Questioni recenti in tema di protocolli di intesa uffici giudiziari

di Maria Gallo

§ Con la sentenza in commento,  il TAR Campania si è nuovamente pronunciato  sulla questione dei Protocolli stipulati tra Amministrazione Giudiziaria  e  soggetti terzi, parti e utenti dei diversi servizi connessi alla gestione e all’esercizio della giustizia . Si è ribadito , dunque,  quanto già affermato con TAR CAMPANIA , Napoli, Sez. I n. 4462/2014 , circa la legittimità di tali forme di accordo nell’ottica di un miglioramento della funzionalità degli uffici giudiziari e di una più rapida definizione dei processi , in pacifica attuazione dei principi posti dall’art. 24 C .   

L’esperienza dei protocolli di intesa tra uffici, iniziata timidamente negli anni 90, ha trovato la sua massima espressione di recente , allorquando, nel mondo giudiziario, si sono stipulati protocolli tra uffici diversi , giudicanti e requirenti, tra le diverse magistrature , tra uffici giudiziari e avvocatura , nelle più diverse materie , dal coordinamento delle indagini tra procure e allo scambio di informazioni , alla disciplina del processo telematico, nel settore civile   .

In generale , la platea dei partecipanti ai protocolli è abbastanza vasta , spaziando dalle Corti Sovrazionali ,  alle Amministrazioni Pubbliche, Authorities, Enti Territoriali , Ordini Professionali, Istituzioni Sanitarie. Altrettanto vario è il panorama degli oggetti delle intese, quali lo scambio di informazioni ed il coordinamento di indagini condivise, l’accesso a banche dati, accordi di collaborazione scientifica, stage formativi, modalità di redazione degli atti giudiziari e gestione di adempimenti procedimentali in relazione all’implementazione del telematico, affermazioni di principi etici condivisi .

Fonte normativa comune è l’ Art. 15, della L. 241/90 ove si legge :

(Accordi fra pubbliche amministrazioni)

1. Anche al di fuori delle ipotesi previste dall’articolo 14, le amministrazioni pubbliche possono sempre concludere tra loro accordi per disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune.

2. Per detti accordi si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni previste dall’articolo 11, commi 2 e 3. (comma così modificato dall’Allegato 4, art. 3, comma 2, d.lgs. n. 104 del 2010)

2-bis. A fare data dal 30 giugno 2014 gli accordi di cui al comma 1 sono sottoscritti con firma digitale, ai sensi dell’articolo 24 del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, con firma elettronica avanzata, ai sensi dell’articolo 1, comma 1, lettera q-bis) del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, o con altra firma elettronica qualificata pena la nullità degli stessi. Dall’attuazione della presente disposizione non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato. All’attuazione della medesima si provvede nell’ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie previste dalla legislazione vigente. (comma aggiunto dall’art. 6, comma 2, legge n. 221 del 2012, poi così modificato dall’art. 6, comma 5, legge n. 9 del 2014)

Illuminante è , inoltre, quanto espresso con parere dall’ANAC,  AG/07/15/AP 18/02/2015,  che ha ritenuto gli accordi conclusi ai sensi dell’art. 15 l. 241/1990, in relazione ai quali non trova applicazione la disciplina in materia di contratti pubblici, riguardanti esclusivamente le amministrazioni pubbliche che intendono disciplinare, con lo strumento convenzionale, lo svolgimento di attività di interesse comune, in assenza di un contrasto di interessi e di uno scambio economico.

Al fine di rendere il richiesto parere, ha ritenuto opportuno evidenziare, in via preliminare, che ai sensi dell’art. 15 (“accordi tra amministrazioni”), comma 1, della l. 241/1990 «anche al di fuori delle ipotesi previste dall’articolo 14, le amministrazioni pubbliche possono sempre concludere tra loro accordi per disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune».

In secondo luogo, in ordine alla disposizione dell’art. 15 della l. 241/1990, l’Autorità ha sottolineato che la norma prefigura un modello convenzionale attraverso il quale le pubbliche amministrazioni coordinano l’esercizio di funzioni proprie in vista del conseguimento di un risultato comune in modo complementare e sinergico, ossia in forma di reciproca collaborazione, in maniera gratuita e nell’obiettivo comune di fornire servizi indistintamente a favore della collettività. (Parere Anac AG/07/15/AP 18/02/2015) 

Così chiariti le finalità e l’ambito entro cui le intese in oggetto operano,  ci si deve interrogare sulla portata e intensità dei vincoli da esse scaturenti.  

