Proposte di modifica del codice di procedura civile italiano basate sull’esame del codice di procedura civile tedesco

di Dario Cavallari

I

Un istituto peculiare del diritto processuale tedesco è quello del Güterrichter.

Occorre premettere che in Germania il sistema processuale è stato costruito, soprattutto negli ultimi tempi, per agevolare la definizione del contenzioso a mezzo di conciliazioni, tanto che è prevista la fissazione di una udienza a tal fine dedicata (§ 278 ZPO) e che il giudice, in concreto,  mira in ogni occasione a mettere d’accordo le parti, formulando proposte molto dettagliate.

Il tentativo di conciliazione è da tempo utilizzato nell’ambito del giudizio e ha successo perché implica un risparmio di costi processuali ed un riconoscimento di compensi più alti agli avvocati che riescono a far conciliare i loro clienti.

In Germania è stato pure introdotto di recente, come in Italia, l’istituto della mediazione con ilMediationsgesetz, entrato in vigore il 26 luglio 2012.

La mediazione tedesca è applicabile senza i limiti di materia previsti in Italia ed è facoltativa (è, invece, possibile per i singoli Länder, ai sensi del § 15a della legge di attuazione dei regolamenti di procedura civile/Einführungsgesetz zur Zivilprozessordnung EGZPO, e nei limiti ivi indicati, rendere obbligatorio e, quindi, trasformare in una condizione di ricevibilità del ricorso, il tentativo di conciliazione extragiudiziale davanti ad appositi organismi istituiti o riconosciuti per tenere i componimenti amichevoli; attualmente, risulta che la maggior parte dei Länder abbia imposto questo obbligo).

Fra le varie disposizioni del codice di procedura civile tedesco che mirano ad agevolare la composizione amichevole delle liti assume rilievo il § 278, 5, ZPO, in forza del quale il giudice può indirizzare le parti ad una udienza di conciliazione o ad ulteriori tentativi di risolvere i loro contrasti davanti ad un altro giudice appositamente delegato (il Güterrichter) il quale, però, è privo del potere di definire il giudizio. Egli incontra le parti (anche separatamente) in una apposita udienza riservata, che si svolge in stanze diverse da quelle usate per l’attività ordinaria e viene condotta senza formalità, e può avvalersi di tutti i metodi di risoluzione delle controversie, inclusa la mediazione (ma deve informare le parti previamente del metodo che intende seguire).

Il Güterrichter è, di solito, un magistrato togato dell’ufficio che ha delle specifiche competenze tecniche in materia di mediazione, frutto di appositi corsi di specializzazione e formazione.

Tale procedura non ha costi particolari per le parti, che devono solo pagare il corrispettivo di una udienza ai loro difensori.

Il Güterrichter non percepisce vantaggi economici, ma, per ogni fascicolo che tratta, ne riceve uno di contenzioso in meno, che non gli viene assegnato.

Il § 159 ZPO stabilisce, altresì, che nessun verbale dell’incontro davanti al Güterrichter sia redatto in assenza di accordo delle parti sul punto.

Il § 278a ZPO, un nuovo articolo introdotto successivamente alle altre previsioni dello ZPO summenzionate proprio per favorire lo sviluppo della mediazione, prescrive che il giudice possa invitare le parti a perseguire la stessa od altro procedimento extragiudiziario di risoluzione dei conflitti.

Dal punto di vista del giurista italiano il suddetto § 278, 5, ZPO, è una disposizione molto particolare, poiché individua, quale potenziale mediatore, un giudice, soggetto che, a rigore, non dovrebbe ricoprire tale ruolo, essendo egli componente dell’ufficio che deciderà il caso, e per risolvere questa incongruenza, lo priva della potestas decidendi.

Va segnalato che, in sede di attuazione della Direttiva Ue 2008/52, della quale la legge in questione costituisce l’atto di ricezione, è stata molto discussa in Germania l’opportunità di positivizzare o meno la mediation within judicial conciliation, finché ilBundesratnon è intervenuto in favore dell’istituto del Güterrichter.

In origine, infatti, era intenzione del legislatore tedesco prevedere una vera e propria mediazione interna al tribunale (Gerichtsinterne Mediation), un tipo di mediazione nata nella Bassa Sassonia nel 2002 e svolta da giudici formati specificamente.

In seguito, si è preferito confermare la figura del Güterrichter, nota al sistema giudiziario della Baviera e della Turingia, che rappresenta una sorta di compromesso fra gli interventi possibili.

