Punti di forza e di debolezza del tirocinio ex art. 73 D.L. 69/13 di Carmela Rita De Rosa e Antonio Del Sorbo

IN GENERALE

Il Decreto Legge n. 69 del 2013, ilc.d. decreto del fare,pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 21 giugno 2013, ed in particolare il titolo III, denominato “Misure per l’efficienza del sistema giudiziario e la definizione del contenzioso civile”, trova la sua ratio ispiratrice nell’obbiettivo di dare impulso al sistema produttivo del Paese attraverso il sostegno alle imprese, il rilancio delle infrastrutture, operando anche una riduzione degli oneri amministrativi per i cittadini e le imprese. In questa ottica si inseriscono gli interventi volti a stimolare la crescita economica, a semplificare il quadro amministrativo e normativo, ed a rendere più efficiente il sistema giudiziario, favorendo, tra l’altro, la più veloce definizione del contenzioso civile. D’altronde il corretto funzionamento di un’economia dipende anche dalla presenza di un sistema giudiziario capace di garantire un’adeguata tutela dei diritti.

I canali attraverso cui la qualità del sistema giudiziario riverbera i propri effetti sull’attività economica sono diversi. Una giustizia efficiente aumenta la disponibilità e riduce il costo del credito, favorisce l’allargamento degli scambi, promuove la concorrenza, stimola gli investimenti.

Trova spazio, tra i vari istituti introdotti dal decreto del fare, il tirocinio formativo ex art.73. L’art. 73 introduce la possibilità, per i laureati in giurisprudenza, di svolgere un periodo di formazione teorico – pratica presso gli uffici giudiziari. Tale previsione, che mira ad arricchire la formazione del giurista ma anche a dotare gli uffici giudiziari di utili risorse ausiliarie (specie per le attività di studio) pare in linea con analoghe previsioni recate dagli interventi normativi che, negli ultimi anni, si sono occupate di disciplina dell’ordinamento professionale forense e da ultimo, soprattutto, la legge n. 247/12.

Allo stesso tempo, tuttavia, la disposizione in esame si rivolge anche a quei laureati che, pur non intendendo accedere alla professione di avvocato, intendano arricchire la propria formazione teorico-pratica attraverso la frequenza di uffici giudiziari, anche perché l’esito positivo di questistagescostituisce titolo per l’accesso al concorso per magistrato ordinario.

Queste disposizioni non sono nuove. L’ufficio per il processo compare per la prima volta in un disegno di legge approvato dal Consiglio dei Ministri il 23 maggio 2007. La “corsia preferenziale” di accesso al concorso per gli stagisti era prevista nel testo originario del decreto legge 69/2013 (c.d. “decreto del fare”), ma era stata cancellata in sede di conversione.

Tali tirocini rispondono ad una vera esigenza della magistratura. La richiesta di una assistenza effettiva al lavoro giudiziario (che esiste in pressoché tutti i paesi europei) è sentita con più urgenza quando, come nel momento presente, si fanno più forti le istanze e le pressioni per garantire un processo ragionevolmente breve.

Questa richiesta – sulla cui fondatezza nessuno muove contestazioni –  è tuttavia rimasta insoddisfatta principalmente a causa della carenza di risorse economiche adeguate a realizzare un simile servizio. Da qui è nata negli ultimi anni l’iniziativa di alcuni uffici giudiziari che hanno sperimentato forme di organizzazione in qualche modo innovative, variamente coinvolgendo le università e i consigli dell’ordine degli avvocati. E’ così accaduto, nei fatti, che la strada dell’organizzazione ed efficienza degli uffici si è incrociata con l’istituto dei tirocini, volto a soddisfare un’esigenza apparentemente distante, quella di formazione e di inserimento delle nuove generazioni nel mondo del lavoro.

L’art. 50 del D.L. 90/14 prevede che facciano parte dell’ufficio per il processo: il personale di cancelleria, i giudici onorari di tribunale, gli stagisti che svolgono presso gli uffici il tirocinio formativo ex art. 73 d.l. 69/13 ovvero la formazione professionale ex art. 37 d.l. 98/11. Poiché le prime due categorie di soggetti sono già inquadrate, a vario titolo, fra il “personale ausiliario”, la loro presenza nell’ufficio del processo nulla aggiunge alle risorse di cui il “sistema giustizia” già oggi dispone; tanto più che a questo personale non possono essere destinate nuove risorse, visto il divieto di maggiori oneri a carico della finanza pubblica contenuto nello stesso art. 50 del decreto.

E’ quindi evidente che l’ufficio per il processo potrà avere un positivo impatto sull’organizzazione giudiziaria solo se di esso faranno parte (stabilmente e in numero adeguato) i tirocinanti. In questo senso si può dire che il legislatore ha riconosciuto il valore, l’efficacia e la potenzialità espansiva di quelle esperienze in cui gli stagisti sono stati proficuamente inseriti nell’organizzazione dell’ufficio.