§ Nella molteplicità di accordi  – denominati , a seconda dei casi , patti , convenzioni, contratti, intese , accordi, protocolli  –  e nella  eterogeneità di soggetti stipulanti e oggetti regolamentati ci si è posti il problema della natura dei vincoli derivanti da tali protocolli e dei limiti di tali vincoli.

Appare infatti ovvio che un protocollo impegni solo le parti aderenti e che dagli stessi non possano derivare impegni per i soggetti che non vi abbiano aderito, che dunque non sono tenuti a rispettarlo . Ne consegue che quando stipulanti, per esempio, siano uffici pubblici e si regolamenti con il protocollo ,  in maniera condivisa,  alcuni adempimenti procedimentali, i soggetti non aderenti ma comunque partecipi dell’attività giudiziaria  non ne sono in alcun modo obbligati. Potrebbe , dunque, determinarsi  che un medesimo procedimento abbia differenti applicazioni a seconda che i soggetti operanti siano o meno aderenti al protocollo, tenuti o meno a dare esecuzione agli adempimenti secondo le modalità concordate in protocollo .

Altro interrogativo riguarda le parti che vi abbiano dato adesione e la tipologia di vincoli  individuabile.

L’art. 15, infatti,  assoggetta i protocolli, attraverso il richiamo della disciplina dei co. 2 e 3 dell’art. 11 stessa legge 241/90 , in quanto applicabile,  alla forma scritta ad substantiam, all’obbligo della motivazione e ai principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti , in quanto compatibili . Ma appare abbastanza evidente, per la natura dei soggetti stipulanti e per l’interesse pubblico generale sotteso all’intesa , che debba escludersi la loro natura squisitamente privatistica .

L’art. 15 , infatti , non richiama il co. 4 dell’art. 11 ove si prevede che , per sopravvenuti motivi di pubblico interesse, l’amministrazione recede unilateralmente dall’accordo, salvo l’obbligo di provvedere alla liquidazione di un indennizzo, in relazione agli eventuali pregiudizi verificatisi in danno del privato. Non appare scontata , dunque, la possibilità di poter recedere liberamente dagli impegni assunti con protocollo da parte dei soggetti aderenti e soprattutto da parte dell’amministrazione .

In giurisprudenza, a proposito della possibilità , per una amministrazione , di recedere liberamente da un accordo di programma, si è assegnato , nelle pronunce susseguitesi nel tempo , valore opposto all’omesso richiamo della norma sulla libera recedibilità . La tesi giurisprudenziale preferibile, tuttavia, sembra quella intermedia perché coniuga funzione amministrativa e interesse privato .

Si legge in TAR LOMBARDIA, Brescia, n. 1635/2010 che il punto di partenza , come evidenziato, è il mancato richiamo dell’art. 15 l. 241/90, norma generale sugli accordi di programma, alla disposizione dell’art. 11, co. 4, stessa legge, che regola invece l’accordo tra amministrazione e privato e prevede la possibilità per l’amministrazione di recedere dall’accordo salva corresponsione di un indennizzo.

Ciò ha fatto ritenere ad alcuni che nell’accordo tra le amministrazioni pubbliche non sia possibile il recesso (TAR LAZIO, sez. I, n. 1434/1997: “l’accordo di programma acquisisce definitiva efficacia al momento del valido incontro delle volontà delle parti. Ne consegue che non può configurarsi, in apice, un potere di recesso unilaterale di una delle parti che revochi tale ratifica“), mentre ha indotto altri a sostenere che il recesso sarebbe sempre possibile per l’inesauribilità della funzione pubblica (TAR MARCHE n. 1015/2003,: “l’assenza nell’art. 15, l. 7 agosto 1990 n. 241 di un richiamo al comma 4 del precedente art. 11, che espressamente consente il recesso – previo indennizzo – dall’accordo per sopravvenuti motivi di pubblico interesse, non esclude la possibilità per l’Amministrazione di recedere dall’accordo, considerato che è proprio della funzione d’amministrazione attiva il generale potere di revoca del provvedimento amministrativo, del quale l’accordo ha il contenuto ed al quale è sottesa la cura di un pubblico interesse, per cui è affievolita la forza vincolante di una convenzione sottoscritta da soggetti pubblici ed è reso inapplicabile il principio civilistico per il quale il contratto ha forza di legge tra le parti, e che la previsione dell’art. 11 comma 4, è confermativa e non derogatoria di detta regola generale“). Secondo questa opinione il mancato richiamo all’art. 11, co. 4, starebbe solo a significare che – a differenza di quanto accade negli accordi tra privati – il recesso non deve essere bilanciato dalla corresponsione di un indennizzo (C. Conti reg. Puglia, sez. giurisd., 21 marzo 2003, n. 244).

