Rassegna Cassazione civile marzo-aprile 2019

a cura di Andrea Penta

Numerosi ed importanti sono stati, nel bimestre in esame, gli interventi della Suprema Corte a Sezioni Unite.

Le stesse, a risoluzione di contrasto, hanno affermato che, nell’ipotesi di notificazione della sentenza ai sensi dell’art. 326 c.p.c., il termine breve di impugnazione  di cui al precedente art. 325 decorre, anche per il notificante, dalla data in cui la notifica viene eseguita nei confronti del destinatario, in quanto gli effetti del procedimento notificatorio, quale la decorrenza del termine predetto, vanno unitariamente ricollegati al suo perfezionamento e, proprio perché interni al rapporto processuale, sono necessariamente comuni ai soggetti che ne sono parti (S.U., sentenza n.  6278, del 4 marzo 2019, Pres. G. Mammone, Est. L.G. Lombardo).

Pronunciandosi su questione di massima di particolare importanza, hanno affermato che la clausola del contratto di locazione che attribuisca al conduttore l’obbligo di farsi carico di ogni tassa, imposta ed onere relativi ai beni locati ed al contratto, tenendone conseguentemente manlevato il locatore,  non è affetta da nullità per violazione di norme imperative, ne’ in particolare per violazione del precetto costituzionale dettato dall’art. 53 della Costituzione, qualora essa sia stata prevista dalle parti come componente integrante la misura del canone locativo e non implichi che il tributo debba essere pagato da un soggetto diverso dal contribuente, trattandosi in tal caso di pattuizione da ritenersi in via generale consentita in mancanza di una specifica diversa disposizione di legge (S.U., sentenza n.  6882, dell’8 marzo 2019, Pres. V. Di Cerbo, Est. L. Scarano).

Sempre pronunciandosi su questione di massima di particolare importanza, hanno affermato che, nel processo ordinario di cognizione risultante dalla novella di cui alla l. n. 353 del 1990 e succ. modif., le parti del processo di impugnazion  e- che costituisce pur sempre una revisio prioris istantiae– nel rispetto dell’autoresponsabilità e dell’affidamento processuale, sono tenute, per sottrarsi alla presunzione di rinuncia (al di fuori delle ipotesi di domande e di eccezioni esaminate e rigettate, anche implicitamente, dal primo giudice, per le quali è necessario proporre appello incidentale; art. 343 c.p.c.), a riproporre ai sensi dell’art. 346 c.p.c. le domande e le eccezioni non accolte in primo grado, in quanto rimaste assorbite, con il primo atto difensivo e comunque non oltre la prima udienza, trattandosi di fatti rientranti già nel thema probandum e nel thema decidendum del giudizio di primo grado (S.U., sentenza n. 7940, del 21 marzo 2019, Pres.S. Petitti, Est. M. Falaschi).

A risoluzione di contrasto, hanno affermato che la nullità comminata dall’art. 46 del d.P.R. n. 380 del 2001 e dagli artt. 17 e 40 della l. n. 47 del 1985  va ricondotta nell’ambito del comma 3 dell’art. 1418 c.c., di cui costituisce una specifica declinazione, e deve qualificarsi come nullità “testuale”, con tale espressione dovendosi intendere, in stretta adesione al dato normativo, un’unica fattispecie di nullità che colpisce gli atti tra vivi ad effetti reali elencati nelle norme che la prevedono, volta a sanzionare la mancata inclusione in detti atti degli estremi del titolo abilitativo dell’immobile, titolo che, tuttavia, deve esistere realmente e deve essere riferibile, proprio, a quell’immobile. In presenza nell’atto della dichiarazione dell’alienante degli estremi del titolo urbanistico, reale e riferibile all’immobile, il contratto è valido a prescindere dal profilo della conformità o della difformità della costruzione realizzata al titolo menzionato (S.U., sentenza n. 8230, del 22 marzo 2019, Pres. G. Mammone, Est. M.G. Sambito).