La diffusione del Güterrichter nei Tribunali tedeschi si spiega con la circostanza che l’attività di conciliazione del magistrato comportava che il giudice nel formulare una proposta fosse sottoposto al limite del chiesto e pronunciato e, pertanto, diversamente da un mediatore, non potesse suggerire soluzioni che le parti non avessero espressamente dedotto.

Vi era, inoltre, il rischio di anticipare la sentenza con perdita di imparzialità.

Per questo motivo è stato introdotto il Güterrichter il quale, essendo privo di potere decisionale, non incontra i limiti di cui sopra, potendo egli avvalersi di tutti i mezzi di risoluzione delle controversie e, perciò, seguire approcci differenti.

Egli può operare da intermediatore (Vermittlung), facilitando semplicemente la comunicazione fra le parti (così avviene nelle controversie con la P.A.), agevolare la semplice transazione, come nel settore dei risarcimenti (Moderation von Vergleichsverhandlungen), agire da conciliatore (Schlichtung), indicando un progetto di accordo.

Il Güterrichter non può svolgere funzioni arbitrali, ma può suggerire alle parti di rivolgersi ad un arbitro (Schiedsverfahren), stimare una prestazione od interpretare un contratto, proporre metodi ordinari di divisione di un patrimonio (ad esempio, le aste).

La mediazione è, invece, comune quando fra le parti ricorra un particolare legame personale o aziendale e, in questo caso, il Güterrichter si limita ad incoraggiare gli interessati a trovare la migliore soluzione per il loro caso (il § 278, 5, ZPO previgente stabiliva già che il giudice potesse nominare un altro giudice per la conciliazione ovvero che potesse proporre alle parti un altro metodo alternativo di risoluzione delle controversie; il testo attuale ha eliminato la facoltà per il giudice di proporre un altro metodo alternativo di risoluzione delle controversie e considera solo l’invio delle parti al Güterichter).

Non sembra possibile paragonare il Güterrichter a una qualche figura omologa di diritto italiano.

Certo non si tratta di una vera mediazione delegata, considerato che non si esce al di fuori del circuito giudiziario e che il mediatore non è scelto dalle parti.

Ad avviso dello scrivente il Güterrichter ricorda i giudici onorari che, soprattutto presso alcuni uffici minorili e sezioni famiglia di Tribunali ordinari, hanno un primo contatto con le parti al fine di conciliarle e, poi, le rimettono davanti al collegio giudicante in caso di fallimento del tentativo.

La materia della famiglia (ma vanno annoverate pure le successioni e il diritto commerciale) è, probabilmente, quella in cui gli istituti finalizzati alla composizione amichevole delle controversie (conciliazione, mediazione, Güterrichter ecc.) hanno avuto il maggiore sviluppo (vi sono pure delle disposizioni particolari che prevedono, ad esempio, che le spese di lite possano essere poste a carico della parte che abbia tenuto una condotta non collaborativa, non partecipando ad una procedura alternativa obbligatoria o violando altri obblighi di consultazione miranti ad impostare un accordo: § 81 FamFG). 

Risulta che il Güterrichter abbia riscosso un certo successo poiché consente ai magistrati un approccio elastico alle controversie.

Ovviamente la gestione della sua attività richiede una certa capacità organizzativa dei dirigenti, che devono tenere conto dell’abilità conciliativa dei giudici disponibili.

Essenziale perché il Güterrichter operi correttamente è che sia garantita una adeguata formazione dei magistrati e siano fornite apposite strutture per svolgere la relativa attività.

Questo istituto rappresenta un grande riconoscimento del prestigio della magistratura, in quanto si fonda sul presupposto che l’autorevolezza del giudice possa servire a chiudere le controversie anche quando è privo di un formale potere di decidere, il che spiega il motivo per cui i Güterrichter sono comunemente dei togati e non degli onorari.

Ove fosse introdotto nel nostro ordinamento sarebbe opportuno, pertanto, che il ruolo diGüterrichter fosse ricoperto da soli magistrati togati.

Per inserire il Güterrichter in Italia potrebbe modificarsi l’articolo 185 bis c.p.c. come segue:

“Il giudice, alla prima udienza, ovvero sino a quando è esaurita l’istruzione, formula alle parti ove possibile, avuto riguardo alla natura del giudizio, al valore della controversia e all’esistenza di questioni di facile e pronta soluzione di diritto, una proposta transattiva o conciliativa. La proposta di conciliazione non può costituire motivo di ricusazione o astensione del giudice.