Non mancano, inoltre, posizioni intermedie che hanno ritenuto possibile il recesso solo se specificamente previsto in convenzione (TAR LOMBARDIA, MILANO, sez. I, n. 5620/2004: “lo scioglimento unilaterale del vincolo è ammissibile solo se sia stato previsto il diritto di recesso ai sensi dell’art. 1373 c.c.“).

La soluzione della questione deve essere affrontata considerando , da un lato, la inesauribilità della funzione amministrativa, che non tollera l’imposizione di un vincolo a non riesaminare l’assetto di interessi concordato alla luce delle sopravvenienze nell’interesse pubblico, e ,dall’altro, la necessità di attribuire un senso agli accordi di programma che, se fossero liberamente recedibili, sarebbero sostanzialmente privi di rilevanza giuridica, in quanto la stessa possibilità di giuridicizzare l’inadempimento degli stessi con la sola domanda di danni finirebbe per rendere gli accordi di programma, più che strumenti di semplificazione dell’azione amministrativa affidata a più amministrazioni, meri strumenti di moltiplicazione del contenzioso tra amministrazioni pubbliche.

D’altronde, il tipo di interessi sotteso ad un procedimento amministrativo regolato da un accordo di programma è, per definizione, non disponibile da una sola amministrazione proprio perché il legislatore ne ha attribuito la competenza in modo ripartito ad una pluralità di esse. La non disponibilità da parte di una singola amministrazione degli interessi pubblici sottesi all’azione amministrativa esercitata in forma consensuale, è, per definizione, pertanto caratteristica degli accordi di programma.

Conformandosi alla pronuncia di TAR LOMBARDIA, Milano, n. 5620/2004, si è ritenuto  con la sentenza richiamata che, salvo il caso in cui siano state le stesse parti a prevedere il diritto di recesso nel momento in cui hanno concordato tra loro il regolamento pattizio, il contenuto dell’accordo sia modificabile solo mediante una nuova determinazione espressa da tutte le amministrazioni contraenti che giungono ad una nuova sistemazione concordata dell’assetto degli interessi sottostanti all’azione amministrativa.

La Corte Costituzionale ha, infatti, evidenziato che nel caso in cui il legislatore abbia previsto lo strumento dell’accordo di programma è “incompatibile con il regime dell’intesa, caratterizzata dalla paritaria codeterminazione dell’atto” attribuire ad una di esse un ruolo preminente, in quanto “il superamento delle eventuali situazioni di stallo deve essere realizzato attraverso la previsione di idonee procedure perché possano aver luogo reiterate trattative volte a superare le divergenze che ostacolino il raggiungimento di un accordo” (Corte Cost. 26 marzo 2010, n. 121).

Ciò non significa che l’amministrazione pubblica che intenda sciogliersi dall’accordo ex art. 15 l. 241/90 sia priva di strumenti di tutela di fronte al rifiuto delle altre amministrazioni di modificare l’assetto degli interessi a seguito delle intervenute sopravvenienze negli interessi pubblici sottesi all’azione amministrativa.

La volontà delle altre amministrazioni non è, infatti, come si diceva prima, una volontà negoziale fondata sull’autonomia privata, ma una volontà discrezionale funzionalizzata alla tutela degli interessi pubblici.

Ne consegue che l’amministrazione che intende recedere dall’accordo potrà censurare in sede giurisdizionale il rifiuto delle altre parti di modificare l’assetto degli interessi originariamente concordato, qualora tale rifiuto non sia conforme al principio di leale cooperazione tra gli enti pubblici che deve informare i rapporti tra le amministrazioni pubbliche, per effetto della sentenza 303/2003 della Corte Costituzionale.