Attualmente è possibile svolgere un tirocinio presso gli uffici giudiziari in base alle disposizioni di due norme: l’art. 37 della 111/2011 e l’art. 73 della l. 98/2013. Si tratta di tirocini che, pur avendo contenuto analogo, hanno presupposti e finalità differenti. Infatti:

  • i tirocini ex art. 37 presuppongono la stipula di una convenzione fra l’ufficio giudiziario e il consiglio dell’ordine, o la facoltà universitaria, o la scuola di specializzazione (SSPL); hanno durata di 12 mesi; sostituiscono il primo anno di pratica forense per l’ammissione all’esame da avvocato, o il primo anno del corso di dottorato o il primo anno della scuola di specializzazione;
  • i tirocini ex art. 73 non richiedono alcuna convenzione, né l’iscrizione del tirocinante alla pratica forense o alla scuola di specializzazione; richiedono però il possesso di requisiti soggettivi (età, voto di laurea, voti in alcuni esami); hanno durata di 18 mesi; sostituiscono il primo anno di pratica per l’ammissione all’esame da avvocato o da notaio; sostituiscono anche il primo anno di scuola di specializzazione, ma il tirocinante è comunque tenuto a sostenere le verifiche intermedie e finali (e quindi deve essere iscritto alla scuola e pagare le relative tasse); l’esito positivo di questo tirocinio costituisce titolo di preferenza, a parità di merito, nei concorsi pubblici, e titolo di preferenza per la nomina a giudice onorario.

E’ perciò paradossale che, in sede di conversione del d.l. 69/13, si sia abrogato il comma 12 dell’art. 73 che riconosceva a questi tirocini il valore di titolo d’accesso al concorso per magistrato ordinario. In questo modo infatti si è impedito il più naturale sbocco al percorso formativo di questi stagisti. L’art. 50 del decreto 90/14 ha invece (re)introdotto una prospettiva di sicuro interesse per gli studenti che puntano al concorso in magistratura e, al tempo stesso, una concreta possibilità per gli uffici giudiziari di disporre di quegli assistenti qualificati oggi indispensabili. Il tirocinio formativo con possibilità di accesso al concorso offre agli studenti una prospettiva che valorizza il loro percorso universitario, dà loro l’opportunità di conoscere da vicino il lavoro giudiziario e di formarsi “sul campo”. Ovviamente, il tirocinio non si sostituisce alla preparazione teorica, indispensabile per il superamento del concorso.

Si vuole muovere dalla ratio dell’istituto, cioè dalla volontà del legislatore di introdurre forza-lavoro per poter smaltire gli arretrati giudiziari e facilitare e velocizzare il lavoro del giudice, affidandogli anche compiti di cancelleria. L’apporto viene implicitamente consentito sia con riferimento a compiti di studio, sia con riguardo ad attività processuali orali, anche ipoteticamente, di tipo istruttorio, sia con attinenza alla collaborazione redazionale rispetto alla minuta degli atti processuali da compiere. L’atipicità degli atti affidabili allo stagista si esprime nel decreto legge attraverso una definizione davvero molto ampia degli spazi partecipativi del formando, comprensivi delle udienze, anche non pubbliche e delle camere di consiglio.

La prima perplessità è legata proprio alla surrogazione di necessarie figure professionali da acquisirsi stabilmente all’interno dell’ amministrazione della giustizia, con dei stagisti, la cui primaria finalità è formativa, precariamente assegnati agli uffici giudiziari, come tali non in grado di assicurare in prima battuta un sufficiente stabile contributo all’attività giudiziaria, né di dispiegarla successivamente per un periodo di tempo adeguato, una volta acquisita ” sul campo” la necessaria formazione.

Ma a ben vedere, entrambi gli aspetti presentano dei lati negativi. Da una parte, infatti, sarebbe stato di grande utilità sfruttare le persone, già idoneamente formate, per perseguire la finalità di smaltimento degli arretrati, prevedendo una nuova figura che completasse l’ufficio giudiziario. Dall’altra, se si vuole sottolineare il carattere altamente formativo di tale tirocinio, bisognerebbe garantire allo stagista una varietà di attività e di materie da poter apprendere.

Si prende, comunque, positivamente atto del tentativo di immaginare forme di ausilio alla attività giudiziaria “a basso costo” che, seppure non pienamente corrispondenti alle consistenti necessità del sistema, non possono, in ogni caso, essere trascurate in un difficile contesto economico generale.

