Rassegna Cassazione civile dicembre 2015

a cura di Andrea Penta

Attesa era la pronuncia delle Sezioni Unite sul terzo comma dell’art. 360 c.p.c., le quali hanno affermato che la sentenza, con cui il giudice d’appello riforma o annulla la decisione di primo grado e rimette la causa al giudice a quo ex artt. 353 o 354 c.p.c., è immediatamente impugnabile con ricorso per cassazione, trattandosi di sentenza definitiva che non ricade nel divieto, dettato dall’art. 360, comma 3, c.p.c. novellato, d’immediata impugnazione in cassazione delle sentenze non definitive su mere questioni, per tali intendendosi solo quelle che non chiudono il processo dinanzi al giudice che le ha pronunciate (Sezioni Unite, Sentenza 22 dicembre 2015, n. 25774, Presidente L.A. Rovelli, Relatore A. Giusti).

Di grande impatto, non solo giuridico ma anche umano, è la sentenza delle Sezioni Unite Civili le quali, a risoluzione di contrasto, sulla responsabilità medica per nascita indesiderata, hanno affermato che: a) la madre è onerata dalla prova controfattuale della volontà abortiva, ma può assolvere l’onere mediante presunzioni semplici; b) il nato con disabilità non è legittimato ad agire per il danno da “vita ingiusta”, poiché l’ordinamento ignora il “diritto a non nascere se non sano” (Sezioni Unite Civili, Sentenza 22 dicembre 2015, n. 25767, Presidente L. A. Rovelli, Relatore A. Spirito, Estensore R. Bernabai).

Di notevole rilevanza sul piano pratico è l’altra pronuncia delle Sezioni Unite che, a soluzione di una questione di massima di particolare importanza, hanno affermato il principio secondo cui, ove il diritto non si possa far valere se non con un atto processuale, la prescrizione è interrotta dall’atto di esercizio del diritto, ovvero dalla consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario per la notifica, mentre in ogni altro caso opera la soluzione opposta (Sezioni Unite, Sentenza 9 dicembre 2015, n. 24822, Presidente L.A. Rovelli, Estensore R. Vivaldi).

Le stesse Sezioni Unite, a soluzione di una questione di massima di particolare importanza, hanno affermato il principio secondo il quale l’impugnazione del garante riguardo al rapporto principale, tanto nel caso in cui la chiamata si sia esaurita nella sola richiesta di estensione soggettiva dell’accertamento sul rapporto principale al garante, quanto nel caso in cui ad essa sia stata cumulata la domanda di garanzia, è idonea ad investire il giudice dell’impugnazione anche a favore del garantito, attesa la struttura necessaria del litisconsorzio sul piano processuale e considerato che è stato lo stesso garantito a realizzare l’estensione soggettiva della legittimazione sul rapporto principale (Sezioni Unite, Sentenza 4 dicembre 2015, n. 24707, Presidente L.A. Rovelli, Estensore R. Frasca).

Da ultimo, sul piano sostanziale, le Sezioni Unite, a risoluzione di contrasto, hanno affermato che, ove gli elementi costitutivi della pensione di inabilità prevista dall’art. 12 della legge n. 118 del 1974  siano maturati prima del compimento del sessantacinquesimo anno di età e la relativa domanda amministrativa sia stata proposta prima di tale data, la sostituzione con l’assegno sociale opera dal primo giorno del mese successivo a quello del compimento del sessantacinquesimo anno, anche se ciò comporta che non venga pagato neanche un rateo della pensione di inabilità e si debba corrispondere direttamente l’assegno sociale (Sezioni Unite, Sentenza 15 dicembre 2015, n. 25204, Presidente F. Roselli, Estensore V. Nobile).

La Prima Sezione Civile, andando di contrario avviso ad un proprio precedente specifico, ma muovendosi nel solco di un orientamento generale ormai prevalente in materia di incompatibilità , ha escluso che la partecipazione del giudice delegato che abbia deciso sulla domanda di insinuazione al passivo fallimentare al collegio giudicante chiamato a pronunciarsi sulla conseguente opposizione allo stato passivo possa determinare la nullità della decisione, in quanto l’incompatibilità prevista dalla legge può dar luogo soltanto all’esercizio del potere di ricusazione, che la parte interessata ha l’onere di far valere, in caso di mancata astensione del giudice, nelle forme e nei termini di cui all’art. 52 c.p.c. (Sezione Prima Civile, Sentenza 4 dicembre 2015, n. 24718, Presidente Ceccherini, Relatore Didone).