In definitiva, l’accordo tra amministrazioni pubbliche non modifica l’ordine delle attribuzioni della funzione amministrativa, perché non è altro che un modulo organizzativo dell’azione amministrativache sostituisce la sequenza procedimentale destinata a sfociare nell’accordo alla pluralità di procedimenti condotti in modo autonomo dalle diverse amministrazioni e destinati a sfociare in provvedimenti diversi ma tra loro strettamente collegati.

L’inscindibilità degli interessi pubblici  sottesi all’azione consensuale delle pubbliche amministrazioni, preclude che una singola amministrazione possa decidere unilateralmente di tornare al modello della amministrazione per singoli provvedimenti, e finisce per imporre pertanto alle stesse un vincolo a continuare a regolare gli interessi pubblici disciplinati dall’accordo mediante l’utilizzo del modulo organizzativo consensuale” (TAR LOMBARDIA, Brescia, n. 1635/2010) .

Considerando , infine , che  in tale materia sussiste una giurisdizione amministrativa esclusiva e rilevata l’esistenza di parti – quelle stipulanti – disponibili a collaborare per un fine pubblico comune , va recisamente esclusa  la natura privatistica e contrattuale di tali tipologie di intese .  

§ Gli Uffici giudiziari sono da includere tra le pubbliche amministrazioni ?

Dal punto di vista normativo si fa riferimento alle previsioni contenute nell’art. 1 co. II D.Lgs. 165/2001  ( Testo unico pubblico impiego ) e negli artt. 1,2,e,4, del capo I Titolo I le norme del Regio Decreto 12/1941 ( Ordinamento Giudiziario ) . Tuttavia , se si ha riguardo all’esercizio dell’attività giurisdizionale, deve escludersi che gli uffici giudiziari siano assimilabili ad una P.A. Il concetto di pubblica amministrazione, invero, va affiancato solo  a funzioni comprese nell’esercizio del potere esecutivo per cui va esclusa la possibilità di attribuire natura amministrativa gli atti tipici della giurisdizione. Naturale corollario di tale premessa è l’affermazione secondo la quale nessun ufficio giudiziario può stipulare protocolli di intesa che tendano a regolamentare , e quindi a limitare , gli atti e i provvedimenti ascrivibili all’esercizio della funzione giurisdizionale. Quando l’ufficio agisce in tale veste, infatti, non è una P.A. e non può certamente servirsi della facoltà di stipulare accordi ex art. 15 l. 241/90.

Deve , per converso, come appunto statuito nella sentenza in commento , ritenersi che rientri nei poteri organizzativi del Presidente del Tribunale la stipula del “Protocollo di intesa per la gestione degli accertamenti peritali del contenzioso previdenziale ed assistenziale del Tribunale di Napoli Nord” stipulato ad Aversa (CE) il 6 novembre 2017 tra la Presidenza del Tribunale ordinario di Napoli Nord, l’Istituto Nazionale per la Previdenza Sociale e l’Azienda Sanitaria Locale Caserta in quanto inerisce l’attività del tribunale di competenza, a norma dell’articolo 1 del decreto legislativo numero 240 del 2006 secondo cui : 

Art. 1. 1. Sono attribuite al magistrato capo dell’ufficio giudiziario la titolarità e la rappresentanza dell’ufficio, nei rapporti con enti istituzionali e con i rappresentanti degli altri uffici giudiziari, nonché la competenza ad adottare i provvedimenti necessari per l’organizzazione dell’attività giudiziaria e, comunque, concernenti la gestione del personale di magistratura ed il suo stato giuridico.

Nello specifico, l’intesa -contestata a titolo individuale da un singolo procuratore- ha riguardato l’organizzazione delle modalità di espletamento delle operazioni  peritali, in virtù della quale l’A.S.L. di Caserta ha messo a disposizione dell’Autorità giudiziaria ordinaria a titolo di comodato d’uso gratuito, dal lunedì al venerdì, per quattro ore giornaliere pomeridiane (dalle ore 14.00 alle ore 18.00) propri locali presso la sede di Aversa, per lo svolgimento delle operazioni medico – legali disposte dal Tribunale di Napoli Nord nel contenzioso di cui agli artt. 442 e 445 bis c.p.p. in cui risulti convenuto l’Inps.