Altro aspetto da approfondire del D.L. 69/13 è proprio questo ” basso costo” che al momento è pari a zero, non sono previste, infatti, né borse di studio, né indennità, né alcun tipo di rimborso spese e neppure coperture assicurative per gli stagisti. Infatti, seppure sia stato introdotto tra le righe del decreto la possibilità di una borsa di studi, capace di sostenere almeno le spese che i tirocinanti affrontano quotidianamente per recarsi all’ufficio giudiziario, non vi è stata ancora data attuazione. Ciò comporta un grave deficit per molti giovani che, magri per non caricarsi di altri costi, vi rinunciano pur se altamente qualificati. Tuttavia, entrambe le leggi sui tirocini consentono la partecipazione alle convenzioni coi Tribunali anche di “terzi finanziatori”, che possono erogare borse di studi e rimborsi per i tirocinanti.

Queste norme sono espressione di una scelta legislativa discutibile: quella di lasciare ai dirigenti degli uffici giudiziari il compito e la responsabilità di reperire (attraverso convenzioni o accordi con soggetti terzi) le risorse economiche necessarie al buon funzionamento dell’ufficio. Senza considerare che ogni apporto economico non proveniente da fonti istituzionali riduce inevitabilmente la trasparenza e l’imparzialità dell’azione giudiziaria.

Un altro grande deficit della normativa in esame attiene alla poca specificazione delle modalità di inserimento, ma anche delle modalità di svolgimento di questi tirocini, generando confusione, incomprensioni e soprattutto divergenze da ufficio ad ufficio.

La norma prescrive che la domanda dell’interessato debba essere presentata ai Capi degli uffici giudiziari con allegata la documentazione comprovante il possesso dei requisiti e prevedendo la possibilità di esprimere una preferenza ai fini dell’assegnazione a uno o più magistrati dell’ufficio incaricati della trattazione di affari in specifiche materie, di cui si deve tenere conto compatibilmente con le esigenze dell’ufficio.

La fattispecie è stata, quindi, strutturata attraverso la creazione di un rapporto diretto e personale dell’aspirante stagista con l’Ufficio giudiziario di riferimento, in persona del relativo Capo, ma nel momento in cui le richieste avanzate siano superiori all’esigenza degli uffici, come si procede? I vari coordinatori dei diversi uffici si muovono secondo le modalità che ritengono opportune, ma, paradossalmente, gli interessati non sono a conoscenza delle loro sorti, né dei tempi, né delle modalità utilizzate per selezionare i prescelti.

Alcuni hanno proposto che – ove concorrano partecipanti alle attività delle Scuole di Specializzazione per le Professioni Legali – i criteri di ammissione e scelta degli aspiranti possano essere integrati con i giudizi appositamente rilasciati delle Scuole medesime.

Ma è pur vero che tale scelta potrebbe generare una disparità di trattamento tra i gli stessi candidati provenienti dalle SSPL e tra questi e gli altri neolaureati.

Dunque, è possibile rinvenire una mancata uniformità nelle modalità di selezione ed anche di svolgimento del tirocinio, in tutto il territorio nazionale.

Insomma, la prima impressione che si ricava dal dettato normativo e che lo stesso sia piuttostoaffrettato, dettato dall’esigenza (forse ingiustificata) di “far presto” nell’attrezzare l’ufficio per il processo: visto come possibile panacea dei cronici ritardi della giustizia.

In realtà, il non aver previsto e disciplinato in maniera più pregnante ed organica i compiti dello stagista rischia di vanificare le intenzioni del legislatore: catapultare un giovane neolaureato in un Ufficio Giudiziario (spesso caotico) senza un contemporaneo percorso che miri a fornirgli gli strumenti di base del lavoro del giurista (avvocato o magistrato che sia) e senza una razionalizzazione ed organizzazione del percorso da compiere, rischia di ridurre le potenzialità di tale strumento: il giudice si avvantaggerà ben poco dell’ausilio dello stagista, perché occorre previamente formarlo e lo stagista imparerà poco

IN PARTICOLARE: LE “ESIGENZE” e le “CRITICITÁ” dal PUNTO DI VISTA DELLO STAGISTA

Innanzitutto bisognerebbe studiare un sistema di formazione in ingresso: ben pochi sono gli stagisti che hanno visto un atto di citazione o messo il naso in un fascicolo processuale: per tale motivo sarebbe forse stato meglio prevedere, tramite meccanismi di rotazione, che tutti i tirocinanti iniziassero con le sezioni che trattano il “contenzioso ordinario” (per un periodo di tempo determinato), per poi magari approdare alle sezioni specializzate. Grazie a tale passaggio, infatti, gli stagisti potrebbero beneficiare di un “impatto” organico con i differenti “tipi” di processo, a partire da quello “base” per passare poi attraverso i vari riti, per finire con l’esecuzione (con una puntata “finale” su quella concorsuale).

Ovviamente l’ipotesi è quella del solo stage civilistico, ma analogamente in ambito penale si sarebbe potuto prevedere un inizio con il solo dibattimento monocratico per poi passare agli altri settori (dibattimento collegiale  –  gip  e addirittura una condivisione con l’Ufficio della Procura).