In tema di notificazioni, Cass. Sez. Prima, 2 novembre 2015, n. 22352, ha statuito che la fattispecie della notifica telematica, effettuata a cura della cancelleria, evidenzia una sequenza caratterizzata dalla ricevuta telematica e dalla ricevuta di avvenuta consegna, relativamente alle quali gli artt. 6 del d.P.R. n. 68 del 2005 e l’art. 45 del d.lgs. n. 82 del 2005 fissano i presupposti del rispettivo perfezionamento: dal lato del mittente, la fornitura del gestore di posta elettronica certificata utilizzato della ricevuta di accettazione, contenente i dati di certificazione che costituiscono la prova dell’avvenuta spedizione di un messaggio di PEC, mentre dal lato del destinatario la fornitura della ricevuta di avvenuta consegna, che a sua volta dà al mittente la prova che il suo messaggio di PEC è effettivamente pervenuto all’indirizzo elettronico dichiarato dal destinatario e certifica il momento della consegna tramite un testo, leggibile dal mittente, contenente i dati di certificazione. La ricevuta di avvenuta consegna è rilasciata contestualmente alla consegna del messaggio di posta elettronica certificata nella casella di posta elettronica messa a disposizione del destinatario dal gestore, indipendentemente dall’avvenuta lettura da parte del soggetto destinatario. Trattasi di un assetto normativo espressione del processo di digitalizzazione del processo, finalizzato a conseguire l’obiettivo stabilito dall’art. 16 del d.l. n. 179 del 2012, a norma del quale è stabilito che nei procedimenti civili le comunicazioni e le notificazioni a cura della cancelleria devono essere effettuate esclusivamente per via telematica all’indirizzo di posta elettronica certificata.

La Sezione Seconda ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite di un ricorso sulla questione dell‘iscrizione a ruolo delle cause d’appello “con velina”: se ne derivi l’improcedibilità o una nullità sanabile; se per l’eventuale sanatoria basti la costituzione dell’appellato o necessiti il deposito dell’atto originale; se il deposito debba avvenire entro la prima udienza o possa seguire nel corso del giudizio (Sezione Seconda Civile, Ordinanza interlocutoria 18 dicembre 2015, n. 25529, Presidente E. Bucciante, Relatore E. Picaroni).

La medesima Sezione ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite di ricorso su questioni oggetto di contrasto: a) se la notifica di copia del ricorso per cassazione incomprensibile perché priva di alcune pagine determini inammissibilità dell’impugnazione o vizio sanabile con notifica integrale; b) se l’appello proposto a giudice incompetente per territorio sia inammissibile o suscettibile di translatio iudicii (Sezione Seconda Civile, Ordinanza interlocutoria 9 dicembre 2015, n. 24856, Presidente M. Oddo, Relatore A. Giusti).

Ha ingenerato numerose polemiche Cass. Civ., sez. III, sentenza 3 dicembre 2015 n. 24629 (Pres., rel. Vivaldi), la quale ha statuito che. nel procedimento per decreto ingiuntivo cui segue l’opposizione, la parte su cui grava l’onere di introdurre il percorso obbligatorio di mediazione, ai sensi del d.lgs. 28 del 2010, è la parte opponente: infatti, è proprio l’opponente che ha il potere e l’interesse ad introdurre il giudizio di merito, cioè la soluzione più dispendiosa, osteggiata dal legislatore. E’, dunque, sull’opponente che deve gravare l’onere della mediazione obbligatoria, perché è l’opponente che intendere precludere la via breve per percorrere la via lunga. La diversa soluzione sarebbe palesemente irrazionale, in quanto premierebbe la passività dell’opponente e accrescerebbe gli oneri della parte creditrice. Del resto, non si vede a quale logica di efficienza risponda una interpretazione che accolli al creditore del decreto ingiuntivo l’onere di effettuare il tentativo di mediazione, quando ancora non si sa se ci sarà l’opposizione allo stesso decreto ingiuntivo.

