La sentenza Cass. n. 8047/19 giudica la suddetta argomentazione inidonea  ad escludere la possibilità di frizione tra l’ordinamento convenzionale e l’esclusione della retroattività della lex mitior in materia di sanzioni amministrative; ciò in quanto, alla stregua dei principi enunciati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 43/17,  la qualificazione di una sanzione amministrativa come sanzione sostanzialmente penale, secondo i criteri Engel, trascina con sé tutte le garanzie previste dalle pertinenti disposizioni della Convenzione e, pertanto, non soltanto il diritto fondamentale al giusto processo, garantito dall’articolo 6 CEDU (sui cui si è pronunciata la sentenza Grande Stevens), ma anche il diritto fondamentale a non essere assoggettati ad una sanzione più grave di quella prevista dalla legge vigente al momento del giudizio, garantito dall’articolo 7 CEDU, nell’interpretazione offertane dalla Corte EDU nella sentenza Scoppola c. Italia del 17 settembre 2009.

5.3 In definitiva la sentenza n. 8047/19 ha affermato che la verifica della  eventuale riconducibilità di una specifica sanzione amministrativa nell’ambito delle sanzioni “sostanzialmente penali” secondo i criteri Engel è necessaria non soltanto per stabilire se il procedimento per la relativa irrogazione debba rispettare le garanzie fissate dall’articolo 6 CEDU, ma anche per stabilire se la successione nel tempo di diverse diposizioni sanzionatorie soggiaccia al disposto dell’articolo 7 CEDU.