Rassegna Cassazione civile gennaio-febbraio 2019

a cura di Andrea Penta

Di grande impatto è, con riferimento al bimestre in esame, la pronuncia delle Sezioni Unite (S.U. sentenza n. 4135 del 12 febbraio 2019, Pres. G. Mammone, Est. A.P. Lamorgese) sull’istituto del “prospective overruling“. Secondo la S.C., quest’ultimo è utilmente invocabile dalla parte che abbia tenuto una condotta processuale ossequiosa delle forme e dei termini previsti dalla legge processuale, come interpretata dall’indirizzo interpretativo del giudice di legittimità dominante al momento del compimento dell’atto, al fine di evitare le conseguenze processuali negative (decadenze, inammissibilità, improponibilità) cui sarebbe esposta se dovesse soggiacere al sopravvenuto e imprevedibile indirizzo interpretativo di legittimità, mentre non è invocabile nell’ipotesi in cui il nuovo orientamento di legittimità sia ampliativo di facoltà e poteri processuali che la parte non abbia esercitato per un’erronea interpretazione delle norme processuali in senso autolimitativo, non indotta dalla giurisprudenza di legittimità.

Il rimedio dell’overruling è riconoscibile solo in presenza di stabili approdi interpretativi del giudice di legittimità , eventualmente a Sezioni Unite,  se connotati dai “caratteri della costanza e ripetizione”, mentre non può essere invocato sulla base di alcune pronunce della giurisprudenza di merito, le quali non sono idonee ad integrare un “diritto vivente” (Corte cost. n. 78 del 2012).

Con la stessa pronuncia le Sezioni Unite hanno statuito che la rimessione in termini per causa non imputabile, in entrambe le formulazioni che si sono succedute (artt. 184 bis e 153 c.p.c.), non è invocabile in caso di errori di diritto nell’interpretazione della legge processuale, pur se determinati da difficoltà interpretative di norme nuove o di complessa decifrazione, in quanto imputabili a scelte difensive rivelatesi sbagliate, come quella di non impugnare il lodo per errori di diritto, in presenza di convenzione arbitrale anteriore alla riforma del d.lgs. n. 40 del 2006.

In tema di ingiunzione di pagamento europea  ai sensi del Reg. CE n. 1896 del 2006, le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno affermato i seguenti principi con riferimento all’ipotesi in cui l’ingiunzione emessa dal giudice italiano venga opposta dal debitore ingiunto a norma dell’art. 16 del Regolamento e il creditore abbia chiesto, prima dell’emissione dell’ingiunzione, che il processo, in caso di opposizione, prosegua secondo la disciplina della procedura civile ordinaria: 1) l’individuazione della disciplina applicabile per la fase dell’opposizione, non avendo lo Stato italiano esercitato il potere di dettare una apposita normativa, non è ricavabile in via interpretativa mediante rinvio alle disposizioni sull’opposizione a decreto ingiuntivo (artt. 645 ss. c.p.c.), né spetta al giudice dell’ingiunzione, ma è rimessa allo stesso creditore, il quale dovrà procedervi nel termine che il giudice dell’ingiunzione dovrà fissare all’atto della comunicazione al creditore della proposizione dell’opposizione, ai sensi dell’art. 17, par. 3, del Regolamento; 2) l’inosservanza di tale termine determina, a norma del comma 3 dell’art. 307 c.p.c., l’estinzione del giudizio; 3) la litispendenza si determina con riferimento al deposito della domanda d’ingiunzione (Sezioni Unite, udienza 10/4/2018 – dep. 31/1/2019 -, n. 2840 – Presidente G. Mammone, estensore R. Frasca).

Nel periodo in esame la Prima Sezione ha emanato numerose pronunce di interesse diffuso.