Su questione di massima di particolare importanza, hanno affermato che il deposito in cancelleria, nel termine di venti giorni dall’ultima notifica, di copia analogica della decisione impugnata predisposta in originale telematico e notificata a mezzo PEC, senza attestazione di conformità del difensore  ex art. 9, commi 1 bis e 1 ter, della l. n. 53 del 1994 o con attestazione priva di sottoscrizione autografa, non ne comporta l’improcedibilità ove l’unico controricorrente o uno dei controricorrenti  (anche tardivamente costituitosi) depositi copia analogica della decisione stessa ritualmente autenticata ovvero non abbia disconosciuto la conformità della copia informale all’originale notificatogli ex art. 23, comma 2, del d.lgs. n. 82 del 2005. Viceversa, nell’ipotesi in cui l’unico destinatario della notificazione del ricorso rimanga solo intimato (oppure tali rimangono alcuni o anche uno solo tra i molteplici destinatari della notifica del ricorso) ovvero disconosca la conformità all’originale della copia analogica non autenticata della decisione tempestivamente depositata, per evitare di incorrere nella dichiarazione di improcedibilità sarà onere del ricorrente depositare l’asseverazione di conformità all’originale della copia analogica sino all’udienza di discussione o all’adunanza in camera di consiglio.  I medesimi principi si applicano all’ipotesi di tempestivo deposito di copia della relata della notificazione telematica della decisione impugnata (e del corrispondente messaggio PEC con annesse ricevute) senza attestazione di conformità del difensore ex art. 9, commi 1 bis e 1 ter della l. n. 53 del 1994, oppure con attestazione priva di sottoscrizione autografa (S.U., sentenza n. 8312, del 25 marzo 2019, Pres. G. Mammone, Est. L. Tria).

Da ultimo, a risoluzione di contrasto, pronunciando ai sensi dell’art. 363, comma 3, c.p.c., hanno affermato che, nel caso in cui il sostituto ometta di versare le somme, per le quali ha però operato le ritenute d’acconto, il sostituito non è tenuto in solido in sede di riscossione, atteso che la responsabilità solidale prevista dall’art. 35 del d.P.R. n. 602 del 1973 è espressamente condizionata alla circostanza che non siano state effettuate le ritenute (S.U., sentenza n. 10378, del 12 aprile 2019, Pres. P. Curzio, Est. L. Bruschetta).

Alla Prima Sezione si devono due significative pronunce.

Con la prima ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, prospettando la seguente questione di massima di particolare importanza: se sia configurabile un diritto soggettivo perfetto dei genitori degli alunni delle scuole elementari e medie, eventualmente quale espressione di una libertà personale inviolabile, il cui accertamento sia suscettibile di ottemperanza, di scegliere per i propri figli tra la refezione scolastica e il pasto portato da casa o confezionato autonomamente e di consumarlo nei locali della scuola e comunque nell’orario destinato alla refezione scolastica, alla luce della normativa di settore e dei principi costituzionali, in tema di diritto all’istruzione, all’educazione dei figli e all’autodeterminazione individuale, in relazione alle scelte alimentari (artt. 2, 3, 30, comma 1, 32, 34, commi 1 e 2, Cost.; Sezione 1, Ordinanza interlocutoria 11 marzo 2019, n. 6972, Pres. F. Tirelli, Rel. A.P. Lamorgese).

Con la seconda ha ritenuto, nell’ambito dei servizi della società dell’informazione, la responsabilità del c.d. caching, prevista dall’art. 15 d.lgs. n. 70 del 2003, sussiste in capo al prestatore dei servizi che non abbia provveduto alla immediata rimozione dei contenuti illeciti, pur essendogli ciò stato intimato dall’ordine proveniente da un’autorità amministrativa o giurisdizionale (Sezione 1, Sentenza 19 marzo 2019, Pubblica Udienza 21 febbraio 2019, n. 7709, Pres. F.A. Genovese, Estensore L. Nazzicone).

Numerosi e rilevanti provvedimenti sono riconducibili alla Seconda Sezione.

Gli obblighi posti dall’articolo 34 decies del Regolamento Emittenti della CONSOB a carico dell’offerente, dell’emittente e del responsabile del collocamento  che procedano, prima della pubblicazione del prospetto informativo, alla diffusione di notizie, allo svolgimento di indagini di mercato e alla raccolta di intenzioni di acquisto attinenti all’offerta al pubblico  gravano non solo sui detti soggetti, ma anche su tutti coloro di cui si servano per compiere tali attività . Pertanto, chiunque diffonda notizie su un prodotto finanziario offerto al pubblico prima che sia reso noto il menzionato prospetto, pur se operi alle dipendenze non del responsabile del collocamento, ma di soggetto del quale lo stesso responsabile si avvalga per diffondere indirettamente le notizie in questione, risponde dell’illecito amministrativo previsto dall’articolo 191, comma 2, TUF, nel caso di incoerenza delle informazioni da lui diffuse con quelle contenute nell’emanando prospetto (Sezione 2, Sentenza 21 marzo 2019, n. 8047, Pres. S. Petitti, Relatore A. Cosentino).