Con la sentenza n. 22871 del 2015 la Suprema Corte ha affermato che la sentenza redatta in formato elettronico dal giudice e da questi sottoscritta con firma digitale ai sensi dell’art. 15, d.m. 21 febbraio 2011 n. 44, non è affetta da nullità per mancanza di sottoscrizione, sia perché sono garantite l’identificabilità dell’autore, l’integrità del documento e l’immodificabilità del provvedimento (se non dal suo autore), sia perché la firma digitale è equiparata, quanto agli effetti alla sottoscrizione autografa in forza dei principi contenuti del Codice dell’Amministrazione Digitale (d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82 e succ. mod.) applicabili anche al processo civile, per quanto disposto dall’art. 4, d.l. 29 dicembre 2009 n. 193, convertito nella l. 22 febbraio 2010 n. 24. (Cass., Sez. III, 10 novembre 2015, n. 22871).

In materia di responsabilità civile dei magistrati, la Terza Sezione (Sez. III, Sentenza 15 dicembre 2015, n. 25216, Presidente G. Salmè, Estensore G.L. Barreca) ha precisato che la sopravvenuta abrogazione dell’art. 5 della legge 13 aprile 1988, n. 117 – ad opera dell’art. 3, comma 2, della legge 27 febbraio 2015, n. 18 – non esplica efficacia retroattiva, sicché l’ammissibilità della domanda di risarcimento danni cagionati nell’esercizio di funzioni giudiziarie, proposta sotto il vigore della norma abrogata, deve essere delibata alla stregua della disciplina previgente.

Per Cass. Civ., Sez. VI, Ord., 4 novembre 2015, n. 224, ai sensi del combinato disposto degli artt. 167, comma 1, e 115, comma 1, c.p.c., l’onere di contestazione specifica dei fatti posti dall’attore a fondamento della domanda, si pone unicamente per il convenuto costituito e nell’ambito del solo giudizio di primo grado, nel quale soltanto si definisce -irretrattabilmente- il thema decidendum(cioè i fatti pacifici) ed ilthema probandum (vale a dire i fatti controversi). Pertanto, il giudice d’appello nel decidere la causa deve aver riguardo ai suddetti temi così come si sono formati nel giudizio di primo grado, non rilevando a tal fine la condotta processuale tenuta dalle parti nel giudizio svoltosi innanzi a lui.

In caso di licenziamento intimato al pubblico impiegato in violazione di norme imperative, quali l’art. 55-bis, comma 4, del d.lgs. n. 165 del 2001, si applica la tutela reintegratoria di cui all’art. 18 st. lav., come modificato dalla l. n. 92 del 2012, trattandosi di nullità prevista dalla legge (Sezione Lavoro,. Sentenza 26 novembre 2015, n. 24157, Pres. P. Stile, Relatore A. Manna).

Sempre in materia di lavoro e previdenza, nel caso di pubblicazione in udienza della sentenza completa di motivazione e dispositivo, con contestuale emanazione di provvedimento per l’ulteriore corso del giudizio, la riserva d’appello non deve essere effettuata alla stessa udienza, bensì può essere ritualmente compiuta con atto successivo, nel rispetto del termine di cui all’art. 325 c.p.c. (Sezione Lavoro, Sentenza 7 dicembre 2015, n. 24805, Pres. G. Amoroso, Relatore P. Ghinoy).

Quanto al rito cd. Fornero, la Sezione Lavoro ha chiarito che, nel rito di cui all’art. 1, commi 48 e segg., della legge 29 giugno 2012, n. 92 l’eccezione di decadenza dall’impugnativa di licenziamentodi cui all’art. 6 della l. n. 604 del 1966, come modificato dall’art. 32 della l. n. 183 del 2010, può essere proposta, per la prima volta, anche nella sola fase di opposizione, in quanto in rapporto di prosecuzione con la prima fase a cognizione sommaria (Sez. L., Sentenza 11 dicembre 2015, n. 25046, Pres. F. Roselli, Est. n. De Marinis)

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