Con ordinanza n. 493, depositata il 10 gennaio 2019, ha rimesso al Primo Presidente, per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, le seguenti questioni in tema d’intermediazione finanziaria e regime giuridico dell’indebitamento degli enti locali: – se lo swap, ed in particolare quello che richieda un upfront e non sia disciplinato ratione temporis dalla l. n. 133 del 2008 di conversione del d.l. n. 112 del 2008, costituisca per l’ente locale un’operazione che generi un indebitamento per finanziare spese diverse da quelle di investimento, a norma dell’art. 30, comma 15, l. n. 289 del 2002; – se la stipula del relativo contratto rientri nella competenza riservata al Consiglio Comunale, implicando una delibera di spesa che impegni i bilanci per gli esercizi successivi, giusta l’art. 42, comma 2 lett. i) t.u.e.l.(Sezione 1, Ordinanza 10 gennaio 2019, n. 493, Pres. C. De Chiara, Relatore M. Falabella).

Ha altresì enunciato, ai sensi dell’art. 363 c.p.c., il seguente principio di diritto: “in caso diinterruzione automatica del processo determinata dalla dichiarazione di fallimento di una delle parti, il termine per la riassunzione di cui all’art. 305 c.p.c. decorre dalla dichiarazione o notificazione dell’evento interruttivo secondo la previsione dell’art. 300 c.p.c., ovvero, se anteriore, dalla conoscenza legale di detto evento procurata dal curatore del fallimento alle parti interessate” (Sezione 1, Ordinanza 30 gennaio 2019, n. 2658, Pres. S. Schirò, Estensore M. Di Marzio).

Ha, inoltre, chiarito che la normativa introdotta con il d.l. n. 113 del 2018, convertito nella l. n. 132 del 2018, nella parte in cui ha modificato la preesistente disciplina del permesso di soggiorno per motivi umanitari dettata dall’art. 5, comma 6, del d.lgs. n. 286 del 1998 e dalle altre disposizioni consequenziali, sostituendola con la previsione di casi speciali di permessi di soggiorno, non trova applicazione in relazione alle domande di riconoscimento di un permesso di soggiorno per motivi umanitari proposte prima dell’entrata in vigore (5 ottobre 2018) della nuova legge, le quali saranno pertanto scrutinate sulla base della normativa esistente al momento della loro presentazione. Tuttavia in tale ipotesi, all’accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari sulla base dei presupposti esistenti prima dell’entrata in vigore del d.l. n. 113 del 2018, conv. nella l. n. 132 del 2018, farà seguito il rilascio da parte del Questore di un permesso di soggiorno contrassegnato dalla dicitura “casi speciali” e soggetto alla disciplina e all’efficacia temporale prevista dall’art. 1, comma 9, di detto decreto legge” (Sezione Prima Civile, sentenza 19 febbraio 2019, n. 4890, Presidente S. Schirò, Relatore M. Acierno)

Ha, ancora, rimesso gli atti al Primo Presidente, per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, ai fini della risoluzione della questione, oggetto di contrasto, se il rapporto tra le sezioni ordinarie e la sezione specializzata per l’impresa del medesimo ufficio giudiziario  si configuri come una questione di competenza in senso tecnico o, invece, di mera ripartizione interna degli affari(Sezione 1, Ordinanza 30 gennaio 2019, n. 2723, Pres. C. De Chiara, Estensore L. Nazzicone).

Da ultimo, ha precisato che la società di capitali con partecipazione pubblica (cd. “in house“) è assoggettabile a fallimento, atteso che, da un lato, l’art. 1 l.fall. esclude dall’area della concorsualità gli enti pubblici, non anche le società pubbliche, per le quali trovano applicazione le norme del codice civile nonché quelle sul fallimento, sul concordato preventivo e sull’amministrazione straordinaria, e che, dall’altro lato, la particolare relazione interorganica che lega l’ente societario all’amministrazione pubblica (c.d. controllo analogo) serve solo a consentire all’azionista pubblico di svolgere un’influenza dominante sulla società, se del caso attraverso strumenti derogatori rispetto agli ordinari meccanismi di funzionamento, senza tuttavia incidere sull’alterità soggettiva dell’ente societario rispetto all’ente pubblico controllante, restando il primo pur sempre un centro di imputazione di rapporti e posizioni soggettive autonomo rispetto al secondo (Sezione 1, Sentenza 22 febbraio 2019, n. 5346, Pres. R.M. Di Virgilio, Estensore F. Terrusi).