Inoltre, ove lo ritenga opportuno, può disporre, con ordinanza non impugnabile, che le parti compaiano davanti ad un giudice designato per definire in maniera concordata la controversia.

Il giudice così designato non può provvedere né all’istruzione, né alla decisione della causa. Egli può avvalersi, a sua discrezione, di tutti gli strumenti e di tutte le tecniche di definizione non contenziosa delle controversie, compresa la mediazione.

Qualora la causa venga decisa concordemente, viene redatto processo verbale dell’accordo, che costituisce titolo esecutivo. In caso negativo, il giudice designato rimette le parti davanti al giudice titolare del processo”.

II

Altra riforma processuale che potrebbe essere introdotta in Italia sulla base del modello tedesco concerne gli elementi che possono essere presi in esame ai fini della formazione del libero convincimento del giudice, il quale, in Germania, nel decidere tiene conto non solamente dell’istruttoria probatoria, ma, più in generale, del contenuto dell’intera trattazione del processo (§ 286 ZPO).

Il giudice tedesco, infatti, diversamente da quello italiano, non trae dalla condotta delle parti semplici argomenti di prova ex articolo 116 c.p.c., ma può porre sullo stesso piano delle risultanze istruttorie tutto ciò che è avvenuto nel corso della trattazione, con la conseguenza che può convincersi della veridicità o meno di un fatto anche ove sia mancata sul punto un’istruttoria o privilegiare l’affermazione di una parte rispetto a quella di un teste, con l’unico limite rappresentato dalla necessità di motivare.

L’ampio spazio riconosciuto al libero convincimento del giudice ha ripercussioni non indifferenti sul processo civile tedesco, nel quale è pacificamente considerato da tempo vigente un c.d. onere di sostanziazione.

In pratica, l’attore ha l’onere di allegare fatti concreti a fondamento della sua domanda ed il convenuto ha l’onere di contestare in modo preciso e circostanziato tali fatti e di esporre con completezza le ragioni su cui fonda le sue domande ed eccezioni.

Questo onere è inteso in senso molto rigoroso in Germania, per via della tendenza dell’ordinamento a responsabilizzare le parti, le quali sono ritenute le principali depositarie della conoscenza dei fatti e, quindi, hanno l’obbligo di affermare fatti concreti e di contestare specificamente le affermazioni della controparte (§ 138 ZPO, secondo cui, però, la parte può affermare di non sapere di fatti dalla stessa non compiuti o non oggetto della sua percezione).

Il giudice, quindi, considera come ammesse le allegazioni di fatto del ricorrente, qualora il convenuto non compaia o non contesti in maniera adeguata le allegazioni adeguatamente argomentate della controparte, ma, se l’attore non ha esposto in maniera concreta e dettagliata i fatti, rigetta la sua domanda.

In pratica, un forte elemento di efficienza del processo civile tedesco è rappresentato dal fatto che il giudice prescinde fin dall’inizio della causa dalle affermazioni considerate indeterminate e generiche, così non aggravando il giudizio con valutazioni ed accertamenti inutili. 

Pertanto, l’articolo 115 c.p.c. potrebbe essere riscritto come segue:

“Salvi i casi previsti dalla legge, il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti o dal pubblico ministero nonché i fatti non specificatamente contestati dalla parte costituita.

Ciascuna parte deve esprimersi sulle circostanze allegate dalla controparte in modo completo e secondo verità.

I fatti non espressamente contestati devono considerarsi come ammessi, a meno che la loro contestazione non emerga dalle altre difese delle parti.

Il giudice può sempre porre a fondamento della decisione le nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza”.

L’articolo 116 c.p.c., invece, potrebbe essere così modificato:

“Il giudice deve valutare le prove ed i fatti non specificamente contestati dalla parte costituita secondo il suo prudente apprezzamento, salvo che la legge disponga altrimenti. Il giudice può desumere prove dalle risposte che le parti gli danno a norma dell’articolo seguente, dal loro rifiuto ingiustificato a consentire le ispezioni che egli ha ordinate e, in generale, dal contegno delle parti stesse nel processo”.

III

Ulteriore profilo che merita di essere discusso concerne la struttura del processo che, in Germania, prevede l’esistenza di un’unica tipologia di procedimento, che può svilupparsi in maniera diversa, seguendo distinti modelli di trattazione della causa in base alle esigenze della controversia come valutate dal giudice, che, ove possibile, tiene conto dei suggerimenti delle parti.