Addirittura si potrebbe prevedere una frequenza divisa tra tirocinio penale e tirocinio civile (col consenso del tirocinante e la disponibilità dell’Ufficio Giudiziario).

In ogni caso si dovrebbe curare di impartire al tirocinante i necessari rudimenti del lavoro del magistrato: quindi non solo lo studio e la risoluzione dei casi, ma anche l’attività più pratica delle numerose incombenze cui  il giudice è chiamato, sia nelle udienze, sia nella gestione dei rapporti con il personale di cancelleria e con l’Avvocatura.

In tale ottica, potrebbe rivestire un ruolo significativo anche l’instaurazione di un filo diretto tra il tirocinante e gli uffici di cancelleria, non soltanto perché tale ufficio si trova ad operare giornalmente e per i più svariati compiti con il magistrato, ma anche perché la cancelleria ha funzioni e compiti propri con cui l’utente del servizio giustizia ha comunque a che fare e che un magistrato deve comunque conoscere per poter padroneggiare all’occorrenza tutti i problemi che si possono porre e le varie sfaccettature con cui essi si presentano.

Sempre su tale strada sarebbe più che opportuno prevedere che lo stagista venga dotato di postazioni informatiche e comunque che lo stesso venga abilitato alle funzionalità di assistente in “consolle del magistrato”, cosa che invero sembra ancora piuttosto rara.

E spingendoci oltre il problema della formazione sorge a ben vedere anche prima del conseguimento del diploma di laurea ma coinvolge la formazione degli studenti nelle università.

E’ communis opinio, infatti, che le facoltà italiane di giurisprudenza – al netto di possibili eccezioni – siano ancorate a delle modalità di insegnamento prettamente  teoriche.

In questa sede non si vuole sindacare la bontà del classico percorso di formazione dei giuristi, ma non possono sottacersi le gravi disfunzionalità che tale impostazione di fondo determina, finendo con l’immettere ogni anno sul mercato del lavoro migliaia di laureati, spesso totalmente a digiuno di quello volgarmente definibile come “lavoro pratico”.

Tale modello, ad esempio, fa sì che anche i giovani MOT vincitori di concorso, si trovano completamente impreparati di fronte ai risvolti pratici del lavoro di magistrato, nonostante abbiano studiato per molti anni.

Gli Ordinamenti ed i sistemi di altri Paesi sono molto più sensibili al tema, improntando i sistemi formativi universitari e post universitari ad una costante correlazione tra teoria e pratica.

Basti pensare alla Germania, dove, dopo l’Università, la formazione per coloro che intendano accedere alle professioni legali consta di un tirocinio obbligatorio negli uffici giudiziari, in quelli della pubblica amministrazione e in uno studio legale, prima di accedere al concorso, che peraltro risulta essere unico per tutti gli sbocchi possibili delle professioni legali “classiche”.

L’introduzione del tirocinio de quo potrebbe essere vista come un primo tentativo di colmare il gapfra studi teorici e mondo del lavoro e costituire un passo in avanti per allineare il nostro Paese con sistemi, indubbiamente più all’ avanguardia.

A maggior ragione non possono non invocarsi maggiori sforzi per proseguire su questa strada, magari ampliando il numero dei laureati legittimati ad accedere al tirocinio, che quindi non andrebbe più soltanto concepito come modalità “premiale” di accesso al concorso in magistratura, ma ne costituirebbe il naturale sbocco fisiologico.

Rispetto a ciò, infatti, non può non segnalarsi la disomogeneità che sussiste tra il tirocinio in questione e la SSPL, entrambi in forza delle normative vigenti titoli legittimanti per accedere al concorso, ma caratterizzati da una diversità strutturale enorme, che a bene vedere forse non giustifica pienamente, in termini di ratio, la medesima idoneità come titolo legittimante.

CONCLUSIONI

Nonostante tutto, va vista in modo positivo e come un’innovazione la possibilità per gli stagisti di accedere a tale tipo di tirocinio, il cui esito positivo costituisce requisito sufficiente ad accedere al concorso per magistrato.

Esso si colloca al crocevia fra diverse questioni di stringente attualità: le opportunità di inserimento nel mondo del lavoro per i giovani laureati, la valorizzazione dei diversi modelli di formazione, la durata dei processi, l’organizzazione degli uffici giudiziari e il reperimento delle risorse necessarie a renderli efficienti.

L’auspicio è che sia i giovani laureati, sia gli uffici giudiziari sappiano cogliere appieno le opportunità del nuovo strumento, adottando moduli organizzativi capaci di coniugare al livello più alto efficienza e offerta formativa.

Torre Annunziata, 15.6.2015.

Carmela Rita De Rosa

Antonio Del Sorbo

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