Le argomentazioni della parte ricorrente sono state disattese dal TAR che ha recepito le ragioni rappresentate dalle controparti, in quanto, come evidenziato dall’INPS nelle proprie deduzioni difensive, l’adozione degli atti impugnati è stata preceduta da un’adeguata istruttoria con la ponderazione degli interessi coinvolti, tenendo conto in primo luogo della concreta funzionalità dell’Ufficio giudiziario – specificamente della Sezione Lavoro del Tribunale di Napoli Nord – e della effettiva tutela giurisdizionale dei diritti soggettivi azionati nella specifica materia.

L’amministrazione , del resto, ha evidenziato l’adeguatezza del servizio di centralizzazione rispetto al numero di  ricorsi di cui all’art. 445 bis c.p.c. nell’anno 2017 (circa 8.000) evidenziando in dettaglio che per le operazioni peritali sono stati messi a disposizione 9 gabinetti medici programmati per essere aperti 4 ore al giorno per 5 giorni alla settimana in cui si possono effettuare 40 accessi alla settimana per ogni gabinetto medico, 280 visite medico – legali alla settimana, e 1.120 visite  medico legali al mese.

Alla luce, dunque, della funzionalità della scelta organizzativa perseguita dall’amministrazione  si è ritenuto che essa rappresentasse una risposta alla cronica penuria di mezzi a disposizione dell’amministrazione della giustizia nell’ottica di una celere definizione del procedimenti giurisdizionali.

Se ne è desunta, altresì, la coerenza con il principio della ragionevole durata dei processi di cui all’articolo 111 della Costituzione.

Nel raffrontare le opposte argomentazioni , l’autorità giudicante ha censurato come generica e non adeguatamente documentata, la doglianza con cui parte ricorrente ha contestato la funzionalità del descritto assetto organizzativo , rispetto allo sviluppo ideale del processo civile previdenziale ed assistenziale.

Con specifico riferimento al deprecato allungamento dei termini processuali,  ha poi rammentato  che, come statuito dalla Corte Costituzionale (n. 243/2004) la tutela garantita dall’art. 24 della Costituzione non comporta l’assoluta immediatezza dell’esperibilità del diritto di azione (sentenze n. 251 del 2003 e n. 276 del 2000) echedetta tutela giurisdizionale non deve necessariamente porsi in relazione di immediatezza con il sorgere del diritto, ma la determinazione concreta di modalità e di oneri non deve rendere difficile o impossibile l’esercizio di esso (ex multis, sentenze n. 67 del 1990 e n. 186 del 1972).

Si è così respinto il ricorso del procuratore che aveva lamentato, quale utente abituale degli uffici giudiziari del Tribunale di Napoli Nord , esercente la professione forense, in particolare per le controversie di previdenza e assistenza obbligatorie ex art. 442 e seguenti del c.p.c. nell’interesse di persone affette da menomazioni e patologie le cui condizioni di salute richiedono accertamenti peritali in sede processuale l’illegittimità, sotto diversi profili, dell’indicato protocollo .

Parte ricorrente aveva infatti paventato conseguenze sulla durata dei procedimenti giurisdizionali  e , per  la condizione precaria delle persone che devono sottoporsi a perizia , la lesione del diritto di difesa costituzionalmente tutelato dagli artt. 24 e 113 della Costituzione perché gli accessi peritali non si sarebbero svolti in locali “neutrali” ma presso la sede preferenziale per una delle parti del processo (Inps) con pregiudizio di una serena, parziale ed indipendente valutazione da parte del Consulente tecnico d’ufficio incaricato dal giudice civile.

Ma, nel solco della giurisprudenza già formatasi su questione analoga, il TAR ha affermato che la terzietà del giudice è garantita dalla sede pubblica di espletamento delle operazioni peritali , rappresentata , nel caso in esame dai locali dell’Azienda Sanitaria Locale di Aversa, che è terza rispetto sia alle parti private che all’ente pubblico convenuto in giudizio (Inps). Tale organizzazione, dunque , è apparsa idonea a salvaguardare l’indipendenza ed imparzialità dei magistrati titolari delle cause e la sfera di autonomia del Consulente tecnico d’ufficio.

In definitiva , pertanto, deve concludersi per la piena legittimità dei protocolli che, nel  rispetto delle forme e delle funzioni ad essi assegnati , attualmente rappresentano un’esperienza che, nella sua trasversalità , accomuna mondo giudiziario e pubbliche amministrazioni .  

                                                                                          Dr.ssa Maria Gallo

Consigliere della Corte di Appello di Napoli