Si devono alla Seconda Sezione due importanti interventi.

Con il primo ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, ai fini della composizione di un rilevato contrasto in ordine all’individuazione del giudice competente a provvedere sulla revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato nei giudizi civili pendenti davanti alla Corte di cassazione  (Sezione 2, ordinanza 22 gennaio 2019, n. 1664, Pres. M.R. San Giorgio, Relatore A. Scarpa).

Con il secondo, in tema di violazione al codice della strada, ha precisato che il verbale dell’accertamento effettuato mediante etilometro  deve contenere, alla luce di una interpretazione costituzionalmente orientata, l’attestazione della verifica che l’apparecchio da adoperare per l’esecuzione del cd. “alcooltest” è stato preventivamente sottoposto alla prescritta ed aggiornata omologazione ed alla indispensabile corretta calibratura; l’onere della prova del completo espletamento di tali attività strumentali grava, nel giudizio di opposizione, sulla P.A. poiché concerne il fatto costitutivo della pretesa sanzionatoria (Sezione 6-2, Ordinanza 24 gennaio 2019, n. 1921, Pres. P. D’Ascola, Estensore A. Carrato).

Numerosi e rilevanti sono le pronunce adottate nel periodo dalla Terza Sezione.

In tema di interventi di bonifica e ripristino ambientali dei siti contaminati, l’obbligazione del responsabile dell’inquinamento avente ad oggetto il rimborso delle spese sostenute dal proprietario per la bonifica spontanea del sito inquinato non soggiace alla regola della responsabilità solidale di cui all’art. 2055 c.c., perché trattasi di obbligazione “ex lege”, di contenuto non risarcitorio ma indennitario, derivante non da fatto illecito ma dal fatto obiettivo dell’inquinamento. (Sezione 3, Ordinanza 22 gennaio 2019, n. 1573, Pres. G. Travaglino, Relatore E. Scoditti). Il proprietario non responsabile dell’inquinamento che abbia spontaneamente provveduto alla bonifica del sito inquinato ha diritto di rivalersi nei confronti del responsabile dell’inquinamento per le spese sostenute, a condizione che sia stata rispettata per la bonifica la procedura amministrativa prevista dalla legge ed indipendentemente dall’identificazione del responsabile dell’inquinamento da parte della competente autorità amministrativa.

L’omessa spedizione in forma esecutiva della copia del titolo esecutivo rilasciata al creditore  e da questi notificata al debitore determina una irregolarità formale del titolo medesimo, che deve essere denunciata nelle forme e nei termini di cui all’art. 617, comma 1, c.p.c., senza che la proposizione dell’opposizione determini l’automatica sanatoria del vizio per raggiungimento dello scopo, ai sensi dell’art. 156, comma 3, c.p.c.; tuttavia, in base ai principi di economia processuale, di ragionevole durata del processo e di interesse ad agire, il debitore opponente non può limitarsi, a pena di inammissibilità dell’opposizione, a dedurre l’irregolarità formale in sé considerata, senza indicare quale concreto pregiudizio ai diritti tutelati dal regolare svolgimento del processo esecutivo essa abbia cagionato. (Sezione 3, Sentenza 12 febbraio 2019, n. 3967, Pres. R. Vivaldi, Relatore C. D’Arrigo).

In caso di infezione conseguente ad emotrasfusioni  o ad utilizzo di emoderivati, opera la “compensatio lucri cum damno” fra l’indennizzo ex l. n. 210/1992 ed il risarcimento del danno anche laddove non sussista apparente coincidenza tra il danneggiante ed il soggetto che eroga la provvidenza (nella specie, rispettivamente, ASL e Regione), qualora possa comunque escludersi che, per effetto del diffalco, si determini un ingiustificato vantaggio per il responsabile, restando in tal caso irrilevante che la l. n. 210/1992 non preveda un meccanismo di surroga e rivalsa in favore di chi abbia erogato l’indennizzo (Sezione 3, Ordinanza 14 febbraio 2019, n. 4309, Pres. G. Travaglino, Relatore G. Positano).