La sesta sezione civile, sottosezione seconda, ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite ai fini della composizione di un rilevato contrasto in ordine alla questione se il termine cd. lungo di sei mesi previsto, per l’impugnazione per revocazione delle decisioni della Corte di cassazione, dall’art. 391 bis, comma 1, c.p.c., nella formulazione novellata dall’art. 1 bis del d.l. n. 168 del 2016, conv., con modif., dalla l. n. 197 del 2016, si applichi ai soliprovvedimenti pubblicati dopo l’entrata in vigore della l. citata (30 ottobre 2016) ovvero anche a quelli precedenti (Sezione 6-2, ordinanza 28 marzo 2019, n. 8717, Pres. P. D’Ascola, Relatore M. Criscuolo).

La sezione ha altresì rimesso gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite ai fini della risoluzione della questione di massima di particolare importanza concernente la corretta qualificazione giuridica del contratto con il quale un condomino conceda in godimento ad un terzo, dietro il pagamento di un corrispettivo, il lastrico solare, o altra idonea superficie comune, allo scopo precipuo di consentirgli l’installazione di infrastrutture ed impianti (nella specie, occorrenti per l’esercizio del servizio di telefonia mobile) che comportino la trasformazione dell’area, riservando comunque al detentore del lastrico di acquisire e mantenere la proprietà dei manufatti nel corso del rapporto come al termine dello stesso, dovendosi accertare se sia necessario o meno il consenso di tutti i partecipanti, ai sensi dell’art. 1108, comma 3, c.c., per l’approvazione del detto contratto (Sezione 2, ordinanza interlocutoria 29 marzo 2019, n. 8943, Pres. P. D’Ascola, Relatore A. Scarpa).

Infine, la cancellazione del testamento disciplinata dall’art. 684 c.c. si configura, al pari della distruzione, come un comportamento concludente avente valore legale, riconducibile in via presuntiva al testatore quale negozio di attuazione, che deve essere giuridicamente qualificato, alla luce del citato art. 684 c.c., quale revoca tacita del detto testamento. Ne consegue che, qualora ad essere cancellato sia un testamento successivo contenente la revoca di quello precedente, non trova applicazione l’articolo 683 c.c., per il quale, nelle ipotesi dallo stesso indicate, la revocazione fatta con un testamento posteriore conserva la sua efficacia anche quando questo resta senza effetto, ma l’art. 681 c.c. che disciplina il diverso caso della revocazione della revocazione stabilendo che, in tale eventualità, le disposizioni revocate rivivono (Sezione 2, Sentenza 21 marzo 2019, n. 8031, Pres. F. Manna, Relatore R. Sabato).

Anche la Sezione Lavoro, nel periodo, è risultata estremamente prolifica.

In tema di blocco della perequazione automatica delle pensioni  ex art. 1, comma 19, l. n. 247 del 2007, ha stabilito che, per le pensioni di reversibilità , l’importo-base sul quale calcolare l’eventuale superamento della soglia oltre la quale il blocco è destinato a operare (otto volte il trattamento minimo Inps), è costituito dal trattamento pensionistico di reversibilità al netto, e non al lordo, delle riduzioni derivanti dall’applicazione dei divieti di cumulo con gli altri redditi percepiti dal superstite, ai sensi dell’art. 1, comma 41, della l. n. 335 del 1995 (Sezione Lavoro, udienza 18/12/2018 (dep. 8/3/2019), n. 6872 – Presidente A. Manna, estensore R. Mancino).

L’assegno per il nucleo familiare erogato dall’Inps  spetta al lavoratore somministrato anche durante gli intervalli in cui egli non presta alcuna attività lavorativa per l’utilizzatore e percepisce dal somministratore l’indennità di disponibilità ex art. 23, comma 3, del d.lgs. n. 276 del 2003, atteso che, durante i periodi non lavorati, il sinallagma funzionale del contratto di lavoro è attivo e l’indennità di disponibilità ha natura retributiva, con conseguente obbligo, a carico del somministratore, di versamento dei relativi contributi assicurativi (Sezione Lavoro, udienza 18/12/2018 (dep. 8/3/2019), n. 6870 – Presidente A. Manna, estensore R. Riverso).

In tema di spese processuali, ha affermato che l’art. 152-bis disp. att. c.p.c., introdotto dall’art. 4, comma 42, della l. n. 183 del 2011, nella parte in cui prevede la liquidazione di dette spese a favore delle pubbliche amministrazioni assistite in giudizio da propri dipendenti, in misura pari al compenso spettante agli avvocati ridotto del venti per cento, si applica non soltanto alle controversie relative ai rapporti di lavoro ex art. 417-bis c.p.c., ma anche ai giudizi per prestazioni assistenziali in cui l’Inps si avvalga della difesa diretta ex art. 10, comma 6, del d.l. n. 203 del 2005, dovendosi ritenere che le due disposizioni siano accomunate dalla finalità di migliorare il coordinamento e la gestione del contenzioso da parte delle amministrazioni nei gradi di merito, affidando l’attività di difesa nei giudizi in modo sistematico a propri dipendenti (Sezione Lavoro, udienza 5/2/2019 (dep. 9/4/2019), n. 9878 – Presidente A. Manna, estensore D. Calafiore).