In Italia, invece, non sono considerate tali esigenze, e, pertanto, una volta instaurato il procedimento, questo si sviluppa secondo uno schema rigido e quasi immutabile, consentendo alle sole parti di scegliere, se del caso, fra più procedimenti autonomi, i c.d. riti speciali, che affiancano il processo ordinario di cognizione.

Al giudice resta il solo potere-dovere di passare da  un rito all’altro ove le parti abbiano errato nella scelta, il che comporta un evidente allungamento dei tempi.

All’interno del rito ordinario possono esservi modeste variazioni nella fase della trattazione e dell’istruttoria, rimesse alla volontà delle parti (ad esempio, l’articolo 183, 6° comma c.p.c.), mentre una pluralità di moduli, la scelta dei quali è rimessa in via prevalente al giudice, è rinvenibile solo nella fase decisoria (ad esempio, gli articoli 281-quinquies e 281-sexies c.p.c.).

Indubbiamente, le riforme più recenti sembrano tendere, quantomeno, ad una semplificazione del processo civile italiano, essendo stati ridotti, con il decreto legislativo 150 del 2011 a tre (dagli oltre 30 previgenti) i riti che possono essere utilizzati.

Oggi, infatti, esistono solo il rito ordinario di cognizione, regolato dal titolo I e dal titolo III del libro secondo del codice di procedura civile, il rito del lavoro, disciplinato dalle norme della sezione II del capo I del titolo IV del libro secondo del codice di procedura civile ed il rito sommario di cognizione del capo III bis del titolo I del libro quarto del codice di procedura civile.

Inoltre, con l’entrata in vigore dell’articolo 183 bis c.p.c., introdotto dall’articolo 14, comma 1, del D.L. n. 132 del 12 settembre 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 162 del 2014,è stato introdotto il potere del giudice, nelle cause in cui il tribunale giudica in composizione monocratica, di disporre, nell’udienza di trattazione, valutata la complessità della lite e dell’istruzione probatoria, previo contraddittorio, anche mediante trattazione scritta, con ordinanza non impugnabile, che si proceda a norma dell’articolo 702-ter, invitando le parti ad indicare, a pena di decadenza, nella stessa udienza i mezzi di prova, ivi compresi i documenti, di cui intendono avvalersi e la relativa prova contraria.

In pratica, il giudice può ordinare il passaggio dal rito ordinario al rito sommario di cognizione (già poteva stabilire che si seguisse il rito ordinario in luogo di quello sommario) e può optare, quindi, almeno tra più riti.

Questa semplificazione, però, non sembra essere stata pensata per velocizzare il processo civile italiano, come si evince sempre dall’articolo 183 bis c.p.c., ove è previsto che il giudice, “Se richiesto, può fissare una nuova udienza e termine perentorio non superiore a quindici giorni per l’indicazione dei mezzi di prova e produzioni documentali e termine perentorio di ulteriori dieci giorni per le sole indicazioni di prova contraria”.

Infatti, non sembra ispirata ad esigenze di velocizzazione la circostanza che, dopo che le parti già si sono costituite in giudizio ed il giudice ha ritenuto di dovere mutare il rito, vi debba essere una nuova udienza con concessione di ulteriori termini per il deposito di altri documenti e memorie che renderebbero più complesso un processo che il magistrato vorrebbe si svolgesse in forma semplificata.

Perciò, l’articolo 183 bis c.p.c, potrebbe essere modificato come segue:

“Nelle cause in cui il tribunale giudica in composizione monocratica, il giudice, nell’udienza di trattazione, valutata la complessità della lite e dell’istruzione probatoria, può disporre, previo contraddittorio anche mediante trattazione scritta, con ordinanza non impugnabile, che si proceda a norma dell’articolo 702 ter.

Ove lo ritenga necessario ai fini  della decisione, il giudice invita le parti ad indicare, a pena di decadenza, nella stessa udienza i mezzi di prova, ivi compresi i documenti, di cui intendono avvalersi e la relativa prova contraria”.

DA: “RACCOLTA PROPOSTE DI RIFORMA NORMATIVA PRESENTATE IN OCCASIONE DEL CONVEGNO “IL GOVERNO DEL PROCESSO: AVVOCATURA E MAGISTRATURA A CONFRONTO” TENUTOSI A MILANO IL 27 GIUGNO 2016″