La Terza Sezione Civile ha, infine, sollevato innanzi alla CGUE, ex art. 267 del TFUE, la questione pregiudiziale concernente il se, in relazione alla situazione di intempestivo (e/o incompleto) recepimento della direttiva 2004/80/CE del Consiglio del 29 aprile 2004, quanto alla istituzione di un sistema di indennizzo delle vittime dei reati violenti, che fa sorgere nei confronti dei soggetti transfrontalieri la responsabilità risarcitoria dello Stato membro, il diritto eurounitario imponga di configurare un’analoga responsabilità nei confronti di soggetti non transfrontalieri (dunque, residenti), i quali non sarebbero stati destinatari diretti dei benefici derivanti dall’attuazione della direttiva ma, per evitare una violazione del principio di uguaglianza/non discriminazione, avrebbero dovuto e potuto beneficiare, in via d’estensione, dell’effetto utile della direttiva stessa, ove fosse stata tempestivamente e compiutamente recepita. Condizionata all’ipotesi di risposta positiva al quesito di cui innanzi, la S.C. ha altresì sollevato la questione pregiudiziale concernente il se l’indennizzo stabilito dal decreto del Ministro dell’interno del 31 agosto 2017 nell'”importo fisso di euro 4.800“, in favore delle vittime dei reati intenzionali violenti, possa reputarsi “indennizzo equo ed adeguato delle vittime” in attuazione di quanto prescritto dall’art. 12, par. 2, della citata direttiva 2004/80/CE (Terza Sezione Civile, ordinanza 31 gennaio 2019, n. 2964, Presidente G. Travaglino, Relatore E. Vincenti).

La Sezione Lavoro si segnala per due pronunce.

Con la prima ha sollevato questione pregiudiziale diretta ad accertare se l’art. 7 par. 2 della direttiva n. 88 del 2003 e l’art. 31 p. 2 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea debbano essere interpretati nel senso che ostino a disposizioni o prassi nazionali in base alle quali, cessato il rapporto di lavoro, non sia dovuto il diritto al pagamento dell’indennità sostitutiva delle ferie e permessi per festività soppresse, maturate e non godute, per fatto imputabile al datore di lavoro, con riguardo al periodo intercorrente tra il licenziamento dichiarato illegittimo e la successiva reintegra (Sez. L ordinanza interlocutoria n. 451 del 10 gennaio 2019, Pres. G. Bronzini, Rel. G. Cinque).

Con la seconda ha precisato che il lavoratore che impugni il licenziamento allegandone l’intimazione senza l’osservanza della forma scritta  ha l’onere di provare che la risoluzione del rapporto è ascrivibile alla volontà datoriale, seppure manifestata con comportamenti concludenti, non essendo sufficiente la prova della mera cessazione della prestazione lavorativa; nell’ipotesi in cui il datore eccepisca le dimissioni del lavoratore e all’esito dell’istruttoria – da condurre anche tramite i poteri officiosi ex art. 421 c.p.c. – perduri l’incertezza probatoria, la domanda del lavoratore andrà respinta in applicazione della regola residuale ex art. 2697 c.c. (Sez. L sentenza n. 3822 dell’8 febbraio 2019, Pres. V. Di Cerbo, Rel. F. Amendola).

Infine, la Sezione Tributaria ha rimesso gli atti al Primo Presidente, per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, ai fini di un intervento chiarificatore – sia come risoluzione di contrasto sia come questione di massima di particolare importanza – sull’interpretazione dell’art. 39 del d.lgs. n. 507 del 1993, in ordine all‘estensione della soggettività passiva Tosap  a seconda che l’occupante di fatto di suolo pubblico possa essere chiamato a rispondere del tributo anche in presenza, ovvero solo inmancanza, di un soggetto titolare di concessione o autorizzazione all’occupazione.  Per l’ipotesi di ritenuta responsabilità debitoria dell’occupante di fatto anche in presenza di quest’ultimo, si pone poi l’ulteriore quesito di stabilire se tale responsabilità operi in via esclusiva ed assorbente, ovvero solidale (Sez. T, ordinanza interlocutoria n.  2008, del 24 gennaio 2019, Pres. Cristiano M., Est. Stalla G.).