Le modifiche dell’art. 10 del d.P.R. n. 1124 del 1965, introdotte dall’art. 1, comma 1126, della l. n. 145 del 2018, – di natura innovativa e non meramente interpretativa – non si applicano agli infortuni sul lavoro verificatisi ed alle malattie professionali denunciate prima del 1° gennaio 2019 (Sez. L sentenza n. 8580 del 27 marzo 2019, Pres. V. Di Cerbo, Rel. C.  Ponterio).

Inoltre, ha sollevato questione pregiudiziale diretta ad accertare se l’art. 12, par. 1, lett. e), della direttiva 2011/98/UE, del 13 dicembre 2011, nonché il principio di parità di trattamento tra titolari del permesso unico di soggiorno e di lavoro e cittadini nazionali, ostino ad una legislazione nazionale in base alla quale, al fine del calcolo dell’assegno per il nucleo familiare, nel computo degli appartenenti al nucleo familiare vanno esclusi i familiari del lavoratore di Stato terzo titolare del permesso unico, qualora gli stessi risiedano presso il paese  d’origine, al contrario di quanto previsto per i cittadini dello Stato membro (Sez. L ordinanza interlocutoria n. 9022 del 1° aprile 2019, Pres. A. Manna, Rel. D. Calafiore).

Infine, ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione della causa alle Sezioni Unite in ordine alla risoluzione del potenziale contrasto con l’interpretazione resa dalla medesima Sezione con l’ordinanza n. 33032 del 2018 in ordine alla questione – ritenuta anche di massima di particolare importanza – concernente il regime di esclusività o meno in capo alla Guardia di finanza dell’accertamento ex art. 53, comma 9, del d.lgs. n. 165 del 2001, anche ai fini della decorrenza del termine decadenziale previsto dall’art. 14 della l. n. 689 del 1981  (Sez. L, ordinanza interlocutoria n. 8392 del 26 marzo 2019, Pres. G. Bronzini, Rel. F. De Gregorio).

Da ultimo, si devono alla Sezione Tributaria tre importanti pronunce.

Con la prima è stato affermato che la vendita a terzi dell’immobile acquistato in comunione dai coniugi con le agevolazioni “prima casa”, prima del decorso del termine di cinque anni dall’acquisto, non comporta la revoca dai benefici fiscali se è stata effettuata in attuazione di accordi raggiunti in sede di separazione o di divorzio, attesa l’operatività dell’art. 19 della l. n. 74 del 1987, nel testo conseguente alla declaratoria d’incostituzionalità (Corte cost., sentenza n. 154 del 1999), la cuiratio è quella di favorire la complessa sistemazione dei rapporti patrimoniali in occasione della crisi coniugale, senza che derivino ripercussioni fiscali sfavorevoli (Sez. T, ordinanza n. 7966 del 21 marzo 2019, Pres. Manzon, Rel. Nonno).

Con la seconda, in tema di diritti del contribuente sottoposto ad accertamenti fiscali, ha affermato che le garanzie relative alla “permanenza degli operatori civili o militari dell’amministrazione finanziaria” presso attività commerciali o professionali previste dall’art. 12, comma 7, dello Statuto del contribuente riguardano le verifiche eseguite (non solo dalla Guardia di Finanza ma) da “organi di controllo” in genere, compresi gli enti locali, valendo, per identità di ratio, anche per le società a cui gli enti impositori affidino, in concessione, compiti di accertamento e riscossione delle imposte, ivi inclusi gli adempimenti strumentali di rilevazione di dati necessari alla determinazione della base imponibile (Sez. Tributaria, sentenza n. 8654 del 28 marzo 2019, Presidente G.M. Stalla, Estensore A. Mondini).

Con la terza ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, ai fini della risoluzione della questione relativa alla natura del vizio della notificazione del ricorso introduttivo del giudizio tributario, eseguita mediante l’utilizzo di un’agenzia privata di recapitiinvece che del servizio postale universale fornito da Poste Italiane s.p.a., in ragione sia del recente arresto delle medesime Sezioni Unite in tema di invalidità delle notifiche (sentenza n. 14916 del 2016), sia del contrasto interpretativo emergente da alcune pronunce delle sezioni penali sulle novità legislative di cui alla legge n. 124 del 2017 (già in parte anticipate dal d.lgs. n. 58 del 2011; Sez. T, ordinanza interlocutoria n. 11016 del 19 aprile 2019, Pres. Cristiano M., Rel. Fasano A.M.).